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Se i suffragi giovino ai dannati dell'inferno
Supplemento
Questione 71
Articolo 5
SEMBRA che i suffragi giovino ai dannati dell'inferno. Infatti:
1. Si legge nel Libro dei Maccabei che "sotto le vesti degli uccisi furono trovati degli oggetti idolatrici, proibiti dalla legge giudaica"; e tuttavia si aggiunge che "Giuda mandò a Gerusalemme dodicimila dramme d'argento come offerta per i loro peccati". Ora, è chiaro che quelli peccando gravemente contro la legge, morirono in peccato mortale e che quindi andarono all'inferno. Perciò i suffragi giovano anche ai dannati dell'inferno.
2. Si legge in S. Agostino che i suffragi per quelli che sono validi, ottengono, o la remissione completa della pena, oppure fanno sì che la condanna sia più sopportabile. Ma solo quelli che sono all'inferno possono dirsi condannati. Quindi anche ai dannati dell'inferno giovano i suffragi.
3. "Se già in questa vita", scrive Dionigi, "hanno valore le preghiere di giusti quanto più ne avranno dopo la morte per quelli che ne sono degni". Dalle quali parole si può concludere che i suffragi valgono più per i morti che per i vivi. Ma ai vivi giovano anche se in peccato mortale. Difatti la Chiesa prega sempre per la conversione dei peccatori, perché si convertano. Dunque giovano anche ai morti che sono in peccato mortale.
4. Si legge nelle Vite dei Padri, come riferisce anche S. Giovanni Damasceno, che S. Macario, lungo la strada, trovò un teschio e pregando domandava di chi fosse. Il teschio rispose che era di un sacerdote pagano condannato all'inferno. Tuttavia confessò che tanto lui che gli altri dannati traevano giovamento dalla preghiera di S. Macario. Quindi le preghiere della Chiesa giovano anche ai dannati.
5. Lo stesso Damasceno racconta che S. Gregorio, pregando per l'imperatore Traiano sentì che una voce celeste gli diceva: "Esaudisco la tua preghiera, e perdono a Traiano". Di questo fatto, dice il Damasceno, "è testimone l'oriente e l'occidente". Ma Traiano era certo nell'inferno "avendo fatto uccidere crudelmente molti martiri", come afferma lo stesso Damasceno. Dunque i suffragi della Chiesa valgano anche per i dannati dell'inferno.
IN CONTRARIO: Dionigi afferma: "Il sommo sacerdote non prega per gli immondi, perché altrimenti sovvertirebbe l'ordine divino". E il suo commentatore aggiunge, che "egli non implora la remissione per i peccatori, perché non sarebbe esaudito".
2. "Per lo stesso motivo", dice S. Gregorio, "non si pregherà più allora", cioè dopo il Giudizio, "per gli uomini condannati al fuoco eterno, come non si prega adesso per il diavolo e i suoi angeli condannati all'eterno supplizio. Per lo stesso motivo i santi non pregano ora per i defunti infedeli o empi, perché non vogliono perdere il merito della loro preghiera davanti al divin giudice, per quelli che già sanno condannati all'eterno supplizio". Perciò i suffragi non valgono per i dannati dell'inferno.
3. S. Agostino afferma: "A coloro che partono da questo mondo senza la fede operante per la carità, e senza i sacramenti della fede, sono inutili i servizi religiosi fatti dai loro parenti". Ma i dannati si trovano tutti in queste condizioni. Dunque i suffragi a loro non giovano.
rispondo: Intorno a questo argomento ci furono due opinioni. Alcuni applicavano al caso due distinzioni. La prima in rapporto al tempo: dicendo che, dopo il giudizio finale, nessun dannato sarà aiutato dai suffragi della Chiesa; ma prima non si esclude che alcuni ne possano usufruire. - La seconda distinzione si riferisce alle persone che sono all'inferno. Ce ne sarebbero di quelle pessime, morte senza fede e senza sacramenti, per le quali i suffragi non giovano, non avendo fatto parte della Chiesa né "per merito", né "per numero". Invece ce ne sarebbero altre meno cattive, che avendo appartenuto numericamente alla Chiesa, avendo la fede, e avendo frequentato i sacramenti, hanno anche fatto qualche opera buona. A questi, dicono, i suffragi della Chiesa dovrebbero giovare.
Ma c'era un dubbio che veniva a metterli in imbarazzo, perché da ciò sembrava ne dovesse seguire che, essendo la pena dell'inferno infinita in durata e finita in intensità, si potesse arrivare a togliere completamente la pena col moltiplicarsi dei suffragi, cadendo così nell'errore di Origene. Perciò cercarono in diversi modi di sfuggire a questo inconveniente.
Il Prepositino disse che i suffragi per i dannati si possono moltiplicare fino a togliere completamente la pena, non in senso assoluto come pensava Origene, ma solo per un dato tempo, cioè fino al giorno del giudizio, quando le anime, rivestite di nuovo dei loro corpi, definitivamente e senza speranza di perdono saranno condannate alle pene eterne.
Ma codesta opinione sembra ripugnare alla divina provvidenza, che non ammette alcun disordine nelle cose. Ora, la colpa non può rientrare nell'ordine che mediante la pena. Quindi non si può togliere la pena, senza che prima sia stata espiata la colpa. E siccome nei dannati la colpa perdura di continuo, non può essere interrotta neppure la loro pena.
Perciò i discepoli di Gilberto Porretano trovarono un'altra scappatoia, con l'affermare che la diminuzione delle pene attraverso i suffragi avviene come nella divisione della linea, la quale pur essendo infinita, si può tuttavia dividere all'infinito senza mai esaurirla, se si sottrae successivamente non la stessa quantità, ma nella stessa proporzione; come quando si toglie prima la quarta parte di tutta la linea, poi la quarta parte della quarta parte, e quindi la quarta di questa quarta e così via fino all'infinito. E così essi affermano che con il primo suffragio si diminuisce una certa quantità di tutta la pena, poi una quantità proporzionale di quella che rimane.
Ma tale spiegazione presenta molte incongruenze. Primo, perché la divisione all'infinito, che va bene per la quantità materiale, non sembra che si possa applicare alla quantità spirituale. - Secondo, non si sa perché il secondo suffragio, pur avendo lo stesso valore del primo, tolga solo una pena minore. - Terzo, perché la pena non può essere attenuata, senza che si attenui la colpa: e non si può togliere quella, se non togliendo questa. - Quarto, perché nella suddivisione di una linea si arriva a una quantità minima che non è più sensibile: poiché il corpo sensibile non si può dividere all'indefinito. E così seguirebbe che molti suffragi diminuirebbero la pena fino a renderla non più sensibile, e quindi non sarebbe più una pena.
Perciò altri escogitarono un'altra soluzione. Guglielmo d'Auxerre infatti disse che i suffragi gioverebbero ai dannati non perché diminuiscono o interrompono la pena, ma, solo perché darebbero sollievo al dannato; come una bella spruzzata d'acqua fresca da refrigerio a chi porta un grave peso, senza peraltro diminuirglielo.
Ma neppure questa soluzione regge. Perché, come dice S. Gregorio, ciascuno è più o meno molestato dal fuoco eterno in proporzione alla propria colpa. Da ciò ne deriva che per lo stesso fuoco uno soffra di più e un altro meno. Perciò siccome la colpa del dannato non cambia, neppure la pena può essere mitigata.
Codesta opinione per di più è presuntuosa, perché contraria alle affermazioni dei Santi Padri; e inconsistente, perché non si appoggia su nessuna autorità: ed è irragionevole. Sia perché i dannati sono fuori del vincolo della carità, mediante la quale i defunti partecipano alle opere dei vivi. - Sia perché essi sono giunti al termine dello stato di viatori, ed hanno ricevuto la retribuzione finale per quello che hanno meritato, come i santi che sono nella patria celeste. Il fatto che manchi ancora qualcosa alla gloria o alla pena del corpo, non li pone nello stato di via; perché tanto la gloria dei Santi come le pene dei dannati sono essenzialmente e radicalmente nell'anima. Perciò né può essere mitigata la pena dei dannati, né aumentare la gloria dei Santi riguardo al premio essenziale.
Tuttavia la soluzione proposta da alcuni, secondo i quali i suffragi giovano ai dannati, in un certo senso si potrebbe anche accettare: se si dicesse che i suffragi non mitigano né interrompono la pena, ma soltanto che risparmiano ai dannati un'altra fonte di sofferenze, che potrebbe loro derivare dal vedersi così disprezzati dai vivi, qualora nessuno si ricordasse di loro: tale sofferenza viene loro risparmiata dai suffragi fatti per essi.
Anche questo però non può essere ammesso secondo la legge comune. Perché specialmente per i dannati è vero quanto afferma S. Agostino: "Le anime dei defunti si trovano in un luogo dove non vedono ciò che accade tra i mortali". Perciò essi non sanno quando si offrono per loro dei suffragi: a meno che, in via eccezionale, ad alcuni Dio non conceda questo sollievo. Ma la cosa è molto dubbia.
Perciò è più sicuro affermare in assoluto che i suffragi non giovano ai dannati e che la Chiesa non intende pregare per loro, come è chiaro dai testi sopra ricordati.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Dagli oggetti idolatrici trovati addosso ai morti non si può senz'altro concludere che quei soldati li portassero per motivi superstiziosi; li avevano forse presi come vincitori, e per diritto di guerra se n'erano impossessati. Tuttavia avevano fatto un peccato veniale di avarizia. Essi perciò non erano stati condannati all'inferno. E quindi i suffragi potevano loro giovare.
Oppure, secondo altri interpreti, si può pensare che di fronte al pericolo, si siano pentiti del loro peccato: ossia, secondo l'espressione del Salmista, "mentre Dio li condannava a morire, si rivolgevano a lui". Ciò può ritenersi probabile, e rende più logica l'oblazione fatta per loro.
2. La parola dannazione è presa qui in senso lato per una punizione qualunque. Quindi può includere anche la pena del purgatorio che, attraverso i suffragi può essere condonata in tutto o in parte.
3. I suffragi più che per i vivi sono accettati per i morti, i quali ne hanno più bisogno, non potendo, come i vivi, provvedere a se stessi. Però d'altra parte i vivi si trovano in condizione più vantaggiosa, perché possono riacquistare lo stato di grazia perduto col peccato mortale, mentre ciò non è possibile ai morti. Perciò i motivi per cui si prega per i morti sono diversi da quelli per cui si prega per i vivi.
4. Quell'aiuto non consisteva in una diminuzione di pena; ma, come dice il racconto, soltanto nel fatto che, per mezzo dell'orazione di S. Macario, quei dannati potevano vedersi reciprocamente, e per questo provavano una certa gioia, non vera ma immaginaria, mentre si compiva questo loro desiderio. In questo senso diciamo che i demoni godono quando riescono a indurre gli uomini al peccato, quantunque per questo la loro pena non diminuisca affatto; come non diminuisce la gioia degli angeli quando si dice che essi commiserano i nostri mali.
5. Probabilmente il fatto di Traiano si può spiegare nel senso che egli, per le preghiere di S. Gregorio, fu richiamato in vita e quindi ottenne la remissione dei peccati e la grazia. Di conseguenza fu liberato dalla pena; come si riscontra in tutti quelli che furono risuscitati da morte miracolosamente, molti dei quali erano idolatri e quindi dannati. Di tutti costoro si deve dire che non erano condannati all'inferno definitivamente, ma secondo quanto esigeva l'attuale giustizia in considerazione dei loro meriti. Ma secondo un piano provvidenziale più alto, che prevedeva la loro resurrezione, erano predestinati a una sorte diversa.
Oppure, dicono alcuni, si deve ritenere che l'anima di Traiano non fu liberata del tutto dalla pena eterna, ma solo per un certo tempo cioè fino al giorno del giudizio. Non bisogna però credere che i suffragi producano tale effetto: perché, oltre le cose che avvengono per legge generale, ve ne sono altre che sono concesse soltanto ad alcuni in via eccezionale; ossia, come dice S. Agostino, "altri sono i limiti delle forze naturali, altri i prodigi della potenza divina".
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