I, 20

Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > L'amore di Dio


Prima pars
Quaestio 20
Prooemium

[29285] Iª q. 20 pr.
Deinde considerandum est de his quae absolute ad voluntatem Dei pertinent. In parte autem appetitiva inveniuntur in nobis et passiones animae, ut gaudium, amor, et huiusmodi; et habitus moralium virtutum, ut iustitia, fortitudo, et huiusmodi. Unde primo considerabimus de amore Dei; secundo, de iustitia Dei, et misericordia eius. Circa primum quaeruntur quatuor.
Primo, utrum in Deo sit amor.
Secundo, utrum amet omnia.
Tertio, utrum magis amet unum quam aliud.
Quarto, utrum meliora magis amet.

 
Prima parte
Questione 20
Proemio

[29285] Iª q. 20 pr.
Ed ora veniamo a trattare di quanto direttamente si riferisce alla volontà di Dio. Nella nostra parte appetitiva troviamo le passioni dell'anima, come il gaudio, l'amore e simili; e gli abiti delle virtù morali, come la giustizia, la fortezza e tutte le altre. Perciò, innanzi tutto, tratteremo dell'amore di Dio; in secondo luogo, della giustizia di Dio, e della sua misericordia. Sul primo argomento si pongono quattro quesiti:
1. Se in Dio ci sia l'amore;
2. Se Dio ami tutte le cose;
3. Se Dio ami più una cosa che un'altra;
4. Se Dio ami di più le cose migliori.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > L'amore di Dio > Se in Dio ci sia l'amore


Prima pars
Quaestio 20
Articulus 1

[29286] Iª q. 20 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod amor non sit in Deo. Nulla enim passio est in Deo. Amor est passio. Ergo amor non est in Deo.

 
Prima parte
Questione 20
Articolo 1

[29286] Iª q. 20 a. 1 arg. 1
SEMBRA che in Dio non ci sia l'amore. Infatti:
1. Nessuna passione è in Dio. L'amore è una passione. Dunque in Dio non c'è amore.

[29287] Iª q. 20 a. 1 arg. 2
Praeterea, amor, ira, tristitia, et huiusmodi, contra se dividuntur. Sed tristitia et ira non dicuntur de Deo nisi metaphorice. Ergo nec amor.

 

[29287] Iª q. 20 a. 1 arg. 2
2. L'amore, l'ira, la tristezza e simili (sono cose dello stesso genere che) si possono contrapporre. Ora, la tristezza e l'ira si attribuiscono a Dio soltanto metaforicamente. E quindi anche l'amore.

[29288] Iª q. 20 a. 1 arg. 3
Praeterea, Dionysius dicit, IV cap. de Div. Nom., amor est vis unitiva et concretiva. Hoc autem in Deo locum habere non potest, cum sit simplex. Ergo in Deo non est amor.

 

[29288] Iª q. 20 a. 1 arg. 3
3. Dice Dionigi: "L'amore è una forza unitiva e aggregativa". Ora, Dio è semplice. Dunque in Dio non c'è amore.

[29289] Iª q. 20 a. 1 s. c.
Sed contra est quod dicitur I Ioan. IV, Deus caritas est.

 

[29289] Iª q. 20 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: S. Giovanni afferma: "Dio è amore".

[29290] Iª q. 20 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod necesse est ponere amorem in Deo. Primus enim motus voluntatis, et cuiuslibet appetitivae virtutis, est amor. Cum enim actus voluntatis, et cuiuslibet appetitivae virtutis tendat in bonum et malum, sicut in propria obiecta; bonum autem principalius et per se est obiectum voluntatis et appetitus, malum autem secundario et per aliud, inquantum scilicet opponitur bono, oportet naturaliter esse priores actus voluntatis et appetitus qui respiciunt bonum, his qui respiciunt malum; ut gaudium quam tristitia, et amor quam odium. Semper enim quod est per se, prius est eo quod est per aliud. Rursus, quod est communius, naturaliter est prius, unde et intellectus per prius habet ordinem ad verum commune, quam ad particularia quaedam vera. Sunt autem quidam actus voluntatis et appetitus, respicientes bonum sub aliqua speciali conditione, sicut gaudium et delectatio est de bono praesenti et habito; desiderium autem et spes, de bono nondum adepto. Amor autem respicit bonum in communi, sive sit habitum, sive non habitum. Unde amor naturaliter est primus actus voluntatis et appetitus. Et propter hoc, omnes alii motus appetitivi praesupponunt amorem, quasi primam radicem. Nullus enim desiderat aliquid, nisi bonum amatum, neque aliquis gaudet, nisi de bono amato. Odium etiam non est nisi de eo quod contrariatur rei amatae. Et similiter tristitiam, et cetera huiusmodi, manifestum est in amorem referri, sicut in primum principium. Unde in quocumque est voluntas vel appetitus, oportet esse amorem, remoto enim primo, removentur alia. Ostensum est autem in Deo esse voluntatem. Unde necesse est in eo ponere amorem.

 

[29290] Iª q. 20 a. 1 co.
RISPONDO: È necessario ammettere l'amore in Dio. Infatti l'amore è il primo moto della volontà e di qualsiasi facoltà appetitiva. L'atto della volontà, e di qualsiasi appetito, tende, come a proprio oggetto, al bene ed al male: ma siccome il bene è l'oggetto principale e diretto della volontà e dell'appetito, e il male invece ne è l'oggetto secondario e indiretto, cioè in quanto è l'opposto del bene, bisogna che gli atti appetitivi e volitivi riguardanti il bene abbiano una priorità naturale su quelli che concernono il male; cioè il gaudio precederà la tristezza, e l'amore sarà prima dell'odio. Perché ciò che vale di suo, precede sempre quanto dipende da altri.
Ancora, ciò che è più generico ed esteso ha una priorità naturale; difatti l'intelletto dice innanzi tutto ordine alla verità in generale, piuttosto che a questa o a quell'altra verità. Ora, vi sono degli atti della volontà e dell'appetito, che riguardano il bene sotto una speciale condizione: così la gioia e il piacere riguardano il bene presente e posseduto; il desiderio e la speranza un bene non ancora posseduto. L'amore, invece, riguarda il bene in generale, posseduto o non posseduto. Perciò l'amore naturalmente è il primo atto della volontà e dell'appetito.
Ed è per questo che tutti gli altri moti dell'appetito suppongono l'amore, quale prima radice. Non si desidera altro infatti se non il bene che si ama, né si gioisce che del bene amato. E anche l'odio non ha altro oggetto che quanto contrasta con la cosa amata. Così pure è evidente che la tristezza e le altre passioni si richiamano all'amore come al loro primo principio. Quindi in qualunque essere c'è volontà o appetito, necessariamente vi è l'amore: perché se si toglie il primo, tutto il resto scompare. Ora, sopra abbiamo dimostrato che in Dio c'è la volontà. Perciò in lui bisogna ammettere l'amore.

[29291] Iª q. 20 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod vis cognitiva non movet, nisi mediante appetitiva. Et sicut in nobis ratio universalis movet mediante ratione particulari, ut dicitur in III de anima; ita appetitus intellectivus, qui dicitur voluntas, movet in nobis mediante appetitu sensitivo. Unde proximum motivum corporis in nobis est appetitus sensitivus. Unde semper actum appetitus sensitivi concomitatur aliqua transmutatio corporis; et maxime circa cor, quod est primum principium motus in animali. Sic igitur actus appetitus sensitivi, inquantum habent transmutationem corporalem annexam, passiones dicuntur, non autem actus voluntatis. Amor igitur et gaudium et delectatio, secundum quod significant actus appetitus sensitivi, passiones sunt, non autem secundum quod significant actus appetitus intellectivi. Et sic ponuntur in Deo. Unde dicit philosophus, in VII Ethic., quod Deus una et simplici operatione gaudet. Et eadem ratione, sine passione amat.

 

[29291] Iª q. 20 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. In risposta alla prima difficoltà si osservi che la facoltà conoscitiva non muove se non mediante l'appetito. Ora (bisogna anche considerare che) nell'uomo secondo Aristotele, come la ragione (astratta) universale agisce mediante la ragione (concreta e) particolare, così l'appetito intellettivo, che si chiama volontà, agisce mediante l'appetito sensitivo. Quindi il motore prossimo del nostro corpo è l'appetito sensitivo. Ne viene che ogni atto dell'appetito sensitivo è sempre accompagnato da qualche trasmutazione corporale; massime nella regione del cuore, che è il primo principio del movimento nell'animale. Per questo gli atti dell'appetito sensitivo, in quanto hanno annessa un'alterazione corporale, si chiamano passioni: non così l'atto della volontà. Sicché amore, gioia, piacere, quando significano atti dell'appetito sensitivo, sono passioni; ma non quando stanno a indicare l'atto dell'appetito intellettivo (volontà). E in quest'ultimo senso si attribuiscono a Dio. Perciò il Filosofo dice che "Dio gode di una sola e semplice operazione". E per la stessa ragione, ama senza passione alcuna.

[29292] Iª q. 20 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod in passionibus sensitivi appetitus, est considerare aliquid quasi materiale, scilicet corporalem transmutationem; et aliquid quasi formale, quod est ex parte appetitus. Sicut in ira, ut dicitur in I de anima, materiale est accensio sanguinis circa cor, vel aliquid huiusmodi; formale vero, appetitus vindictae. Sed rursus, ex parte eius quod est formale, in quibusdam horum designatur aliqua imperfectio; sicut in desiderio, quod est boni non habiti; et in tristitia, quae est mali habiti. Et eadem ratio est de ira, quae tristitiam supponit. Quaedam vero nullam imperfectionem designant, ut amor et gaudium. Cum igitur nihil horum Deo conveniat secundum illud quod est materiale in eis, ut dictum est; illa quae imperfectionem important etiam formaliter, Deo convenire non possunt nisi metaphorice, propter similitudinem effectus, ut supra dictum est. Quae autem imperfectionem non important, de Deo proprie dicuntur, ut amor et gaudium, tamen sine passione, ut dictum est.

 

[29292] Iª q. 20 a. 1 ad 2
2. Nelle passioni dell'appetito sensitivo bisogna distinguere ciò che rappresenta come l'elemento materiale, cioè l'alterazione corporale, da ciò che costituisce l'elemento formale, cioè il moto specifico dell'appetito sensitivo. P. es., nell'ira, secondo Aristotele, l'elemento materiale è l'accensione del sangue nella regione del cuore, o qualche cosa di questo genere; l'elemento formale, invece, è la brama di vendicarsi. Di più, anche nell'elemento formale di alcune passioni è inclusa un'imperfezione; p. es., nel desiderio, che riguarda un bene non posseduto, e nella tristezza, che riguarda un male subito. Lo stesso si dice dell'ira, che presuppone la tristezza. Altre passioni, invece, non implicano nessuna imperfezione, come l'amore e la gioia. Escluso quindi che, come si è spiegato, possa convenire a Dio quanto c'è di materiale nelle passioni; si possono però attribuire a Dio soltanto in senso metaforico, quelle che anche formalmente prese implicano imperfezione; (senso metaforico fondato) sulla somiglianza di effetti, come si è detto nelle precedenti questioni. Quelle invece che non implicano imperfezione, si possono affermare di Dio in senso proprio, come l'amore e la gioia; esclusa però la passione, come si è spiegato.

[29293] Iª q. 20 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod actus amoris semper tendit in duo, scilicet in bonum quod quis vult alicui; et in eum cui vult bonum. Hoc enim est proprie amare aliquem, velle ei bonum. Unde in eo quod aliquis amat se, vult bonum sibi. Et sic illud bonum quaerit sibi unire, inquantum potest. Et pro tanto dicitur amor vis unitiva, etiam in Deo, sed absque compositione, quia illud bonum quod vult sibi, non est aliud quam ipse, qui est per suam essentiam bonus, ut supra ostensum est. In hoc vero quod aliquis amat alium, vult bonum illi. Et sic utitur eo tanquam seipso, referens bonum ad illum, sicut ad seipsum. Et pro tanto dicitur amor vis concretiva, quia alium aggregat sibi habens se ad eum sicut ad seipsum. Et sic etiam amor divinus est vis concretiva, absque compositione quae sit in Deo, inquantum aliis bona vult.

 

[29293] Iª q. 20 a. 1 ad 3
3. L'atto dell'amore tende sempre verso due oggetti: verso il bene che si vuole a qualcuno, e verso colui al quale si vuole il bene, perché amare uno, vuol dire precisamente volere a lui del bene. Quindi, dal momento che uno si ama, vuole a se stesso del bene, e questo bene cerca di unirlo a se medesimo per quanto può. Per tal motivo l'amore si chiama forza unitiva anche in Dio, però senza composizione di sorta, perché quel bene che (Dio) vuole a se stesso, non è altra cosa che se medesimo, buono per essenza, come sopra si è dimostrato. - In quanto, poi, uno ama un altro, vuole del bene a quest'altro. E lo tratta come se stesso, rivolgendo a lui il bene come a se medesimo. In questo senso l'amore si dice forza aggregativa; perché uno aggrega un altro a se medesimo, e lo tratta come un altro se stesso. In tal senso anche l'amore divino è una forza aggregativa senza che per questo in Dio vi sia composizione, (ma solo) perché rivolge ad altri i suoi beni.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > L'amore di Dio > Se Dio ami tutte le cose


Prima pars
Quaestio 20
Articulus 2

[29294] Iª q. 20 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod Deus non omnia amet. Quia, secundum Dionysium, IV cap. de Div. Nom., amor amantem extra se ponit, et eum quodammodo in amatum transfert. Inconveniens autem est dicere quod Deus, extra se positus, in alia transferatur. Ergo inconveniens est dicere quod Deus alia a se amet.

 
Prima parte
Questione 20
Articolo 2

[29294] Iª q. 20 a. 2 arg. 1
SEMBRA che Dio non ami tutte le cose. Infatti:
1. Al dire di Dionigi l'amore pone l'amante fuori di sé e lo trasporta nell'oggetto amato. Ma è assurdo dire che Dio, posto fuori di sé, sia trasportato in altri esseri. Dunque non è ammissibile che Dio ami altri che se stesso.

[29295] Iª q. 20 a. 2 arg. 2
Praeterea, amor Dei aeternus est. Sed ea quae sunt alia a Deo, non sunt ab aeterno nisi in Deo. Ergo Deus non amat ea nisi in seipso. Sed secundum quod sunt in eo, non sunt aliud ab eo. Ergo Deus non amat alia a seipso.

 

[29295] Iª q. 20 a. 2 arg. 2
2. L'amore di Dio è eterno. Ora, le cose distinte da Dio non sono eterne se non in quanto sono in Dio. Dunque Dio non le ama se non in se stesso. Ma in quanto sono in Dio le cose non sono distinte da lui. Dunque Dio non ama altro che se stesso.

[29296] Iª q. 20 a. 2 arg. 3
Praeterea, duplex est amor, scilicet concupiscentiae, et amicitiae. Sed Deus creaturas irrationales non amat amore concupiscentiae, quia nullius extra se eget, nec etiam amore amicitiae, quia non potest ad res irrationales haberi, ut patet per philosophum, in VIII Ethic. Ergo Deus non omnia amat.

 

[29296] Iª q. 20 a. 2 arg. 3
3. L'amore è di due specie: cioè l'amore di concupiscenza e l'amore di amicizia. Ora, Dio non ama le creature irragionevoli di amore di concupiscenza, perché non ha bisogno di niente; e neppure di amore di amicizia, perché un tale amore non può aversi verso le creature irragionevoli, come Aristotele dimostra. Dunque Dio non ama tutte le cose.

[29297] Iª q. 20 a. 2 arg. 4
Praeterea, in Psalmo dicitur, odisti omnes qui operantur iniquitatem. Nihil autem simul odio habetur et amatur. Ergo Deus non omnia amat.

 

[29297] Iª q. 20 a. 2 arg. 4
4. Sta scritto nei Salmi: "Tu odii tutti gli operatori di iniquità". Ma, nessuno può al tempo stesso essere odiato ed amato. Dunque Dio non ama tutti gli esseri.

[29298] Iª q. 20 a. 2 s. c.
Sed contra est quod dicitur Sap. XI, diligis omnia quae sunt, et nihil odisti eorum quae fecisti.

 

[29298] Iª q. 20 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Si legge nella Sacra Scrittura: "Ami gli esseri tutti, e nulla abomini di quanto hai fatto".

[29299] Iª q. 20 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod Deus omnia existentia amat. Nam omnia existentia, inquantum sunt, bona sunt, ipsum enim esse cuiuslibet rei quoddam bonum est, et similiter quaelibet perfectio ipsius. Ostensum est autem supra quod voluntas Dei est causa omnium rerum et sic oportet quod intantum habeat aliquid esse, aut quodcumque bonum, inquantum est volitum a Deo. Cuilibet igitur existenti Deus vult aliquod bonum. Unde, cum amare nil aliud sit quam velle bonum alicui, manifestum est quod Deus omnia quae sunt, amat. Non tamen eo modo sicut nos. Quia enim voluntas nostra non est causa bonitatis rerum, sed ab ea movetur sicut ab obiecto, amor noster, quo bonum alicui volumus, non est causa bonitatis ipsius, sed e converso bonitas eius, vel vera vel aestimata, provocat amorem, quo ei volumus et bonum conservari quod habet, et addi quod non habet, et ad hoc operamur. Sed amor Dei est infundens et creans bonitatem in rebus.

 

[29299] Iª q. 20 a. 2 co.
RISPONDO: Dio ama tutti gli esseri esistenti, perché tutto ciò che esiste, in quanto esiste, è buono; infatti l'essere di ciascuna cosa è un bene, come è un bene del resto ogni sua perfezione. Ora, sopra si è dimostrato che la volontà di Dio è causa di tutte le cose: e per conseguenza ogni ente ha tanto di essere e di qualsiasi bene nella misura che è oggetto della volontà di Dio. Dunque ad ogni essere esistente Dio vuole qualche bene. Perciò, siccome amare vuol dire volere a uno del bene, è evidente che Dio ama tutte le cose esistenti.
Dio però non (ama) come noi. La nostra volontà, infatti, non causa il bene, che si trova nelle cose; al contrario è mossa da esso come dal proprio oggetto; e quindi il nostro amore con il quale vogliamo del bene a qualcuno, non è causa della bontà di costui, ché anzi la di lui bontà, vera o supposta, provoca l'amore, che ci spinge a volere che gli sia mantenuto il bene che possiede e acquisti quello che non ha: e ci adoperiamo a tale scopo. L'amore di Dio invece infonde e crea la bontà nelle cose.

[29300] Iª q. 20 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod amans sic fit extra se in amatum translatus, inquantum vult amato bonum, et operatur per suam providentiam, sicut et sibi. Unde et Dionysius dicit, IV cap. de Div. Nom., audendum est autem et hoc pro veritate dicere, quod et ipse omnium causa, per abundantiam amativae bonitatis, extra seipsum fit ad omnia existentia providentiis.

 

[29300] Iª q. 20 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Chi ama esce fuori di se stesso portandosi verso l'oggetto amato in questo senso, che all'essere amato vuole del bene, e che con le sue premure cerca di procurarglielo come a se stesso. Tanto che Dionigi aggiunge: "Bisogna, poi, avere l'ardire di affermare, e questo per la verità, che Dio medesimo, causa di tutte le cose, per l'eccesso della sua bontà amante, esce fuori di sé e con la sua provvidenza va verso tutti gli esseri".

[29301] Iª q. 20 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod, licet creaturae ab aeterno non fuerint nisi in Deo, tamen per hoc quod ab aeterno in Deo fuerunt, ab aeterno Deus cognovit res in propriis naturis, et eadem ratione amavit. Sicut et nos per similitudines rerum, quae in nobis sunt, cognoscimus res in seipsis existentes.

 

[29301] Iª q. 20 a. 2 ad 2
2. Sebbene le creature non siano esistite eternamente se non in Dio, tuttavia appunto perché esistenti eternamente in Dio, egli le ha conosciute dall'eternità nella loro propria essenza; e per la stessa ragione le ha amate. Anche noi del resto attraverso immagini, che sono in noi, conosciamo le cose come sono in se stesse.

[29302] Iª q. 20 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod amicitia non potest haberi nisi ad rationales creaturas, in quibus contingit esse redamationem, et communicationem in operibus vitae, et quibus contingit bene evenire vel male, secundum fortunam et felicitatem, sicut et ad eas proprie benevolentia est. Creaturae autem irrationales non possunt pertingere ad amandum Deum, neque ad communicationem intellectualis et beatae vitae, qua Deus vivit. Sic igitur Deus, proprie loquendo, non amat creaturas irrationales amore amicitiae, sed amore quasi concupiscentiae; inquantum ordinat eas ad rationales creaturas, et etiam ad seipsum; non quasi eis indigeat, sed propter suam bonitatem et nostram utilitatem. Concupiscimus enim aliquid et nobis et aliis.

 

[29302] Iª q. 20 a. 2 ad 3
3. L'amicizia può sussistere soltanto tra creature ragionevoli, perché solo tra esse vi può essere amore reciproco e comunanza di vita; ed esse sole possono sperimentare il bene e il male nell'alternarsi delle disgrazie e della fortuna; come soltanto tra esse propriamente può esistere la benevolenza. Le creature irragionevoli, invece, non possono arrivare ad amare Dio, né a partecipare alla vita intellettuale e beata che Dio vive. Perciò Dio, a parlare propriamente, non ama le creature irragionevoli di amore di amicizia; ma le ama di un amore quasi di concupiscenza, in quanto le fa servire alle creature ragionevoli ed anche a se stesso; non perché ne abbia bisogno, ma per la sua bontà e la nostra utilità. Infatti possiamo avere concupiscenza di qualche cosa per noi stessi o per altri.

[29303] Iª q. 20 a. 2 ad 4
Ad quartum dicendum quod nihil prohibet unum et idem secundum aliquid amari, et secundum aliquid odio haberi. Deus autem peccatores, inquantum sunt naturae quaedam, amat, sic enim et sunt, et ab ipso sunt. Inquantum vero peccatores sunt, non sunt, sed ab esse deficiunt, et hoc in eis a Deo non est. Unde secundum hoc ab ipso odio habentur.

 

[29303] Iª q. 20 a. 2 ad 4
4. Niente impedisce che una identica cosa sia amata sotto un aspetto, e sotto un altro odiata. Perciò Dio ama i peccatori in quanto sono delle realtà: e sotto tale aspetto infatti essi esistono e da lui ricevono il loro essere. Però in quanto peccatori, essi non sono, ma hanno una menomazione nell'essere: e ciò non viene da Dio. Quindi sotto questo aspetto Dio li odia.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > L'amore di Dio > Se Dio ami ugualmente tutte le cose


Prima pars
Quaestio 20
Articulus 3

[29304] Iª q. 20 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod Deus aequaliter diligat omnia. Dicitur enim Sap. VI, aequaliter est ei cura de omnibus. Sed providentia Dei, quam habet de rebus, est ex amore quo amat res. Ergo aequaliter amat omnia.

 
Prima parte
Questione 20
Articolo 3

[29304] Iª q. 20 a. 3 arg. 1
SEMBRA che Dio ami ugualmente tutte le cose. Infatti:
1. Sta scritto: "Dio ha cura ugualmente di tutti". Ma la provvidenza che Dio ha delle cose scaturisce dall'amore che porta alle medesime. Dunque Dio ama tutto d'uguale amore.

[29305] Iª q. 20 a. 3 arg. 2
Praeterea, amor Dei est eius essentia. Sed essentia Dei magis et minus non recipit. Ergo nec amor eius. Non igitur quaedam aliis magis amat.

 

[29305] Iª q. 20 a. 3 arg. 2
2. L'amore di Dio si identifica con la di lui essenza. Ma l'essenza di Dio non è suscettibile del più e del meno. Perciò neppure il suo amore. E per conseguenza egli non può amare alcuni esseri più di altri.

[29306] Iª q. 20 a. 3 arg. 3
Praeterea, sicut amor Dei se extendit ad res creatas, ita et scientia et voluntas. Sed Deus non dicitur scire quaedam magis quam alia, neque magis velle. Ergo nec magis quaedam aliis diligit.

 

[29306] Iª q. 20 a. 3 arg. 3
3. L'amore di Dio si estende alle creature così come la scienza e la volontà. Ora, non si può dire che Dio conosce e vuole alcune cose più di altre. Dunque neppure si deve dire che le ami di più.

[29307] Iª q. 20 a. 3 s. c.
Sed contra est quod dicit Augustinus, super Ioann., omnia diligit Deus quae fecit; et inter ea magis diligit creaturas rationales; et de illis eas amplius, quae sunt membra unigeniti sui; et multo magis ipsum unigenitum suum.

 

[29307] Iª q. 20 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino scrive: "Dio ama tutte le cose che ha fatto; ma tra esse ama di più le creature ragionevoli, e tra queste maggiormente ama quelle che sono membra del suo Figlio unico; e molto più ancora il suo stesso Unigenito".

[29308] Iª q. 20 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod, cum amare sit velle bonum alicui, duplici ratione potest aliquid magis vel minus amari. Uno modo, ex parte ipsius actus voluntatis, qui est magis vel minus intensus. Et sic Deus non magis quaedam aliis amat, quia omnia amat uno et simplici actu voluntatis, et semper eodem modo se habente. Alio modo, ex parte ipsius boni quod aliquis vult amato. Et sic dicimur aliquem magis alio amare, cui volumus maius bonum; quamvis non magis intensa voluntate. Et hoc modo necesse est dicere quod Deus quaedam aliis magis amat. Cum enim amor Dei sit causa bonitatis rerum, ut dictum est, non esset aliquid alio melius, si Deus non vellet uni maius bonum quam alteri.

 

[29308] Iª q. 20 a. 3 co.
RISPONDO: Siccome amare significa volere del bene a uno, una cosa può essere amata di più o di meno per due motivi. Primo, a motivo dell'atto stesso della volontà, il quale può essere più o meno intenso. E sotto questo aspetto Dio non ama una cosa più di un'altra, perché le ama tutte con un solo e semplice atto della sua volontà, sempre invariabile. Secondo, a motivo di quel dato bene che si vuole all'essere amato. E in questo senso si dice che noi amiamo di più colui al quale vogliamo un bene maggiore, anche se (lo amiamo) con un'intensità minore. E in questa seconda maniera bisogna dire che Dio ama alcune cose più di altre. Infatti, essendo l'amore di Dio causa della bontà delle cose, come abbiamo già dimostrato, non vi sarebbe una cosa migliore di un'altra, se Dio non volesse ad una un bene maggiore che ad un'altra.

[29309] Iª q. 20 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod dicitur Deo aequaliter esse cura de omnibus, non quia aequalia bona sua cura omnibus dispenset; sed quia ex aequali sapientia et bonitate omnia administrat.

 

[29309] Iª q. 20 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Si dice che Dio ha ugualmente cura di tutte le cose, non perché nella sua provvidenza dispensi a tutte dei beni uguali, ma perché tutte le amministra con uguale sapienza e bontà.

[29310] Iª q. 20 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod ratio illa procedit de intensione amoris ex parte actus voluntatis, qui est divina essentia. Bonum autem quod Deus creaturae vult, non est divina essentia. Unde nihil prohibet illud intendi vel remitti.

 

[29310] Iª q. 20 a. 3 ad 2
2. Questa difficoltà riguarda l'intensità dell'amore nell'atto della volontà, che si identifica con l'essenza divina. Ma il bene che Dio vuole alla creatura, non è l'essenza divina. Perciò niente impedisce che esso possa crescere o diminuire.

[29311] Iª q. 20 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod intelligere et velle significant solum actus, non autem in sua significatione includunt aliqua obiecta, ex quorum diversitate possit dici Deus magis vel minus scire aut velle; sicut circa amorem dictum est.

 

[29311] Iª q. 20 a. 3 ad 3
3. Cognizione e volizione indicano soltanto degli atti, ma nel loro significato non includono, come si è potuto affermare per l'amore, dei dati oggettivi dalla cui diversità si possa dire che Dio conosca o voglia di più o di meno.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > L'amore di Dio > Se Dio sempre ami di più le cose migliori


Prima pars
Quaestio 20
Articulus 4

[29312] Iª q. 20 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod Deus non semper magis diligat meliora. Manifestum est enim quod Christus est melior toto genere humano, cum sit Deus et homo. Sed Deus magis dilexit genus humanum quam Christum, quia dicitur Rom. VIII, proprio filio suo non pepercit, sed pro nobis omnibus tradidit illum. Ergo Deus non semper magis diligit meliora.

 
Prima parte
Questione 20
Articolo 4

[29312] Iª q. 20 a. 4 arg. 1
SEMBRA che Dio non sempre ami di più le cose migliori. Infatti:
1. È evidente che Cristo è superiore a tutto il genere umano, essendo Dio e uomo. Ma Dio ha amato più il genere umano che il Cristo; perché sta scritto: "Dio non risparmiò il proprio Figlio, ma lo diede per tutti noi". Dunque Dio non sempre ama di più le cose migliori.

[29313] Iª q. 20 a. 4 arg. 2
Praeterea, Angelus est melior homine, unde in Psalmo VIII dicitur de homine, minuisti eum paulo minus ab Angelis. Sed Deus plus dilexit hominem quam Angelum, dicitur enim Hebr. II, nusquam Angelos apprehendit, sed semen Abrahae apprehendit. Ergo Deus non semper magis diligit meliora.

 

[29313] Iª q. 20 a. 4 arg. 2
2. L'angelo è superiore all'uomo; tanto è vero che nei Salmi così si parla dell'uomo: "Di poco l'hai fatto inferiore agli angeli". Ora, Dio ha amato più l'uomo che l'angelo: infatti l'Apostolo dice: "Non ad angeli egli viene in aiuto, ma viene in aiuto al seme di Abramo". Dunque Dio non sempre ama di più le cose migliori.

[29314] Iª q. 20 a. 4 arg. 3
Praeterea, Petrus fuit melior Ioanne, quia plus Christum diligebat. Unde dominus, sciens hoc esse verum, interrogavit Petrum, dicens, Simon Ioannis, diligis me plus his? Sed tamen Christus plus dilexit Ioannem quam Petrum, ut enim dicit Augustinus, super illud Ioan. XXI, Simon Ioannis diligis me? Hoc ipso signo Ioannes a ceteris discipulis discernitur; non quod solum eum, sed quod plus eum ceteris diligebat. Non ergo semper magis diligit meliora.

 

[29314] Iª q. 20 a. 4 arg. 3
3. Pietro era superiore a Giovanni: perché amava di più il Cristo. Tanto è vero che il Signore, sapendo ciò, così interrogò Pietro: "Simone, figlio di Giona, mi ami più di questi?". E tuttavia Cristo amò più Giovanni che Pietro; infatti, come dice S. Agostino, nel commentare il passo: "Simone, figlio di Giona, mi ami tu?", "Giovanni si distingueva per questo segno (dell'amore) dagli altri discepoli; non che Gesù amasse soltanto lui, ma perché lo amava più degli altri". Non sempre dunque Dio ama di più le cose migliori.

[29315] Iª q. 20 a. 4 arg. 4
Praeterea, melior est innocens poenitente; cum poenitentia sit secunda tabula post naufragium, ut dicit Hieronymus. Sed Deus plus diligit poenitentem quam innocentem, quia plus de eo gaudet, dicitur enim Luc. XV, dico vobis quod maius gaudium erit in caelo super uno peccatore poenitentiam agente, quam super nonaginta novem iustis, qui non indigent poenitentia. Ergo Deus non semper magis diligit meliora.

 

[29315] Iª q. 20 a. 4 arg. 4
4. Gli innocenti sono migliori dei penitenti, perché, al dire di S. Girolamo, "la penitenza è la seconda tavola dopo il naufragio". Dio invece ama più i penitenti degli innocenti; perché di essi più si rallegra. Infatti si legge nel Vangelo: "Vi dico che vi sarà più festa in cielo per un peccatore pentito, che per novantanove giusti, che non abbisognano di penitenza". Dunque non sempre Dio ama le cose migliori.

[29316] Iª q. 20 a. 4 arg. 5
Praeterea, melior est iustus praescitus, quam peccator praedestinatus. Sed Deus plus diligit peccatorem praedestinatum, quia vult ei maius bonum, scilicet vitam aeternam. Ergo Deus non semper magis diligit meliora.

 

[29316] Iª q. 20 a. 4 arg. 5
5. Un giusto prescito è migliore di un peccatore predestinato. Ora, Dio ama di più il peccatore predestinato, perché gli vuole un bene maggiore, cioè la vita eterna. Perciò non sempre Dio ama di più le cose migliori.

[29317] Iª q. 20 a. 4 s. c.
Sed contra, unumquodque diligit sibi simile; ut patet per illud quod habetur Eccli. XIII, omne animal diligit sibi simile. Sed intantum aliquid est melius, inquantum est Deo similius. Ergo meliora magis diliguntur a Deo.

 

[29317] Iª q. 20 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Ogni essere è portato ad amare il proprio simile, come risulta dalla Sacra Scrittura: "Ogni animale ama il suo simile". Ora, una cosa è migliore, nella misura in cui è più simile a Dio. Dunque le cose migliori sono più amate da Dio.

[29318] Iª q. 20 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod necesse est dicere, secundum praedicta, quod Deus magis diligat meliora. Dictum est enim quod Deum diligere magis aliquid, nihil aliud est quam ei maius bonum velle, voluntas enim Dei est causa bonitatis in rebus. Et sic, ex hoc sunt aliqua meliora, quod Deus eis maius bonum vult. Unde sequitur quod meliora plus amet.

 

[29318] Iª q. 20 a. 4 co.
RISPONDO: È necessario affermare, stando a quel che si è già detto, che Dio ama di più le cose migliori. Abbiamo spiegato infatti che per Dio amare di più un essere non vuol dire altro che dare a quest'essere un bene più grande, essendo la volontà di Dio la causa della bontà nelle cose. E quindi, proprio per questo vi sono delle cose migliori, perché Dio vuole ad esse un bene maggiore. Di qui la conseguenza che le cose migliori Dio le ama di più.

[29319] Iª q. 20 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod Deus Christum diligit, non solum plus quam totum humanum genus, sed etiam magis quam totam universitatem creaturarum, quia scilicet ei maius bonum voluit, quia dedit ei nomen, quod est super omne nomen, ut verus Deus esset. Nec eius excellentiae deperiit ex hoc quod Deus dedit eum in mortem pro salute humani generis, quinimo ex hoc factus est victor gloriosus; factus enim est principatus super humerum eius, ut dicitur Isaiae IX.

 

[29319] Iª q. 20 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Dio ama il Cristo, non solo più di tutto il genere umano, ma anche più che l'universo intero; appunto perché gli ha voluto un bene più grande, poiché "gli diede il nome che è al di sopra di ogni altro nome", cosicché fosse vero Dio. E niente toglie alla di lui eccellenza il fatto che Dio lo dette alla morte per la salvezza del genere umano; ché anzi ne è uscito vincitore glorioso, secondo le parole d'Isaia: "Il principato è stato posto sulle sue spalle".

[29320] Iª q. 20 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod naturam humanam assumptam a Dei verbo in persona Christi, secundum praedicta, Deus plus amat quam omnes Angelos, et melior est, maxime ratione unionis. Sed loquendo de humana natura communiter, eam angelicae comparando, secundum ordinem ad gratiam et gloriam, aequalitas invenitur; cum eadem sit mensura hominis et Angeli, ut dicitur Apoc. XXI; ita tamen quod quidam Angeli quibusdam hominibus, et quidam homines quibusdam Angelis, quantum ad hoc, potiores inveniuntur. Sed quantum ad conditionem naturae, Angelus est melior homine. Nec ideo naturam humanam assumpsit Deus, quia hominem absolute plus diligeret, sed quia plus indigebat. Sicut bonus paterfamilias aliquid pretiosius dat servo aegrotanti, quod non dat filio sano.

 

[29320] Iª q. 20 a. 4 ad 2
2. La natura umana assunta dal Verbo di Dio nella Persona del Cristo è amata da Dio più di tutti gli angeli: ed è più nobile specialmente a causa dell'unione (ipostatica). Ma, parlando della natura umana in generale, e paragonandola alla natura angelica quanto all'ordine della grazia e della gloria, vi è parità, perché, come è detto nell'Apocalisse, "una stessa misura è per l'uomo e per l'angelo"; in maniera, però, che, sotto questo aspetto alcuni angeli risultano superiori a certi uomini, e alcuni uomini superiori a certi angeli. Se si parla però della loro condizione naturale, l'angelo è superiore all'uomo. E perciò se Dio ha assunto la natura umana, non è perché assolutamente parlando amasse di più l'uomo, ma perché questi era più bisognoso. Ha fatto come un buon padre di famiglia, il quale dà ad un servo malato un cibo più costoso che ad un figlio sano.

[29321] Iª q. 20 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod haec dubitatio de Petro et Ioanne multipliciter solvitur. Augustinus namque refert hoc ad mysterium, dicens quod vita activa, quae significatur per Petrum, plus diligit Deum quam vita contemplativa, quae significatur per Ioannem, quia magis sentit praesentis vitae angustias, et aestuantius ab eis liberari desiderat, et ad Deum ire. Contemplativam vero vitam Deus plus diligit, quia magis eam conservat; non enim finitur simul cum vita corporis, sicut vita activa. Quidam vero dicunt quod Petrus plus dilexit Christum in membris; et sic etiam a Christo plus fuit dilectus; unde ei Ecclesiam commendavit. Ioannes vero plus dilexit Christum in seipso; et sic etiam plus ab eo fuit dilectus; unde ei commendavit matrem. Alii vero dicunt quod incertum est quis horum plus Christum dilexerit amore caritatis, et similiter quem Deus plus dilexerit in ordine ad maiorem gloriam vitae aeternae. Sed Petrus dicitur plus dilexisse, quantum ad quandam promptitudinem vel fervorem, Ioannes vero plus dilectus, quantum ad quaedam familiaritatis indicia, quae Christus ei magis demonstrabat, propter eius iuventutem et puritatem. Alii vero dicunt quod Christus plus dilexit Petrum, quantum ad excellentius donum caritatis, Ioannem vero plus, quantum ad donum intellectus. Unde simpliciter Petrus fuit melior, et magis dilectus, sed Ioannes secundum quid. Praesumptuosum tamen videtur hoc diiudicare, quia, ut dicitur Prov. XVI, spirituum ponderator est dominus, et non alius.

 

[29321] Iª q. 20 a. 4 ad 3
3. Questa difficoltà a proposito di Pietro e di Giovanni si scioglie in molte maniere. S. Agostino vi scorge un simbolo, dicendo che la vita attiva, figurata in Pietro, ama di più Dio della vita contemplativa rappresentata da Giovanni, in quanto essa sente di più le angustie della presente vita e con maggiore veemenza desidera di esserne liberata per andare a Dio. Dio invece ama di più la vita contemplativa, perché la fa durare più a lungo: ed infatti essa non termina con la vita del corpo, come la vita attiva. Altri dicono che Pietro ha amato di più il Cristo nelle sue membra; e per questo fu amato maggiormente da Cristo; che perciò gli affidò la sua Chiesa. Giovanni, invece, ha amato di più Cristo in persona e quindi fu prediletto da Cristo, che perciò gli affidò la Madre. Altri dicono che è incerto chi dei due abbia amato di più il Cristo con amore di carità, così pure quale dei due Dio abbia amato di più in ordine a una maggiore gloria nella vita eterna. Ma si dice che Pietro ha amato di più per una certa prontezza o fervore di spirito; e che Giovanni è stato amato maggiormente per certi segni di familiarità che Cristo gli dimostrava a causa della sua giovinezza e della sua purezza. Altri, finalmente, dicono che Cristo ha amato di più l'apostolo Pietro per un più eccellente dono di carità; Giovanni, poi, per il dono dell'intelletto. Per questa ragione Pietro fu migliore e da Cristo più amato in modo assoluto; Giovanni lo fu di più sotto un certo aspetto. - Tuttavia sa di presunzione voler giudicare di tali cose, perché, come dice la Sacra Scrittura: "Ponderatore degli spiriti è il Signore", e non altri.

[29322] Iª q. 20 a. 4 ad 4
Ad quartum dicendum quod poenitentes et innocentes se habent sicut excedentia et excessa. Nam sive sint innocentes, sive poenitentes, illi sunt meliores et magis dilecti, qui plus habent de gratia. Ceteris tamen paribus, innocentia dignior est et magis dilecta. Dicitur tamen Deus plus gaudere de poenitente quam de innocente, quia plerumque poenitentes cautiores, humiliores et ferventiores resurgunt. Unde Gregorius dicit ibidem, quod dux in praelio eum militem plus diligit, qui post fugam conversus, fortiter hostem premit, quam qui nunquam fugit, nec unquam fortiter fecit. Vel, alia ratione, quia aequale donum gratiae plus est, comparatum poenitenti, qui meruit poenam, quam innocenti, qui non meruit. Sicut centum marcae maius donum est, si dentur pauperi, quam si dentur regi.

 

[29322] Iª q. 20 a. 4 ad 4
4. I penitenti e gli innocenti si possono trovare (confrontati tra di loro) reciprocamente in vantaggio e in svantaggio. Penitenti o innocenti sono migliori e maggionnente amati quelli che hanno la grazia in maggiore abbondanza. Tuttavia, a parità di condizioni, l'innocenza è migliore e da Dio è maggionnente amata. Ma si dice che Dio fa più festa per un penitente che per un innocente, perché, di solito, i peccatori pentiti risorgono più cauti, più umili e più fervorosi. Per questo S. Gregorio può affermare che "il capitano preferisce nel combattimento un soldato che, dopo esser fuggito, è ritornato e incalza fortemente il nemico, ad uno che mai è fuggito, ma neppure ha compiuto atti di eroismo". - Si può anche addurre un'altra ragione, e cioè che un uguale dono di grazia è maggiore in rapporto a un penitente il quale meritò una punizione, che in rapporto a un innocente il quale non l'ha meritata. Così, cento marchi costituiscono un regalo più grande se si danno ad un povero, che se si danno ad un re.

[29323] Iª q. 20 a. 4 ad 5
Ad quintum dicendum quod, cum voluntas Dei sit causa bonitatis in rebus, secundum illud tempus pensanda est bonitas eius qui amatur a Deo, secundum quod dandum est ei ex bonitate divina aliquod bonum. Secundum ergo illud tempus quo praedestinato peccatori dandum est ex divina voluntate maius bonum, melior est; licet secundum aliquod aliud tempus, sit peior; quia et secundum aliquod tempus, non est nec bonus neque malus.

 

[29323] Iª q. 20 a. 4 ad 5
5. Dal momento che la volontà di Dio è causa della bontà delle cose, il bene di uno che è amato da Dio dovrà giudicarsi in rapporto a quel tempo nel quale costui dovrà ricevere dalla divina bontà un tal bene. Quindi, un peccatore predestinato, rispetto al tempo in cui dalla volontà divina gli sarà dato il bene maggiore (la vita eterna), è migliore di un giusto non predestinato, sebbene in altri tempi sia stato peggiore di lui. (Né ciò è difficile a capirsi quando si pensi) che vi fu anche un tempo nel quale non era né buono né cattivo.

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