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Se talora la penitenza debba essere celebrata in modo pubblico, o solenne
Supplemento
Questione 28
Articolo 1
SEMBRA che in nessun caso la penitenza debba essere celebrata in modo pubblico o solenne. Infatti:
1. Il sacerdote, neppure per timore, può svelare la confessione di un peccato, per quanto questo possa esser pubblico. Ora, con la penitenza solenne il peccato viene ad essere propalato pubblicamente. Perciò questa non può mai essere imposta.
2. Il giudizio deve seguire il tipo di tribunale. Ma la penitenza è una specie di giudizio che si svolge in un tribunale occulto. Quindi essa non si può mai celebrare pubblicamente o solennemente.
3. Secondo S. Ambrogio, "la penitenza, cancellando tutti i difetti, restaura la perfezione". La sua solennità invece produce l'effetto contrario, perché grava il penitente di molti impedimenti: infatti, dopo la penitenza solenne, né il laico può essere ammesso allo stato clericale, né il chierico agli ordini superiori. Dunque la penitenza non va fatta in modo solenne.
IN CONTRARIO: 1. La penitenza è un sacramento. Ora, in tutti i sacramenti c'è una certa solennità. Quindi deve esserci anche nella penitenza.
2. La medicina va proporzionata all'infermità. Ebbene, talvolta il peccato è pubblico, e trascina molti a peccare. Perciò anche la penitenza, sua medicina, bisogna che sia pubblica e solenne a edificazione di molti.
RISPONDO: Una penitenza deve essere pubblica e solenne per quattro ragioni. Primo, perché il peccato pubblico abbia anche un rimedio pubblico. — Secondo, perché chi commette un delitto molto grave è meritevole di grande umiliazione anche in questo mondo. — Terzo, per incutere timore anche negli altri. — Quarto, perché serva quale esempio di penitenza: distogliendo dalla disperazione chi si trova in gravi peccati.
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Benché possa sorgere il sospetto che [il penitente] abbia commesso qualche grave peccato, tuttavia il sacerdote, imponendo tale penitenza, non svela il segreto della confessione. Dalla pena infatti non si conosce con certezza il peccato corrispondente, perché uno potrebbe anche far penitenza per un altro: si legge, p. es., nelle Vitae Patrum che uno, per incoraggiare un suo amico a far penitenza, la fece egli stesso con lui. Se poi il peccato è già pubblico, il reo, facendo pubblicamente anche la penitenza, manifesta egli stesso di essersi confessato.
2. La penitenza solenne, quanto all'imposizione, non cessa di essere occulta: uno infatti, come in segreto si confessa, così in segreto riceve la penitenza. E pubblica invece nell'esecuzione. Il che non implica nessuna incongruenza.
3. La penitenza non restituisce la precedente dignità, benché, ridonando la grazia, cancelli tutti i difetti. Le donne infatti, dopo aver fatto penitenza per il peccato di fornicazione, non ricevono il velo, perché non ricuperano la dignità verginale. In modo analogo, dopo la penitenza pubblica, il peccatore non riacquista tale dignità da poter essere ammesso nello stato clericale, e il vescovo che lo accettasse dovrebbe venir privato del diritto di conferire gli ordini; a meno che non sia indotto a ciò dalla necessità o dall'uso della propria chiesa. In questo caso infatti uno può ottenere la dispensa per essere assunto agli ordini minori, ma non ai maggiori. Prima di tutto, per la dignità di questi ultimi. Secondo, nel timore che [il peccatore] non sia recidivo. Terzo, per evitare lo scandalo che potrebbe sorgere nel popolo dal ricordo dei peccati precedenti. Quarto, perché, essendo il suo peccato pubblico, [lo stesso ordinato] non ardirebbe di correggere gli altri.
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