[31985] Iª q. 84 a. 5 co. Respondeo dicendum quod, sicut Augustinus dicit in II de Doctr. Christ., philosophi qui vocantur, si qua forte vera et fidei nostrae accommoda dixerunt, ab eis tanquam ab iniustis possessoribus in usum nostrum vindicanda sunt. Habent enim doctrinae gentilium quaedam simulata et superstitiosa figmenta, quae unusquisque nostrum de societate gentilium exiens, debet evitare. Et ideo Augustinus, qui doctrinis Platonicorum imbutus fuerat, si qua invenit fidei accommoda in eorum dictis, assumpsit; quae vero invenit fidei nostrae adversa, in melius commutavit. Posuit autem Plato, sicut supra dictum est, formas rerum per se subsistere a materia separatas, quas ideas vocabat, per quarum participationem dicebat intellectum nostrum omnia cognoscere; ut sicut materia corporalis per participationem ideae lapidis fit lapis, ita intellectus noster per participationem eiusdem ideae cognosceret lapidem. Sed quia videtur esse alienum a fide quod formae rerum extra res per se subsistant absque materia, sicut Platonici posuerunt, dicentes per se vitam aut per se sapientiam esse quasdam substantias creatrices, ut Dionysius dicit XI cap. de Div. Nom.; ideo Augustinus, in libro octoginta trium quaest., posuit loco harum idearum quas Plato ponebat, rationes omnium creaturarum in mente divina existere, secundum quas omnia formantur, et secundum quas etiam anima humana omnia cognoscit. Cum ergo quaeritur utrum anima humana in rationibus aeternis omnia cognoscat, dicendum est quod aliquid in aliquo dicitur cognosci dupliciter. Uno modo, sicut in obiecto cognito; sicut aliquis videt in speculo ea quorum imagines in speculo resultant. Et hoc modo anima, in statu praesentis vitae, non potest videre omnia in rationibus aeternis; sed sic in rationibus aeternis cognoscunt omnia beati, qui Deum vident et omnia in ipso. Alio modo dicitur aliquid cognosci in aliquo sicut in cognitionis principio; sicut si dicamus quod in sole videntur ea quae videntur per solem. Et sic necesse est dicere quod anima humana omnia cognoscat in rationibus aeternis, per quarum participationem omnia cognoscimus. Ipsum enim lumen intellectuale quod est in nobis, nihil est aliud quam quaedam participata similitudo luminis increati, in quo continentur rationes aeternae. Unde in Psalmo IV, dicitur, multi dicunt, quis ostendit nobis bona? Cui quaestioni Psalmista respondet, dicens, signatum est super nos lumen vultus tui, domine. Quasi dicat, per ipsam sigillationem divini luminis in nobis, omnia nobis demonstrantur. Quia tamen praeter lumen intellectuale in nobis, exiguntur species intelligibiles a rebus acceptae, ad scientiam de rebus materialibus habendam; ideo non per solam participationem rationum aeternarum de rebus materialibus notitiam habemus, sicut Platonici posuerunt quod sola idearum participatio sufficit ad scientiam habendam. Unde Augustinus dicit, in IV de Trin., numquid quia philosophi documentis certissimis persuadent aeternis rationibus omnia temporalia fieri, propterea potuerunt in ipsis rationibus perspicere, vel ex ipsis colligere quot sint animalium genera, quae semina singulorum? Nonne ista omnia per locorum ac temporum historiam quaesierunt? Quod autem Augustinus non sic intellexerit omnia cognosci in rationibus aeternis, vel in incommutabili veritate, quasi ipsae rationes aeternae videantur, patet per hoc quod ipse dicit in libro octoginta trium quaest., quod rationalis anima non omnis et quaelibet, sed quae sancta et pura fuerit, asseritur illi visioni, scilicet rationum aeternarum, esse idonea; sicut sunt animae beatorum.
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[31985] Iª q. 84 a. 5 co.
RISPONDO: Fa osservare S. Agostino: "Se i cosiddetti filosofi hanno eventualmente insegnato cose vere e conformi alla nostra fede, noi dobbiamo rivendicarle da essi a nostro vantaggio, come da possessori illegittimi. Infatti le dottrine dei pagani contengono superfetazioni fallaci e superstiziose, che ciascuno di noi uscendo dal paganesimo è tenuto a schivare". Per tale motivo S. Agostino, che era stato formato alle dottrine dei platonici, quando trovava nei loro scritti delle cose conformi alla fede, le riteneva; mentre sostituiva con dottrine migliori quanto vi riscontrava di opposto alla nostra fede. Ora, Platone, come si è visto sopra, ammetteva che le forme delle cose, da lui chiamate idee, sussistono per se stesse, indipendentemente dalla materia; affermando che il nostro intelletto conosce tutte le cose mediante la partecipazione di esse. Cosicché la materia corporea sarebbe diventata pietra per causa della partecipazione dell'idea-pietra, e il nostro intelletto avrebbe conosciuto la pietra mediante la partecipazione della medesima idea. Ora, non sembra conciliabile con la fede [l'opinione] che le forme delle cose sussistano separate da esse e senza la materia, come volevano i platonici; i quali, come riferisce Dionigi, sostenevano che "la vita per se stessa", o la "sapienza per se stessa", sono sostanze creatrici. Perciò S. Agostino, invece delle idee platoniche, ammise che nella mente divina esistono le ragioni di ogni cosa creata, e che in forza di tali ragioni tutti gli esseri ricevono la loro forma, e l'anima nostra conosce tutte le cose.
Perciò quando si domanda se l'anima umana conosca tutto nelle ragioni eterne, bisogna ricordare che due sono i sensi in cui si dice che una cosa è conosciuta in un'altra. Primo, come inclusa in un oggetto conosciuto; nel modo cioè in cui chi guarda uno specchio vede in esso le cose che vi si specchiano. In tal senso l'anima, nello stato della vita presente, non può vedere le cose nelle ragioni eterne; ma questo è il modo in cui sono conosciute tutte le cose nelle ragioni eterne dai beati, i quali vedono Dio, e in lui tutte le cose. - Secondo, si può dire che una cosa è conosciuta in un'altra in quanto quest'ultima ne è il principio di conoscenza; come se si dicesse che si vede nel sole quanto si vede per mezzo del sole. In tal senso bisogna dire che l'anima conosce tutto nelle ragioni eterne, poiché in forza della loro partecipazione conosciamo tutte le cose. Infatti la stessa luce intellettuale che è in noi non è altro che un'immagine partecipata della luce increata, in cui sono contenute le ragioni eterne. Perciò nei Salmi si legge: "Molti dicono: chi ci farà vedere il bene?"; alla quale domanda così risponde il Salmista: "Qual sigillo è impressa su noi la luce del tuo volto, o Signore". Quasi per dire: Tutte le cose ci sono mostrate mediante il sigillo della luce divina che è in noi.
Ma siccome per poter avere la cognizione delle cose materiali, oltre la luce intellettuale che è in noi, sono richieste anche le specie intellettive ricevute dalle cose, non abbiamo la conoscenza delle cose materiali mediante la sola partecipazione delle ragioni eterne, come volevano i platonici, i quali pensavano che la sola partecipazione delle idee bastasse alla conoscenza. Dice in proposito S. Agostino: "Che forse i filosofi, i quali insegnano con argomenti sicurissimi che tutte le cose temporali sono fatte secondo le ragioni eterne, hanno potuto scorgere in queste medesime ragioni, oppure desumere da esse, quanti siano i generi di animali e quali i semi dei singoli esseri? Non raggiunsero forse tali nozioni attraverso l'indagine dei luoghi e dei tempi?".
Che poi S. Agostino, nell'affermare che tutte le cose sono conosciute "nelle ragioni eterne", o "nella verità incommutabile", non abbia inteso sostenere che queste ragioni sono conosciute direttamente, risulta da quanto scrive egli stesso nel libro Octoginta trium quaestionum: "Non ogni anima ragionevole, ma solo quella che è stata santa e pura", come è l'anima dei beati, "è idonea a quella visione ", cioè alla visione mediante le ragioni eterne.
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