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Se la prodigalità sia un peccato più grave dell'avarizia
Secunda pars secundae partis
Quaestio 119
Articulus 3
[43942] IIª-IIae q. 119 a. 3 arg. 1 Ad tertium sic proceditur. Videtur quod prodigalitas sit gravius peccatum quam avaritia. Per avaritiam enim aliquis nocet proximo, cui bona sua non communicat. Per prodigalitatem autem aliquis sibi ipsi nocet, dicit enim philosophus, in IV Ethic., quod corruptio divitiarum, per quas homo vivit, est quaedam ipsius esse perditio. Gravius autem peccat qui sibi ipsi nocet, secundum illud Eccli. XIV, qui sibi nequam est, cui bonus erit? Ergo prodigalitas erit gravius peccatum quam avaritia.
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Seconda parte della seconda parte
Questione 119
Articolo 3
[43942] IIª-IIae q. 119 a. 3 arg. 1
SEMBRA che la prodigalità sia un peccato più grave dell'avarizia. Infatti:
1. Con l'avarizia uno danneggia il prossimo, al quale non comunica i propri beni. Ma con la prodigalità uno danneggia se stesso: infatti il Filosofo afferma, che "la distruzione delle ricchezze, le quali danno all'uomo da vivere, è una specie di suicidio". Ora, chi fa del male a se stesso pecca più gravemente, come si rileva dalle parole dell'Ecclesiastico: "Chi è cattivo con se stesso, con chi sarà egli buono?". Dunque la prodigalità è un peccato più grave dell'avarizia.
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[43943] IIª-IIae q. 119 a. 3 arg. 2 Praeterea, inordinatio quae provenit cum aliqua conditione laudabili, minus est vitiosa. Sed inordinatio avaritiae quandoque est cum aliqua laudabili conditione, ut patet in illis qui nolunt sua expendere nec aliena accipere. Prodigalitatis autem inordinatio provenit cum conditione vituperabili, unde et prodigalitatem attribuimus intemperatis hominibus, ut philosophus dicit, in IV Ethic. Ergo prodigalitas est gravius vitium quam avaritia.
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[43943] IIª-IIae q. 119 a. 3 arg. 2
2. Il disordine che è accompagnato da una circostanza attenuante è meno peccaminoso. Ora, il disordine dell'avarizia più volte è accompagnato da una circostanza attenuante: p. es., nel caso di coloro che non vogliono né dispensare i loro beni, né prendere la roba altrui. Invece la prodigalità è accompagnata da una circostanza aggravante: poiché, a detta del Filosofo, "la prodigalità noi l'attribuiamo a chi è intemperante". Perciò la prodigalità è un peccato più grave dell'avarizia.
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[43944] IIª-IIae q. 119 a. 3 arg. 3 Praeterea, prudentia est praecipua inter morales virtutes, ut supra habitum est. Sed prodigalitas magis opponitur prudentiae quam avaritia, dicitur enim Prov. XXI, thesaurus desiderabilis et oleum in tabernaculo iusti, et imprudens homo dissipabit illud; et philosophus dicit, in IV Ethic., quod insipientis est superabundanter dare et non accipere. Ergo prodigalitas est gravius peccatum quam avaritia.
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[43944] IIª-IIae q. 119 a. 3 arg. 3
3. La prudenza è la prima tra le virtù morali, come sopra abbiamo visto. Ora, la prodigalità è in contrasto con la prudenza più dell'avarizia: infatti nei Proverbi si legge: "Nella dimora del giusto c'è un tesoro vistoso, c'è dell'aroma: ma l'uomo imprudente lo dissiperà"; e il Filosofo insegna, che "è proprio dello stolto dare a profusione senza niente ricevere". Quindi la prodigalità è un peccato più grave dell'avarizia.
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[43945] IIª-IIae q. 119 a. 3 s. c. Sed contra est quod philosophus dicit, in IV Ethic., quod prodigus multum videtur melior illiberali.
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[43945] IIª-IIae q. 119 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: Il Filosofo afferma, che il prodigo "sembra essere assai migliore dell'avaro".
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[43946] IIª-IIae q. 119 a. 3 co. Respondeo dicendum quod prodigalitas, secundum se considerata, minus peccatum est quam avaritia. Et hoc triplici ratione. Primo quidem, quia avaritia magis differt a virtute opposita. Magis enim ad liberalem pertinet dare, in quo superabundat prodigus, quam accipere vel retinere, in quo superabundat avarus. Secundo, quia prodigus est multis utilis, quibus dat, avarus autem nulli, sed nec sibi ipsi, ut dicitur in IV Ethic. Tertio, quia prodigalitas est facile sanabilis. Et per hoc quod declinat ad aetatem senectutis, quae est contraria prodigalitati. Et per hoc quod pervenit ad egestatem de facili, dum multa inutiliter consumit, et sic, pauper factus, non potest in dando superabundare. Et etiam quia de facili perducitur ad virtutem, propter similitudinem quam habet ad ipsam. Sed avarus non de facili sanatur, ratione supradicta.
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[43946] IIª-IIae q. 119 a. 3 co.
RISPONDO: In se stessa considerata, la prodigalità è un peccato meno grave dell'avarizia. E questo per tre motivi. Primo, perché l'avarizia si allontana maggiormente dalle virtù contrarie. Infatti alla liberalità è più consono il dare, in cui esagera il prodigo, che il prendere e il ritenere, in cui esagera l'avaro.
Secondo, perché, come dice Aristotele, "il prodigo è utile a molti", cioè alle persone cui dà: "l'avaro invece non è utile a nessuno, e neppure a se stesso".
Terzo, la prodigalità è più curabile. Sia perché si va verso la vecchiaia, che è contraria alla prodigalità. Sia perché presto si giunge all'indigenza, sperperando inutilmente grandi somme: e allora il prodigo caduto nella miseria non può continuare a scialacquare. E sia anche perché più facilmente il prodigo si può ricondurre alla virtù, data la sua affinità con essa. - Invece l'avaro non è facilmente curabile, per le ragioni indicate nella questione precedente.
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[43947] IIª-IIae q. 119 a. 3 ad 1 Ad primum ergo dicendum quod differentia prodigi et avari non attenditur secundum hoc quod est peccare in seipsum, et in alium. Nam prodigus peccat in seipsum, dum bona sua consumit, unde vivere debet, peccat etiam in alterum, consumendo bona ex quibus aliis deberet providere. Et praecipue hoc apparet in clericis, qui sunt dispensatores bonorum Ecclesiae, quae sunt pauperum, quos defraudant prodige expendendo. Similiter etiam avarus peccat in alios, inquantum deficit in dationibus, peccat etiam in seipsum, inquantum deficit in sumptibus; unde dicitur Eccle. VI, vir cui Deus dedit divitias, nec tribuit ei potestatem ut comedat ex eis. Sed tamen in hoc superabundat prodigus, quia sic sibi et quibusdam aliis nocet quod tamen aliquibus prodest. Avarus autem nec sibi nec aliis prodest, quia non audet uti etiam ad suam utilitatem bonis suis.
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[43947] IIª-IIae q. 119 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La differenza tra il prodigo e l'avaro non dipende dal fatto che l'uno pecca contro se stesso e l'altro contro il prossimo. Infatti il prodigo pecca contro se stesso, sciupando le proprie sostanze, con le quali deve vivere; ma pecca anche contro il prossimo, sciupando i beni con i quali dovrebbe provvedere agli altrui bisogni. E questo è particolarmente evidente nel caso dei chierici, che essendo i dispensatori dei beni della Chiesa i quali appartengono ai poveri, defraudano questi ultimi con le loro prodigalità. Parimenti l'avaro pecca contro il prossimo rifiutando di dare; ma pecca pure contro se stesso col rifiutare di spendere a sufficienza, meritandosi quelle parole dell'Ecclesiaste: "Un uomo a cui Dio ha dato le ricchezze..., senza concedergli la facoltà di fruirne". Tuttavia il prodigo ha questo vantagglo, che pur facendo del male a se stesso e ad altri, almeno giova a qualcuno. Invece l'avaro non giova né agli altri, né a se stesso: perché non osa adoperare i propri beni neppure a suo vantaggio.
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[43948] IIª-IIae q. 119 a. 3 ad 2 Ad secundum dicendum quod cum de vitiis communiter loquimur, iudicamus de eis secundum proprias rationes ipsorum, sicut circa prodigalitatem attendimus quod superflue consumit divitias, circa avaritiam vero quod superflue eas retinet. Quod autem aliquis propter intemperantiam superflue consumat, hoc iam nominat simul multa peccata, unde et tales prodigi sunt peiores, ut dicitur IV Ethic. Quod autem illiberalis sive avarus abstineat ab accipiendis alienis, etsi in se laudabile videatur, tamen ex causa propter quam facit, vituperabile est, dum ideo non vult ab aliis accipere ne cogatur aliis dare.
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[43948] IIª-IIae q. 119 a. 3 ad 2
2. Quando parliamo dei vizi in astratto dobbiamo giudicarli in base al loro elemento costitutivo: così consideriamo la prodigalità quale sperpero eccessivo delle ricchezze, e l'avarizia quale attaccamento eccessivo verso di esse. Il fatto invece che uno sperpera il denaro per l'intemperanza già richiama una pluralità di peccati: perciò codesti prodighi sono da giudicarsi peggiori, come nota Aristotele. Ma il fatto che un avaro si astenga dal prendere la roba altrui, sebbene sia lodevole in se stesso, è però riprovevole per il motivo che lo determina, poiché costui non vuol ricevere nulla da nessuno, per non essere costretto a dare agli altri.
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[43949] IIª-IIae q. 119 a. 3 ad 3 Ad tertium dicendum quod omnia vitia prudentiae opponuntur, sicut et omnes virtutes a prudentia diriguntur. Et ideo vitium ex hoc ipso quod opponitur soli prudentiae, levius reputatur.
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[43949] IIª-IIae q. 119 a. 3 ad 3
3. Tutti i vizi sono contro la prudenza, dal momento che tutte le virtù sono governate da essa. Perciò un vizio, per il fatto che si contrappone soltanto alla prudenza, è da considerarsi meno grave.
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