Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > La provvidenza di Dio > Se tutte le cose siano soggette alla divina provvidenza
Prima pars
Quaestio 22
Articulus 2
[29366] Iª q. 22 a. 2 arg. 1 Ad secundum sic proceditur. Videtur quod non omnia sint subiecta divinae providentiae. Nullum enim provisum est fortuitum. Si ergo omnia sunt provisa a Deo, nihil erit fortuitum, et sic perit casus et fortuna. Quod est contra communem opinionem.
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Prima parte
Questione 22
Articolo 2
[29366] Iª q. 22 a. 2 arg. 1
SEMBRA che non tutte le cose siano soggette alla divina provvidenza. Infatti:
1. Tutto ciò che è predisposto non è fortuito. Se dunque tutte le cose sono state predisposte da Dio, niente vi sarà di fortuito; e così scompaiono il caso e la fortuna. Ciò che è contro l'opinione comune.
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[29367] Iª q. 22 a. 2 arg. 2 Praeterea, omnis sapiens provisor excludit defectum et malum, quantum potest, ab his quorum curam gerit. Videmus autem multa mala in rebus esse. Aut igitur Deus non potest ea impedire, et sic non est omnipotens, aut non de omnibus curam habet.
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[29367] Iª q. 22 a. 2 arg. 2
2. Ogni saggio provveditore elimina, più che può, dalle cose di cui ha la cura, le deficienze ed i mali. Ora, vediamo che nelle cose ci sono tanti mali. Dunque, o Dio non può impedirli; e allora non è onnipotente; o non ha cura di tutte le cose.
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[29368] Iª q. 22 a. 2 arg. 3 Praeterea, quae ex necessitate eveniunt, providentiam seu prudentiam non requirunt, unde, secundum philosophum in VI Ethic., prudentia est recta ratio contingentium, de quibus est consilium et electio. Cum igitur multa in rebus ex necessitate eveniant, non omnia providentiae subduntur.
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[29368] Iª q. 22 a. 2 arg. 3
3. Quello che accade per necessità non richiede provvidenza o prudenza. Di qui l'affermazione del Filosofo, che la prudenza "è la saggia disposizione delle cose contingenti, per le quali vi è deliberazione e scelta". Ma siccome molte cose avvengono per necessità, non tutto è soggetto alla divina provvidenza.
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[29369] Iª q. 22 a. 2 arg. 4 Praeterea, quicumque dimittitur sibi, non subest providentiae alicuius gubernantis. Sed homines sibi ipsis dimittuntur a Deo, secundum illud Eccli. XV, Deus ab initio constituit hominem, et reliquit eum in manu consilii sui; et specialiter mali, secundum illud, dimisit illos secundum desideria cordis eorum. Non igitur omnia divinae providentiae subsunt.
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[29369] Iª q. 22 a. 2 arg. 4
4. Chi è abbandonato a se stesso, non soggiace alla provvidenza di alcun governante. Ora, gli uomini sono da Dio abbandonati a se stessi, secondo il detto dell'Ecclesiastico: "Dio da principio creò l'uomo e lo lasciò in mano del suo arbitrio"; e in modo speciale i malvagi "li abbandonò alla durezza del loro cuore". Dunque non tutte le cose soggiacciono alla divina provvidenza.
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[29370] Iª q. 22 a. 2 arg. 5 Praeterea, apostolus, I Cor. IX, dicit quod non est Deo cura de bobus, et eadem ratione, de aliis creaturis irrationalibus. Non igitur omnia subsunt divinae providentiae.
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[29370] Iª q. 22 a. 2 arg. 5
5. L'Apostolo scrive che "Dio non si dà pensiero dei buoi": e per lo stesso motivo neppure di tutte le altre creature irragionevoli. Dunque non tutte le cose sono soggette alla provvidenza di Dio.
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[29371] Iª q. 22 a. 2 s. c. Sed contra est quod dicitur Sap. VIII, de divina sapientia, quod attingit a fine usque ad finem fortiter, et disponit omnia suaviter.
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[29371] Iª q. 22 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Nella Sacra Scrittura leggiamo a proposito della divina sapienza: "si estende con potenza da un'estremità all'altra (del mondo), e tutto governa con bontà".
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[29372] Iª q. 22 a. 2 co. Respondeo dicendum quod quidam totaliter providentiam negaverunt, sicut Democritus et Epicurei, ponentes mundum factum esse casu. Quidam vero posuerunt incorruptibilia tantum providentiae subiacere; corruptibilia vero, non secundum individua, sed secundum species; sic enim incorruptibilia sunt. Ex quorum persona dicitur Iob XXII, nubes latibulum eius, et circa cardines caeli perambulat, neque nostra considerat. A corruptibilium autem generalitate excepit Rabbi Moyses homines, propter splendorem intellectus, quem participant, in aliis autem individuis corruptibilibus, aliorum opinionem est secutus. Sed necesse est dicere omnia divinae providentiae subiacere, non in universali tantum, sed etiam in singulari. Quod sic patet. Cum enim omne agens agat propter finem, tantum se extendit ordinatio effectuum in finem, quantum se extendit causalitas primi agentis. Ex hoc enim contingit in operibus alicuius agentis aliquid provenire non ad finem ordinatum, quia effectus ille consequitur ex aliqua alia causa, praeter intentionem agentis. Causalitas autem Dei, qui est primum agens, se extendit usque ad omnia entia, non solum quantum ad principia speciei, sed etiam quantum ad individualia principia, non solum incorruptibilium, sed etiam corruptibilium. Unde necesse est omnia quae habent quocumque modo esse, ordinata esse a Deo in finem, secundum illud apostoli, ad Rom. XIII, quae a Deo sunt, ordinata sunt. Cum ergo nihil aliud sit Dei providentia quam ratio ordinis rerum in finem, ut dictum est, necesse est omnia, inquantum participant esse, intantum subdi divinae providentiae. Similiter etiam supra ostensum est quod Deus omnia cognoscit, et universalia et particularia. Et cum cognitio eius comparetur ad res sicut cognitio artis ad artificiata, ut supra dictum est, necesse est quod omnia supponantur suo ordini, sicut omnia artificiata subduntur ordini artis.
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[29372] Iª q. 22 a. 2 co.
RISPONDO: Alcuni hanno negato totalmente la provvidenza, come Democrito e gli Epicurei, i quali affermarono che il mondo è produzione del caso. Altri hanno detto che soltanto gli esseri incorruttibili dipendono dalla provvidenza; quelli corruttibili, invece, (ne dipendono) non quanto agli individui, ma quanto alle specie, perché sotto questo aspetto sono incorruttibili. In persona di costoro così parlano gli amici di Giobbe: "La nube è per lui un nascondiglio, e attorno ai cardini dei cieli egli passeggia, e non si occupa delle cose nostre". Ma da questa condizione degli esseri corruttibili Rabbi Mosè eccettuò gli uomini, per lo splendore dell'intelligenza, che essi partecipano: quanto agli altri individui corruttibili, seguì l'opinione degli altri filosofi.
Ma è necessario dire che tutte le cose, non solo considerate in generale, ma anche individualmente, sottostanno alla divina provvidenza. Eccone la dimostrazione. Siccome ogni agente opera per un fine, tanto si estende l'ordinamento degli effetti al fine, quanto si estende la causalità dell'agente primo. Se, infatti, nell'operare di qualche agente accade che qualche cosa avvenga all'infuori dell'ordinamento al fine, il motivo ne è che tale effetto deriva da qualche altra causa estranea all'intenzione dell'agente. Ora, la causalità di Dio, il quale è l'agente primo, si estende a tutti gli esseri, non solo quanto ai principi della specie, ma anche quanto ai principi individuali, sia delle cose incorruttibili, sia delle cose corruttibili. Quindi è necessario che tutto ciò che in qualsiasi modo ha l'essere sia da Dio ordinato al suo fine, secondo il detto dell'Apostolo: "Ciò che è da Dio, è ordinato". Siccome, dunque, la provvidenza di Dio non è altro che l'ordinamento delle cose verso il loro fine, come già è stato detto, è necessario che tutte le cose siano soggette alla divina provvidenza nella misura della loro partecipazione all'essere.
Bisogna anche notare, come sopra si è dimostrato, che Dio conosce tutti gli esseri, universali e particolari. E poiché la sua conoscenza sta in rapporto alle cose come le norme di un'arte stanno alle opere della medesima, come fu detto sopra, è necessario che tutte le cose sian sottoposte al suo ordinamento, come le opere di un'arte sono sottoposte alle norme dell'arte.
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[29373] Iª q. 22 a. 2 ad 1 Ad primum ergo dicendum quod aliter est de causa universali, et de causa particulari. Ordinem enim causae particularis aliquid potest exire, non autem ordinem causae universalis. Non enim subducitur aliquid ab ordine causae particularis, nisi per aliquam aliam causam particularem impedientem, sicut lignum impeditur a combustione per actionem aquae. Unde, cum omnes causae particulares concludantur sub universali causa, impossibile est aliquem effectum ordinem causae universalis effugere. Inquantum igitur aliquis effectus ordinem alicuius causae particularis effugit, dicitur esse casuale vel fortuitum, respectu causae particularis, sed respectu causae universalis, a cuius ordine subtrahi non potest, dicitur esse provisum. Sicut et concursus duorum servorum, licet sit casualis quantum ad eos, est tamen provisus a domino, qui eos scienter sic ad unum locum mittit, ut unus de alio nesciat.
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[29373] Iª q. 22 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Una cosa è (parlare) della causa universale e altra cosa (parlare) della causa particolare. Si può infatti sfuggire all'ordinamento della causa particolare, ma non a quello della causa universale. Poiché niente può essere sottratto all'ordinamento di una causa particolare se non a motivo di una qualche altra causa particolare che la ostacola: p. es., la combustione del legno può essere impedita dall'azione dell'acqua. Ora, siccome tutte le cause particolari sono abbracciate dalla causa universale, è impossibile che qualsiasi effetto sfugga all'ordinamento della causa universale. Quindi, un effetto si dirà casuale e fortuito relativamente a una causa particolare, in quanto si sottrae all'ordinamento di essa; ma rispetto alla causa universale, dal cui ordinamento non può sottrarsi, bisogna dire che è previsto. Così, p. es., l'incontro di due servi, sebbene sia per loro casuale, è previsto dal loro padrone, il quale intenzionalmente li ha mandati in un medesimo posto, l'uno all'insaputa dell'altro.
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[29374] Iª q. 22 a. 2 ad 2 Ad secundum dicendum quod aliter de eo est qui habet curam alicuius particularis, et de provisore universali. Quia provisor particularis excludit defectum ab eo quod eius curae subditur, quantum potest, sed provisor universalis permittit aliquem defectum in aliquo particulari accidere, ne impediatur bonum totius. Unde corruptiones et defectus in rebus naturalibus, dicuntur esse contra naturam particularem; sed tamen sunt de intentione naturae universalis, inquantum defectus unius cedit in bonum alterius, vel etiam totius universi; nam corruptio unius est generatio alterius, per quam species conservatur. Cum igitur Deus sit universalis provisor totius entis, ad ipsius providentiam pertinet ut permittat quosdam defectus esse in aliquibus particularibus rebus, ne impediatur bonum universi perfectum. Si enim omnia mala impedirentur, multa bona deessent universo, non enim esset vita leonis, si non esset occisio animalium; nec esset patientia martyrum, si non esset persecutio tyrannorum. Unde dicit Augustinus in Enchirid. Deus omnipotens nullo modo sineret malum aliquod esse in operibus suis, nisi usque adeo esset omnipotens et bonus, ut bene faceret etiam de malo. Ex his autem duabus rationibus quas nunc solvimus, videntur moti fuisse, qui divinae providentiae subtraxerunt corruptibilia, in quibus inveniuntur casualia et mala.
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[29374] Iª q. 22 a. 2 ad 2
2. Altro è il caso di chi ha la gestione di un bene particolare e altro quello del provveditore universale. Il primo elimina, per quanto può, ogni difetto da ciò che è affidato alle sue cure, mentre il provveditore universale, per assicurare il bene del tutto, permette qualche difetto in casi particolari. Perciò la distruzione e le deficienze delle cose create si possono dire contro la natura particolare di esse; ma rientrano nell'intenzione della natura universale, in quanto il difetto di una ridonda al bene di un'altra, o anche al bene di tutto l'universo; infatti, la distruzione di una cosa segna la generazione di un'altra, e così si conserva la specie. Essendo, dunque, Dio il provveditore universale di tutto l'essere, appartiene alla sua provvidenza il permettere alcuni difetti in qualche cosa particolare perché non sia impedito il bene perfetto dell'universo. Ed invero, se si impedissero tutti i mali, molti beni verrebbero a mancare all'universo; p. es., non vi sarebbe la vita del leone se non vi fosse la morte di altri animali; né vi sarebbe la pazienza dei martiri se non vi fosse la persecuzione dei tiranni. Perciò S. Agostino può dire: "L'onnipotente Iddio non lascerebbe trascorrere alcun male nelle sue opere se non fosse tanto potente e buono da trarre del bene anche dal male". - Quelli che sottrassero alla divina provvidenza gli esseri corruttibili, nei quali si riscontrano il caso e il male, pare siano stati spinti a questo dalle due difficoltà, ora risolte.
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[29375] Iª q. 22 a. 2 ad 3 Ad tertium dicendum quod homo non est institutor naturae, sed utitur in operibus artis et virtutis, ad suum usum, rebus naturalibus. Unde providentia humana non se extendit ad necessaria, quae ex natura proveniunt. Ad quae tamen se extendit providentia Dei, qui est auctor naturae. Et ex hac ratione videntur moti fuisse, qui cursum rerum naturalium subtraxerunt divinae providentiae, attribuentes ipsum necessitati materiae; ut Democritus, et alii naturales antiqui.
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[29375] Iª q. 22 a. 2 ad 3
3. L'uomo non è l'autore della natura; ma si serve, a suo uso, delle cose naturali per la sua attività materiale e morale. Quindi la provvidenza umana non si estende alle cose necessarie, che provengono dalla natura; ad esse, invece, si estende la provvidenza di Dio, autore della natura. - Da questa difficoltà pare che siano stati mossi coloro che, come Democrito e gli altri antichi (filosofi) naturalisti, hanno sottratto alla divina provvidenza il corso delle cose naturali, attribuendolo alla necessità della materia.
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[29376] Iª q. 22 a. 2 ad 4 Ad quartum dicendum quod in hoc quod dicitur Deum hominem sibi reliquisse, non excluditur homo a divina providentia, sed ostenditur quod non praefigitur ei virtus operativa determinata ad unum, sicut rebus naturalibus; quae aguntur tantum, quasi ab altero directae in finem, non autem seipsa agunt, quasi se dirigentia in finem, ut creaturae rationales per liberum arbitrium, quo consiliantur et eligunt. Unde signanter dicit, in manu consilii sui. Sed quia ipse actus liberi arbitrii reducitur in Deum sicut in causam, necesse est ut ea quae ex libero arbitrio fiunt, divinae providentiae subdantur, providentia enim hominis continetur sub providentia Dei, sicut causa particularis sub causa universali. Hominum autem iustorum quodam excellentiori modo Deus habet providentiam quam impiorum, inquantum non permittit contra eos evenire aliquid, quod finaliter impediat salutem eorum, nam diligentibus Deum omnia cooperantur in bonum, ut dicitur Rom. VIII. Sed ex hoc ipso quod impios non retrahit a malo culpae, dicitur eos dimittere. Non tamen ita, quod totaliter ab eius providentia excludantur, alioquin in nihilum deciderent, nisi per eius providentiam conservarentur. Et ex hac ratione videtur motus fuisse Tullius, qui res humanas, de quibus consiliamur, divinae providentiae subtraxit.
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[29376] Iª q. 22 a. 2 ad 4
4. Quando si legge che Dio abbandona l'uomo a se stesso non si intende escludere l'uomo dalla divina provvidenza; solo si vuole mostrare che non gli è stata prefissa una capacità operativa, determinata ad un solo modo di agire, come alle cose naturali, le quali non agiscono che sotto l'impulso di un altro, senza dirigersi da sé verso il loro fine, come fanno le creature ragionevoli mediante il libero arbitrio, in virtù del quale deliberano e scelgono. Perciò la Scrittura usa l'espressione "in mano del suo arbitrio". Ma poiché lo stesso atto del libero arbitrio si riconduce a Dio come alla sua causa, è necessario che anche ciò che si fa con libero arbitrio sia sottomesso alla divina provvidenza, perché la provvidenza dell'uomo è contenuta sotto la provvidenza di Dio, come una causa particolare sotto la causa umversale. - Agli uomini giusti poi Dio provvede in maniera più speciale che agli empi, in quanto non permette che ad essi accada qualche cosa che ostacoli definitivamente la loro salvezza: perché, come afferma l'Apostolo, "tutto coopera a bene per chi ama Dio". Degli empi, invece, si dice che li abbandona per il fatto che non li ritrae dal male morale. Ma non in modo tale che siano del tutto esclusi dalla sua provvidenza: perché se non fossero conservati dalla sua provvidenza, allora ricadrebbero nel nulla. - Pare che proprio da questa difficoltà sia stato mosso Cicerone a sottrarre alla divina provvidenza le cose umane, intorno alle quali noi ci consultiamo.
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[29377] Iª q. 22 a. 2 ad 5 Ad quintum dicendum quod, quia creatura rationalis habet per liberum arbitrium dominium sui actus, ut dictum est, speciali quodam modo subditur divinae providentiae; ut scilicet ei imputetur aliquid ad culpam vel ad meritum, et reddatur ei aliquid ut poena vel praemium. Et quantum ad hoc curam Dei apostolus a bobus removet. Non tamen ita quod individua irrationalium creaturarum ad Dei providentiam non pertineant, ut Rabbi Moyses existimavit.
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[29377] Iª q. 22 a. 2 ad 5
5. Poiché la creatura ragionevole, per il libero arbitrio, ha il dominio dei propri atti, come già si disse, è soggetta alla divina provvidenza in un modo tutto speciale; cioè le viene imputato a colpa o a merito quello che fa, e in cambio ne riceve pena o premio. Ora, l'Apostolo nega a Dio la cura dei buoi soltanto sotto questo aspetto, ma non nel senso che gli individui delle creature irragionevoli non siano sottoposti alla provvidenza di Dio, come credeva Rabbi Mosè.
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