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Se l'ipocrisia si contrapponga alla veracità
Secunda pars secundae partis
Quaestio 111
Articulus 3
[43702] IIª-IIae q. 111 a. 3 arg. 1 Ad tertium sic proceditur. Videtur quod hypocrisis non opponatur virtuti veritatis. In simulatione enim sive hypocrisi est signum et signatum. Sed quantum ad utrumque, non videtur opponi alicui speciali virtuti, hypocrita enim simulat quamcumque virtutem; et etiam per quaecumque virtutis opera, puta per ieiunium, orationem et eleemosynam, ut habetur Matth. VI. Ergo hypocrisis non opponitur specialiter virtuti veritatis.
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Seconda parte della seconda parte
Questione 111
Articolo 3
[43702] IIª-IIae q. 111 a. 3 arg. 1
SEMBRA che l'ipocrisia non si contrapponga alla veracità. Infatti:
1. Nella simulazione, o ipocrisia abbiamo il segno e la cosa significata. Ma in nessuno dei due elementi l'ipocrisia si contrappone a una virtù speciale; poiché l'ipocrita può simulare tutte le virtù, e con qualsiasi atto virtuoso, cioè col digiuno, con la preghiera, con l'elemosina, ecc., come dice il Vangelo. Dunque l'ipocrisia non si contrappone in modo speciale alla virtù della veracità.
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[43703] IIª-IIae q. 111 a. 3 arg. 2 Praeterea, omnis simulatio ex aliquo dolo procedere videtur, unde et simplicitati opponitur. Dolus autem opponitur prudentiae, ut supra habitum est. Ergo hypocrisis, quae est simulatio. Non opponitur veritati, sed magis prudentiae vel simplicitati.
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[43703] IIª-IIae q. 111 a. 3 arg. 2
2. Ogni simulazione sembra derivare da un inganno: essa infatti si contrappone alla semplicità. Ma l'inganno si contrappone alla prudenza, come sopra abbiamo visto. Dunque l'ipocrisia, che è una simulazione, non è il contrario della veracità, ma piuttosto della prudenza, o della semplicità.
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[43704] IIª-IIae q. 111 a. 3 arg. 3 Praeterea, species moralium considerantur ex fine. Sed finis hypocrisis est acquisitio lucri vel inanis gloriae, unde super illud Iob XXVII, quae est spes hypocritae, si avare rapiat etc., dicit Glossa, hypocrita, qui Latine dicitur simulator, avarus raptor est, qui dum inique agens desiderat de sanctitate venerari, laudem vitae rapit alienae. Cum ergo avaritia, vel inanis gloria, non directe opponatur veritati, videtur quod nec simulatio sive hypocrisis.
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[43704] IIª-IIae q. 111 a. 3 arg. 3
3. In morale la specie si desume dal fine. Ma il fine dell'ipocrisia è l'acquisto di un guadagno, o della vanagloria; infatti a commento di quel passo di Giobbe: "Qual è la speranza dell'ipocrita, se non di rapinare con avarizia...?", la Glossa afferma: "L'ipocrita, che in latino si chiama simulatore, è un rapinatore avaro, il quale mentre desidera di esser venerato per santo, ruba la lode dovuta all'altrui condotta". Ora, siccome l'avarizia e la vanagloria non si contrappongono direttamente alla veracità, così non si contrappone ad essa neppure la simulazione, o ipocrisia.
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[43705] IIª-IIae q. 111 a. 3 s. c. Sed contra est quia omnis simulatio est mendacium quoddam, ut dictum est. Mendacium autem directe opponitur veritati. Ergo et simulatio sive hypocrisis.
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[43705] IIª-IIae q. 111 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: Ogni simulazione è, come abbiamo visto, una menzogna. Ma la menzogna si contrappone direttamente alla veracità. Dunque si contrappone così ad essa anche la simulazione o ipocrisia.
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[43706] IIª-IIae q. 111 a. 3 co. Respondeo dicendum quod, secundum philosophum, in X Metaphys., contrarietas est oppositio secundum formam, a qua scilicet res speciem habet. Et ideo dicendum est quod simulatio sive hypocrisis potest opponi alicui virtuti dupliciter, uno modo, directe; et alio modo, indirecte. Directa quidem oppositio eius sive contrarietas est attendenda secundum ipsam speciem actus, quae accipitur secundum proprium obiectum. Unde cum hypocrisis sit quaedam simulatio qua quis simulat se habere personam quam non habet, ut dictum est, consequens est quod directe opponatur veritati, per quam aliquis exhibet se talem vita et sermone qualis est, ut dicitur in IV Ethic. Indirecta autem oppositio vel contrarietas hypocrisis potest attendi secundum quodcumque accidens, puta secundum aliquem finem remotum, vel secundum aliquod instrumentum actus, vel quodcumque aliud huiusmodi.
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[43706] IIª-IIae q. 111 a. 3 co.
RISPONDO: Come insegna il Filosofo, la contrarietà è l'opposizione di due cose secondo la forma, dalla quale ricevono la specie. Perciò la simulazione, o ipocrisia, si può contrapporre a una virtù in due maniere: direttamente e indirettamente. L'opposizione diretta, o di contrarietà, va desunta dalla specie stessa dell'atto rispettivo, che dipende dall'oggetto proprio di esso. Quindi essendo l'ipocrisia, come si è visto, una simulazione con la quale uno finge di avere una personalità che non gli appartiene, è logico che direttamente essa si contrappone alla veracità, "con la quale", a detta di Aristotele, "uno si mostra qual è nelle opere e nelle parole". - Invece una opposizione, o contrarietà indiretta dell'ipocrisia si può desumere da qualsiasi accidente: p. es., da un fine remoto, o da quanto serve per compiere un atto, oppure da qualsiasi altra cosa del genere.
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[43707] IIª-IIae q. 111 a. 3 ad 1 Ad primum ergo dicendum quod hypocrita simulans aliquam virtutem, assumit eam ut finem non quidem secundum existentiam, quasi volens eam habere; sed secundum apparentiam, quasi volens videri eam habere. Ex quo non habet quod opponatur illi virtuti, sed quod opponatur veritati, inquantum vult decipere homines circa illam virtutem. Opera autem illius virtutis non assumit quasi per se intenta, sed instrumentaliter, quasi signa illius virtutis. Unde ex hoc non habet directam oppositionem ad illam virtutem.
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[43707] IIª-IIae q. 111 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'ipocrita nel simulare una virtù costituisce in essa il suo fine non realmente, come chi intende possederla; ma solo in apparenza, per sembrare di averla. Ora, da questo non risulta un'opposizione alla virtù suddetta, ma alla veracità; volendo costui ingannare gli altri a proposito di una data virtù. - Anche gli atti virtuosi compiuti in tal modo non sono voluti direttamente, bensì strumentalmente, cioè come segni di determinate virtù. In essi quindi non si riscontra una diretta opposizione con le virtù falsificate.
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[43708] IIª-IIae q. 111 a. 3 ad 2 Ad secundum dicendum quod, sicut supra dictum est, prudentiae directe opponitur astutia, ad quam pertinet adinvenire quasdam vias apparentes et non existentes ad propositum consequendum. Executio autem astutiae est proprie per dolum in verbis, per fraudem autem in factis. Et sicut astutia se habet ad prudentiam, ita dolus et fraus ad simplicitatem. Dolus autem vel fraus ordinatur ad decipiendum principaliter, et quandoque secundario ad nocendum. Unde ad simplicitatem pertinet directe se praeservare a deceptione. Et secundum hoc, ut supra dictum est, virtus simplicitatis est eadem virtuti veritatis, sed differt sola ratione, quia veritas dicitur secundum quod signa concordant signatis; simplicitas autem dicitur secundum quod non tendit in diversa, ut scilicet aliud intendat interius, aliud praetendat exterius.
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[43708] IIª-IIae q. 111 a. 3 ad 2
2. Come abbiamo già spiegato, alla prudenza direttamente si contrappone l'astuzia, che assume il compito di escogitare delle vie speciose, ma inconsistenti, per raggiungere uno scopo. Ora, l'astuzia si esercita con l'inganno nelle parole e con la frode nelle azioni. Inganno e frode che stanno alla semplicità come l'astuzia sta alla prudenza. Ma inganno e frode sono ordinati principalmente a ingannare e secondariamente, in certi casi, a danneggiare. Perciò direttamente alla semplicità spetta fuggire l'inganno. Ecco perché, come abbiamo già visto, la semplicità s'identifica con la veracità; ma c'è tra loro una differenza di ragione: poiché questa virtù si dice veracità in quanto fa concordare i segni, o espressioni esterne, con le cose significate; e si dice semplicità in quanto non ha di mira cose diverse: l'una, cioè, secondo l'apparenza esterna, l'altra interiormente.
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[43709] IIª-IIae q. 111 a. 3 ad 3 Ad tertium dicendum quod lucrum vel gloria est finis remotus simulatoris, sicut et mendacis. Unde ex hoc fine speciem non sortitur, sed ex fine proximo, qui est ostendere se alium quam sit. Unde quandoque contingit quod aliquis fingit de se magna, nullius alterius gratia, sed sola libidine simulandi, sicut philosophus dicit, in IV Ethic., et sicut etiam supra de mendacio dictum est.
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[43709] IIª-IIae q. 111 a. 3 ad 3
3. Il lucro, o la gloria può essere il fine remoto dell'ipocrita come del bugiardo. Perciò l'ipocrisia non viene specificata da codesto fine, bensì dal fine prossimo, che è quello di mostrarsi diverso da quello che uno è. Infatti ci sono alcuni i quali fingono dati o fatti straordinari, non per altro che per il piacere d'ingannare, come dice il Filosofo, e come abbiamo già notato a proposito della menzogna.
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