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Se la millanteria sia peccato mortale
Secunda pars secundae partis
Quaestio 112
Articulus 2
[43727] IIª-IIae q. 112 a. 2 arg. 1 Ad secundum sic proceditur. Videtur quod iactantia sit peccatum mortale. Dicitur enim Prov. XXVIII, qui se iactat et dilatat, iurgia concitat. Sed concitare iurgia est peccatum mortale, detestatur enim Deus eos qui seminant discordias, ut habetur Prov. VI. Ergo iactantia est peccatum mortale.
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Seconda parte della seconda parte
Questione 112
Articolo 2
[43727] IIª-IIae q. 112 a. 2 arg. 1
SEMBRA che la millanteria sia peccato mortale. Infatti:
1. Si legge nei Proverbi: "Chi s'innalza e si dilata boriosamente attizza le contese". Ma attizzare contese è peccato mortale, poiché si legge nello stesso libro che "Dio detesta coloro che seminano discordie". Dunque la millanteria è peccato mortale.
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[43728] IIª-IIae q. 112 a. 2 arg. 2 Praeterea, omne quod prohibetur in lege Dei est peccatum mortale. Sed super illud Eccli. VI, non te extollas in cogitatione tua, dicit Glossa, iactantiam et superbiam prohibet. Ergo iactantia est peccatum mortale.
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[43728] IIª-IIae q. 112 a. 2 arg. 2
2. Tutto ciò che è proibito dalla legge di Dio è peccato mortale. Ora, a proposito di quel testo dell'Ecclesiastico: "Non ti esaltare nei tuoi pensieri", la Glossa precisa: "Si proibisce così la millanteria e la superbia". Perciò la millanteria è peccato mortale.
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[43729] IIª-IIae q. 112 a. 2 arg. 3 Praeterea, iactantia est mendacium quoddam. Non est autem mendacium officiosum vel iocosum. Quod patet ex fine mendacii. Quia, ut philosophus dicit, in IV Ethic., iactator fingit de se maiora existentibus, quandoque nullius gratia, quandoque autem gratia gloriae vel honoris, quandoque autem gratia argenti, et sic patet quod neque est mendacium iocosum, neque officiosum. Unde relinquitur quod semper sit perniciosum. Videtur ergo semper esse peccatum mortale.
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[43729] IIª-IIae q. 112 a. 2 arg. 3
3. La millanteria è una menzogna. Ma non è una menzogna ufficiosa o giocosa. Il che è evidente dal fine di essa. Infatti, come dice il Filosofo, "il millantatore inventa sul proprio conto cose superiori alla realtà", talora "senza scopo", ma spesso per "la gloria e l'onore", oppure per "il denaro". Da ciò è evidente che si tratta di una bugia né giocosa, né ufficiosa. Quindi rimane che si tratterà sempre di una bugia dannosa. Perciò è sempre peccato mortale.
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[43730] IIª-IIae q. 112 a. 2 s. c. Sed contra est quod iactantia oritur ex inani gloria, secundum Gregorium, XXXI Moral. Sed inanis gloria non semper est peccatum mortale, sed quandoque veniale, quod vitare est valde perfectorum, dicit enim Gregorius quod valde perfectorum est sic ostenso opere auctoris gloriam quaerere ut de illata laude privata nesciant exultatione gaudere. Ergo iactantia non semper est peccatum mortale.
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[43730] IIª-IIae q. 112 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Come insegna S. Gregorio, la millanteria nasce dalla vanagloria. Ora, la vanagloria non sempre è peccato mortale, ma spesso è veniale; quindi è evitabile solo da chi è molto avanti nella perfezione. "È solo dei più perfetti", scrive S. Gregorio, "cercare nelle proprie opere la gloria del Creatore, senza rallegrarsi egoisticamente delle lodi che se ne ricevono". Dunque la millanteria non sempre è peccato mortale.
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[43731] IIª-IIae q. 112 a. 2 co. Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, peccatum mortale est quod caritati contrariatur. Dupliciter ergo iactantia considerari potest. Uno modo, secundum se, prout est mendacium quoddam. Et sic quandoque est peccatum mortale, quandoque veniale. Mortale quidem, quando aliquis iactanter de se profert quod est contra gloriam Dei, sicut ex persona regis Tyri dicitur Ezech. XXVIII, elevatum est cor tuum, et dixisti, Deus ego sum. Vel etiam contra caritatem proximi, sicut cum aliquis, iactando seipsum, prorumpit in contumelias aliorum; sicut habetur Luc. XVIII de Pharisaeo, qui dicebat, non sum sicut ceteri hominum, raptores, iniusti, adulteri, velut etiam hic publicanus. Quandoque vero est peccatum veniale, quando scilicet aliquis de se talia iactat quae neque sunt contra Deum, neque contra proximum. Alio modo potest considerari secundum suam causam, scilicet superbiam, vel appetitum lucri aut inanis gloriae. Et sic, si procedat ex superbia vel inani gloria quae sit peccatum mortale, etiam ipsa iactantia erit peccatum mortale. Alioquin erit peccatum veniale. Sed quando aliquis prorumpit in iactantiam propter appetitum lucri, hoc videtur iam pertinere ad proximi deceptionem et damnum. Et ideo talis iactantia magis est peccatum mortale. Unde et philosophus dicit, in IV Ethic., quod turpior est qui se iactat causa lucri quam qui se iactat causa gloriae vel honoris. Non tamen semper est peccatum mortale, quia potest esse tale lucrum ex quo alius non damnificatur.
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[43731] IIª-IIae q. 112 a. 2 co.
RISPONDO: Un peccato è mortale quando, come abbiamo già spiegato, si contrappone alla carità. Ora, la millanteria si può considerare sotto due aspetti. Primo, in se stessa, in quanto è una menzogna. Vista così, essa può essere, secondo i casi, peccato mortale o veniale. È mortale quando uno si vanta di cose che offendono la gloria di Dio, sull'esempio del re di Tiro, al quale così parla Ezechiele: "Il tuo cuore si è levato in alto, e hai detto: Io sono un Dio". Oppure dice cose incompatibili con la carità del prossimo: come quando uno per vantare se stesso copre gli altri di contumelie; sull'esempio del fariseo della parabola evangelica, il quale diceva: "Io non sono come gli altri uomini, rapaci, ingiusti, adulteri; e nemmeno come questo pubblicano". - Talora invece la millanteria è peccato veniale: quando, cioè, uno si vanta di cose che non sono né contro Dio né contro il prossimo.
Secondo, la millanteria si può considerare nelle sue cause, che sono la superbia, la brama del denaro, o la vanagloria. Vista così, qualora essa derivi da atti di superbia o di vanagloria che son peccati mortali, anche la millanteria è peccato mortale. Altrimenti è veniale. - Quando invece uno ricorre alla millanteria per un guadagno, di suo questo si riduce a un inganno e a un danneggiamento del prossimo. Perciò codesta millanteria ordinariamente è peccato mortale. Ecco perché il Filosofo afferma, che "è più riprovevole chi si vanta per il guadagno, che colui che si vanta per la gloria o per l'onore". Tuttavia non sempre questo è peccato mortale; poiché il lucro può esser tale da non danneggiare gli altri.
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[43732] IIª-IIae q. 112 a. 2 ad 1 Ad primum ergo dicendum quod ille qui se iactat ad hoc quod iurgia concitet, peccat mortaliter. Sed quandoque contingit quod iactantia est causa iurgiorum non per se, sed per accidens. Unde ex hoc iactantia non est peccatum mortale.
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[43732] IIª-IIae q. 112 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Chi si vanta per attizzare contese pecca mortalmente. Può capitare però che la millanteria sia causa di contese non intenzionalmente, ma senza volerlo. E allora non è peccato mortale.
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[43733] IIª-IIae q. 112 a. 2 ad 2 Ad secundum dicendum quod Glossa illa loquitur de iactantia secundum quod procedit ex superbia prohibita, quae est peccatum mortale.
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[43733] IIª-IIae q. 112 a. 2 ad 2
2. Quel commento parla della millanteria in quanto deriva da un peccato di superbia, che è peccato mortale.
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[43734] IIª-IIae q. 112 a. 2 ad 3 Ad tertium dicendum quod non semper iactantia importat mendacium perniciosum, sed solum quando est contra caritatem Dei aut proximi, aut secundum se aut secundum causam suam. Quod autem aliquis se iactet quasi hoc ipso delectatus, est quiddam vanum, ut philosophus dicit. Unde reducitur ad mendacium iocosum, nisi forte hoc divinae dilectioni praeferret, ut propter hoc Dei praecepta contemneret; sic enim esset contra caritatem Dei, in quo solo mens nostra debet quiescere sicut in ultimo fine. Videtur autem ad mendacium officiosum pertinere cum aliquis ad hoc se iactat ut gloriam vel lucrum acquirat, dummodo hoc sit sine damno aliorum; quia hoc iam pertineret ad mendacium perniciosum.
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[43734] IIª-IIae q. 112 a. 2 ad 3
3. Non sempre la millanteria implica una bugia dannosa; ma solo quando, in se stessa o nelle sue cause, è contro la carità di Dio e del prossimo. - Il fatto che uno si vanti per il gusto di vantarsi è una sciocchezza, o "vanità", come dice il Filosofo. Perciò questo si riduce a una bugia giocosa: eccetto quando si preferisse codesta millanteria all'amore di Dio, fino a disprezzare per questo i precetti del Signore; poiché allora si agirebbe contro la carità di Dio, nel quale l'anima nostra deve riporre il suo ultimo fine. - Invece quando uno si vanta per acquistare gloria o denaro, la sua millanteria si riduce a una menzogna ufficiosa: purché si faccia senza danneggiare gli altri; poiché allora si avrebbe una bugia dannosa.
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