I, 5

Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > Il bene in generale


Prima pars
Quaestio 5
Prooemium

[28408] Iª q. 5 pr.
Deinde quaeritur de bono, et primo de bono in communi; secundo de bonitate Dei. Circa primum quaeruntur sex.
Primo, utrum bonum et ens sint idem secundum rem.
Secundo, supposito quod differant ratione tantum, quid sit prius secundum rationem, utrum bonum vel ens.
Tertio, supposito quod ens sit prius, utrum omne ens sit bonum.
Quarto, ad quam causam ratio boni reducatur.
Quinto, utrum ratio boni consistat in modo, specie et ordine.
Sexto, quomodo dividatur bonum in honestum, utile et delectabile.

 
Prima parte
Questione 5
Proemio

[28408] Iª q. 5 pr.
Continuando passiamo alla questione del bene. Tratteremo:
primo, del bene in generale; secondo, della bontà di Dio. Sul primo punto poniamo sei quesiti:
1. Se il bene e l'ente si identifichino nella realtà;
2. Supposto che differiscano soltanto concettualmente, si domanda: se sia prima logicamente il bene o l'ente;
3. Supposto che l'ente sia prima, si chiede se ogni ente sia buono;
4. A quale causa si riduca la nozione di bene;
5. Se la nozione di bene consista nel modo, nella specie e nell'ordine;
6. Come il bene si divida in onesto, utile e dilettevole.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > Il bene in generale > Se il bene differisca realmente dall'ente


Prima pars
Quaestio 5
Articulus 1

[28409] Iª q. 5 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod bonum differat secundum rem ab ente. Dicit enim Boetius, in libro de Hebdom., intueor in rebus aliud esse quod sunt bona, et aliud esse quod sunt. Ergo bonum et ens differunt secundum rem.

 
Prima parte
Questione 5
Articolo 1

[28409] Iª q. 5 a. 1 arg. 1
SEMBRA che il bene differisca realmente dall'ente. Infatti:
1. Dice Boezio: "nelle cose io scorgo che altra cosa è esser buono, ed altra cosa essere". Dunque il bene e l'ente differiscono realmente.

[28410] Iª q. 5 a. 1 arg. 2
Praeterea, nihil informatur seipso. Sed bonum dicitur per informationem entis, ut habetur in commento libri de causis. Ergo bonum differt secundum rem ab ente.

 

[28410] Iª q. 5 a. 1 arg. 2
2. Niente è forma di se stesso. Ma il bene, come si ha nel libro De Causis, è determinazione formale dell'ente. Dunque il bene differisce realmente dall'ente.

[28411] Iª q. 5 a. 1 arg. 3
Praeterea, bonum suscipit magis et minus. Esse autem non suscipit magis et minus. Ergo bonum differt secundum rem ab ente.

 

[28411] Iª q. 5 a. 1 arg. 3
3. Il bene può essere maggiore o minore; l'ente no. Dunque il bene è realmente distinto dall'ente.

[28412] Iª q. 5 a. 1 s. c.
Sed contra est quod Augustinus dicit, in libro de doctrina Christiana, quod inquantum sumus, boni sumus.

 

[28412] Iª q. 5 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino dice: "In quanto siamo, siamo buoni".

[28413] Iª q. 5 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod bonum et ens sunt idem secundum rem, sed differunt secundum rationem tantum. Quod sic patet. Ratio enim boni in hoc consistit, quod aliquid sit appetibile, unde philosophus, in I Ethic., dicit quod bonum est quod omnia appetunt. Manifestum est autem quod unumquodque est appetibile secundum quod est perfectum, nam omnia appetunt suam perfectionem. Intantum est autem perfectum unumquodque, inquantum est actu, unde manifestum est quod intantum est aliquid bonum, inquantum est ens, esse enim est actualitas omnis rei, ut ex superioribus patet. Unde manifestum est quod bonum et ens sunt idem secundum rem, sed bonum dicit rationem appetibilis, quam non dicit ens.

 

[28413] Iª q. 5 a. 1 co.
RISPONDO: Il bene e l'ente si identificano secondo la realtà, ma differiscono solo secondo il concetto. Eccone la dimostrazione. La ragione di bene consiste in questo, che una cosa è desiderabile: infatti Aristotele dice che il bene è "ciò che tutte le cose desiderano". Ora è chiaro che una cosa è desiderabile nella misura che è perfetta, perché ogni cosa tende appunto a perfezionare se stessa. Ma in tanto una cosa è perfetta in quanto è in atto: e così è evidente che una cosa in tanto è buona in quanto è ente; l'essere infatti è l'attualità di ogni cosa, come appare da quanto si è detto in antecedenza. E così si dimostra che il bene e l'ente si identificano realmente; ma il bene esprime il concetto di appetibile, non espresso dall'ente.

[28414] Iª q. 5 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, licet bonum et ens sint idem secundum rem, quia tamen differunt secundum rationem, non eodem modo dicitur aliquid ens simpliciter, et bonum simpliciter. Nam cum ens dicat aliquid proprie esse in actu; actus autem proprie ordinem habeat ad potentiam; secundum hoc simpliciter aliquid dicitur ens, secundum quod primo discernitur ab eo quod est in potentia tantum. Hoc autem est esse substantiale rei uniuscuiusque; unde per suum esse substantiale dicitur unumquodque ens simpliciter. Per actus autem superadditos, dicitur aliquid esse secundum quid, sicut esse album significat esse secundum quid, non enim esse album aufert esse in potentia simpliciter, cum adveniat rei iam praeexistenti in actu. Sed bonum dicit rationem perfecti, quod est appetibile, et per consequens dicit rationem ultimi. Unde id quod est ultimo perfectum, dicitur bonum simpliciter. Quod autem non habet ultimam perfectionem quam debet habere, quamvis habeat aliquam perfectionem inquantum est actu, non tamen dicitur perfectum simpliciter, nec bonum simpliciter, sed secundum quid. Sic ergo secundum primum esse, quod est substantiale, dicitur aliquid ens simpliciter et bonum secundum quid, idest inquantum est ens, secundum vero ultimum actum dicitur aliquid ens secundum quid, et bonum simpliciter. Sic ergo quod dicit Boetius, quod in rebus aliud est quod sunt bona, et aliud quod sunt, referendum est ad esse bonum et ad esse simpliciter, quia secundum primum actum est aliquid ens simpliciter; et secundum ultimum, bonum simpliciter. Et tamen secundum primum actum est quodammodo bonum, et secundum ultimum actum est quodammodo ens.

 

[28414] Iª q. 5 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Nonostante che il bene e l'ente siano in realtà l'identica cosa, pure siccome differiscono nel loro concetto, una cosa è detta ente in senso assoluto (simpliciter), ed è detta bene in senso assoluto non alla stessa maniera. Siccome infatti ente indica che qualche cosa è propriamente in atto, e atto dice ordine alla potenza, diremo che una cosa è ente in senso pieno ed assoluto in forza di quell'elemento per cui originariamente viene a distinguersi da ciò che è solo in potenza. E questo è l'essere sostanziale di ogni realtà; quindi una cosa è detta ente in senso pieno e assoluto in forza del suo essere sostanziale. In forza degli atti sopraggiunti invece, si dice che una cosa è ente (secundum quid cioè) in qualche modo; così esser bianco significa essere in quella maniera: in realtà il fatto d'esser bianca non toglie una cosa dalla pura potenza ad esistere, dal momento che l'esser bianca viene ad aggiungersi a una realtà che preesiste già in atto. Il bene invece esprime l'idea di cosa perfetta, vale a dire desiderabile: e per conseguenza include il concetto di cosa ultimata. Perciò si chiama bene in senso pieno e assoluto ciò che si trova in possesso della sua ultima perfezione. Quello invece che non ha l'ultima perfezione che dovrebbe avere, sebbene abbia una certa perfezione in quanto è in atto, non si dice per questo perfetto in senso pieno ed assoluto, e neppure buono in senso pieno ed assoluto, ma solo buono in qualche modo. Così dunque in base all'essere primo e fondamentale, che è l'essere della sua sostanza, una cosa è detta ente in senso pieno ed assoluto e bene in qualche modo, cioè in quanto è una entità; al contrario, secondo la sua ultima attualità una cosa si dice ente in qualche modo, e buona in senso pieno ed assoluto. Quindi allorché Boezio afferma che "nelle cose altro è l'esser buone, altra cosa l'essere", si deve intendere dell'essere e del bene presi entrambi in senso pieno e assoluto: perché in forza dell'atto primo e fondamentale una cosa è ente in senso pieno e assoluto, ed è invece bene in tal senso in forza del suo atto ultimo. Al contrario, in forza della sua prima attualità è bene solo in qualche maniera, e in forza della sua ultima e perfetta attualità è solo in qualche modo ente.

[28415] Iª q. 5 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod bonum dicitur per informationem, prout accipitur bonum simpliciter, secundum ultimum actum.

 

[28415] Iª q. 5 a. 1 ad 2
2. Si può dire che il bene è come una forma nuova, in quanto si considera il bene in senso pieno e assoluto il quale consiste nell'ultima attualità.

[28416] Iª q. 5 a. 1 ad 3
Et similiter dicendum ad tertium, quod bonum dicitur secundum magis et minus, secundum actum supervenientem; puta secundum scientiam vel virtutem.

 

[28416] Iª q. 5 a. 1 ad 3
3. Ugualmente si risponde alla terza difficoltà; che cioè il bene può dirsi maggiore o minore in base alle attualità (o perfezioni) aggiunte, come potrebbero essere la scienza o la virtù.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > Il bene in generale > Se il bene concettualmente sia prima dell'ente


Prima pars
Quaestio 5
Articulus 2

[28417] Iª q. 5 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod bonum secundum rationem sit prius quam ens. Ordo enim nominum est secundum ordinem rerum significatarum per nomina. Sed Dionysius, inter alia nomina Dei, prius ponit bonum quam ens, ut patet, in III cap. de Div. Nom. Ergo bonum secundum rationem est prius quam ens.

 
Prima parte
Questione 5
Articolo 2

[28417] Iª q. 5 a. 2 arg. 1
SEMBRA che il bene concettualmente sia anteriore all'ente. Infatti:
1. L'ordine dei nomi segue l'ordine delle cose espresse dai nomi. Ora Dionigi tra i nomi di Dio, pone il bene prima dell'ente. Dunque il bene concettualmente è anteriore all'ente.

[28418] Iª q. 5 a. 2 arg. 2
Praeterea, illud est prius secundum rationem, quod ad plura se extendit. Sed bonum ad plura se extendit quam ens, quia, ut dicit Dionysius, V cap. de Div. Nom., bonum se extendit ad existentia et non existentia, ens vero ad existentia tantum. Ergo bonum est prius secundum rationem quam ens.

 

[28418] Iª q. 5 a. 2 arg. 2
2. È prima secondo l'ordine di ragione ciò che si estende ad un numero maggiore di oggetti. Ora, il bene ha un'estensione maggiore dell'ente; perché, al dire di Dionigi, "il bene si estende alle cose esistenti e a quelle non esistenti, mentre l'ente si estende alle sole esistenti". Dunque il bene razionalmente è prima dell'ente.

[28419] Iª q. 5 a. 2 arg. 3
Praeterea, quod est universalius, est prius secundum rationem. Sed bonum videtur universalius esse quam ens, quia bonum habet rationem appetibilis; quibusdam autem appetibile est ipsum non esse; dicitur enim, Matth. XXVI, de Iuda, bonum erat ei, si natus non fuisset et cetera. Ergo bonum est prius quam ens, secundum rationem.

 

[28419] Iª q. 5 a. 2 arg. 3
3. Ciò che è più universale ha una priorità di ragione. Ora, il bene pare che sia più universale dell'ente, perché il bene si presenta come appetibile, e per alcuni è desiderabile perfino il non esistere, come si afferma di Giuda: "sarebbe stato meglio per quest'uomo che non fosse mai nato". Dunque il bene razionalmente è prima dell'ente.

[28420] Iª q. 5 a. 2 arg. 4
Praeterea, non solum esse est appetibile, sed et vita et sapientia, et multa huiusmodi, et sic videtur quod esse sit quoddam particulare appetibile, et bonum, universale. Bonum ergo simpliciter est prius secundum rationem quam ens.

 

[28420] Iª q. 5 a. 2 arg. 4
4. Non l'essere soltanto è desiderabile, ma anche la vita e la sapienza e tante altre cose del genere: di qui appare che l'essere è un desiderabile particolare, mentre il bene è il desiderabile nella sua universalità. Dunque il bene nel suo concetto è assolutamente anteriore all'essere.

[28421] Iª q. 5 a. 2 s. c.
Sed contra est quod dicitur in libro de causis, quod prima rerum creatarum est esse.

 

[28421] Iª q. 5 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: È detto nel libro De Causis che "l'essere è la prima delle cose create".

[28422] Iª q. 5 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod ens secundum rationem est prius quam bonum. Ratio enim significata per nomen, est id quod concipit intellectus de re, et significat illud per vocem, illud ergo est prius secundum rationem, quod prius cadit in conceptione intellectus. Primo autem in conceptione intellectus cadit ens, quia secundum hoc unumquodque cognoscibile est, inquantum est actu, ut dicitur in IX Metaphys. Unde ens est proprium obiectum intellectus, et sic est primum intelligibile, sicut sonus est primum audibile. Ita ergo secundum rationem prius est ens quam bonum.

 

[28422] Iª q. 5 a. 2 co.
RISPONDO: L'ente concettualmente è prima del bene. Infatti il significato letterale del nome (che noi diamo a una cosa) è ciò che l'intelletto concepisce della medesima, e che esprime mediante la parola: perciò è primo, come concetto, ciò che per primo cade sotto la concezione della nostra intelligenza. Ora, nel concepire che fa la nostra intelligenza in primo luogo viene l'ente; perché, come dice Aristotele, una cosa è conoscibile in quanto è in atto. Cosicché l'ente è l'oggetto proprio dell'intelligenza: e quindi è il primo intelligibile, come il suono è il primo oggetto dell'udito. Così dunque l'essere precede concettualmente il bene.

[28423] Iª q. 5 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod Dionysius determinat de divinis nominibus secundum quod important circa Deum habitudinem causae, nominamus enim Deum, ut ipse dicit, ex creaturis, sicut causam ex effectibus. Bonum autem, cum habeat rationem appetibilis, importat habitudinem causae finalis, cuius causalitas prima est, quia agens non agit nisi propter finem, et ab agente materia movetur ad formam, unde dicitur quod finis est causa causarum. Et sic, in causando, bonum est prius quam ens, sicut finis quam forma, et hac ratione, inter nomina significantia causalitatem divinam, prius ponitur bonum quam ens. Et iterum quia, secundum Platonicos, qui, materiam a privatione non distinguentes, dicebant materiam esse non ens, ad plura se extendit participatio boni quam participatio entis. Nam materia prima participat bonum, cum appetat ipsum (nihil autem appetit nisi simile sibi), non autem participat ens, cum ponatur non ens. Et ideo dicit Dionysius quod bonum extenditur ad non existentia.

 

[28423] Iª q. 5 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Dionigi tratta dei nomi di Dio in quanto implicano un rapporto di causalità riguardo a Dio: noi, infatti, come egli osserva, nominiamo Dio (partendo) dalle creature, come si parte dagli effetti (per denominare) la causa. Ora, il bene, presentandosi come desiderabile, richiama l'idea di causa finale; il cui influsso ha un primato, perché l'agente non opera se non in vista del fine, e dall'agente la materia viene disposta alla forma; perciò si dice che il fine è la causa delle cause. E così, nel causare, il bene è prima dell'ente, come il fine è prima della forma; ed è per questo motivo che tra i nomi esprimenti la divina causalità, si mette il bene prima dell'essere. - Bisogna anche osservare che secondo i Platonici (e tale era Dionigi) - i quali, identificando la materia con la privazione, dicevano la materia essere un non-ente - la partecipazione del bene sarebbe più estesa della partecipazione dell'essere. E infatti la materia prima partecipa il bene, perché lo appetisce (e nessuna cosa appetisce se non ciò che le somiglia), ma non partecipa l'essere, perché, a detta dei Platonici, è un non-ente. Ed è per questo che Dionigi dice che "il bene si estende ai non esistenti".

[28424] Iª q. 5 a. 2 ad 2
Unde patet solutio ad secundum. Vel dicendum quod bonum extenditur ad existentia et non existentia, non secundum praedicationem, sed secundum causalitatem, ut per non existentia intelligamus, non ea simpliciter quae penitus non sunt, sed ea quae sunt in potentia et non in actu, quia bonum habet rationem finis, in quo non solum quiescunt quae sunt in actu, sed ad ipsum etiam ea moventur quae in actu non sunt sed in potentia tantum. Ens autem non importat habitudinem causae nisi formalis tantum, vel inhaerentis vel exemplaris, cuius causalitas non se extendit nisi ad ea quae sunt in actu.

 

[28424] Iª q. 5 a. 2 ad 2
2. Così abbiamo dato anche la soluzione della seconda difficoltà. - Oppure si può anche dire che il bene si estende alle cose esistenti ed alle non esistenti, non quale attributo intrinseco, ma per relazioni di causalità; in maniera che per non esistenti non si devono intendere delle cose che non esistono affatto, ma cose che sono in potenza e non in atto; poiché il bene importa l'idea di fine, il quale fine non solo è raggiunto dalle cose in atto, ma attrae verso di sé anche le cose che non sono in atto ma solo in potenza. L'ente, viceversa, non dice relazione che di causa formale, intrinseca o esemplare; e tale causalità non si estende se non alle cose esistenti in atto.

[28425] Iª q. 5 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod non esse secundum se non est appetibile, sed per accidens, inquantum scilicet ablatio alicuius mali est appetibilis, quod malum quidem aufertur per non esse. Ablatio vero mali non est appetibilis, nisi inquantum per malum privatur quodam esse. Illud igitur quod per se est appetibile, est esse, non esse vero per accidens tantum, inquantum scilicet quoddam esse appetitur, quo homo non sustinet privari. Et sic etiam per accidens non esse dicitur bonum.

 

[28425] Iª q. 5 a. 2 ad 3
3. Il non essere non è appetibile di per sé, ma solo indirettamente, cioè in quanto è desiderabile la distruzione di un male, il quale male è eliminato dal non-essere. La distruzione del male poi non è desiderabile se non in quanto il male ci priva di un certo essere. Quindi ciò che è di per sé appetibile è l'essere: il non-essere è appetibile solo indirettamente, in quanto si desidera un certo essere, di cui l'uomo non sa sopportare la privazione. E così, anche il non essere si può dire bene in modo indiretto.

[28426] Iª q. 5 a. 2 ad 4
Ad quartum dicendum quod vita et scientia, et alia huiusmodi, sic appetuntur ut sunt in actu, unde in omnibus appetitur quoddam esse. Et sic nihil est appetibile nisi ens, et per consequens nihil est bonum nisi ens.

 

[28426] Iª q. 5 a. 2 ad 4
4. La vita, il sapere e gli altri beni, si desiderano in quanto sono in atto: perciò in tutte le cose si desidera un certo essere. E così niente è desiderabile all'infuori di ciò che è: conseguentemente all'infuori dell'ente, niente è buono.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > Il bene in generale > Se ogni ente sia buono


Prima pars
Quaestio 5
Articulus 3

[28427] Iª q. 5 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod non omne ens sit bonum. Bonum enim addit supra ens, ut ex dictis patet. Ea vero quae addunt aliquid supra ens, contrahunt ipsum, sicut substantia, quantitas, qualitas, et alia huiusmodi. Ergo bonum contrahit ens. Non igitur omne ens est bonum.

 
Prima parte
Questione 5
Articolo 3

[28427] Iª q. 5 a. 3 arg. 1
SEMBRA che non ogni ente sia buono. Infatti:
1. Il bene aggiunge qualche cosa all'ente, come risulta dal già detto. Ora, ciò che aggiunge qualche cosa all'ente, lo coarta, ne restringe il significato: come fanno la sostanza, la quantità, la qualità e simili. Quindi il bene restringe l'ente, e perciò non ogni ente è buono.

[28428] Iª q. 5 a. 3 arg. 2
Praeterea, nullum malum est bonum, Isaiae V, vae qui dicitis malum bonum, et bonum malum. Sed aliquod ens dicitur malum. Ergo non omne ens est bonum.

 

[28428] Iª q. 5 a. 3 arg. 2
2. Nessun male è buono; sta scritto infatti in Isaia: "Guai a voi che dite male il bene e bene il male". Ora, alcuni enti si dicono cattivi. Dunque non ogni ente è buono.

[28429] Iª q. 5 a. 3 arg. 3
Praeterea, bonum habet rationem appetibilis. Sed materia prima non habet rationem appetibilis, sed appetentis tantum. Ergo materia prima non habet rationem boni. Non igitur omne ens est bonum.

 

[28429] Iª q. 5 a. 3 arg. 3
3. Il bene nel suo concetto dice appetibilità. Ora, la materia prima non dice appetibilità, ma appetito o tendenza (poiché tende all'atto o alla forma come ogni potenzialità). Perciò non presenta la natura di bene. Quindi non ogni ente è buono.

[28430] Iª q. 5 a. 3 arg. 4
Praeterea, philosophus dicit, in III Metaphys., quod in mathematicis non est bonum. Sed mathematica sunt quaedam entia, alioquin de eis non esset scientia. Ergo non omne ens est bonum.

 

[28430] Iª q. 5 a. 3 arg. 4
4. Dice Aristotele che nelle entità matematiche non esiste il bene. Ma anche le entità matematiche sono enti, altrimenti di esse non avremmo una scienza. Dunque non ogni ente è buono.

[28431] Iª q. 5 a. 3 s. c.
Sed contra, omne ens quod non est Deus, est Dei creatura. Sed omnis creatura Dei est bona, ut dicitur I ad Tim., IV cap., Deus vero est maxime bonus. Ergo omne ens est bonum.

 

[28431] Iª q. 5 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: Ogni essere che non è Dio, è creatura di Dio. Ma "ogni cosa creata da Dio è buona" come si legge nella Scrittura. Dio poi è sommamente buono. Dunque ogni ente è buono.

[28432] Iª q. 5 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod omne ens, inquantum est ens, est bonum. Omne enim ens, inquantum est ens, est in actu, et quodammodo perfectum, quia omnis actus perfectio quaedam est. Perfectum vero habet rationem appetibilis et boni, ut ex dictis patet. Unde sequitur omne ens, inquantum huiusmodi, bonum esse.

 

[28432] Iª q. 5 a. 3 co.
RISPONDO: Ogni ente, in quanto ente, è buono. Infatti ogni ente, in quanto ente, è in atto, e in qualche modo perfetto; perché ogni atto è una perfezione. Ora, il perfetto ha ragione di appetibile e di bene, come si è dimostrato sopra. Conseguentemente ogni ente, in quanto tale, è buono.

[28433] Iª q. 5 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod substantia, quantitas et qualitas, et ea quae sub eis continentur, contrahunt ens applicando ens ad aliquam quidditatem seu naturam. Sic autem non addit aliquid bonum super ens, sed rationem tantum appetibilis et perfectionis, quod convenit ipsi esse in quacumque natura sit. Unde bonum non contrahit ens.

 

[28433] Iª q. 5 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La sostanza, la quantità e la qualità e tutto ciò che si trova contenuto sotto questi generi, restringono l'ente applicandolo a qualche quiddità o natura. Non così fa il bene rispetto all'ente; ma gli aggiunge soltanto l'idea di appetibile e di perfezione, e ciò compete allo stesso essere in qualsiasi natura si trovi. Dunque il bene non restringe l'ente.

[28434] Iª q. 5 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod nullum ens dicitur malum inquantum est ens, sed inquantum caret quodam esse, sicut homo dicitur malus inquantum caret esse virtutis, et oculus dicitur malus inquantum caret acumine visus.

 

[28434] Iª q. 5 a. 3 ad 2
2. Nessun ente si dice cattivo in quanto ente, ma in quanto mancante di un certo essere: così l'uomo si dice cattivo perché gli manca l'entità virtù: e l'occhio si dice cattivo quando è mancante dell'acume della vista.

[28435] Iª q. 5 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod materia prima, sicut non est ens nisi in potentia, ita nec bonum nisi in potentia. Licet, secundum Platonicos, dici possit quod materia prima est non ens, propter privationem adiunctam. Sed tamen participat aliquid de bono, scilicet ipsum ordinem vel aptitudinem ad bonum. Et ideo non convenit sibi quod sit appetibile, sed quod appetat.

 

[28435] Iª q. 5 a. 3 ad 3
3. La materia prima come non è ente se non in potenza, così non è bene se non potenzialmente. Dal punto di vista dei Platonici si potrebbe anche dire che la materia prima è un non-ente a motivo della privazione che include; ma anche così intesa partecipa qualche cosa del bene, cioè l'orientamento e l'attitudine al bene. E proprio per questo non le compete d'essere appetibile, ma piuttosto di appetire essa stessa.

[28436] Iª q. 5 a. 3 ad 4
Ad quartum dicendum quod mathematica non subsistunt separata secundum esse, quia si subsisterent, esset in eis bonum, scilicet ipsum esse ipsorum. Sunt autem mathematica separata secundum rationem tantum, prout abstrahuntur a motu et a materia, et sic abstrahuntur a ratione finis, qui habet rationem moventis. Non est autem inconveniens quod in aliquo ente secundum rationem non sit bonum vel ratio boni, cum ratio entis sit prior quam ratio boni, sicut supra dictum est.

 

[28436] Iª q. 5 a. 3 ad 4
4. Le entità matematiche (numeri, punti, linee, triangoli, ecc.) non sussistono separate nella realtà, ché se sussistessero, ci sarebbe in esse il bene, cioè il loro stesso essere reale. Le entità matematiche poi non esistono separate dalle cose se non per un atto della ragione, in quanto cioè sono (concepite come) astratte dal moto e dalla materia; e in tal modo sono sottratte alla ragione di fine, il quale di sua natura è principio movente. E non c'è niente di strano che in qualche essere, idealmente, manchi il bene o l'aspetto caratteristico di bene, quando sappiamo che l'idea di ente è anteriore all'idea di bene, come già si disse.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > Il bene in generale > Se il bene abbia il carattere di causa finale


Prima pars
Quaestio 5
Articulus 4

[28437] Iª q. 5 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod bonum non habeat rationem causae finalis, sed magis aliarum. Ut enim dicit Dionysius, IV cap. de Div. Nom., bonum laudatur ut pulchrum. Sed pulchrum importat rationem causae formalis. Ergo bonum habet rationem causae formalis.

 
Prima parte
Questione 5
Articolo 4

[28437] Iª q. 5 a. 4 arg. 1
SEMBRA che il bene più che di causa finale rivesta il carattere di altre cause. Infatti: 1. Dice Dionigi: "Il bene è lodato come bellezza". Ora, il bello appartiene alla causa formale. Dunque anche il bene.

[28438] Iª q. 5 a. 4 arg. 2
Praeterea, bonum est diffusivum sui esse, ut ex verbis Dionysii accipitur, quibus dicit quod bonum est ex quo omnia subsistunt et sunt. Sed esse diffusivum importat rationem causae efficientis. Ergo bonum habet rationem causae efficientis.

 

[28438] Iª q. 5 a. 4 arg. 2
2. Il bene è diffusivo del suo essere, come abbiamo dalle parole di Dionigi, dove dice che "il bene è ciò da cui deriva che le cose sussistono e sono". Ora, essere diffusivo è proprio della causa efficiente. Dunque il bene ha il carattere di causa efficiente.

[28439] Iª q. 5 a. 4 arg. 3
Praeterea, dicit Augustinus in I de Doctr. Christ., quod quia Deus bonus est, nos sumus. Sed ex Deo sumus sicut ex causa efficiente. Ergo bonum importat rationem causae efficientis.

 

[28439] Iª q. 5 a. 4 arg. 3
3. S. Agostino afferma che "noi esistiamo perché Dio è buono". Ora, noi siamo da Dio come da causa efficiente. Dunque il bene ha il carattere di causa efficiente.

[28440] Iª q. 5 a. 4 s. c.
Sed contra est quod philosophus dicit, in II Physic., quod illud cuius causa est, est sicut finis et bonum aliorum. Bonum ergo habet rationem causae finalis.

 

[28440] Iª q. 5 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Aristotele dice che "lo scopo per cui una cosa esiste è come il fine ed il bene di tutto il resto". Quindi il bene ha carattere di causa finale.

[28441] Iª q. 5 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod, cum bonum sit quod omnia appetunt, hoc autem habet rationem finis; manifestum est quod bonum rationem finis importat. Sed tamen ratio boni praesupponit rationem causae efficientis, et rationem causae formalis. Videmus enim quod id quod est primum in causando, ultimum est in causato, ignis enim primo calefacit quam formam ignis inducat, cum tamen calor in igne consequatur formam substantialem. In causando autem, primum invenitur bonum et finis, qui movet efficientem; secundo, actio efficientis, movens ad formam; tertio advenit forma. Unde e converso esse oportet in causato, quod primum sit ipsa forma, per quam est ens; secundo consideratur in ea virtus effectiva, secundum quod est perfectum in esse (quia unumquodque tunc perfectum est, quando potest sibi simile facere, ut dicit philosophus in IV Meteor.); tertio consequitur ratio boni, per quam in ente perfectio fundatur.

 

[28441] Iª q. 5 a. 4 co.
RISPONDO: Bene si dice quanto è comunque desiderato, e ciò implica l'idea di fine; è evidente quindi che il bene presenta il carattere di causa finale. Nondimeno l'idea di bene presuppone l'idea di causa efficiente e quella di causa formale. Noi infatti vediamo che le cose riscontrate come prime nel causare sono le ultime nel causato: p. es., il fuoco, prima di comunicare la sua natura di fuoco, riscalda, sebbene il calore nel fuoco sia dovuto alla sua forma sostanziale. Ora, nell'ordine delle cause, prima si riscontra il bene - il fine - che mette in movimento la causa efficiente; poi, viene l'azione della causa efficiente, che muove alla (nuova) forma; finalmente si ha (nel soggetto) la forma. Nell'effetto causato invece si ha un ordine inverso; cioè, prima si ha la forma, che costituisce l'essere; poi, in questa forma si riscontra una virtù attiva, che appartiene all'essere perfetto (perché, come insegna Aristotele, una cosa è perfetta quando può produrre il suo simile): finalmente segue la ragione di bene, su cui si fonda la perfezione dell'ente.

[28442] Iª q. 5 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod pulchrum et bonum in subiecto quidem sunt idem, quia super eandem rem fundantur, scilicet super formam, et propter hoc, bonum laudatur ut pulchrum. Sed ratione differunt. Nam bonum proprie respicit appetitum, est enim bonum quod omnia appetunt. Et ideo habet rationem finis, nam appetitus est quasi quidam motus ad rem. Pulchrum autem respicit vim cognoscitivam, pulchra enim dicuntur quae visa placent. Unde pulchrum in debita proportione consistit, quia sensus delectatur in rebus debite proportionatis, sicut in sibi similibus; nam et sensus ratio quaedam est, et omnis virtus cognoscitiva. Et quia cognitio fit per assimilationem, similitudo autem respicit formam, pulchrum proprie pertinet ad rationem causae formalis.

 

[28442] Iª q. 5 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ. 1. Veramente il bello ed il buono nel soggetto in cui esistono si identificano, perché fondati tutti e due sulla medesima cosa, cioè sulla forma; e per questo il bene viene lodato come bellezza. Ma nel loro concetto proprio differiscono. Il bene riguarda la facoltà appetitiva, essendo il bene ciò che ogni ente appetisce, e quindi ha il carattere di fine, poiché l'appetire è come un muoversi verso una cosa. Il bello, invece, riguarda la facoltà conoscitiva; belle infatti sono dette quelle cose che viste destano piacere. Per cui il bello consiste nella debita proporzione; poiché i nostri sensi si dilettano nelle cose ben proporzionate, come in qualche cosa di simile a loro; il senso infatti come ogni altra facoltà conoscitiva, è una specie di proporzione. E poiché la conoscenza si fa per assimilazione, e la somiglianza d'altra parte riguarda la forma, il bello propriamente si ricollega all'idea di causa formale.

[28443] Iª q. 5 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod bonum dicitur diffusivum sui esse, eo modo quo finis dicitur movere.

 

[28443] Iª q. 5 a. 4 ad 2
2. Si dice che il bene tende a diffondere il proprio essere (non come causa agente ma) nel senso stesso in cui si dice che il fine muove.

[28444] Iª q. 5 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod quilibet habens voluntatem, dicitur bonus inquantum habet bonam voluntatem, quia per voluntatem utimur omnibus quae in nobis sunt. Unde non dicitur bonus homo, qui habet bonum intellectum, sed qui habet bonam voluntatem. Voluntas autem respicit finem ut obiectum proprium, et sic, quod dicitur, quia Deus est bonus, sumus, refertur ad causam finalem.

 

[28444] Iª q. 5 a. 4 ad 3
3. L'agente volontario (p. es., l'uomo) si dice buono in quanto ha la volontà buona, perché noi facciamo uso di tutto quello che è in noi mediante la volontà. Quindi non si dice buono un uomo che ha buona intelligenza, ma un uomo che ha buona la volontà. Ora, la volontà ha per proprio oggetto il fine; e quindi la frase (di S. Agostino) "noi esistiamo perché Dio è buono" si riferisce alla causa finale.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > Il bene in generale > Se la natura del bene consista nel modo, nella specie e nell'ordine


Prima pars
Quaestio 5
Articulus 5

[28445] Iª q. 5 a. 5 arg. 1
Ad quintum sic proceditur. Videtur quod ratio boni non consistat in modo, specie et ordine. Bonum enim et ens ratione differunt, ut supra dictum est. Sed modus, species et ordo pertinere ad rationem entis videntur, quia, sicut dicitur Sap. XI, omnia in numero, pondere et mensura disposuisti, ad quae tria reducuntur species, modus et ordo, quia, ut dicit Augustinus, IV super Gen. ad litteram, mensura omni rei modum praefigit, et numerus omni rei speciem praebet, et pondus omnem rem ad quietem et stabilitatem trahit. Ergo ratio boni non consistit in modo, specie et ordine.

 
Prima parte
Questione 5
Articolo 5

[28445] Iª q. 5 a. 5 arg. 1
SEMBRA che la natura propria del bene non consista nel modo, nella specie e nell'ordine. Infatti:
1. Il bene e l'ente concettualmente differiscono, come è già stato detto. Ora, modo, specie e ordine sembrano piuttosto appartenere al concetto di ente, poiché si dice nella Scrittura: "tutte le cose (o enti) hai disposto in misura, numero e peso"; e a questi tre elementi si riducono il modo, la specie e l'ordine, come spiega lo stesso S. Agostino, il quale appunto scrive: "La misura determina a ciascuna cosa il suo modo; il numero offre a ogni cosa la sua specie; e il peso trae ogni cosa al suo riposo e alla sua stabilità". Dunque non l'essenza del bene consiste nel modo, nella specie e nell'ordine.

[28446] Iª q. 5 a. 5 arg. 2
Praeterea, ipse modus, species et ordo bona quaedam sunt. Si ergo ratio boni consistit in modo, specie et ordine, oportet etiam quod modus habeat modum, speciem et ordinem, et similiter species et ordo. Ergo procederetur in infinitum.

 

[28446] Iª q. 5 a. 5 arg. 2
2. Modo, specie ed ordine sono anch'essi dei beni. Se dunque il bene consiste nel modo, nella specie e nell'ordine, bisogna che ognuna di queste cose abbia e modo e specie e ordine. Si andrebbe così all'infinito.

[28447] Iª q. 5 a. 5 arg. 3
Praeterea, malum est privatio modi et speciei et ordinis. Sed malum non tollit totaliter bonum. Ergo ratio boni non consistit in modo, specie et ordine.

 

[28447] Iª q. 5 a. 5 arg. 3
3. Il male consiste nella privazione del modo, della specie e dell'ordine. Ora, il male non toglie totalmente il bene. Dunque il bene non consiste nel modo, nella specie e nell'ordine.

[28448] Iª q. 5 a. 5 arg. 4
Praeterea, illud in quo consistit ratio boni, non potest dici malum. Sed dicitur malus modus, mala species, malus ordo. Ergo ratio boni non consistit in modo, specie et ordine.

 

[28448] Iª q. 5 a. 5 arg. 4
4. Non può dirsi cattivo ciò che forma l'essenza del bene. Ora, si dice: malo modo, cattiva specie, ordine difettoso. In essi dunque non può consistere l'essenza del bene.

[28449] Iª q. 5 a. 5 arg. 5
Praeterea, modus, species et ordo ex pondere, numero et mensura causantur, ut ex auctoritate Augustini inducta patet. Non autem omnia bona habent pondus, numerum et mensuram, dicit enim Ambrosius, in Hexaemeron, quod lucis natura est, ut non in numero, non in pondere, non in mensura creata sit. Non ergo ratio boni consistit in modo, specie et ordine.

 

[28449] Iª q. 5 a. 5 arg. 5
5. Modo, specie e ordine, derivano dal peso, dal numero e dalla misura com'è evidente dal brano citato di S. Agostino. Ora, non tutte le cose buone hanno numero, peso e misura; S. Ambrogio infatti dice che "la natura della luce consiste nel non essere stata creata in numero, peso e misura". Dunque il bene non consiste nel modo, nella specie e nell'ordine.

[28450] Iª q. 5 a. 5 s. c.
Sed contra est quod dicit Augustinus, in libro de natura boni, haec tria, modus, species et ordo, tanquam generalia bona sunt in rebus a Deo factis, et ita, haec tria ubi magna sunt, magna bona sunt; ubi parva, parva bona sunt; ubi nulla, nullum bonum est. Quod non esset, nisi ratio boni in eis consisteret. Ergo ratio boni consistit in modo, specie et ordine.

 

[28450] Iª q. 5 a. 5 s. c.
IN CONTRARIO: Scrive S. Agostino: "Queste tre cose: il modo, la specie e l'ordine sono come dei beni generali nelle cose fatte da Dio: per cui, dove queste tre cose sono grandi, vi sono grandi beni; dove piccole, piccoli beni; dove non ci sono, non c'è alcun bene". Ciò non sarebbe se in esse non consistesse l'essenza del bene. Dunque il bene consiste nel modo, nella specie e nell'ordine.

[28451] Iª q. 5 a. 5 co.
Respondeo dicendum quod unumquodque dicitur bonum, inquantum est perfectum, sic enim est appetibile, ut supra dictum est. Perfectum autem dicitur, cui nihil deest secundum modum suae perfectionis. Cum autem unumquodque sit id quod est, per suam formam; forma autem praesupponit quaedam, et quaedam ad ipsam ex necessitate consequuntur; ad hoc quod aliquid sit perfectum et bonum, necesse est quod formam habeat, et ea quae praeexiguntur ad eam, et ea quae consequuntur ad ipsam. Praeexigitur autem ad formam determinatio sive commensuratio principiorum, seu materialium, seu efficientium ipsam, et hoc significatur per modum, unde dicitur quod mensura modum praefigit. Ipsa autem forma significatur per speciem, quia per formam unumquodque in specie constituitur. Et propter hoc dicitur quod numerus speciem praebet, quia definitiones significantes speciem sunt sicut numeri, secundum philosophum in VIII Metaphys.; sicut enim unitas addita vel subtracta variat speciem numeri, ita in definitionibus differentia apposita vel subtracta. Ad formam autem consequitur inclinatio ad finem, aut ad actionem, aut ad aliquid huiusmodi, quia unumquodque, inquantum est actu, agit, et tendit in id quod sibi convenit secundum suam formam. Et hoc pertinet ad pondus et ordinem. Unde ratio boni, secundum quod consistit in perfectione, consistit etiam in modo, specie et ordine.

 

[28451] Iª q. 5 a. 5 co.
RISPONDO: Una cosa è detta buona nella misura che è perfetta, perché per questo è desiderabile, come si è dimostrato sopra. Perfetto infatti è ciò cui niente manca stando al modo della sua perfezione. Siccome poi ogni essere è quello che è in forza della sua forma, e siccome ogni forma ha i suoi presupposti e le sue conseguenze necessarie; affinché una cosa sia perfetta e buona è necessario che abbia la sua forma, i prerequisiti di essa e ciò che ne deriva. Ora, ogni forma preesige l'esatta determinazione o commensurazione dei suoi principi tanto materiali che efficienti; e ciò viene espresso dal modo: per cui si dice che la misura predetermina il modo. La forma stessa è indicata dalla specie, perché mediante la forma ogni cosa è costituita nella sua specie. E per questo si dice che il numero fornisce la specie; perché, al dire di Aristotele, le definizioni che esprimono la specie sono come i numeri: come infatti un'unità aggiunta o sottratta cambia la specie del numero, così nelle definizioni una differenza aggiunta o sottratta (cambia la specie della cosa definita). Dalla forma poi deriva la tendenza al fine, o all'azione o ad altre cose di questo genere; perché ogni essere agisce in quanto è in atto, e tende verso ciò che gli si confà secondo la sua forma. Tutto ciò è indicato dal peso e dall'ordine. Cosicché la nozione di bene, come consiste nella perfezione, consiste pure nel modo, nella specie e nell'ordine.

[28452] Iª q. 5 a. 5 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod ista tria non consequuntur ens, nisi inquantum est perfectum, et secundum hoc est bonum.

 

[28452] Iª q. 5 a. 5 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ. 1. Queste tre cose (numero, peso e misura) non accompagnano l'ente se non in quanto è perfetto: e sotto quest'aspetto l'ente è buono o bene.

[28453] Iª q. 5 a. 5 ad 2
Ad secundum dicendum quod modus, species et ordo eo modo dicuntur bona, sicut et entia, non quia ipsa sint quasi subsistentia, sed quia eis alia sunt et entia et bona. Unde non oportet quod ipsa habeant aliqua alia, quibus sint bona. Non enim sic dicuntur bona, quasi formaliter aliis sint bona; sed quia ipsis formaliter aliqua sunt bona; sicut albedo non dicitur ens quia ipsa aliquo sit, sed quia ipsa aliquid est secundum quid, scilicet album.

 

[28453] Iª q. 5 a. 5 ad 2
2. Modo, specie e ordine si dicono beni nella stessa maniera che si dicono enti: non perché essi siano realtà sussistenti, ma perché per mezzo di essi altre cose sono enti e beni. Quindi non è necessario che essi abbiano altri principi per esser buoni. Infatti non son detti buoni come se formalmente fossero buoni per mezzo di altri principi; ma perché per mezzo di essi certe cose sono formalmente buone; come la bianchezza, p. es., non si dice che è un'entità perché è costituita da qualche cosa, ma perché per mezzo di essa una cosa ha un certo modo di essere, vale a dire è bianca.

[28454] Iª q. 5 a. 5 ad 3
Ad tertium dicendum quod quodlibet esse est secundum formam aliquam, unde secundum quodlibet esse rei, consequuntur ipsam modus, species et ordo, sicut homo habet speciem, modum et ordinem, inquantum est homo; et similiter inquantum est albus, habet similiter modum, speciem et ordinem; et inquantum est virtuosus, et inquantum est sciens, et secundum omnia quae de ipso dicuntur. Malum autem privat quodam esse, sicut caecitas privat esse visus, unde non tollit omnem modum, speciem et ordinem; sed solum modum, speciem et ordinem quae consequuntur esse visus.

 

[28454] Iª q. 5 a. 5 ad 3
3. Ogni essere è costituito secondo una certa forma, e perciò a seconda del vario modo di essere di ciascuna cosa, vi sarà un modo, una specie, un ordine: così, un uomo, in quanto uomo, ha un modo, una specie, un ordine; ugualmente in quanto bianco ha una specie, un modo e un ordine; così pure in quanto è virtuoso e sapiente, e così per ogni altro suo attributo. Ora, il male priva di un certo essere, p. es., la cecità priva dell'entità della vista: perciò non toglie ogni modo, specie e ordine, ma soltanto il modo, la specie e l'ordine propri dell'entità della vista.

[28455] Iª q. 5 a. 5 ad 4
Ad quartum dicendum quod, sicut dicit Augustinus in libro de natura boni, omnis modus, inquantum modus, bonus est (et sic potest dici de specie et ordine), sed malus modus, vel mala species, vel malus ordo, aut ideo dicuntur quia minora sunt quam esse debuerunt; aut quia non his rebus accommodantur, quibus accommodanda sunt; ut ideo dicantur mala, quia sunt aliena et incongrua.

 

[28455] Iª q. 5 a. 5 ad 4
4. Come spiega S. Agostino: "Ogni modo, in quanto modo, è buono" (e altrettanto può dirsi della specie e dell'ordine); (perciò quando si dice:) "malo modo, cattiva specie, ordine difettoso, si vuole soltanto dire o che in un dato soggetto non ci sono in quel grado in cui ci dovrebbero essere, o che non sono adattati a quelle cose alle quali devono essere adattati; cosicché (modo, specie e ordine) si dicono cattivi perché sono fuori di posto e sconvenienti".

[28456] Iª q. 5 a. 5 ad 5
Ad quintum dicendum quod natura lucis dicitur esse sine numero et pondere et mensura, non simpliciter, sed per comparationem ad corporalia, quia virtus lucis ad omnia corporalia se extendit, inquantum est qualitas activa primi corporis alterantis, scilicet caeli.

 

[28456] Iª q. 5 a. 5 ad 5
5. La luce è detta da S. Ambrogio senza numero, senza peso e misura, non in senso assoluto, ma in confronto ad altri corpi, perché essa si estende a tutti i corpi; essendo una qualità attiva del primo corpo alterante, cioè del cielo.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > Il bene in generale > Se il bene sia diviso convenientemente in bene onesto, utile e dilettevole


Prima pars
Quaestio 5
Articulus 6

[28457] Iª q. 5 a. 6 arg. 1
Ad sextum sic proceditur. Videtur quod non convenienter dividatur bonum per honestum, utile et delectabile. Bonum enim, sicut dicit philosophus in I Ethic., dividitur per decem praedicamenta. Honestum autem, utile et delectabile inveniri possunt in uno praedicamento. Ergo non convenienter per haec dividitur bonum.

 
Prima parte
Questione 5
Articolo 6

[28457] Iª q. 5 a. 6 arg. 1
SEMBRA che il bene non sia diviso convenientemente in bene onesto, utile e dilettevole. Infatti: 1. Dice Aristotele che "il bene si divide secondo i dieci predicamenti". Ora, l'onesto, l'utile e il dilettevole si possono riscontrare in un solo predicamento. Quindi non è esatta una tale divisione.

[28458] Iª q. 5 a. 6 arg. 2
Praeterea, omnis divisio fit per opposita. Sed haec tria non videntur esse opposita, nam honesta sunt delectabilia, nullumque inhonestum est utile (quod tamen oportet, si divisio fieret per opposita, ut opponerentur honestum et utile), ut etiam dicit Tullius, in libro de officiis. Ergo praedicta divisio non est conveniens.

 

[28458] Iª q. 5 a. 6 arg. 2
2. Ogni divisione si fa per mezzo di contrapposizioni. Ora, queste tre cose non sembrano opposte tra loro; perché, come dice pure Cicerone, i beni onesti sono anche dilettevoli e nessuna cosa disonesta è (veramente) utile (ciò che, tuttavia, dovrebbe essere, se la divisione si facesse per contrapposizione in modo da opporre onesto e utile). Non è dunque conveniente la suddetta divisione.

[28459] Iª q. 5 a. 6 arg. 3
Praeterea, ubi unum propter alterum, ibi unum tantum est. Sed utile non est bonum nisi propter delectabile vel honestum. Ergo non debet utile dividi contra delectabile et honestum.

 

[28459] Iª q. 5 a. 6 arg. 3
3. Se una cosa esiste per un'altra (non si devono queste due cose contrapporre perché in certo modo) non ne formano che una sola. Ora, l'utile, non è buono se non perché fa raggiungere il dilettevole e l'onesto. Dunque l'utile non si deve dividere in contrapposizione all'onesto e al dilettevole.

[28460] Iª q. 5 a. 6 s. c.
Sed contra est quod Ambrosius, in libro de officiis, utitur ista divisione boni.

 

[28460] Iª q. 5 a. 6 s. c.
IN CONTRARIO: S. Ambrogio usa tale divisione del bene.

[28461] Iª q. 5 a. 6 co.
Respondeo dicendum quod haec divisio proprie videtur esse boni humani. Si tamen altius et communius rationem boni consideremus, invenitur haec divisio proprie competere bono, secundum quod bonum est. Nam bonum est aliquid, inquantum est appetibile, et terminus motus appetitus. Cuius quidem motus terminatio considerari potest ex consideratione motus corporis naturalis. Terminatur autem motus corporis naturalis, simpliciter quidem ad ultimum; secundum quid autem etiam ad medium, per quod itur ad ultimum quod terminat motum, et dicitur aliquis terminus motus, inquantum aliquam partem motus terminat. Id autem quod est ultimus terminus motus, potest accipi dupliciter, vel ipsa res in quam tenditur, utpote locus vel forma; vel quies in re illa. Sic ergo in motu appetitus, id quod est appetibile terminans motum appetitus secundum quid, ut medium per quod tenditur in aliud, vocatur utile. Id autem quod appetitur ut ultimum, terminans totaliter motum appetitus, sicut quaedam res in quam per se appetitus tendit, vocatur honestum, quia honestum dicitur quod per se desideratur. Id autem quod terminat motum appetitus ut quies in re desiderata, est delectatio.

 

[28461] Iª q. 5 a. 6 co.
RISPONDO: Questa divisione sembrerebbe propria del bene umano. Tuttavia, considerando l'idea di bene da un punto più alto e più generale, troviamo che tale divisione conviene propriamente al bene in quanto bene. Infatti, una cosa è buona in quanto è desiderabile e termine del moto della facoltà appetitiva. Il termine di questo moto si può giudicare alla stregua del movimento di un corpo fisico. Pertanto, il movimento di un corpo fisico termina, assolutamente parlando, all'ultima tappa; ma in qualche modo anche alle tappe intermedie, attraverso le quali si arriva all'ultima, che pone termine al moto; e queste si dicono impropriamente termini del moto in quanto ne terminano una parte. Inoltre, per ultimo termine del movimento si può intendere o la cosa stessa verso la quale tende il movimento, come una nuova località o una nuova forma d'essere, oppure il riposo nel punto d'arrivo. Orbene, nel moto della facoltà appetitiva, l'appetibile che termina solo relativamente il moto dell'appetito, come mezzo per tendere ad altro, si chiama utile. Quanto poi vien desiderato come scopo ultimo e che termina totalmente il moto dell'appetito, come cosa verso la quale il desiderio tende direttamente, si chiama onesto, perché onesto è ciò che si desidera direttamente. Quello poi che termina il moto dell'appetito, come riposo nell'oggetto desiderato, è il dilettevole.

[28462] Iª q. 5 a. 6 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod bonum, inquantum est idem subiecto cum ente, dividitur per decem praedicamenta, sed secundum propriam rationem, competit sibi ista divisio.

 

[28462] Iª q. 5 a. 6 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il bene, in quanto in concreto si identifica con l'ente, si divide nei dieci predicamenti; ma preso nel suo concetto proprio gli si addice la divisione sopraindicata.

[28463] Iª q. 5 a. 6 ad 2
Ad secundum dicendum quod haec divisio non est per oppositas res, sed per oppositas rationes. Dicuntur tamen illa proprie delectabilia, quae nullam habent aliam rationem appetibilitatis nisi delectationem, cum aliquando sint et noxia et inhonesta. Utilia vero dicuntur, quae non habent in se unde desiderentur; sed desiderantur solum ut sunt ducentia in alterum, sicut sumptio medicinae amarae. Honesta vero dicuntur, quae in seipsis habent unde desiderentur.

 

[28463] Iª q. 5 a. 6 ad 2
2. La presente divisione non si fa per opposizione di cose, ma di formalità o di concetti. Tuttavia, in senso più ristretto si chiamano dilettevoli quelle cose che in sé non hanno altra ragione di desiderabilità che il piacere, essendo talora nocive e disoneste. Utili poi si dicono quelle che in sé non hanno di che esser desiderabili, ma che si appetiscono solo in quanto conducono ad altro bene, come prendere una medicina amara. Oneste finalmente si dicono quelle cose che in sé medesime presentano un'attrattiva.

[28464] Iª q. 5 a. 6 ad 3
Ad tertium dicendum quod bonum non dividitur in ista tria sicut univocum aequaliter de his praedicatum, sed sicut analogum, quod praedicatur secundum prius et posterius. Per prius enim praedicatur de honesto; et secundario de delectabili; tertio de utili.

 

[28464] Iª q. 5 a. 6 ad 3
3. Il bene non si divide nei tre modi suddetti come un concetto univoco che si applica a ciascuno di essi ugualmente; ma come un concetto analogo, che si applica secondo una certa gradazione (cioè in ragione di dipendenza). La nozione di bene primieramente si applica all'onesto, in secondo luogo al dilettevole, in terzo luogo all'utile.

Alla Questione precedente

 

Alla Questione successiva