I, 97

Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'uomo > La conservazione dell'individuo nello stato primitivo dell'uomo


Prima pars
Quaestio 97
Prooemium

[32546] Iª q. 97 pr.
Deinde considerandum est de his quae pertinent ad statum primi hominis secundum corpus. Et primo, quantum ad conservationem individui; secundo, quantum ad conservationem speciei. Circa primum quaeruntur quatuor.
Primo, utrum homo in statu innocentiae esset immortalis.
Secundo, utrum esset impassibilis.
Tertio, utrum indigeret cibis.
Quarto, utrum per lignum vitae immortalitatem consequeretur.

 
Prima parte
Questione 97
Proemio

[32546] Iª q. 97 pr.
Passiamo ora a trattare di quanto riguarda il corpo nello stato primitivo dell'uomo. Primo, rispetto alla conservazione dell'individuo; secondo, rispetto alla conservazione della specie.
Sul primo argomento si pongono quattro quesiti:

1. Se l'uomo nello stato di innocenza era immortale;
2. Se era impassibile;
3. Se abbisognava del cibo;
4. Se conseguiva l'immortalità mediante l'albero della vita.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'uomo > La conservazione dell'individuo nello stato primitivo dell'uomo > Se l'uomo nello stato di innocenza era immortale


Prima pars
Quaestio 97
Articulus 1

[32547] Iª q. 97 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod homo in statu innocentiae non erat immortalis. Mortale enim ponitur in definitione hominis. Sed remota definitione, aufertur definitum. Ergo si homo erat, non poterat esse immortalis.

 
Prima parte
Questione 97
Articolo 1

[32547] Iª q. 97 a. 1 arg. 1
SEMBRA che l'uomo nello stato di innocenza non fosse immortale. Infatti:
1. Il termine mortale entra nella definizione dell'uomo. Ora, se si toglie la definizione, scompare anche il definito. Perciò se l'uomo esisteva non poteva essere immortale.

[32548] Iª q. 97 a. 1 arg. 2
Praeterea, corruptibile et incorruptibile genere differunt, ut dicitur in X Metaphys. Sed eorum quae differunt genere, non est transmutatio in invicem. Si ergo primus homo fuit incorruptibilis, non posset homo in statu isto esse corruptibilis.

 

[32548] Iª q. 97 a. 1 arg. 2
2. "Corruttibile e incorruttibile differiscono nel genere", come insegna Aristotele. Ma tra cose di genere diverso non può verificarsi il passaggio dell'una all'altra. Quindi, se il primo uomo fosse stato incorruttibile, l'uomo non potrebbe ora essere corruttibile.

[32549] Iª q. 97 a. 1 arg. 3
Praeterea, si homo in statu innocentiae fuit immortalis, aut hoc habuit per naturam, aut per gratiam. Sed non per naturam, quia, cum natura eadem maneat secundum speciem, nunc quoque esset immortalis. Similiter nec per gratiam, quia primus homo gratiam per poenitentiam recuperavit, secundum illud Sap. X, eduxit illum a delicto suo; ergo immortalitatem recuperasset; quod patet esse falsum. Non ergo homo erat immortalis in statu innocentiae.

 

[32549] Iª q. 97 a. 1 arg. 3
3. Se l'uomo nello stato di innocenza era immortale, lo era o per natura o per grazia. Ma non lo era per natura: poiché, essendo rimasta la natura identica nella specie, anche ora sarebbe immortale. E non lo era neppure per grazia: poiché il primo uomo, come sappiamo dalla Scrittura, Dio "lo trasse fuori dal suo peccato", mediante il ricupero della grazia con la penitenza; quindi avrebbe ricuperato anche l'immortalità; cosa evidentemente falsa. Dunque nello stato di innocenza l'uomo non era immortale.

[32550] Iª q. 97 a. 1 arg. 4
Praeterea, immortalitas promittitur homini in praemium; secundum illud Apoc. XXI, mors ultra non erit. Sed homo non fuit conditus in statu praemii, sed ut praemium mereretur. Ergo homo in statu innocentiae non fuit immortalis.

 

[32550] Iª q. 97 a. 1 arg. 4
4. L'immortalità viene promessa all'uomo come premio, conforme a quel passo della Scrittura: "Non vi sarà più la morte". Ora, l'uomo non fu creato nello stato di premio, ma in condizione di meritarlo. Perciò nello stato di innocenza l'uomo non era immortale.

[32551] Iª q. 97 a. 1 s. c.
Sed contra est quod dicitur ad Rom. V, quod per peccatum intravit mors in mundum. Ergo ante peccatum homo erat immortalis.

 

[32551] Iª q. 97 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Sta scritto: "Col peccato entrò la morte nel mondo". Dunque nello stato di innocenza, l'uomo era immortale.

[32552] Iª q. 97 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod aliquid potest dici incorruptibile tripliciter. Uno modo, ex parte materiae, eo scilicet quod vel non habet materiam, sicut Angelus; vel habet materiam quae non est in potentia nisi ad unam formam, sicut corpus caeleste. Et hoc dicitur secundum naturam incorruptibile. Alio modo dicitur aliquid incorruptibile ex parte formae, quia scilicet rei corruptibili per naturam, inhaeret aliqua dispositio per quam totaliter a corruptione prohibetur. Et hoc dicitur incorruptibile secundum gloriam, quia, ut dicit Augustinus in epistola ad Dioscorum, tam potenti natura Deus fecit animam, ut ex eius beatitudine redundet in corpus plenitudo sanitatis, idest incorruptionis vigor. Tertio modo dicitur aliquid incorruptibile ex parte causae efficientis. Et hoc modo homo in statu innocentiae fuisset incorruptibilis et immortalis. Quia, ut Augustinus dicit in libro de quaest. Vet. et Nov. Test., Deus hominem fecit, qui quandiu non peccaret, immortalitate vigeret, ut ipse sibi auctor esset aut ad vitam aut ad mortem. Non enim corpus eius erat indissolubile per aliquem immortalitatis vigorem in eo existentem; sed inerat animae vis quaedam supernaturaliter divinitus data, per quam poterat corpus ab omni corruptione praeservare, quandiu ipsa Deo subiecta mansisset. Quod rationabiliter factum est. Quia enim anima rationalis excedit proportionem corporalis materiae, ut supra dictum est. Conveniens fuit ut in principio ei virtus daretur, per quam corpus conservare posset supra naturam corporalis materiae.

 

[32552] Iª q. 97 a. 1 co.
RISPONDO: Una cosa può essere incorruttibile in tre maniere.
Primo, a motivo della materia: e cioè, o perché immateriale, ed è il caso degli angeli, oppure perché ha una materia che è in potenza a una sola forma, come i corpi celesti. Un essere in queste condizioni è incorruttibile per natura. - Secondo, l'incorruttibilità può dipendere dalla forma: e capita quando una cosa corruttibile per natura acquista tali disposizioni, per cui viene totalmente immunizzata dalla corruzione. Un tale essere è incorruttibile per gloria: ed è quanto afferma S. Agostino là dove scrive che "Dio conferì all'anima una natura così potente, da far rifluire sul corpo, dalla propria felicità, la pienezza della salute, cioè il vigore dell'incorruttibilità". - Terzo, una cosa può essere incorruttibile in forza della causa efficiente. E questo è il modo in cui l'uomo sarebbe stato incorruttibile e immortale nello stato di innocenza. Scrive infatti S. Agostino: "Dio fece l'uomo in modo che potesse godere l'immortalità, fino a che non avesse peccato; cosicché egli stesso doveva essere l'artefice della sua vita, o della sua morte". Il suo corpo quindi non era indissolubile in forza di un suo intrinseco vigore di immortalità; ma vi era nell'anima una virtù conferita da Dio in maniera soprannaturale, con la quale l'anima poteva preservare il corpo immune da ogni corruzione, finché essa fosse rimasta sottoposta a Dio. E la cosa era ragionevole. Infatti, come l'anima trascende i limiti della materia corporea, così era conveniente che le fosse conferita inizialmente, per conservare il corpo, una virtù che trascendeva le capacità naturali della materia corporea.

[32553] Iª q. 97 a. 1 ad 1
Ad primum ergo et secundum dicendum quod rationes illae procedunt de incorruptibili et immortali per naturam.

 

[32553] Iª q. 97 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1, 2. Le primo due difficoltà varrebbero, se si trattasse di un essere incorruttibile e immortale per natura.

[32554] Iª q. 97 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod vis illa praeservandi corpus a corruptione, non erat animae humanae naturalis, sed per donum gratiae. Et quamvis gratiam recuperaverit ad remissionem culpae et meritum gloriae, non tamen ad amissae immortalitatis effectum. Hoc enim reservabatur Christo, per quem naturae defectus in melius reparandus erat, ut infra dicetur.

 

[32554] Iª q. 97 a. 1 ad 3
3. La virtù che preservava il corpo dalla corruzione non era naturale per l'anima umana, ma era un dono di grazia, E sebbene l'uomo ricuperasse la grazia, tale recupero fu sufficiente a rimettere il peccato e a meritare la gloria, non già a riottenere l'immortalità perduta. Una tale opera era riservata a Cristo, il quale, come vedremo, doveva sublimare gli stessi difetti della natura.

[32555] Iª q. 97 a. 1 ad 4
Ad quartum dicendum quod differt immortalitas gloriae, quae promittitur in praemium, ab immortalitate quae fuit homini collata in statu innocentiae.

 

[32555] Iª q. 97 a. 1 ad 4
4. L'immortalità della gloria, che ci è promessa m premio, differisce dall'immortalità conferita all'uomo nello stato di innocenza.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'uomo > La conservazione dell'individuo nello stato primitivo dell'uomo > Se l'uomo nello stato di innocenza era passibile


Prima pars
Quaestio 97
Articulus 2

[32556] Iª q. 97 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod homo in statu innocentiae fuisset passibilis. Sentire enim est pati quoddam. Sed homo in statu innocentiae fuisset sensibilis. Ergo fuisset passibilis.

 
Prima parte
Questione 97
Articolo 2

[32556] Iª q. 97 a. 2 arg. 1
SEMBRA che l'uomo nello stato di innocenza fosse passibile. Infatti:
1. "Sentire è una specie di passività". Ora, all'uomo nello stato di innocenza non sarebbe mancata la sensibilità. Dunque era passibile.

[32557] Iª q. 97 a. 2 arg. 2
Praeterea, somnus passio quaedam est. Sed homo in statu innocentiae dormivisset; secundum illud Gen. II, immisit Deus soporem in Adam. Ergo fuisset passibilis.

 

[32557] Iª q. 97 a. 2 arg. 2
2. Anche il sonno è una specie di passività. Ma l'uomo nello stato di innocenza avrebbe dormito; leggiamo infatti che "Dio mandò un sonno profondo ad Adamo". Perciò doveva essere passibile.

[32558] Iª q. 97 a. 2 arg. 3
Praeterea, ibidem subditur quod tulit unam de costis eius. Ergo fuisset passibilis etiam per abscissionem partis.

 

[32558] Iª q. 97 a. 2 arg. 3
3. Nello stesso passo la Scrittura aggiunge "egli tolse una delle coste". Dunque l'uomo sarebbe stato passibile fino a subire l'amputazione di una delle sue parti.

[32559] Iª q. 97 a. 2 arg. 4
Praeterea, corpus hominis molle fuit. Sed molle naturaliter passivum est a duro. Ergo si corpori primi hominis obvium fuisset aliquod corpus durum, ab eo passum fuisset. Et sic primus homo fuit passibilis.

 

[32559] Iª q. 97 a. 2 arg. 4
4. Il corpo dell'uomo era morbido. Ora, un corpo morbido è naturalmente passivo di fronte a un corpo duro. Quindi se il corpo del primo uomo si fosse scontrato con un corpo duro, avrebbe patito una contusione. Dunque il primo uomo era passibile.

[32560] Iª q. 97 a. 2 s. c.
Sed contra est quia, si fuit passibilis, fuit etiam corruptibilis, quia passio, magis facta, abiicit a substantia.

 

[32560] Iª q. 97 a. 2 s. c.
È VERO IL CONTRARIO: perché se fosse stato passibile sarebbe stato anche corruttibile; poiché "la passività intensificata porta alla distruzione della sostanza".

[32561] Iª q. 97 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod passio dupliciter dicitur. Uno modo, proprie, et sic pati dicitur quod a sua naturali dispositione removetur. Passio enim est effectus actionis, in rebus autem naturalibus contraria agunt et patiuntur ad invicem, quorum unum removet alterum a sua naturali dispositione. Alio modo, dicitur passio communiter, secundum quamcumque mutationem, etiam si pertineat ad perfectionem naturae; sicut intelligere vel sentire dicitur pati quoddam. Hoc igitur secundo modo, homo in statu innocentiae passibilis erat, et patiebatur, et secundum animam et secundum corpus. Primo autem modo dicta passione, erat impassibilis et secundum animam et secundum corpus, sicut et immortalis, poterat enim passionem prohibere, sicut et mortem, si absque peccato perstitisset.

 

[32561] Iª q. 97 a. 2 co.
RISPONDO: Passione si usa in due diversi significati. Primo, in senso proprio; e allora si dice che una cosa subisce una passione, quando viene tolta dalla sua disposizione naturale. La passione infatti è un effetto dell'azione: e in natura i contrari agiscono e patiscono reciprocamente, poiché l'uno tende a modificare le disposizioni naturali dell'altro. - Secondo, comunemente sta a indicare qualsiasi mutazione, anche se serve alla perfezione naturale di un essere; cosicché l'intellezione e la sensazione sono "un certo patire".
Stando a questo secondo significato, l'uomo nello stato di innocenza era passibile, e pativa tanto nell'anima che nel corpo. Invece se ci riferiamo al primo significato del termine, l'uomo era impassibile sia nell'anima che nel corpo, così come era immortale; poteva infatti impedire ogni patimento, allo stesso modo che la morte, se si fosse conservato immune dal peccato.

[32562] Iª q. 97 a. 2 ad 1
Et per hoc patet responsio ad duo prima. Nam sentire et dormire non removent hominem a naturali dispositione, sed ad bonum naturae ordinantur.

 

[32562] Iª q. 97 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1, 2. È evidente così la soluzione delle prime due difficoltà. Infatti il sentire e il dormire non tolgono la disposizione naturale, ma sono ordinati al bene della natura.

[32563] Iª q. 97 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod, sicut supra dictum est, costa illa fuit in Adam, inquantum erat principium humani generis; sicut semen est in homine, inquantum est principium per generationem. Sicut igitur decisio seminis non est cum passione quae removeat hominem a naturali dispositione, ita etiam est dicendum de separatione illius costae.

 

[32563] Iª q. 97 a. 2 ad 3
3. Come abbiamo notato sopra, quella costola si trovava in Adamo, in quanto questi era il principio del genere umano; come nell'uomo, quale principio della generazione, si trova attualmente lo sperma. Perciò, come l'emissione dello sperma avviene senza una disposizione contraria alla disposizione naturale dell'uomo, così dobbiamo pensare dell'amputazione di quella costola.

[32564] Iª q. 97 a. 2 ad 4
Ad quartum dicendum quod corpus hominis in statu innocentiae poterat praeservari ne pateretur laesionem ab aliquo duro, partim quidem per propriam rationem, per quam poterat nociva vitare; partim etiam per divinam providentiam, quae sic ipsum tuebatur, ut nihil ei occurreret ex improviso, a quo laederetur.

 

[32564] Iª q. 97 a. 2 ad 4
4. Nello stato di innocenza il corpo dell'uomo poteva essere preservato dalle lesioni dei corpi duri, in parte con la ragione, capace di evitare le cose nocive; in parte con l'aiuto della provvidenza divina, che avrebbe impedito qualsiasi scontro improvviso, da cui avrebbe potuto ricevere un danno.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'uomo > La conservazione dell'individuo nello stato primitivo dell'uomo > Se l'uomo nello stato di innocenza aveva bisogno di cibo


Prima pars
Quaestio 97
Articulus 3

[32565] Iª q. 97 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod homo in statu innocentiae non indigebat cibis. Cibus enim necessarius est homini ad restaurationem deperditi. Sed in corpore Adae, ut videtur, nulla fiebat deperditio, quia incorruptibile erat. Ergo non erat ei cibus necessarius.

 
Prima parte
Questione 97
Articolo 3

[32565] Iª q. 97 a. 3 arg. 1
SEMBRA che nello stato di innocenza l'uomo non avesse bisogno di cibo. Infatti:
1. Il cibo è necessario all'uomo per riparare le perdite. Ora, pare che nel corpo di Adamo non ci fossero perdite di sorta, essendo incorruttibile. Perciò egli non aveva bisogno di mangiare.

[32566] Iª q. 97 a. 3 arg. 2
Praeterea, cibus est necessarius ad nutriendum. Sed nutritio non est sine passione. Cum ergo corpus hominis esset impassibile, non erat ei cibus necessarius, ut videtur.

 

[32566] Iª q. 97 a. 3 arg. 2
2. Il cibo è necessario per nutrirsi. Ma non c'è nutrizione senza una vera passione. Ora, essendo il corpo dell'uomo impassibile, non si vede come potesse aver bisogno di cibo.

[32567] Iª q. 97 a. 3 arg. 3
Praeterea, cibus dicitur esse nobis necessarius ad vitae conservationem. Sed Adam aliter vitam poterat conservare, quia si non peccaret, non moreretur. Ergo cibus non erat ei necessarius.

 

[32567] Iª q. 97 a. 3 arg. 3
3. Il cibo è necessario a noi per la conservazione della vita. Ma Adamo poteva conservare la vita in altra maniera; poiché se non avesse peccato, non moriva. Dunque egli non aveva bisogno di mangiare.

[32568] Iª q. 97 a. 3 arg. 4
Praeterea, ad sumptionem cibi sequitur emissio superfluitatum, quae habent quandam turpitudinem non convenientem dignitati primi status. Ergo videtur quod homo in primo statu cibis non uteretur.

 

[32568] Iª q. 97 a. 3 arg. 4
4. Alla nutrizione segue l'eliminazione del superfluo, che è un atto indecoroso per la nobiltà dello stato primitivo. Quindi sembra che l'uomo nello stato primitivo non dovesse mangiare.

[32569] Iª q. 97 a. 3 s. c.
Sed contra est quod dicitur Gen. II, de omni ligno quod est in Paradiso, comedetis.

 

[32569] Iª q. 97 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: Sta scritto: "Mangiate di qualunque albero del Paradiso".

[32570] Iª q. 97 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod homo in statu innocentiae habuit vitam animalem cibis indigentem; post resurrectionem vero habebit vitam spiritualem cibis non indigentem. Ad cuius evidentiam, considerandum est quod anima rationalis et anima est et spiritus. Dicitur autem esse anima secundum illud quod est sibi commune et aliis animabus, quod est vitam corpori dare, unde dicitur Gen. II, factus est homo in animam viventem, idest vitam corpori dantem. Sed spiritus dicitur secundum illud quod est proprium sibi et non aliis animabus, quod scilicet habeat virtutem intellectivam immaterialem. In primo igitur statu anima rationalis communicabat corpori id quod competit ei inquantum est anima, et ideo corpus illud dicebatur animale, inquantum scilicet habebat vitam ab anima. Primum autem principium vitae in istis inferioribus, ut dicitur in libro de anima, est anima vegetabilis, cuius opera sunt alimento uti et generare et augeri. Et ideo haec opera homini in primo statu competebant. In ultimo vero statu post resurrectionem, anima communicabit quodammodo corpori ea quae sunt sibi propria inquantum est spiritus, immortalitatem quidem, quantum ad omnes; impassibilitatem vero et gloriam et virtutem, quantum ad bonos, quorum corpora spiritualia dicentur. Unde post resurrectionem homines cibis non indigebunt, sed in statu innocentiae eis indigebant.

 

[32570] Iª q. 97 a. 3 co.
RISPONDO: Nello stato di innocenza l'uomo aveva una vita animale, che abbisognava di alimento; mentre dopo la resurrezione avrà una vita spirituale, senza questa necessità. Per averne l'evidenza, si deve considerare che l'anima razionale è insieme anima e spirito. E anima in rapporto a ciò che ha di comune con le altre anime, vale a dire in quanto da vita al corpo; perciò sta scritto: "Fu creato l'uomo come anima vivente", cioè come anima che da vita al corpo. L'anima razionale è invece spirito in rapporto alle sue proprietà esclusive, non comuni agli altri animali, e cioè in quanto possiede le facoltà intellettive e immateriali.
Ora, nello stato primitivo l'anima razionale comunicava al corpo ciò che le appartiene in quanto anima; perciò il corpo umano fu detto giustamente animale, proprio perché aveva ricevuto la vita dall'anima. D'altra parte il primo principio vitale degli esseri inferiori, come dice Aristotele, è l'anima vegetativa, le cui funzioni sono la nutrizione, la generazione e la crescita. Perciò tali funzioni dovevano trovarsi - nell'uomo nello stato primitivo. - Invece nella vita futura, dopo la resurrezione, l'anima trasfonderà al corpo in qualche modo le proprietà sue in quanto spirito: cioè l'immortalità in tutti, l'impassibilità, la gloria e la potenza, nei soli buoni, i cui corpi saranno denominati spirituali. Perciò dopo la resurrezione gli uomini non avranno bisogno di cibarsi, mentre ne avevano bisogno nello stato di innocenza.

[32571] Iª q. 97 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, sicut dicit Augustinus in libro de quaest. Vet. et Nov. Test., quomodo immortale corpus habebat, quod cibo sustentabatur? Immortale enim non eget esca neque potu. Dictum est enim supra quod immortalitas primi status erat secundum vim quandam supernaturalem in anima residentem; non autem secundum aliquam dispositionem corpori inhaerentem. Unde per actionem caloris aliquid de humido illius corporis poterat deperdi; et ne totaliter consumeretur, necesse erat per assumptionem cibi homini subveniri.

 

[32571] Iª q. 97 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Scrive S. Agostino: "Come era possibile che un corpo immortale fosse sostentato dal cibo? Perché un essere immortale non ha bisogno né di cibo, né di bevanda". Ma abbiamo già notato che l'immortalità dello stato primitivo derivava da una virtù soprannaturale presente nell'anima, e non da una disposizione fisica del corpo. Perciò l'azione del calore poteva causare nel corpo la perdita di una certa quantità dell'elemento umido; cosicché si rendeva necessaria la nutrizione, per impedire che esso si esaurisse del tutto.

[32572] Iª q. 97 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod in nutritione est quaedam passio et alteratio, scilicet ex parte alimenti, quod convertitur in substantiam eius quod alitur. Unde ex hoc non potest concludi quod corpus hominis fuerit passibile, sed quod cibus assumptus erat passibilis. Quamvis etiam talis passio esset ad perfectionem naturae.

 

[32572] Iª q. 97 a. 3 ad 2
2. Nella nutrizione si ha una vera passione o alterazione, ma negli alimenti, i quali si trasformano nella sostanza di chi si nutre. Perciò non è lecito concludere che il corpo dell'uomo era passibile, ma che era passibile il cibo assimilato. Per quanto una tale passività fosse ordinata alla perfezione della natura.

[32573] Iª q. 97 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod, si homo sibi non subveniret de cibo, peccaret; sicut peccavit sumendo vetitum cibum. Simul enim sibi praeceptum fuit ut a ligno scientiae boni et mali abstineret, et ut de omni alio ligno Paradisi vesceretur.

 

[32573] Iª q. 97 a. 3 ad 3
3. Se l'uomo non si fosse sostentato col cibo, avrebbe peccato, come peccò mangiando il cibo proibito. Infatti gli era stato ordinato contemporaneamente di astenersi dall'albero della scienza del bene e del male, e di cibarsi di ogni altro albero del Paradiso.

[32574] Iª q. 97 a. 3 ad 4
Ad quartum dicendum quod quidam dicunt quod homo in statu innocentiae non assumpsisset de cibo nisi quantum fuisset ei necessarium, unde non fuisset ibi superfluitatum emissio. Sed hoc irrationabile videtur, quod in cibo assumpto non esset aliqua faeculentia, quae non esset apta ut converteretur in hominis nutrimentum. Unde oportebat superfluitates emitti. Tamen fuisset divinitus provisum ut nulla ex hoc indecentia esset.

 

[32574] Iª q. 97 a. 3 ad 4
4. Alcuni ritengono che l'uomo nello stato di innocenza avrebbe preso solo il cibo strettamente necessario; perciò non ci sarebbe stata eliminazione del superfluo. - Ma non sembra ragionevole che nel cibo ingerito dovesse mancare del tutto qualsiasi materia fecale, non fatta per trasmutarsi in nutrimento dell'uomo. Perciò doveva esserci l'eliminazione dei rifiuti. Dio però avrebbe provveduto a togliere a quell'atto ogni aspetto indecoroso.




Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > L'uomo > La conservazione dell'individuo nello stato primitivo dell'uomo > Se l'uomo nello stato di innocenza avrebbe conseguito l'immortalità mediante l'albero della vita


Prima pars
Quaestio 97
Articulus 4

[32575] Iª q. 97 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod lignum vitae non poterat esse causa immortalitatis. Nihil enim potest agere ultra suam speciem, effectus enim non excedit causam. Sed lignum vitae erat corruptibile, alioquin non potuisset in nutrimentum assumi, quia alimentum convertitur in substantiam nutriti, ut dictum est. Ergo lignum vitae incorruptibilitatem seu immortalitatem conferre non poterat.

 
Prima parte
Questione 97
Articolo 4

[32575] Iª q. 97 a. 4 arg. 1
SEMBRA che l'albero della vita non potesse essere causa dell'immortalità. Infatti:
1. Nessuna cosa può nell'agire superare la propria specie; poiché l'effetto non può essere superiore alla causa. Ora, l'albero della vita era corruttibile: altrimenti non avrebbe potuto servire come cibo; poiché il nutrimento si trasforma nella sostanza di chi lo ingerisce, come abbiamo detto. Dunque l'albero della vita non poteva dare l'incorruttibilità o immortalità.

[32576] Iª q. 97 a. 4 arg. 2
Praeterea, effectus qui causantur a virtutibus plantarum et aliarum naturalium rerum, sunt naturales. Si ergo lignum vitae immortalitatem causasset, fuisset illa immortalitas naturalis.

 

[32576] Iª q. 97 a. 4 arg. 2
2. Gli effetti causati dalla virtù delle piante e delle altre cose naturali sono naturali. Perciò se l'albero della vita avesse causato l'immortalità, questa sarebbe stata di ordine naturale.

[32577] Iª q. 97 a. 4 arg. 3
Praeterea, hoc videtur redire in fabulas antiquorum, qui dixerunt quod dii qui comedebant de quodam cibo, facti sunt immortales, quos irridet philosophus in III Metaphys.

 

[32577] Iª q. 97 a. 4 arg. 3
3. Il racconto della Genesi sembra affine alle favole degli antichi, messe in ridicolo da Aristotele, i quali dicevano che gli dèi erano diventati immortali, mangiando certi cibi.

[32578] Iª q. 97 a. 4 s. c. 1
Sed contra est quod dicitur Gen. III, ne forte mittat manum suam et sumat de ligno vitae, et comedat et vivat in aeternum.

 

[32578] Iª q. 97 a. 4 s. c. 1
IN CONTRARIO: 1. Sta scritto: "Che egli [Adamo] non abbia a stendere la mano, e prendere anche dall'albero della vita, e mangiare, e vivere in eterno".

[32579] Iª q. 97 a. 4 s. c. 2
Praeterea, Augustinus in libro de quaest. Vet. et Nov. Test., dicit, gustus arboris vitae corruptionem corporis inhibebat, denique etiam post peccatum potuit insolubilis manere, si permissum esset illi edere de arbore vitae.

 

[32579] Iª q. 97 a. 4 s. c. 2
2. Inoltre, S. Agostino commenta: "L'uso dell'albero della vita impediva la corruzione del corpo; cosicché anche dopo il peccato sarebbe potuto rimanere incorruttibile, se gli fosse stato concesso di mangiare di quell'albero".

[32580] Iª q. 97 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod lignum vitae quodammodo immortalitatem causabat, non autem simpliciter. Ad cuius evidentiam, considerandum est quod duo remedia ad conservationem vitae habebat homo in primo statu, contra duos defectus. Primus enim defectus est deperditio humidi per actionem caloris naturalis, qui est animae instrumentum. Et contra hunc defectum subveniebatur homini per esum aliorum lignorum Paradisi, sicut et nunc subvenitur nobis, per cibos quos sumimus. Secundus autem defectus est quia, ut philosophus dicit I de Generat., illud quod generatur ex aliquo extraneo, adiunctum ei quod prius erat humido praeexistenti, imminuit virtutem activam speciei, sicut aqua adiuncta vino, primo quidem convertitur in saporem vini, sed secundum quod magis et magis additur, diminuit vini fortitudinem, et tandem vinum fit aquosum. Sic igitur videmus quod in principio virtus activa speciei est adeo fortis, quod potest convertere de alimento non solum quod sufficit ad restaurationem deperditi, sed etiam quod sufficit ad augmentum. Postmodum vero quod aggeneratur non sufficit ad augmentum, sed solum ad restaurationem deperditi. Tandem vero, in statu senectutis, nec ad hoc sufficit, unde sequitur decrementum, et finaliter naturalis dissolutio corporis. Et contra hunc defectum subveniebatur homini per lignum vitae, habebat enim virtutem fortificandi virtutem speciei contra debilitatem provenientem ex admixtione extranei. Unde Augustinus dicit, in XIV de Civ. Dei, quod cibus aderat homini ne esuriret, potus ne sitiret, et lignum vitae ne senectus eum dissolveret. Et in libro de quaest. Vet. et Nov. Test., dicit quod vitae arbor medicinae modo corruptionem hominum prohibebat. Non tamen simpliciter immortalitatem causabat. Quia neque virtus quae inerat animae ad conservandum corpus, causabatur ex ligno vitae, neque etiam poterat immortalitatis dispositionem corpori praestare, ut nunquam dissolvi posset. Quod ex hoc patet, quia virtus cuiuscumque corporis est finita. Unde non poterat virtus ligni vitae ad hoc se extendere ut daret corpori virtutem Durandi tempore infinito, sed usque ad determinatum tempus. Manifestum est enim quod, quanto aliqua virtus est maior, tanto imprimit durabiliorem effectum. Unde cum virtus ligni vitae esset finita, semel sumptum praeservabat a corruptione usque ad determinatum tempus; quo finito, vel homo translatus fuisset ad spiritualem vitam, vel indiguisset iterum sumere de ligno vitae.

 

[32580] Iª q. 97 a. 4 co.
RISPONDO: L'albero della vita era causa dell'immortalità, ma non in senso assoluto. Per esserne persuasi, bisogna considerare che l'uomo nello stato primitivo, per conservare la vita, aveva due rimedi, contrapposti a due deficienze. La prima deficienza consiste nella perdita dell'elemento umido sotto l'azione del calore naturale, necessario strumento dell'anima. L'uomo rimediava a tale deficienza cibandosi degli altri alberi del Paradiso, come facciamo anche noi mediante i cibi che prendiamo.
Il secondo difetto sta nel fatto, notato anche dal Filosofo, che una sostanza, la quale viene generata da una materia estranea mediante l'aggregazione a un corpo umido preesistente, debilita la virtù attiva della specie; aggiungendo, p. es., l'acqua al vino, dapprima l'acqua prende il sapore del vino, ma via via che se ne aggiunge, diminuisce la forza del vino e finalmente il vino diventa acquoso. In modo analogo vediamo che da principio la virtù attiva della specie è così forte, da assimilare non solo l'alimento necessario a riparare le perdite, ma anche quello che serve alla crescita. In seguito invece l'alimento assimilato non è più sufficiente per la crescita, ma basta appena a riparare le perdite. Finalmente nella vecchiaia non basta neppure a questo; perciò si ha un decadimento fino alla dissoluzione del corpo. - Precisamente contro tale deficienza l'uomo veniva immunizzato dall'albero della vita, che possedeva la capacità di rinvigorire la virtù della specie contro la debilitazione causata dall'assimilazione di sostanze estranee. Perciò S. Agostino afferma che "l'uomo aveva il cibo per sfamarsi, la bevanda per dissetarsi, e l'albero della vita per non essere disfatto dalla vecchiaia", E altrove dichiara che "l'albero della vita era come una medicina, che impediva la dissoluzione dell'uomo".
Però l'albero della vita non causava l'immortalità in senso assoluto. Infatti la virtù stessa, esistente nell'anima per conservare il corpo, non era causata dall'albero della vita; e neppure poteva comunicare al corpo tale disposizione all’immortalità, da preservarlo per sempre. E questo perché evidentemente la virtù di ogni corpo è limitata. Quindi la virtù dell'albero della vita non poteva giungere a dare al corpo la capacità di durare per un tempo indefinito, ma solo per un tempo limitato. È evidente infatti che la durata degli effetti dipende dall'efficacia di una data virtù. Ora, essendo limitata la virtù dell'albero della vita, se una sola volta se ne mangiava il frutto, questo poteva preservare dalla corruzione fino a un dato tempo; trascorso il quale, l'uomo sarebbe passato alla vita beata, oppure avrebbe avuto nuovamente bisogno di mangiare dell'albero della vita.

[32581] Iª q. 97 a. 4 ad 1
Et per hoc patet responsio ab obiecta. Nam primae rationes concludunt quod non causabat incorruptibilitatem simpliciter. Aliae vero concludunt quod causabat incorruptibilitatem impediendo corruptionem, secundum modum praedictum.

 

[32581] Iª q. 97 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: Restano così sciolti gli argomenti iniziali. Infatti le prime difficoltà portano a concludere che l'albero della vita non causava l'incorruttibilità in senso assoluto. Le altre invece dovrebbero concludere che le causava solo con l'impedire la corruzione, nel modo che abbiamo spiegato.

Alla Questione precedente

 

Alla Questione successiva