Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > La verità > Se la verità sia soltanto nell'intelletto
Prima pars
Quaestio 16
Articulus 1
[29049] Iª q. 16 a. 1 arg. 1 Ad primum sic proceditur. Videtur quod veritas non sit tantum in intellectu, sed magis in rebus. Augustinus enim, in libro Soliloq., reprobat hanc notificationem veri, verum est id quod videtur, quia secundum hoc, lapides qui sunt in abditissimo terrae sinu, non essent veri lapides, quia non videntur. Reprobat etiam istam, verum est quod ita se habet ut videtur cognitori, si velit et possit cognoscere, quia secundum hoc sequeretur quod nihil esset verum, si nullus posset cognoscere. Et definit sic verum, verum est id quod est. Et sic videtur quod veritas sit in rebus, et non in intellectu.
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Prima parte
Questione 16
Articolo 1
[29049] Iª q. 16 a. 1 arg. 1
SEMBRA che la verità non sia soltanto nell'intelletto, ma che sia piuttosto nelle cose. Infatti:
1. S. Agostino riprova questa definizione del vero: «il vero è quello che si vede»: perché, se così fosse, le pietre che si trovano nelle viscere della terra, non sarebbero vere pietre dal momento che non si vedono. Rigetta anche quest'altra: «il vero è ciò che così appare al soggetto conoscente, quando voglia e possa conoscerlo»: perché ne segue che niente sarebbe vero, se nessuno potesse conoscere. Così invece egli definisce il vero: «il vero è ciò che è». E quindi la verità è nelle cose, non già nell'intelletto.
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[29050] Iª q. 16 a. 1 arg. 2 Praeterea, quidquid est verum, veritate verum est. Si igitur veritas est in intellectu solo, nihil erit verum nisi secundum quod intelligitur, quod est error antiquorum philosophorum, qui dicebant omne quod videtur, esse verum. Ad quod sequitur contradictoria simul esse vera, cum contradictoria simul a diversis vera esse videantur.
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[29050] Iª q. 16 a. 1 arg. 2
2. Tutto ciò che è vero, è vero in forza della verità. Se dunque la verità è solo nell'intelletto, niente sarà vero se non in quanto è conosciuto; ma questo è l'errore di antichi filosofi, i quali dicevano che vero è quello che apparisce tale. Ne seguirebbe che affermazioni contraddittorie sarebbero simultaneamente vere, perché tesi contraddittorie possono apparire simultaneamente vere a più soggetti.
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[29051] Iª q. 16 a. 1 arg. 3 Praeterea, propter quod unumquodque, et illud magis, ut patet I Poster. Sed ex eo quod res est vel non est, est opinio vel oratio vera vel falsa, secundum philosophum in praedicamentis. Ergo veritas magis est in rebus quam in intellectu.
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[29051] Iª q. 16 a. 1 arg. 3
3. Dice Aristotele: «Ciò che causa in altri una data qualità, deve possederla anch'esso e con intensità maggiore». Ora, a detta del medesimo Filosofo, «precisamente dal fatto che una cosa è o non è, deriva che sia vera o falsa un'opinione o un'espressione». Dunque la verità è piuttosto nelle cose che nell'intelligenza.
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[29052] Iª q. 16 a. 1 s. c. Sed contra est quod philosophus dicit, VI Metaphys., quod verum et falsum non sunt in rebus, sed in intellectu.
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[29052] Iª q. 16 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Aristotele dice che «il vero e il falso non sono nelle cose, ma nell'intelletto».
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[29053] Iª q. 16 a. 1 co. Respondeo dicendum quod, sicut bonum nominat id in quod tendit appetitus, ita verum nominat id in quod tendit intellectus. Hoc autem distat inter appetitum et intellectum, sive quamcumque cognitionem, quia cognitio est secundum quod cognitum est in cognoscente, appetitus autem est secundum quod appetens inclinatur in ipsam rem appetitam. Et sic terminus appetitus, quod est bonum, est in re appetibili, sed terminus cognitionis, quod est verum, est in ipso intellectu. Sicut autem bonum est in re, inquantum habet ordinem ad appetitum; et propter hoc ratio bonitatis derivatur a re appetibili in appetitum, secundum quod appetitus dicitur bonus, prout est boni, ita, cum verum sit in intellectu secundum quod conformatur rei intellectae, necesse est quod ratio veri ab intellectu ad rem intellectam derivetur, ut res etiam intellecta vera dicatur, secundum quod habet aliquem ordinem ad intellectum. Res autem intellecta ad intellectum aliquem potest habere ordinem vel per se, vel per accidens. Per se quidem habet ordinem ad intellectum a quo dependet secundum suum esse, per accidens autem ad intellectum a quo cognoscibilis est. Sicut si dicamus quod domus comparatur ad intellectum artificis per se, per accidens autem comparatur ad intellectum a quo non dependet. Iudicium autem de re non sumitur secundum id quod inest ei per accidens, sed secundum id quod inest ei per se. Unde unaquaeque res dicitur vera absolute, secundum ordinem ad intellectum a quo dependet. Et inde est quod res artificiales dicuntur verae per ordinem ad intellectum nostrum, dicitur enim domus vera, quae assequitur similitudinem formae quae est in mente artificis; et dicitur oratio vera, inquantum est signum intellectus veri. Et similiter res naturales dicuntur esse verae, secundum quod assequuntur similitudinem specierum quae sunt in mente divina, dicitur enim verus lapis, qui assequitur propriam lapidis naturam, secundum praeconceptionem intellectus divini. Sic ergo veritas principaliter est in intellectu; secundario vero in rebus, secundum quod comparantur ad intellectum ut ad principium. Et secundum hoc, veritas diversimode notificatur. Nam Augustinus, in libro de vera Relig., dicit quod veritas est, qua ostenditur id quod est. Et Hilarius dicit quod verum est declarativum aut manifestativum esse. Et hoc pertinet ad veritatem secundum quod est in intellectu. Ad veritatem autem rei secundum ordinem ad intellectum, pertinet definitio Augustini in libro de vera Relig., veritas est summa similitudo principii, quae sine ulla dissimilitudine est. Et quaedam definitio Anselmi, veritas est rectitudo sola mente perceptibilis; nam rectum est, quod principio concordat. Et quaedam definitio Avicennae, veritas uniuscuiusque rei est proprietas sui esse quod stabilitum est ei. Quod autem dicitur quod veritas est adaequatio rei et intellectus potest ad utrumque pertinere.
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[29053] Iª q. 16 a. 1 co.
RISPONDO: Come il termine bene esprime ciò verso cui tende la facoltà appetitiva, così il termine vero esprime ciò verso cui tende l'intelletto. Ma tra la facoltà appetitiva e l'intelligenza, o qualsiasi altra potenza conoscitiva, vi è questo divario, che la conoscenza si ha perché il conoscibile viene a trovarsi nel soggetto conoscente: mentre l'appetizione avviene per il fatto che il relativo soggetto si muove verso la cosa desiderata. Per cui il termine della facoltà appetitiva, che è il bene, è nella cosa desiderata, mentre il termine della conoscenza, che è il vero, è nella intelligenza stessa.
Ora, come il bene è nella cosa in quante dice ordine alla facoltà appetitiva e, per tale motivo, la nozione di bene proviene alla facoltà appetitiva dall'oggetto, talché essa si dice buona, perché tende al bene: così, essendo il vero nell'intelletto in quanto l'intelletto si adegua alla cosa conosciuta, necessariamente la nozione di vero proviene alla cosa conosciuta dall'intelletto, in maniera che la stessa cosa conosciuta si dice vera per il rapporto che ha con l'intelletto.
Ora, l'oggetto conosciuto può avere con un intelletto rapporti essenziali o accidentali. Essenzialmente dice ordine a quell’intelletto, dal quale ontologicamente dipende; accidentalmente, all’intelletto dal quale può essere conosciuto. Come se dicessimo: la casa importa relazione essenziale alla mente dell'architetto, relazione accidentale a un [altro] intelletto da cui non dipende. Ora, una cosa non si giudica già in base a quello che le conviene accidentalmente, ma a quello che le si addice essenzialmente: quindi ogni singola cosa si dice vera assolutamente per il rapporto che ha con l'intelligenza dalla quale dipende. Perciò i prodotti delle arti si dicono veri in ordine al nostro intelletto; vera si dice, infatti, quella casa che riproduce la forma che è nella mente dell'architetto; vere le parole, quando esprimono un pensiero vero. Cosi le cose naturali si dicono vere in quanto attuano la somiglianza delle specie che sono nella mente di Dio: p. es., si dice vera pietra, quella che ha la natura propria della pietra, secondo la concezione preesistente nella mente di Dio. - Quindi, la verità è principalmente nell'intelletto, secondariamente nelle cose, per la relazione che esse hanno all’intelletto, come a loro principio.
Per tali ragioni, la verità è stata definita in diverse maniere. S. Agostino dice che «la verità è la manifestazione di ciò che è». S. Ilario insegna che «il vero è ciò che dichiara o manifesta l'essere». Queste definizioni riguardano la verità in quanto è nella mente. - Definizione invece della verità delle cose in rapporto all’intelletto è questa di S. Agostino: «La verità è la perfetta somiglianza delle cose con il loro principio, senza nessuna dissomiglianza»; e quest'altra di S. Anselmo: «La verità è la rettitudine percettibile con la sola mente»; perché retto è ciò che concorda col suo principio; ed anche questa di Avicenna: «La verità di ciascuna cosa è la proprietà del suo essere, quale le è stato assegnato». - L'assioma, «la verità è adeguazione tra la cosa e l'intelletto», può riferirsi ai due aspetti della verità.
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[29054] Iª q. 16 a. 1 ad 1 Ad primum ergo dicendum quod Augustinus loquitur de veritate rei; et excludit a ratione huius veritatis, comparationem ad intellectum nostrum. Nam id quod est per accidens, ab unaquaque definitione excluditur.
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[29054] Iª q. 16 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. S. Agostino parla della verità [ontologica] delle cose, e dalla nozione di essa esclude ogni relazione col nostro intelletto. Ed invero, in ogni definizione, non si ammette ciò che non è essenziale.
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[29055] Iª q. 16 a. 1 ad 2 Ad secundum dicendum quod antiqui philosophi species rerum naturalium non dicebant procedere ab aliquo intellectu, sed eas provenire a casu, et quia considerabant quod verum importat comparationem ad intellectum, cogebantur veritatem rerum constituere in ordine ad intellectum nostrum. Ex quo inconvenientia sequebantur quae philosophus prosequitur in IV Metaphys. Quae quidem inconvenientia non accidunt, si ponamus veritatem rerum consistere in comparatione ad intellectum divinum.
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[29055] Iª q. 16 a. 1 ad 2
2. Questi antichi filosofi dicevano che la natura non deriva da una intelligenza, ma dal caso: e siccome, d'altra parte, vedevano che il vero dice rapporto all’intelligenza, erano costretti a far consistere la verità delle cose nel loro rapporto con la nostra mente. Di qui tutti gli inconvenienti denunciati da Aristotele. I quali inconvenienti si evitano, se si pone che la verità [ontologica] delle cose consiste nel loro rapporto con la divina intelligenza.
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[29056] Iª q. 16 a. 1 ad 3 Ad tertium dicendum quod, licet veritas intellectus nostri a re causetur, non tamen oportet quod in re per prius inveniatur ratio veritatis, sicut neque in medicina per prius invenitur ratio sanitatis quam in animali; virtus enim medicinae, non sanitas eius, causat sanitatem, cum non sit agens univocum. Et similiter esse rei, non veritas eius, causat veritatem intellectus. Unde philosophus dicit quod opinio et oratio vera est ex eo quod res est, non ex eo quod res vera est.
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[29056] Iª q. 16 a. 1 ad 3
3. Sebbene la verità del nostro intelletto sia causata dalle cose, non è però necessario che la verità si trovi primieramente nelle cose, come la sanità non si trova prima nella medicina che nell'animale, perché l'efficacia della medicina, e non la sua sanità, causa la sanità, non essendo un agente univoco. Analogamente, l'essere della cosa, non la sua verità, causa la verità dell'intelletto. Perciò dice il Filosofo, che un'opinione o un'affermazione è vera perché la cosa è, e non perché la cosa è vera.
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