[32580] Iª q. 97 a. 4 co. Respondeo dicendum quod lignum vitae quodammodo immortalitatem causabat, non autem simpliciter. Ad cuius evidentiam, considerandum est quod duo remedia ad conservationem vitae habebat homo in primo statu, contra duos defectus. Primus enim defectus est deperditio humidi per actionem caloris naturalis, qui est animae instrumentum. Et contra hunc defectum subveniebatur homini per esum aliorum lignorum Paradisi, sicut et nunc subvenitur nobis, per cibos quos sumimus. Secundus autem defectus est quia, ut philosophus dicit I de Generat., illud quod generatur ex aliquo extraneo, adiunctum ei quod prius erat humido praeexistenti, imminuit virtutem activam speciei, sicut aqua adiuncta vino, primo quidem convertitur in saporem vini, sed secundum quod magis et magis additur, diminuit vini fortitudinem, et tandem vinum fit aquosum. Sic igitur videmus quod in principio virtus activa speciei est adeo fortis, quod potest convertere de alimento non solum quod sufficit ad restaurationem deperditi, sed etiam quod sufficit ad augmentum. Postmodum vero quod aggeneratur non sufficit ad augmentum, sed solum ad restaurationem deperditi. Tandem vero, in statu senectutis, nec ad hoc sufficit, unde sequitur decrementum, et finaliter naturalis dissolutio corporis. Et contra hunc defectum subveniebatur homini per lignum vitae, habebat enim virtutem fortificandi virtutem speciei contra debilitatem provenientem ex admixtione extranei. Unde Augustinus dicit, in XIV de Civ. Dei, quod cibus aderat homini ne esuriret, potus ne sitiret, et lignum vitae ne senectus eum dissolveret. Et in libro de quaest. Vet. et Nov. Test., dicit quod vitae arbor medicinae modo corruptionem hominum prohibebat. Non tamen simpliciter immortalitatem causabat. Quia neque virtus quae inerat animae ad conservandum corpus, causabatur ex ligno vitae, neque etiam poterat immortalitatis dispositionem corpori praestare, ut nunquam dissolvi posset. Quod ex hoc patet, quia virtus cuiuscumque corporis est finita. Unde non poterat virtus ligni vitae ad hoc se extendere ut daret corpori virtutem Durandi tempore infinito, sed usque ad determinatum tempus. Manifestum est enim quod, quanto aliqua virtus est maior, tanto imprimit durabiliorem effectum. Unde cum virtus ligni vitae esset finita, semel sumptum praeservabat a corruptione usque ad determinatum tempus; quo finito, vel homo translatus fuisset ad spiritualem vitam, vel indiguisset iterum sumere de ligno vitae.
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[32580] Iª q. 97 a. 4 co.
RISPONDO: L'albero della vita era causa dell'immortalità, ma non in senso assoluto. Per esserne persuasi, bisogna considerare che l'uomo nello stato primitivo, per conservare la vita, aveva due rimedi, contrapposti a due deficienze. La prima deficienza consiste nella perdita dell'elemento umido sotto l'azione del calore naturale, necessario strumento dell'anima. L'uomo rimediava a tale deficienza cibandosi degli altri alberi del Paradiso, come facciamo anche noi mediante i cibi che prendiamo.
Il secondo difetto sta nel fatto, notato anche dal Filosofo, che una sostanza, la quale viene generata da una materia estranea mediante l'aggregazione a un corpo umido preesistente, debilita la virtù attiva della specie; aggiungendo, p. es., l'acqua al vino, dapprima l'acqua prende il sapore del vino, ma via via che se ne aggiunge, diminuisce la forza del vino e finalmente il vino diventa acquoso. In modo analogo vediamo che da principio la virtù attiva della specie è così forte, da assimilare non solo l'alimento necessario a riparare le perdite, ma anche quello che serve alla crescita. In seguito invece l'alimento assimilato non è più sufficiente per la crescita, ma basta appena a riparare le perdite. Finalmente nella vecchiaia non basta neppure a questo; perciò si ha un decadimento fino alla dissoluzione del corpo. - Precisamente contro tale deficienza l'uomo veniva immunizzato dall'albero della vita, che possedeva la capacità di rinvigorire la virtù della specie contro la debilitazione causata dall'assimilazione di sostanze estranee. Perciò S. Agostino afferma che "l'uomo aveva il cibo per sfamarsi, la bevanda per dissetarsi, e l'albero della vita per non essere disfatto dalla vecchiaia", E altrove dichiara che "l'albero della vita era come una medicina, che impediva la dissoluzione dell'uomo".
Però l'albero della vita non causava l'immortalità in senso assoluto. Infatti la virtù stessa, esistente nell'anima per conservare il corpo, non era causata dall'albero della vita; e neppure poteva comunicare al corpo tale disposizione all’immortalità, da preservarlo per sempre. E questo perché evidentemente la virtù di ogni corpo è limitata. Quindi la virtù dell'albero della vita non poteva giungere a dare al corpo la capacità di durare per un tempo indefinito, ma solo per un tempo limitato. È evidente infatti che la durata degli effetti dipende dall'efficacia di una data virtù. Ora, essendo limitata la virtù dell'albero della vita, se una sola volta se ne mangiava il frutto, questo poteva preservare dalla corruzione fino a un dato tempo; trascorso il quale, l'uomo sarebbe passato alla vita beata, oppure avrebbe avuto nuovamente bisogno di mangiare dell'albero della vita.
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