Terza Parte > Cristo > I difetti corporali assunti da Cristo nella natura umana > Se il Figlio di Dio dovesse assumere la natura umana con i difetti corporali
Tertia pars
Quaestio 14
Articulus 1
[47434] IIIª q. 14 a. 1 arg. 1 Ad primum sic proceditur. Videtur quod filius Dei non debuit assumere naturam humanam cum corporis defectibus. Sicut enim anima unita est verbo Dei personaliter, ita et corpus. Sed anima Christi habuit omnimodam perfectionem, et quantum ad gratiam et quantum ad scientiam, ut supra dictum est. Ergo etiam corpus eius debuit esse omnibus modis perfectum, nullum in se habens defectum.
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Terza parte
Questione 14
Articolo 1
[47434] IIIª q. 14 a. 1 arg. 1
SEMBRA che il Figlio di Dio non dovesse assumere la natura umana con i difetti del corpo. Infatti:
1. Al pari dell'anima anche il corpo è stato unito ipostaticamente al Verbo di Dio. Ma l'anima di Cristo aveva ogni perfezione e di grazia e di scienza, come si è visto sopra. Dunque anche il suo corpo avrebbe dovuto essere perfetto per ogni verso, senza alcun difetto.
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[47435] IIIª q. 14 a. 1 arg. 2 Praeterea, anima Christi videbat verbum Dei ea visione qua beati vident, ut supra dictum est, et sic anima Christi erat beata. Sed ex beatitudine animae glorificatur corpus, dicit enim Augustinus, in epistola ad Dioscorum, tam potenti natura Deus fecit animam ut ex eius plenissima beatitudine redundet etiam in inferiorem naturam, quae est corpus, non beatitudo, quae fruentis et intelligentis est propria, sed plenitudo sanitatis, idest incorruptionis vigor. Corpus igitur Christi fuit incorruptibile, et absque omni defectu.
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[47435] IIIª q. 14 a. 1 arg. 2
2. L'anima di Cristo aveva la visione beatifica del Verbo di Dio, come si è detto sopra, ed era perciò beata. Ma la beatitudine dell'anima rende glorioso il corpo, secondo le parole di S. Agostino: "Tanto potente Dio ha fatto l'anima, che dalla pienezza della sua beatitudine ridondi anche, sulla natura inferiore del corpo, non la beatitudine che è propria di una sostanza capace di gioia e dotata d'intelligenza, ma un'integra sanità, il vigore cioè dell'incorruttibilità". Dunque il corpo di Cristo era incorruttibile e senza alcun difetto.
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[47436] IIIª q. 14 a. 1 arg. 3 Praeterea, poena consequitur culpam. Sed in Christo non fuit aliqua culpa, secundum illud I Pet. II, qui peccatum non fecit. Ergo nec defectus corporales, qui sunt poenales, in eo esse debuerunt.
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[47436] IIIª q. 14 a. 1 arg. 3
3. La pena è una conseguenza della colpa. Ma in Cristo non c'era nessuna colpa, come attesta la Scrittura: "Non ha commesso peccato". Dunque non ci dovevano essere in lui neppure i difetti corporali, che sono delle penalità.
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[47437] IIIª q. 14 a. 1 arg. 4 Praeterea, nullus sapiens assumit id quod impedit illum a proprio fine. Sed per huiusmodi defectus corporales multipliciter videtur impediri finis incarnationis. Primo quidem, quia propter huiusmodi infirmitates homines ab eius cognitione impediebantur, secundum illud Isaiae LIII, desideravimus eum; despectum et novissimum virorum, virum dolorum et scientem infirmitatem, et quasi absconditus est vultus eius et despectus; unde nec reputavimus eum. Secundo, quia sanctorum patrum desiderium non videtur impleri, ex quorum persona dicitur Isaiae li, consurge, consurge, induere fortitudinem, brachium domini. Tertio, quia congruentius per fortitudinem quam per infirmitatem videbatur potestas Diaboli posse superari, et humana infirmitas posse sanari. Non ergo videtur conveniens fuisse quod filius Dei humanam naturam assumpserit cum corporalibus infirmitatibus sive defectibus.
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[47437] IIIª q. 14 a. 1 arg. 4
4. Chi è saggio, non assume ciò che l'ostacola nel conseguire il proprio fine. Ma i difetti corporali impedivano il fine dell'incarnazione per più motivi. Primo, perché essi toglievano agli uomini la possibilità di conoscerlo, avverando la profezia: "Noi l'abbiamo desiderato. Ma egli è disprezzato e respinto dagli uomini, uomo di dolori ed esperto nel soffrire, simile a colui davanti al quale ci si vela la faccia; per questo non lo abbiamo preso in considerazione". Secondo, perché così non veniva accolto il desiderio dei Padri dell'Antico Testamento, a nome dei quali si legge in Isaia: "Destati, destati, rivestiti di forza, tu che sei il braccio del Signore". Terzo, perché meglio con la forza che con la debolezza si poteva rintuzzare il potere del diavolo e sanare l'infermità dell'uomo. Dunque non era conveniente che il Figlio di Dio assumesse la natura umana con le infermità o i difetti corporali.
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[47438] IIIª q. 14 a. 1 s. c. Sed contra est quod dicitur Heb. II, in eo in quo passus est ipse et tentatus, potens est et eis qui tentantur auxiliari. Sed ad hoc venit ut nos adiuvaret, unde et David dicebat, levavi oculos meos in montes, unde veniet auxilium mihi. Ergo conveniens fuit quod filius Dei carnem assumpserit humanis infirmitatibus subiacentem, ut in ea posset pati et tentari, et sic auxilium nobis ferre.
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[47438] IIIª q. 14 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: L'Apostolo scrive che, "avendo egli stesso sperimentato la tentazione e la sofferenza, può venire in aiuto di quelli che sono messi alla prova". Ma egli doveva venire proprio per aiutare noi; per cui diceva Davide: "Alzo i miei occhi al monte donde mi verrà l'aiuto". Era dunque conveniente che il Figlio di Dio assumesse la carne soggetta alle debolezze umane, perché in essa potesse soffrire ed essere provato e così venirci in aiuto.
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[47439] IIIª q. 14 a. 1 co. Respondeo dicendum conveniens fuisse corpus assumptum a filio Dei humanis infirmitatibus et defectibus subiacere, et praecipue propter tria. Primo quidem, quia ad hoc filius Dei, carne assumpta, venit in mundum, ut pro peccato humani generis satisfaceret. Unus autem pro peccato alterius satisfacit dum poenam peccato alterius debitam in seipsum suscipit. Huiusmodi autem defectus corporales, scilicet mors, fames et sitis, et huiusmodi, sunt poena peccati, quod est in mundum per Adam introductum, secundum illud Rom. V, per unum hominem peccatum intravit in mundum, et per peccatum mors. Unde conveniens fuit, quantum ad finem incarnationis, quod huiusmodi poenalitates in nostra carne susciperet, vice nostra, secundum illud Isaiae LIII, vere languores nostros ipse tulit. Secundo, propter fidem incarnationis adstruendam. Cum enim natura humana non aliter esset nota hominibus nisi prout huiusmodi corporalibus defectibus subiacet, si sine his defectibus filius Dei naturam humanam assumpsisset, videretur non fuisse verus homo, nec veram carnem habuisse, sed phantasticam, ut Manichaei dixerunt. Et ideo, ut dicitur Philipp. II, exinanivit semetipsum, formam servi accipiens, in similitudinem hominum factus et habitu inventus ut homo. Unde et Thomas per aspectum vulnerum ad fidem est revocatus, ut dicitur Ioan. XX. Tertio, propter exemplum patientiae, quod nobis exhibet passiones et defectus humanos fortiter tolerando. Unde dicitur Heb. XII, sustinuit a peccatoribus adversus semetipsum contradictionem, ut non fatigemini, animis vestris deficientes.
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[47439] IIIª q. 14 a. 1 co.
RISPONDO: Era conveniente che il corpo assunto dal Figlio di Dio soggiacesse alle debolezze e deficienze umane, e questo principalmente per tre ragioni. Primo, perché il Figlio di Dio, assunta la carne, è venuto nel mondo precisamente per espiare il peccato del genere umano. Ma uno espia per il peccato d'un altro, quando si accolla la pena dovuta al peccato altrui. Ora, i difetti corporali, quali la morte, la fame, la sete e simili, sono pene del peccato che è stato introdotto nel mondo da Adamo, come si esprime S. Paolo: "Per un solo uomo il peccato entrò nel mondo, e con il peccato la morte". Era perciò conveniente al fine dell'incarnazione che Cristo nella nostra carne prendesse tali penalità in nostra vece, secondo le parole del profeta: "Veramente si è addossato i nostri mali".
Secondo, per facilitare la fede nell'incarnazione. Perché, non essendo la natura umana conosciuta dagli uomini se non come soggetta a questi difetti corporali, qualora il Figlio di Dio avesse assunto una natura umana priva di essi, si sarebbe dubitato che egli fosse vero uomo e avesse preso vera carne e non fantastica, come hanno detto i Manichei. Per questo è scritto in S. Paolo: "Annientò se stesso prendendo forma di servo, fattosi simile agli uomini e dimostratosi uomo nel suo modo di vivere". Cosicché lo stesso Tommaso fu ricondotto alla fede dalla constatazione delle ferite, come racconta il Vangelo.
Terzo, per darci esempio di pazienza, sopportando con fortezza le sofferenze e i difetti umani. Di lui ha scritto l'Apostolo: "Ha sopportato tanta ostilità contro la propria persona da parte dei peccatori, perché non vi stanchiate né vi perdiate d'animo".
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[47440] IIIª q. 14 a. 1 ad 1 Ad primum ergo dicendum quod satisfactio pro peccato alterius habet quidem quasi materiam poenas quas aliquis pro peccato alterius sustinet, sed pro principio habet habitum animae ex quo inclinatur ad volendum satisfacere pro alio, et ex quo satisfactio efficaciam habet; non enim esset satisfactio efficax nisi ex caritate procederet, ut infra dicetur. Et ideo oportuit animam Christi perfectam esse quantum ad habitus scientiarum et virtutum, ut haberet facultatem satisfaciendi, et quod corpus eius subiectum esset infirmitatibus, ut ei satisfactionis materia non deesset.
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[47440] IIIª q. 14 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Bisogna ricordare che l'espiazione del peccato altrui ha come elemento materiale le pene che uno sopporta per l'altro, ma come elemento formale ha la disposizione d'animo che inclina a volere tale espiazione e le dona efficacia, non avendo essa alcun valore se non procede dalla carità, come si vedrà in seguito. Ecco perché era necessario che in Cristo l'anima fosse perfetta negli abiti della scienza e delle virtù, per poter espiare, e che il suo corpo soggiacesse alle infermità, per avere i mezzi materiali d'espiazione.
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[47441] IIIª q. 14 a. 1 ad 2 Ad secundum dicendum quod, secundum naturalem habitudinem quae est inter animam et corpus, ex gloria animae redundat gloria ad corpus, sed haec naturalis habitudo in Christo subiacebat voluntati divinitatis ipsius, ex qua factum est ut beatitudo remaneret in anima et non derivaretur ad corpus, sed caro pateretur quae conveniunt naturae passibili; secundum illud quod dicit Damascenus, quod beneplacito divinae voluntatis permittebatur carni pati et operari quae propria.
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[47441] IIIª q. 14 a. 1 ad 2
2. Secondo il naturale rapporto tra anima e corpo, la gloria dell'anima rifluisce nel corpo; ma in Cristo tale rapporto era a discrezione della sua volontà divina, la quale impediva che la beatitudine dell'anima rifluisse nel corpo, volendo che soffrisse come soffre una natura passibile, secondo il pensiero espresso dal Damasceno: "Il beneplacito della volontà divina lasciava alla carne di patire e di operare conformemente alla propria natura".
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[47442] IIIª q. 14 a. 1 ad 3 Ad tertium dicendum quod poena semper sequitur culpam, actualem vel originalem, quandoque quidem eius qui punitur; quandoque autem alterius, pro quo ille qui patitur poenas satisfacit. Et sic accidit in Christo, secundum illud Isaiae LIII, ipse vulneratus est propter iniquitates nostras; attritus est propter scelera nostra.
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[47442] IIIª q. 14 a. 1 ad 3
3. La pena è sempre conseguenza d'una colpa, attuale o originale, commessa talora da chi espia, talora da un altro per cui si fa l'espiazione. Quest'ultimo è il caso di Cristo, secondo le parole d'Isaia: "Egli è stato trafitto per le nostre prevaricazioni, è stato colpito per i nostri peccati".
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[47443] IIIª q. 14 a. 1 ad 4 Ad quartum dicendum quod infirmitas assumpta a Christo non impedivit finem incarnationis, sed maxime promovit, ut dictum est. Et quamvis per huiusmodi infirmitates absconderetur eius divinitas, manifestabatur tamen humanitas, quae est via ad divinitatem perveniendi, secundum illud Rom. V, accessum habemus ad Deum per Iesum Christum. Desiderabant autem antiqui patres in Christo, non quidem fortitudinem corporalem, sed spiritualem, per quam et Diabolum vicit et humanam infirmitatem sanavit.
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[47443] IIIª q. 14 a. 1 ad 4
4. La debolezza assunta da Cristo non ha impedito il fine dell'incarnazione, ma lo ha sommamente favorito, come si è detto. Se tali debolezze nascondevano la sua divinità, ne manifestavano però l'umanità che è la via per giungere alla divinità, stando all'affermazione di S. Paolo: "Abbiamo accesso a Dio per mezzo di Gesù Cristo". - Quanto agli antichi Padri, essi non desideravano in Cristo la forza materiale, ma quella spirituale, che egli usò per vincere il diavolo e per guarire l'infermità umana.
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