I, 22

Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > La provvidenza di Dio


Prima pars
Quaestio 22
Prooemium

[29357] Iª q. 22 pr.
Consideratis autem his quae ad voluntatem absolute pertinent, procedendum est ad ea quae respiciunt simul intellectum et voluntatem. Huiusmodi autem est providentia quidem respectu omnium; praedestinatio vero et reprobatio, et quae ad haec consequuntur, respectu hominum specialiter, in ordine ad aeternam salutem. Nam et post morales virtutes, in scientia morali, consideratur de prudentia, ad quam providentia pertinere videtur. Circa providentiam autem Dei quaeruntur quatuor.
Primo, utrum Deo conveniat providentia.
Secundo, utrum omnia divinae providentiae subsint.
Tertio, utrum divina providentia immediate sit de omnibus.
Quarto, utrum providentia divina imponat necessitatem rebus provisis.

 
Prima parte
Questione 22
Proemio

[29357] Iª q. 22 pr.
Dopo aver considerato ciò che appartiene alla volontà in modo assoluto, bisogna procedere allo studio di quel che riguarda insieme intelletto e volontà. Tale è la provvidenza rispetto a tutte le creature; e in modo speciale, relativamente agli uomini, la predestinazione, la riprovazione, e quanto ad esse è connesso in ordine alla salvezza eterna. Ed invero, anche nell'etica, dopo le virtù morali, si tratta della prudenza, alla quale appartiene la provvidenza. Circa, poi, la provvidenza di Dio si pongono quattro quesiti:
1. Se in Dio possa esserci provvidenza;
2. Se tutte le cose siano soggette alla divina provvidenza;
3. Se la divina provvidenza si occupi immediatamente di tutte le cose;
4. Se la provvidenza divina renda necessario tutto quello cui provvede.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > La provvidenza di Dio > Se in Dio possa esserci provvidenza


Prima pars
Quaestio 22
Articulus 1

[29358] Iª q. 22 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod providentia Deo non conveniat. Providentia enim, secundum Tullium, est pars prudentiae. Prudentia autem, cum sit bene consiliativa, secundum philosophum in VI Ethic., Deo competere non potest, qui nullum dubium habet, unde eum consiliari oporteat. Ergo providentia Deo non competit.

 
Prima parte
Questione 22
Articolo 1

[29358] Iª q. 22 a. 1 arg. 1
SEMBRA che in Dio non possa esserci provvidenza. Infatti:
1. La provvidenza, secondo Cicerone, è una parte della prudenza. La prudenza, poi, essendo, al dire del Filosofo, la virtù del ben consigliarsi, non può appartenere a Dio, il quale, siccome non è soggetto a dubbi, non ha bisogno di consigliarsi. Dunque in Dio non può esserci provvidenza.

[29359] Iª q. 22 a. 1 arg. 2
Praeterea, quidquid est in Deo, est aeternum. Sed providentia non est aliquid aeternum, est enim circa existentia, quae non sunt aeterna, secundum Damascenum. Ergo providentia non est in Deo.

 

[29359] Iª q. 22 a. 1 arg. 2
2. Tutto ciò che è in Dio, è eterno. Ora, la provvidenza non è qualcosa di eterno, perché riguarda cose esistenti che, secondo S. Giovanni Damasceno, non sono eterne. Dunque la provvidenza non compete a Dio.

[29360] Iª q. 22 a. 1 arg. 3
Praeterea, nullum compositum est in Deo. Sed providentia videtur esse aliquid compositum, quia includit in se voluntatem et intellectum. Ergo providentia non est in Deo.

 

[29360] Iª q. 22 a. 1 arg. 3
3. In Dio non vi può essere niente di composto. Ora, la provvidenza sembra che sia qualche cosa di composto, giacché include in sé volontà e intelligenza. Dunque non si dà provvidenza in Dio.

[29361] Iª q. 22 a. 1 s. c.
Sed contra est quod dicitur Sap. XIV, tu autem, pater, gubernas omnia providentia.

 

[29361] Iª q. 22 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Nel libro della Sapienza sta scritto: "La tua provvidenza, o Padre, governa tutte le cose".

[29362] Iª q. 22 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod necesse est ponere providentiam in Deo. Omne enim bonum quod est in rebus, a Deo creatum est, ut supra ostensum est. In rebus autem invenitur bonum, non solum quantum ad substantiam rerum, sed etiam quantum ad ordinem earum in finem, et praecipue in finem ultimum, qui est bonitas divina, ut supra habitum est. Hoc igitur bonum ordinis in rebus creatis existens, a Deo creatum est. Cum autem Deus sit causa rerum per suum intellectum, et sic cuiuslibet sui effectus oportet rationem in ipso praeexistere, ut ex superioribus patet; necesse est quod ratio ordinis rerum in finem in mente divina praeexistat. Ratio autem ordinandorum in finem, proprie providentia est. Est enim principalis pars prudentiae, ad quam aliae duae partes ordinantur, scilicet memoria praeteritorum, et intelligentia praesentium; prout ex praeteritis memoratis, et praesentibus intellectis, coniectamus de futuris providendis. Prudentiae autem proprium est, secundum philosophum in VI Ethic., ordinare alia in finem; sive respectu sui ipsius, sicut dicitur homo prudens, qui bene ordinat actus suos ad finem vitae suae; sive respectu aliorum sibi subiectorum in familia vel civitate vel regno, secundum quem modum dicitur Matt. XXIV, fidelis servus et prudens, quem constituit dominus super familiam suam. Secundum quem modum prudentia vel providentia Deo convenire potest, nam in ipso Deo nihil est in finem ordinabile, cum ipse sit finis ultimus. Ipsa igitur ratio ordinis rerum in finem, providentia in Deo nominatur. Unde Boetius, IV de Consol., dicit quod providentia est ipsa divina ratio in summo omnium principe constituta, quae cuncta disponit. Dispositio autem potest dici tam ratio ordinis rerum in finem, quam ratio ordinis partium in toto.

 

[29362] Iª q. 22 a. 1 co.
RISPONDO: È necessario porre in Dio la provvidenza. Infatti, tutto il bene che si trova nelle cose, è creato da Dio, come abbiamo dimostrato altrove. Ora, nelle cose si trova il bene non solo quanto alla loro sostanza, ma anche quanto al loro ordinamento verso il fine, particolarmente verso il fine ultimo, che è, come si è visto sopra, la divina bontà. Quindi quest'ordine esistente nelle cose create è causato da Dio. Siccome, poi, Dio è causa delle cose mediante l'intelletto, e quindi la ragione di ogni sua opera preesiste necessariamente in lui, come appare evidente dal già detto, ne viene di necessità che l'ordinamento delle cose al loro fine preesiste nella mente divina. Ora, la provvidenza consiste precisamente in questo predisporre gli esseri al loro fine. Difatti essa è la parte principale della prudenza, a cui sono subordinate le altre due parti, cioè la memoria del passato e l'intelligenza del presente; perché dal ricordo del passato e dalla conoscenza del presente noi congetturiamo quel che dobbiamo provvedere per il futuro. Ora, è proprio della prudenza, a detta del Filosofo, ordinare tutte le cose al loro fine; sia rispetto a se stessi, e così diciamo prudente un uomo quando indirizza bene tutti i suoi atti al fine della sua vita; sia riguardo ai sottoposti, tanto nella famiglia che nella città o nel regno. In questo senso il Vangelo parla del "servo fedele e prudente, che il padrone ha messo capo dei suoi familiari". Ora, (soltanto) secondo, quest'ultima accezione la prudenza o provvidenza può convenire a Dio; infatti in Dio stesso nulla vi è che possa essere indirizzato verso un fine, essendo egli stesso l'ultimo fine. E proprio questa preordinazione delle cose al loro fine, in Dio si chiama provvidenza. Per tal motivo Boezio afferma che "la provvidenza è quella stessa divina ragione, la quale, riposta nel sommo principe dell'universo, dispone tutte le cose". E si ha tale disposizione tanto nell'ordinamento delle cose al loro fine, quanto nell'ordinamento delle parti rispetto al tutto.

[29363] Iª q. 22 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, secundum philosophum in VI Ethic., prudentia proprie est praeceptiva eorum, de quibus eubulia recte consiliatur, et synesis recte iudicat. Unde, licet consiliari non competat Deo, secundum quod consilium est inquisitio de rebus dubiis; tamen praecipere de ordinandis in finem, quorum rectam rationem habet, competit Deo, secundum illud Psalmi, praeceptum posuit, et non praeteribit. Et secundum hoc competit Deo ratio prudentiae et providentiae. Quamvis etiam dici possit, quod ipsa ratio rerum agendarum consilium in Deo dicitur; non propter inquisitionem, sed propter certitudinem cognitionis, ad quam consiliantes inquirendo perveniunt. Unde dicitur Ephes. I, qui operatur omnia secundum consilium voluntatis suae.

 

[29363] Iª q. 22 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La prudenza, secondo il Filosofo, ha come atto suo proprio decidere (o comandare) quelle cose circa le quali rettamente l'eubulia consiglia e la sinesi giudica. Perciò, sebbene a Dio non convenga il consigliarsi, in quanto il consiglio dice indagine su cose dubbie; nondimeno a Dio compete di comandare l'ordinamento di quelle cose, delle quali possiede un giusto concetto, secondo il detto del Salmo: "Pose una legge, che non passerà". E in questo senso la prudenza e la provvidenza convengono a Dio. - Sebbene si possa anche dire che il piano stesso delle cose da farsi, in Dio si chiama consiglio, non a motivo di una ricerca, ma per la certezza della conoscenza, alla quale arrivano dopo le indagini coloro che deliberano. Infatti sta scritto: "Colui che tutto opera secondo il consiglio della propria volontà".

[29364] Iª q. 22 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod ad curam duo pertinent, scilicet ratio ordinis, quae dicitur providentia et dispositio; et executio ordinis, quae dicitur gubernatio. Quorum primum est aeternum, secundum temporale.

 

[29364] Iª q. 22 a. 1 ad 2
2. Il provvedere (all'universo) comprende due cose, cioè: l'idea o il piano, che si chiama provvidenza o anche disposizione, e l'esecuzione del piano, che si chiama governo. La prima è eterna, la seconda legata al tempo.

[29365] Iª q. 22 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod providentia est in intellectu, sed praesupponit voluntatem finis, nullus enim praecipit de agendis propter finem, nisi velit finem. Unde et prudentia praesupponit virtutes morales, per quas appetitus se habet ad bonum, ut dicitur in VI Ethic. Et tamen si providentia ex aequali respiceret voluntatem et intellectum divinum, hoc esset absque detrimento divinae simplicitatis; cum voluntas et intellectus in Deo sint idem, ut supra dictum est.

 

[29365] Iª q. 22 a. 1 ad 3
3. La provvidenza è atto dell'intelletto, ma presuppone la volizione del fine, perché nessuno decide di compiere delle azioni per un fine, se prima non vuole il fine. Tanto è vero che la prudenza presuppone le virtù morali, le quali, come dice Aristotele, hanno il compito di indirizzare l'appetito verso il bene. E nondimeno, anche se la provvidenza riguardasse ugualmente volontà e intelligenza divina, non ne scapiterebbe la divina semplicità, perché, come sopra fu detto, volontà e intelligenza in Dio sono identica cosa.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > La provvidenza di Dio > Se tutte le cose siano soggette alla divina provvidenza


Prima pars
Quaestio 22
Articulus 2

[29366] Iª q. 22 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod non omnia sint subiecta divinae providentiae. Nullum enim provisum est fortuitum. Si ergo omnia sunt provisa a Deo, nihil erit fortuitum, et sic perit casus et fortuna. Quod est contra communem opinionem.

 
Prima parte
Questione 22
Articolo 2

[29366] Iª q. 22 a. 2 arg. 1
SEMBRA che non tutte le cose siano soggette alla divina provvidenza. Infatti:
1. Tutto ciò che è predisposto non è fortuito. Se dunque tutte le cose sono state predisposte da Dio, niente vi sarà di fortuito; e così scompaiono il caso e la fortuna. Ciò che è contro l'opinione comune.

[29367] Iª q. 22 a. 2 arg. 2
Praeterea, omnis sapiens provisor excludit defectum et malum, quantum potest, ab his quorum curam gerit. Videmus autem multa mala in rebus esse. Aut igitur Deus non potest ea impedire, et sic non est omnipotens, aut non de omnibus curam habet.

 

[29367] Iª q. 22 a. 2 arg. 2
2. Ogni saggio provveditore elimina, più che può, dalle cose di cui ha la cura, le deficienze ed i mali. Ora, vediamo che nelle cose ci sono tanti mali. Dunque, o Dio non può impedirli; e allora non è onnipotente; o non ha cura di tutte le cose.

[29368] Iª q. 22 a. 2 arg. 3
Praeterea, quae ex necessitate eveniunt, providentiam seu prudentiam non requirunt, unde, secundum philosophum in VI Ethic., prudentia est recta ratio contingentium, de quibus est consilium et electio. Cum igitur multa in rebus ex necessitate eveniant, non omnia providentiae subduntur.

 

[29368] Iª q. 22 a. 2 arg. 3
3. Quello che accade per necessità non richiede provvidenza o prudenza. Di qui l'affermazione del Filosofo, che la prudenza "è la saggia disposizione delle cose contingenti, per le quali vi è deliberazione e scelta". Ma siccome molte cose avvengono per necessità, non tutto è soggetto alla divina provvidenza.

[29369] Iª q. 22 a. 2 arg. 4
Praeterea, quicumque dimittitur sibi, non subest providentiae alicuius gubernantis. Sed homines sibi ipsis dimittuntur a Deo, secundum illud Eccli. XV, Deus ab initio constituit hominem, et reliquit eum in manu consilii sui; et specialiter mali, secundum illud, dimisit illos secundum desideria cordis eorum. Non igitur omnia divinae providentiae subsunt.

 

[29369] Iª q. 22 a. 2 arg. 4
4. Chi è abbandonato a se stesso, non soggiace alla provvidenza di alcun governante. Ora, gli uomini sono da Dio abbandonati a se stessi, secondo il detto dell'Ecclesiastico: "Dio da principio creò l'uomo e lo lasciò in mano del suo arbitrio"; e in modo speciale i malvagi "li abbandonò alla durezza del loro cuore". Dunque non tutte le cose soggiacciono alla divina provvidenza.

[29370] Iª q. 22 a. 2 arg. 5
Praeterea, apostolus, I Cor. IX, dicit quod non est Deo cura de bobus, et eadem ratione, de aliis creaturis irrationalibus. Non igitur omnia subsunt divinae providentiae.

 

[29370] Iª q. 22 a. 2 arg. 5
5. L'Apostolo scrive che "Dio non si dà pensiero dei buoi": e per lo stesso motivo neppure di tutte le altre creature irragionevoli. Dunque non tutte le cose sono soggette alla provvidenza di Dio.

[29371] Iª q. 22 a. 2 s. c.
Sed contra est quod dicitur Sap. VIII, de divina sapientia, quod attingit a fine usque ad finem fortiter, et disponit omnia suaviter.

 

[29371] Iª q. 22 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Nella Sacra Scrittura leggiamo a proposito della divina sapienza: "si estende con potenza da un'estremità all'altra (del mondo), e tutto governa con bontà".

[29372] Iª q. 22 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod quidam totaliter providentiam negaverunt, sicut Democritus et Epicurei, ponentes mundum factum esse casu. Quidam vero posuerunt incorruptibilia tantum providentiae subiacere; corruptibilia vero, non secundum individua, sed secundum species; sic enim incorruptibilia sunt. Ex quorum persona dicitur Iob XXII, nubes latibulum eius, et circa cardines caeli perambulat, neque nostra considerat. A corruptibilium autem generalitate excepit Rabbi Moyses homines, propter splendorem intellectus, quem participant, in aliis autem individuis corruptibilibus, aliorum opinionem est secutus. Sed necesse est dicere omnia divinae providentiae subiacere, non in universali tantum, sed etiam in singulari. Quod sic patet. Cum enim omne agens agat propter finem, tantum se extendit ordinatio effectuum in finem, quantum se extendit causalitas primi agentis. Ex hoc enim contingit in operibus alicuius agentis aliquid provenire non ad finem ordinatum, quia effectus ille consequitur ex aliqua alia causa, praeter intentionem agentis. Causalitas autem Dei, qui est primum agens, se extendit usque ad omnia entia, non solum quantum ad principia speciei, sed etiam quantum ad individualia principia, non solum incorruptibilium, sed etiam corruptibilium. Unde necesse est omnia quae habent quocumque modo esse, ordinata esse a Deo in finem, secundum illud apostoli, ad Rom. XIII, quae a Deo sunt, ordinata sunt. Cum ergo nihil aliud sit Dei providentia quam ratio ordinis rerum in finem, ut dictum est, necesse est omnia, inquantum participant esse, intantum subdi divinae providentiae. Similiter etiam supra ostensum est quod Deus omnia cognoscit, et universalia et particularia. Et cum cognitio eius comparetur ad res sicut cognitio artis ad artificiata, ut supra dictum est, necesse est quod omnia supponantur suo ordini, sicut omnia artificiata subduntur ordini artis.

 

[29372] Iª q. 22 a. 2 co.
RISPONDO: Alcuni hanno negato totalmente la provvidenza, come Democrito e gli Epicurei, i quali affermarono che il mondo è produzione del caso. Altri hanno detto che soltanto gli esseri incorruttibili dipendono dalla provvidenza; quelli corruttibili, invece, (ne dipendono) non quanto agli individui, ma quanto alle specie, perché sotto questo aspetto sono incorruttibili. In persona di costoro così parlano gli amici di Giobbe: "La nube è per lui un nascondiglio, e attorno ai cardini dei cieli egli passeggia, e non si occupa delle cose nostre". Ma da questa condizione degli esseri corruttibili Rabbi Mosè eccettuò gli uomini, per lo splendore dell'intelligenza, che essi partecipano: quanto agli altri individui corruttibili, seguì l'opinione degli altri filosofi.
Ma è necessario dire che tutte le cose, non solo considerate in generale, ma anche individualmente, sottostanno alla divina provvidenza. Eccone la dimostrazione. Siccome ogni agente opera per un fine, tanto si estende l'ordinamento degli effetti al fine, quanto si estende la causalità dell'agente primo. Se, infatti, nell'operare di qualche agente accade che qualche cosa avvenga all'infuori dell'ordinamento al fine, il motivo ne è che tale effetto deriva da qualche altra causa estranea all'intenzione dell'agente. Ora, la causalità di Dio, il quale è l'agente primo, si estende a tutti gli esseri, non solo quanto ai principi della specie, ma anche quanto ai principi individuali, sia delle cose incorruttibili, sia delle cose corruttibili. Quindi è necessario che tutto ciò che in qualsiasi modo ha l'essere sia da Dio ordinato al suo fine, secondo il detto dell'Apostolo: "Ciò che è da Dio, è ordinato". Siccome, dunque, la provvidenza di Dio non è altro che l'ordinamento delle cose verso il loro fine, come già è stato detto, è necessario che tutte le cose siano soggette alla divina provvidenza nella misura della loro partecipazione all'essere.
Bisogna anche notare, come sopra si è dimostrato, che Dio conosce tutti gli esseri, universali e particolari. E poiché la sua conoscenza sta in rapporto alle cose come le norme di un'arte stanno alle opere della medesima, come fu detto sopra, è necessario che tutte le cose sian sottoposte al suo ordinamento, come le opere di un'arte sono sottoposte alle norme dell'arte.

[29373] Iª q. 22 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod aliter est de causa universali, et de causa particulari. Ordinem enim causae particularis aliquid potest exire, non autem ordinem causae universalis. Non enim subducitur aliquid ab ordine causae particularis, nisi per aliquam aliam causam particularem impedientem, sicut lignum impeditur a combustione per actionem aquae. Unde, cum omnes causae particulares concludantur sub universali causa, impossibile est aliquem effectum ordinem causae universalis effugere. Inquantum igitur aliquis effectus ordinem alicuius causae particularis effugit, dicitur esse casuale vel fortuitum, respectu causae particularis, sed respectu causae universalis, a cuius ordine subtrahi non potest, dicitur esse provisum. Sicut et concursus duorum servorum, licet sit casualis quantum ad eos, est tamen provisus a domino, qui eos scienter sic ad unum locum mittit, ut unus de alio nesciat.

 

[29373] Iª q. 22 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Una cosa è (parlare) della causa universale e altra cosa (parlare) della causa particolare. Si può infatti sfuggire all'ordinamento della causa particolare, ma non a quello della causa universale. Poiché niente può essere sottratto all'ordinamento di una causa particolare se non a motivo di una qualche altra causa particolare che la ostacola: p. es., la combustione del legno può essere impedita dall'azione dell'acqua. Ora, siccome tutte le cause particolari sono abbracciate dalla causa universale, è impossibile che qualsiasi effetto sfugga all'ordinamento della causa universale. Quindi, un effetto si dirà casuale e fortuito relativamente a una causa particolare, in quanto si sottrae all'ordinamento di essa; ma rispetto alla causa universale, dal cui ordinamento non può sottrarsi, bisogna dire che è previsto. Così, p. es., l'incontro di due servi, sebbene sia per loro casuale, è previsto dal loro padrone, il quale intenzionalmente li ha mandati in un medesimo posto, l'uno all'insaputa dell'altro.

[29374] Iª q. 22 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod aliter de eo est qui habet curam alicuius particularis, et de provisore universali. Quia provisor particularis excludit defectum ab eo quod eius curae subditur, quantum potest, sed provisor universalis permittit aliquem defectum in aliquo particulari accidere, ne impediatur bonum totius. Unde corruptiones et defectus in rebus naturalibus, dicuntur esse contra naturam particularem; sed tamen sunt de intentione naturae universalis, inquantum defectus unius cedit in bonum alterius, vel etiam totius universi; nam corruptio unius est generatio alterius, per quam species conservatur. Cum igitur Deus sit universalis provisor totius entis, ad ipsius providentiam pertinet ut permittat quosdam defectus esse in aliquibus particularibus rebus, ne impediatur bonum universi perfectum. Si enim omnia mala impedirentur, multa bona deessent universo, non enim esset vita leonis, si non esset occisio animalium; nec esset patientia martyrum, si non esset persecutio tyrannorum. Unde dicit Augustinus in Enchirid. Deus omnipotens nullo modo sineret malum aliquod esse in operibus suis, nisi usque adeo esset omnipotens et bonus, ut bene faceret etiam de malo. Ex his autem duabus rationibus quas nunc solvimus, videntur moti fuisse, qui divinae providentiae subtraxerunt corruptibilia, in quibus inveniuntur casualia et mala.

 

[29374] Iª q. 22 a. 2 ad 2
2. Altro è il caso di chi ha la gestione di un bene particolare e altro quello del provveditore universale. Il primo elimina, per quanto può, ogni difetto da ciò che è affidato alle sue cure, mentre il provveditore universale, per assicurare il bene del tutto, permette qualche difetto in casi particolari. Perciò la distruzione e le deficienze delle cose create si possono dire contro la natura particolare di esse; ma rientrano nell'intenzione della natura universale, in quanto il difetto di una ridonda al bene di un'altra, o anche al bene di tutto l'universo; infatti, la distruzione di una cosa segna la generazione di un'altra, e così si conserva la specie. Essendo, dunque, Dio il provveditore universale di tutto l'essere, appartiene alla sua provvidenza il permettere alcuni difetti in qualche cosa particolare perché non sia impedito il bene perfetto dell'universo. Ed invero, se si impedissero tutti i mali, molti beni verrebbero a mancare all'universo; p. es., non vi sarebbe la vita del leone se non vi fosse la morte di altri animali; né vi sarebbe la pazienza dei martiri se non vi fosse la persecuzione dei tiranni. Perciò S. Agostino può dire: "L'onnipotente Iddio non lascerebbe trascorrere alcun male nelle sue opere se non fosse tanto potente e buono da trarre del bene anche dal male". - Quelli che sottrassero alla divina provvidenza gli esseri corruttibili, nei quali si riscontrano il caso e il male, pare siano stati spinti a questo dalle due difficoltà, ora risolte.

[29375] Iª q. 22 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod homo non est institutor naturae, sed utitur in operibus artis et virtutis, ad suum usum, rebus naturalibus. Unde providentia humana non se extendit ad necessaria, quae ex natura proveniunt. Ad quae tamen se extendit providentia Dei, qui est auctor naturae. Et ex hac ratione videntur moti fuisse, qui cursum rerum naturalium subtraxerunt divinae providentiae, attribuentes ipsum necessitati materiae; ut Democritus, et alii naturales antiqui.

 

[29375] Iª q. 22 a. 2 ad 3
3. L'uomo non è l'autore della natura; ma si serve, a suo uso, delle cose naturali per la sua attività materiale e morale. Quindi la provvidenza umana non si estende alle cose necessarie, che provengono dalla natura; ad esse, invece, si estende la provvidenza di Dio, autore della natura. - Da questa difficoltà pare che siano stati mossi coloro che, come Democrito e gli altri antichi (filosofi) naturalisti, hanno sottratto alla divina provvidenza il corso delle cose naturali, attribuendolo alla necessità della materia.

[29376] Iª q. 22 a. 2 ad 4
Ad quartum dicendum quod in hoc quod dicitur Deum hominem sibi reliquisse, non excluditur homo a divina providentia, sed ostenditur quod non praefigitur ei virtus operativa determinata ad unum, sicut rebus naturalibus; quae aguntur tantum, quasi ab altero directae in finem, non autem seipsa agunt, quasi se dirigentia in finem, ut creaturae rationales per liberum arbitrium, quo consiliantur et eligunt. Unde signanter dicit, in manu consilii sui. Sed quia ipse actus liberi arbitrii reducitur in Deum sicut in causam, necesse est ut ea quae ex libero arbitrio fiunt, divinae providentiae subdantur, providentia enim hominis continetur sub providentia Dei, sicut causa particularis sub causa universali. Hominum autem iustorum quodam excellentiori modo Deus habet providentiam quam impiorum, inquantum non permittit contra eos evenire aliquid, quod finaliter impediat salutem eorum, nam diligentibus Deum omnia cooperantur in bonum, ut dicitur Rom. VIII. Sed ex hoc ipso quod impios non retrahit a malo culpae, dicitur eos dimittere. Non tamen ita, quod totaliter ab eius providentia excludantur, alioquin in nihilum deciderent, nisi per eius providentiam conservarentur. Et ex hac ratione videtur motus fuisse Tullius, qui res humanas, de quibus consiliamur, divinae providentiae subtraxit.

 

[29376] Iª q. 22 a. 2 ad 4
4. Quando si legge che Dio abbandona l'uomo a se stesso non si intende escludere l'uomo dalla divina provvidenza; solo si vuole mostrare che non gli è stata prefissa una capacità operativa, determinata ad un solo modo di agire, come alle cose naturali, le quali non agiscono che sotto l'impulso di un altro, senza dirigersi da sé verso il loro fine, come fanno le creature ragionevoli mediante il libero arbitrio, in virtù del quale deliberano e scelgono. Perciò la Scrittura usa l'espressione "in mano del suo arbitrio". Ma poiché lo stesso atto del libero arbitrio si riconduce a Dio come alla sua causa, è necessario che anche ciò che si fa con libero arbitrio sia sottomesso alla divina provvidenza, perché la provvidenza dell'uomo è contenuta sotto la provvidenza di Dio, come una causa particolare sotto la causa umversale. - Agli uomini giusti poi Dio provvede in maniera più speciale che agli empi, in quanto non permette che ad essi accada qualche cosa che ostacoli definitivamente la loro salvezza: perché, come afferma l'Apostolo, "tutto coopera a bene per chi ama Dio". Degli empi, invece, si dice che li abbandona per il fatto che non li ritrae dal male morale. Ma non in modo tale che siano del tutto esclusi dalla sua provvidenza: perché se non fossero conservati dalla sua provvidenza, allora ricadrebbero nel nulla. - Pare che proprio da questa difficoltà sia stato mosso Cicerone a sottrarre alla divina provvidenza le cose umane, intorno alle quali noi ci consultiamo.

[29377] Iª q. 22 a. 2 ad 5
Ad quintum dicendum quod, quia creatura rationalis habet per liberum arbitrium dominium sui actus, ut dictum est, speciali quodam modo subditur divinae providentiae; ut scilicet ei imputetur aliquid ad culpam vel ad meritum, et reddatur ei aliquid ut poena vel praemium. Et quantum ad hoc curam Dei apostolus a bobus removet. Non tamen ita quod individua irrationalium creaturarum ad Dei providentiam non pertineant, ut Rabbi Moyses existimavit.

 

[29377] Iª q. 22 a. 2 ad 5
5. Poiché la creatura ragionevole, per il libero arbitrio, ha il dominio dei propri atti, come già si disse, è soggetta alla divina provvidenza in un modo tutto speciale; cioè le viene imputato a colpa o a merito quello che fa, e in cambio ne riceve pena o premio. Ora, l'Apostolo nega a Dio la cura dei buoi soltanto sotto questo aspetto, ma non nel senso che gli individui delle creature irragionevoli non siano sottoposti alla provvidenza di Dio, come credeva Rabbi Mosè.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > La provvidenza di Dio > Se Dio provveda direttamente a tutte le cose


Prima pars
Quaestio 22
Articulus 3

[29378] Iª q. 22 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod Deus non immediate omnibus provideat. Quidquid enim est dignitatis, Deo est attribuendum. Sed ad dignitatem alicuius regis pertinet, quod habeat ministros, quibus mediantibus subditis provideat. Ergo multo magis Deus non immediate omnibus providet.

 
Prima parte
Questione 22
Articolo 3

[29378] Iª q. 22 a. 3 arg. 1
SEMBRA che Dio non provveda direttamente a tutte le cose. Infatti:
1. A Dio bisogna attribuire tutto ciò che conferisce onore e dignità. Ora, è proprio della dignità di un re avere dei ministri per mezzo dei quali provvedere ai propri sudditi. Dunque con maggior ragione Dio non provvede direttamente a tutti gli esseri.

[29379] Iª q. 22 a. 3 arg. 2
Praeterea, ad providentiam pertinet res in finem ordinare. Finis autem cuiuslibet rei est eius perfectio et bonum. Ad quamlibet autem causam pertinet effectum suum perducere ad bonum. Quaelibet igitur causa agens est causa effectus providentiae. Si igitur Deus omnibus immediate providet, subtrahuntur omnes causae secundae.

 

[29379] Iª q. 22 a. 3 arg. 2
2. Alla provvidenza spetta ordinare le cose al loro fine. Ma il fine di ciascuna cosa non è che la sua perfezione ed il suo bene. D'altra parte ogni causa è capace di portare il suo effetto al bene. Perciò ogni causa agente viene a compiere gli (stessi) effetti della provvidenza. Se dunque Dio provvedesse immediatamente a tutti gli esseri, sarebbero eliminate tutte le cause seconde.

[29380] Iª q. 22 a. 3 arg. 3
Praeterea, Augustinus dicit, in Enchirid., quod melius est quaedam nescire quam scire, ut vilia, et idem dicit philosophus, in XII Metaphys. Sed omne quod est melius, Deo est attribuendum. Ergo Deus non habet immediate providentiam quorundam vilium et malorum.

 

[29380] Iª q. 22 a. 3 arg. 3
3. S. Agostino, come anche il Filosofo, parlando di cose vili afferma che "è meglio ignorarle, che conoscerle". Ma, a Dio bisogna attribuire tutto ciò che è meglio. Dunque Dio non ha l'immediata provvidenza delle cose vili e malvagie.

[29381] Iª q. 22 a. 3 s. c.
Sed contra est quod dicitur Iob XXXIV, quem constituit alium super terram? Aut quem posuit super orbem quem fabricatus est? Super quo dicit Gregorius, mundum per seipsum regit, quem per seipsum condidit.

 

[29381] Iª q. 22 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: Sta scritto: "Ha forse costituito un altro a capo della terra? ovvero ha affidato a un altro l'orbe ch'ei fabbricò?". E S. Gregorio commenta: "Da se stesso governa il mondo che da se stesso ha creato".

[29382] Iª q. 22 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod ad providentiam duo pertinent, scilicet ratio ordinis rerum provisarum in finem; et executio huius ordinis, quae gubernatio dicitur. Quantum igitur ad primum horum, Deus immediate omnibus providet. Quia in suo intellectu habet rationem omnium, etiam minimorum, et quascumque causas aliquibus effectibus praefecit, dedit eis virtutem ad illos effectus producendos. Unde oportet quod ordinem illorum effectuum in sua ratione praehabuerit. Quantum autem ad secundum, sunt aliqua media divinae providentiae. Quia inferiora gubernat per superiora; non propter defectum suae virtutis, sed propter abundantiam suae bonitatis, ut dignitatem causalitatis etiam creaturis communicet. Et secundum hoc excluditur opinio Platonis, quam narrat Gregorius Nyssenus, triplicem providentiam ponentis. Quarum prima est summi Dei, qui primo et principaliter providet rebus spiritualibus; et consequenter toti mundo, quantum ad genera, species et causas universales. Secunda vero providentia est, qua providetur singularibus generabilium et corruptibilium, et hanc attribuit diis qui circumeunt caelos, idest substantiis separatis, quae movent corpora caelestia circulariter. Tertia vero providentia est rerum humanarum, quam attribuebat Daemonibus, quos Platonici ponebant medios inter nos et deos, ut narrat Augustinus IX de Civ. Dei.

 

[29382] Iª q. 22 a. 3 co.
RISPONDO: La provvidenza comprende due cose: cioè il piano, l'ordinamento degli esseri verso il loro fine, e l'esecuzione di questo piano, la quale si chiama governo. Per quanto riguarda la prima cosa, Dio provvede immediatamente a tutto. Perché nella sua mente ha l'idea di tutti gli esseri, anche dei più piccoli: e a tutte le cause che ha prestabilito per produrre degli effetti, ha dato capacità di produrre quei dati effetti. Perciò è necessario che abbia avuto in antecedenza nella sua mente (tutto) l'ordine di tali effetti. - Per quanto riguarda la seconda cosa, (cioè il governo) vi sono alcuni intermediari della divina provvidenza. Perché essa governa gli esseri inferiori mediante gli esseri superiori, non già per difetto di potenza, ma per sovrabbondanza di bontà, perché vuole comunicare anche alle creature la dignità di cause.
Con ciò viene scartata l'opinione di Platone, il quale, come racconta S. Gregorio di Nissa, poneva una triplice provvidenza. La prima sarebbe stata propria del Dio supremo, che di preferenza e in modo speciale avrebbe provveduto alle cose spirituali, e secondariamente a tutto il mondo, interessandosi dei generi, delle specie e delle cause universali. La seconda provvidenza avrebbe riguardato gli individui delle cose (corporee) soggette alla generazione e alla corruzione: e questa (Platone) l'attribuiva agli dei che percorrono i cieli, cioè alle sostanze separate, le quali muovono con moto circolare i corpi celesti. La terza, poi, sarebbe stata la provvidenza delle cose umane, che egli attribuiva ai demoni, che i Platonici ponevano di mezzo tra noi e gli dei, come narra S. Agostino.

[29383] Iª q. 22 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod habere ministros executores suae providentiae, pertinet ad dignitatem regis, sed quod non habeat rationem eorum quae per eos agenda sunt, est ex defectu ipsius. Omnis enim scientia operativa tanto perfectior est, quanto magis particularia considerat, in quibus est actus.

 

[29383] Iª q. 22 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Avere dei ministri come esecutori della propria provvidenza, fa parte della dignità di un re; ma che egli non abbia in sé la nozione esatta di ciò che i suoi ministri debbono eseguire, è un indice di impotenza. Infatti, ogni scienza operativa è tanto più perfetta, quanto più scende ai particolari, in cui si produce l'azione.

[29384] Iª q. 22 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod per hoc quod Deus habet immediate providentiam de rebus omnibus, non excluduntur causae secundae, quae sunt executrices huius ordinis, ut ex supra dictis patet.

 

[29384] Iª q. 22 a. 3 ad 2
2. Per il fatto che Dio ha immediatamente cura di tutte le cose, non si eliminano le cause seconde, le quali sono le esecutrici del piano divino, come appare chiaro da ciò che si è detto sopra.

[29385] Iª q. 22 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod nobis melius est non cognoscere mala et vilia, inquantum per ea impedimur a consideratione meliorum, quia non possumus simul multa intelligere, et inquantum cogitatio malorum pervertit interdum voluntatem in malum. Sed hoc non habet locum in Deo, qui simul omnia uno intuitu videt, et cuius voluntas ad malum flecti non potest.

 

[29385] Iª q. 22 a. 3 ad 3
3. Per noi è meglio ignorare certe cose cattive e basse, in quanto ci impediscono di considerare le cose migliori, giacché non ci è possibile pensare molte cose insieme, e anche perché il pensiero delle cose malvagie talora porta al male la nostra volontà. Ma non è così per Dio, il quale con un solo sguardo vede insieme tutte le cose, e la cui volontà non può volgersi al male.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > La provvidenza di Dio > Se la provvidenza renda necessarie le cose governate


Prima pars
Quaestio 22
Articulus 4

[29386] Iª q. 22 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod divina providentia necessitatem rebus provisis imponat. Omnis enim effectus qui habet aliquam causam per se, quae iam est vel fuit, ad quam de necessitate sequitur, provenit ex necessitate, ut philosophus probat in VI Metaphys. Sed providentia Dei, cum sit aeterna, praeexistit; et ad eam sequitur effectus de necessitate; non enim potest divina providentia frustrari. Ergo providentia divina necessitatem rebus provisis imponit.

 
Prima parte
Questione 22
Articolo 4

[29386] Iª q. 22 a. 4 arg. 1
SEMBRA che la divina provvidenza renda necessarie le cose governate. Infatti:
1. Ogni effetto che abbia una sua causa immediata determinante, la quale attualmente esiste o è esistita e dalla quale deriva per necessità, è un effetto necessario, come dimostra il Filosofo. Ora, la provvidenza di Dio, essendo eterna, preesiste; e i suoi effetti ne derivano necessariarnente; perché la provvidenza divina non può essere frustrata. Dunque la divina provvidenza rende necessarie le cose governate.

[29387] Iª q. 22 a. 4 arg. 2
Praeterea, unusquisque provisor stabilit opus suum quantum potest, ne deficiat. Sed Deus est summe potens. Ergo necessitatis firmitatem rebus a se provisis tribuit.

 

[29387] Iª q. 22 a. 4 arg. 2
2. Ogni provveditore cerca di consolidare l'opera sua, più che può, perché essa non venga meno. Ora, Dio è potente al sommo. Dunque alle cose che egli governa impone la stabilità di ciò che è necessario.

[29388] Iª q. 22 a. 4 arg. 3
Praeterea, Boetius dicit, IV de Consol., quod fatum, ab immobilis providentiae proficiscens exordiis, actus fortunasque hominum indissolubili causarum connexione constringit. Videtur ergo quod providentia necessitatem rebus provisis imponat.

 

[29388] Iª q. 22 a. 4 arg. 3
3. Boezio dice che il fato, "movendo dai principi dell'immutabile provvidenza, tiene stretti gli atti e le fortune degli uomini nell'indissolubile concatenazione delle cause". Sembra, dunque, che la provvidenza renda necessarie le cose.

[29389] Iª q. 22 a. 4 s. c.
Sed contra est quod dicit Dionysius, IV cap. de Div. Nom., quod corrumpere naturam non est providentiae. Hoc autem habet quarundam rerum natura, quod sint contingentia. Non igitur divina providentia necessitatem rebus imponit, contingentiam excludens.

 

[29389] Iª q. 22 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Dionigi dice che "non è proprio della provvidenza distruggere la natura". Ora, alcune cose sono contingenti per natura. Dunque la divina provvidenza non può dare alle cose la necessità, privandole della loro contingenza.

[29390] Iª q. 22 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod providentia divina quibusdam rebus necessitatem imponit, non autem omnibus, ut quidam crediderunt. Ad providentiam enim pertinet ordinare res in finem. Post bonitatem autem divinam, quae est finis a rebus separatus, principale bonum in ipsis rebus existens, est perfectio universi, quae quidem non esset, si non omnes gradus essendi invenirentur in rebus. Unde ad divinam providentiam pertinet omnes gradus entium producere. Et ideo quibusdam effectibus praeparavit causas necessarias, ut necessario evenirent; quibusdam vero causas contingentes, ut evenirent contingenter, secundum conditionem proximarum causarum.

 

[29390] Iª q. 22 a. 4 co.
RISPONDO: La divina provvidenza rende necessarie alcune cose, ma non tutte, come alcuni hanno creduto. Alla provvidenza, infatti, appartiene indirizzare le cose al loro fine. Ora, dopo la bontà divina, la quale è il fine trascendente delle cose, il bene principale in esse immanente è la perfezione dell'universo, la quale non esisterebbe affatto se nelle cose non si trovassero tutti i gradi dell'essere. Quindi alla divina provvidenza spetta produrre tutte le gradazioni dell'ente. Perciò ad alcuni effetti ha prestabilito cause necessarie, affinché avvenissero necessariamente; ad altri, invece, ha prefisso cause contingenti, perché potessero avvenire in modo contingente, secondo la condizione delle loro cause immediate.

[29391] Iª q. 22 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod effectus divinae providentiae non solum est aliquid evenire quocumque modo; sed aliquid evenire vel contingenter vel necessario. Et ideo evenit infallibiliter et necessario, quod divina providentia disponit evenire infallibiliter et necessario, et evenit contingenter, quod divinae providentiae ratio habet ut contingenter eveniat.

 

[29391] Iª q. 22 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Effetto della divina provvidenza non è soltanto che una cosa avvenga in un modo qualsiasi; ma che avvenga in modo contingente, o necessario. Perciò quello che la divina provvidenza dispone che avvenga infallibilmente e necessariamente, avviene infallibilmente e necessariamente; quello che il piano della provvidenza divina esige che avvenga in modo contingente, avviene in modo contingente.

[29392] Iª q. 22 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod in hoc est immobilis et certus divinae providentiae ordo, quod ea quae ab ipso providentur, cuncta eveniunt eo modo quo ipse providet, sive necessario sive contingenter.

 

[29392] Iª q. 22 a. 4 ad 2
2. La stabilità e la certezza dell'ordine della divina provvidenza consiste proprio in questo, che le cose che Dio governa avvengano tutte nel modo da lui prefisso, cioè in modo necessario o contingente.

[29393] Iª q. 22 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod indissolubilitas illa et immutabilitas quam Boetius tangit, pertinet ad certitudinem providentiae, quae non deficit a suo effectu, neque a modo eveniendi quem providit, non autem pertinet ad necessitatem effectuum. Et considerandum est quod necessarium et contingens proprie consequuntur ens, inquantum huiusmodi. Unde modus contingentiae et necessitatis cadit sub provisione Dei, qui est universalis provisor totius entis, non autem sub provisione aliquorum particularium provisorum.

 

[29393] Iª q. 22 a. 4 ad 3
3. Quell'immutabilità e indissolubilità, a cui accenna Boezio, si riferisce alla sicurezza della provvidenza, la quale non può fallire nei suoi effetti, e neppure nel modo di accadere da essa stabilito: ma non si riferisce alla necessità degli effetti. Dobbiamo anche considerare che necessario e contingente sono attributi propri dell'ente, in quanto ente. Quindi la contingenza e la necessità cadono sotto la provvidenza di Dio, il quale è il datore universale di tutto l'essere; e non sotto quella di cause particolari.

Alla Questione precedente

 

Alla Questione successiva