[29165] Iª q. 18 a. 3 co. Respondeo dicendum quod vita maxime proprie in Deo est. Ad cuius evidentiam, considerandum est quod, cum vivere dicantur aliqua secundum quod operantur ex seipsis, et non quasi ab aliis mota; quanto perfectius competit hoc alicui, tanto perfectius in eo invenitur vita. In moventibus autem et motis tria per ordinem inveniuntur. Nam primo, finis movet agentem; agens vero principale est quod per suam formam agit; et hoc interdum agit per aliquod instrumentum, quod non agit ex virtute suae formae, sed ex virtute principalis agentis; cui instrumento competit sola executio actionis. Inveniuntur igitur quaedam, quae movent seipsa, non habito respectu ad formam vel finem, quae inest eis a natura, sed solum quantum ad executionem motus, sed forma per quam agunt, et finis propter quem agunt, determinantur eis a natura. Et huiusmodi sunt plantae, quae secundum formam inditam eis a natura, movent seipsas secundum augmentum et decrementum. Quaedam vero ulterius movent seipsa, non solum habito respectu ad executionem motus, sed etiam quantum ad formam quae est principium motus, quam per se acquirunt. Et huiusmodi sunt animalia, quorum motus principium est forma non a natura indita, sed per sensum accepta. Unde quanto perfectiorem sensum habent, tanto perfectius movent seipsa. Nam ea quae non habent nisi sensum tactus, movent solum seipsa motu dilatationis et constrictionis, ut ostrea, parum excedentia motum plantae. Quae vero habent virtutem sensitivam perfectam, non solum ad cognoscendum coniuncta et tangentia, sed etiam ad cognoscendum distantia, movent seipsa in remotum motu processivo. Sed quamvis huiusmodi animalia formam quae est principium motus, per sensum accipiant, non tamen per seipsa praestituunt sibi finem suae operationis, vel sui motus; sed est eis inditus a natura, cuius instinctu ad aliquid agendum moventur per formam sensu apprehensam. Unde supra talia animalia sunt illa quae movent seipsa, etiam habito respectu ad finem, quem sibi praestituunt. Quod quidem non fit nisi per rationem et intellectum, cuius est cognoscere proportionem finis et eius quod est ad finem, et unum ordinare in alterum. Unde perfectior modus vivendi est eorum quae habent intellectum, haec enim perfectius movent seipsa. Et huius est signum, quod in uno et eodem homine virtus intellectiva movet potentias sensitivas; et potentiae sensitivae per suum imperium movent organa, quae exequuntur motum. Sicut etiam in artibus, videmus quod ars ad quam pertinet usus navis, scilicet ars gubernatoria, praecipit ei quae inducit formam navis, et haec praecipit illi quae habet executionem tantum, in disponendo materiam. Sed quamvis intellectus noster ad aliqua se agat, tamen aliqua sunt ei praestituta a natura; sicut sunt prima principia, circa quae non potest aliter se habere, et ultimus finis, quem non potest non velle. Unde, licet quantum ad aliquid moveat se, tamen oportet quod quantum ad aliqua ab alio moveatur. Illud igitur cuius sua natura est ipsum eius intelligere, et cui id quod naturaliter habet, non determinatur ab alio, hoc est quod obtinet summum gradum vitae. Tale autem est Deus. Unde in Deo maxime est vita. Unde philosophus, in XII Metaphys., ostenso quod Deus sit intelligens, concludit quod habeat vitam perfectissimam et sempiternam, quia intellectus eius est perfectissimus, et semper in actu.
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[29165] Iª q. 18 a. 3 co.
RISPONDO: A Dio la vita appartiene nel senso più rigoroso del termine. Per capir bene ciò è necessario considerare che, siccome alcuni esseri si dicono vivi in quanto si determinano da sé all'azione e non sono come mossi da altri, quanto più perfettamente questa spontaneità compete a un soggetto, tanto più perfettamente dovrà trovarsi in esso la vita. Ora negli esseri che muovono e in quelli soggetti al movimento troviamo tre elementi così disposti. Innanzi tutto il fine muove l'agente; poi vien l'agente principale, il quale opera mediante la sua forma; e infine quest'ultimo talora opera mediante uno strumento, il quale non agisce in virtù della propria forma, ma in forza dell'agente principale: e a questo strumento conviene soltanto eseguire l'azione.
Orbene, vi sono degli esseri che si muovono da sé, non per (acquisire) una forma o per (raggiungere) un fine, cose che hanno dalla natura, ma solo in quanto svolgono un moto; la forma, però, per la quale agiscono e il fine verso il quale tendono sono stati fissati loro dalla natura. Tali sono le piante, le quali, in forza della forma che hanno dalla natura, muovono se stesse col moto di sviluppo e di decrescenza.
Altri esseri vanno più in là, muovono se stessi non soltanto quanto all'esecuzione di un moto, ma anche quanto alla forma, che è il principio del loro movimento, acquistata da loro stessi. Tali sono gli animali, nei quali il principio del movimento è la forma non già infusa dalla natura, ma acquistata mediante i sensi. Quindi quanto più perfetti hanno i sensi, tanto più perfettamente si muovono da sé. Ed infatti, gli animali che possiedono soltanto il senso del tatto, hanno il solo movimento di dilatazione e di contrazione, p. es., le ostriche, le quali di poco superano il movimento delle piante. Quelli, invece, che hanno facoltà sensitive perfette, e capaci di conoscere non soltanto ciò che è a contatto con essi, ma anche le cose distanti, si muovono verso oggetti remoti spostandosi da un punto all'altro.
Ma, sebbene questi animali acquistino mediante i sensi la forma, che è il principio del loro movimento, tuttavia non si prestabiliscono da sé il fine della loro operazione o del loro movimento, ma è loro dato da natura, sotto il cui impulso si muovono a compiere questa o quella operazione mediante la forma appresa coi sensi. Quindi, al di sopra di tali animali vi sono quelli che muovono se stessi anche riguardo al fine, che da se stessi si prestabiliscono. E ciò avviene precisamente in forza della ragione e dell'intelletto, di cui è proprio conoscere la proporzione tra il fine ed i mezzi, e ordinare una cosa all'altra. Perciò il modo più perfetto di vivere è quello degli esseri che son dotati d'intelligenza: perché si muovono più perfettamente. Ed un segno di ciò è che in un solo e medesimo uomo l'intelletto muove le facoltà sensitive, e le facoltà sensitive muovono col loro impero gli organi, i quali eseguono il movimento. Così anche nelle arti: p. es., l'arte che ha il compito di usare la nave, cioè l'arte del navigare, comanda all'arte di progettare la nave, e questa a quella che ha soltanto il compito dell'esecuzione, cioè di disporre tutto il materiale.
Ma sebbene la nostra intelligenza si determini da sé ad alcune cose, altre le vengono prestabilite dalla natura, come i primi principi, dai quali non può dissentire, ed il fine ultimo che non può non volere. Quindi, sebbene muova se stessa riguardo ad alcune cose, quanto ad altre tuttavia richiede di essere mossa da altri. Perciò quell'essere, la cui natura è lo stesso suo intendere, ed al quale nessun altro determina quello che possiede per natura, dovrà possedere il supremo grado della vita. Ora, tale essere è Dio. Perciò in Dio la vita è al sommo grado. Per questo motivo il Filosofo, dopo aver dimostrato che Dio è un essere intelligente, conclude che debba avere in sé perfettissima e sempiterna vita, perché il suo intelletto è perfettissimo e sempre in atto.
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[29166] Iª q. 18 a. 3 ad 1 Ad primum ergo dicendum quod, sicut dicitur in IX Metaphys., duplex est actio, una, quae transit in exteriorem materiam, ut calefacere et secare; alia, quae manet in agente, ut intelligere, sentire et velle. Quarum haec est differentia, quia prima actio non est perfectio agentis quod movet, sed ipsius moti; secunda autem actio est perfectio agentis. Unde, quia motus est actus mobilis, secunda actio, inquantum est actus operantis, dicitur motus eius; ex hac similitudine, quod, sicut motus est actus mobilis, ita huiusmodi actio est actus agentis; licet motus sit actus imperfecti, scilicet existentis in potentia, huiusmodi autem actio est actus perfecti, idest existentis in actu, ut dicitur in III de anima. Hoc igitur modo quo intelligere est motus, id quod se intelligit, dicitur se movere. Et per hunc modum etiam Plato posuit quod Deus movet seipsum, non eo modo quo motus est actus imperfecti.
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[29166] Iª q. 18 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Vi son due specie di azioni, dice Aristotele: le une (transitive) che passano su un oggetto esterno, come scaldare e segare, ecc.: e altre (intransitive) che restano nell'operante, come intendere, sentire e volere. Vi è tra le une e le altre questa differenza, che le prime non formano un perfezionamento dell'agente che muove, ma dell'oggetto che è mosso; le seconde costituiscono un perfezionamento dell'agente. Ora, siccome il moto è atto (o perfezione) dell'ente mobile le azioni della seconda serie, che sono atto del soggetto operante, si possono chiamare moto di quest'ultimo; ma qui abbiamo solo un'analogia: come il moto è l'atto dell'ente mobile, così l'operazione è l'atto dell'agente, sebbene il moto sia atto di cosa imperfetta, cioè in potenza, e l'operazione (immanente), sia atto di cosa perfetta, cioè (non in potenza ma) in atto, come dice Aristotele. Ora dato che l'intendere si può chiamare moto, possiamo dire che chi intende se stesso si muove. Ed in questa maniera anche Platone ha detto che Dio muove se stesso, non nel senso rigoroso di moto, atto di cosa imperfetta.
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