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Se la verità, o veracità sia una virtù
Secunda pars secundae partis
Quaestio 109
Articulus 1
[43610] IIª-IIae q. 109 a. 1 arg. 1 Ad primum sic proceditur. Videtur quod veritas non sit virtus. Prima enim virtutum est fides, cuius obiectum est veritas. Cum igitur obiectum sit prius habitu et actu, videtur quod veritas non sit virtus, sed aliquid prius virtute.
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Seconda parte della seconda parte
Questione 109
Articolo 1
[43610] IIª-IIae q. 109 a. 1 arg. 1
SEMBRA che la verità, o veracità non sia una virtù. Infatti:
1. La prima di tutte le virtù è la fede, il cui oggetto è la verità. Ora, siccome l'oggetto è anteriore all'abito e all'atto correlativi; è chiaro che la verità non è una virtù, ma qualche cosa che è anteriore alla virtù.
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[43611] IIª-IIae q. 109 a. 1 arg. 2 Praeterea, sicut philosophus dicit, in IV Ethic., ad veritatem pertinet quod aliquis confiteatur existentia circa seipsum, et neque maiora neque minora. Sed hoc non semper est laudabile, neque in bonis, quia dicitur Prov. XXVII, laudet te alienus, et non os tuum; nec etiam in malis, quia contra quosdam dicitur Isaiae III, peccatum suum quasi Sodoma praedicaverunt, nec absconderunt. Ergo veritas non est virtus.
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[43611] IIª-IIae q. 109 a. 1 arg. 2
2. Come dice il Filosofo, è compito della verità, o veracità far sì che uno "dica di se stesso quello che è, né di più né di meno". Ma questo non sempre è cosa lodevole: non è lodevole dirne bene, poiché i Proverbi ammoniscono: "Ti lodi un altro, non la tua bocca"; e non è lodevole dirne male, poiché Isaia rivolge ad alcuni questo rimprovero: "Come Sodoma hanno proclamato il loro peccato e non l'hanno celato". Dunque la veracità non è una virtù.
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[43612] IIª-IIae q. 109 a. 1 arg. 3 Praeterea, omnis virtus aut est theologica, aut intellectualis, aut moralis. Sed veritas non est virtus theologica, quia non habet Deum pro obiecto, sed res temporales; dicit enim Tullius quod veritas est per quam immutata ea quae sunt aut fuerunt aut futura sunt, dicuntur. Similiter etiam non est virtus intellectualis, sed finis earum. Neque etiam est virtus moralis, quia non consistit in medio inter superfluum et diminutum; quanto enim aliquis plus dicit verum, tanto melius est. Ergo veritas non est virtus.
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[43612] IIª-IIae q. 109 a. 1 arg. 3
3. Una virtù può essere teologale, intellettuale, o morale. Ma la verità, o veracità non è una virtù teologale, non avendo Dio per oggetto, bensì le cose temporali; infatti Cicerone ha scritto che "la verità ha il compito di dire le cose come sono, furono o saranno". Parimenti non è una delle virtù intellettuali; ma è il fine di esse. E neppure è una virtù morale: poiché non consiste nel giusto mezzo tra un eccesso e un difetto; infatti più uno dice il vero meglio è. Perciò la verità, o veracità non è una virtù.
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[43613] IIª-IIae q. 109 a. 1 s. c. Sed contra est quod philosophus, in II et IV Ethic., ponit veritatem inter ceteras virtutes.
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[43613] IIª-IIae q. 109 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Il Filosofo enumera la verità, o veracità tra le altre virtù.
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[43614] IIª-IIae q. 109 a. 1 co. Respondeo dicendum quod veritas dupliciter accipi potest. Uno modo secundum quod veritate aliquid dicitur verum. Et sic veritas non est virtus, sed obiectum vel finis virtutis. Sic enim accepta veritas non est habitus, quod est genus virtutis, sed aequalitas quaedam intellectus vel signi ad rem intellectam et significatam, vel etiam rei ad suam regulam, ut in primo habitum est. Alio modo potest dici veritas qua aliquis verum dicit, secundum quod per eam aliquis dicitur verax. Et talis veritas, sive veracitas, necesse est quod sit virtus, quia hoc ipsum quod est dicere verum est bonus actus; virtus autem est quae bonum facit habentem, et opus eius bonum reddit.
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[43614] IIª-IIae q. 109 a. 1 co.
RISPONDO: Il termine verità può avere due accezioni. Primo, è verità quella cosa per cui un oggetto si dice vero. E in questo senso la verità non è una virtù, bensì oggetto o fine della virtù. E neppure è un abito, che è il genere prossimo della virtù, ma è una certa uguaglianza o adeguazione tra l'intellezione, o l'espressione e la cosa conosciuta o espressa, oppure tra la cosa e l'esemplare da cui dipende, come spiegammo nella Prima Parte. - Secondo, è verità quella disposizione per cui uno dice il vero, così da meritare il titolo di verace. E tale verità, o veracità non può essere che una virtù: poiché dire il vero è un atto buono; e la virtù ha precisamente il compito di "render buono chi la possiede e l'opera che egli compie".
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[43615] IIª-IIae q. 109 a. 1 ad 1 Ad primum ergo dicendum quod ratio illa procedit de veritate primo modo dicta.
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[43615] IIª-IIae q. 109 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il primo argomento vale per la verità presa nella prima accezione.
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[43616] IIª-IIae q. 109 a. 1 ad 2 Ad secundum dicendum quod confiteri id quod est circa seipsum, inquantum est confessio veri, est bonum ex genere. Sed hoc non sufficit ad hoc quod sit actus virtutis, sed ad hoc requiritur quod ulterius debitis circumstantiis vestiatur, quae si non observentur, erit actus vitiosus. Et secundum hoc, vitiosum est quod aliquis, sine debita causa, laudet seipsum etiam de vero. Vitiosum etiam est quod aliquis peccatum suum publicet, quasi se de hoc laudando, vel qualitercumque inutiliter manifestando.
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[43616] IIª-IIae q. 109 a. 1 ad 2
2. Dichiarare le cose proprie in quanto ciò costituisce una manifestazione della verità è specificamente un bene. Ma non basta a farne un atto di virtù: poiché per questo si richiede che l'atto sia vestito delle debite circostanze, privo delle quali è vizioso. Per questo è riprovevole lodare se stessi, senza i debiti motivi. Così pure è riprovevole che uno parli apertamente dei propri peccati, come per vantarsene, oppure che ne parli senza nessuna utilità.
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[43617] IIª-IIae q. 109 a. 1 ad 3 Ad tertium dicendum quod ille qui dicit verum profert aliqua signa conformia rebus, scilicet vel verba, vel aliqua facta exteriora, aut quascumque res exteriores. Circa huiusmodi autem res sunt solae virtutes morales, ad quas etiam usus pertinet exteriorum membrorum, secundum quod fit per imperium voluntatis. Unde veritas non est virtus theologica neque intellectualis, sed moralis. Est autem in medio inter superfluum et diminutum dupliciter, uno quidem modo, ex parte obiecti; alio modo, ex parte actus. Ex parte quidem obiecti, quia verum secundum suam rationem importat quandam aequalitatem. Aequale autem est medium inter maius et minus. Unde ex hoc ipso quod aliquis verum dicit de seipso, medium tenet inter eum qui maiora dicit de seipso, et inter eum qui minora. Ex parte autem actus medium tenet, inquantum verum dicit quando oportet, et secundum quod oportet. Superfluum autem convenit illi qui importune ea quae sua sunt manifestat, defectus autem competit illi qui occultat, quando manifestare oportet.
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[43617] IIª-IIae q. 109 a. 1 ad 3
3. Chi dice il vero proferisce dei segni conformi alla realtà: cioè parole, gesti, oppure qualsiasi altra manifestazione esterna. Ma di codeste cose esterne si occupano solo le virtù morali, che hanno il compito di regolare l'uso delle membra esterne, il quale dipende dalla volontà. Perciò la verità, o veracità non è una virtù teologale, bensì morale.
E consiste nel giusto mezzo tra l'eccesso e il difetto in due maniere: in rapporto all'oggetto, e in rapporto all'atto. In rapporto all'oggetto, poiché il vero implica nella sua nozione una certa adeguazione, o uguaglianza. E ciò che è uguale sta in mezzo tra il più e il meno. Perciò per il fatto che uno dice il vero di se stesso, sta nel giusto mezzo tra chi esagera e chi dice di meno. - La veracità inoltre sta nel giusto mezzo in rapporto all'atto, poiché dice il vero quando e come è opportuno. Invece si ha l'eccesso in chi dice le sue cose quando non occorre; e si ha il difetto in chi le nasconde quando bisognerebbe manifestarle.
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