I, 16

Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > La verità


Prima pars
Quaestio 16
Prooemium

[29048] Iª q. 16 pr.
Quoniam autem scientia verorum est, post considerationem scientiae Dei, de veritate inquirendum est. Circa quam quaeruntur octo.
Primo, utrum veritas sit in re, vel tantum in intellectu.
Secundo, utrum sit tantum in intellectu componente et dividente.
Tertio, de comparatione veri ad ens. Quarto, de comparatione veri ad bonum.
Quinto, utrum Deus sit veritas.
Sexto, utrum omnia sint vera veritate una, vel pluribus.
Septimo, de aeternitate veritatis.
Octavo, de incommutabilitate ipsius.

 
Prima parte
Questione 16
Proemio

[29048] Iª q. 16 pr.
La scienza ha per oggetto la verità, quindi dopo aver considerato la scienza di Dio, tratteremo della verità. Su questo argomento si pongono otto quesiti:
1. Se la verità sia nelle cose o soltanto nella mente;
2. Se sia nell'intelletto che afferma e nega;
3. Sulla relazione tra il vero e l'ente;
4. Sulla relazione tra il vero ed il bene;
5. Se Dio sia la verità;
6. Se sia una sola la verità delle cose;
7. Sull'eternità della verità;
8. Sulla sua immutabilità.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > La verità > Se la verità sia soltanto nell'intelletto


Prima pars
Quaestio 16
Articulus 1

[29049] Iª q. 16 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod veritas non sit tantum in intellectu, sed magis in rebus. Augustinus enim, in libro Soliloq., reprobat hanc notificationem veri, verum est id quod videtur, quia secundum hoc, lapides qui sunt in abditissimo terrae sinu, non essent veri lapides, quia non videntur. Reprobat etiam istam, verum est quod ita se habet ut videtur cognitori, si velit et possit cognoscere, quia secundum hoc sequeretur quod nihil esset verum, si nullus posset cognoscere. Et definit sic verum, verum est id quod est. Et sic videtur quod veritas sit in rebus, et non in intellectu.

 
Prima parte
Questione 16
Articolo 1

[29049] Iª q. 16 a. 1 arg. 1
SEMBRA che la verità non sia soltanto nell'intelletto, ma che sia piuttosto nelle cose. Infatti: 1. S. Agostino riprova questa definizione del vero: «il vero è quello che si vede»: perché, se così fosse, le pietre che si trovano nelle viscere della terra, non sarebbero vere pietre dal momento che non si vedono. Rigetta anche quest'altra: «il vero è ciò che così appare al soggetto conoscente, quando voglia e possa conoscerlo»: perché ne segue che niente sarebbe vero, se nessuno potesse conoscere. Così invece egli definisce il vero: «il vero è ciò che è». E quindi la verità è nelle cose, non già nell'intelletto.

[29050] Iª q. 16 a. 1 arg. 2
Praeterea, quidquid est verum, veritate verum est. Si igitur veritas est in intellectu solo, nihil erit verum nisi secundum quod intelligitur, quod est error antiquorum philosophorum, qui dicebant omne quod videtur, esse verum. Ad quod sequitur contradictoria simul esse vera, cum contradictoria simul a diversis vera esse videantur.

 

[29050] Iª q. 16 a. 1 arg. 2
2. Tutto ciò che è vero, è vero in forza della verità. Se dunque la verità è solo nell'intelletto, niente sarà vero se non in quanto è conosciuto; ma questo è l'errore di antichi filosofi, i quali dicevano che vero è quello che apparisce tale. Ne seguirebbe che affermazioni contraddittorie sarebbero simultaneamente vere, perché tesi contraddittorie possono apparire simultaneamente vere a più soggetti.

[29051] Iª q. 16 a. 1 arg. 3
Praeterea, propter quod unumquodque, et illud magis, ut patet I Poster. Sed ex eo quod res est vel non est, est opinio vel oratio vera vel falsa, secundum philosophum in praedicamentis. Ergo veritas magis est in rebus quam in intellectu.

 

[29051] Iª q. 16 a. 1 arg. 3
3. Dice Aristotele: «Ciò che causa in altri una data qualità, deve possederla anch'esso e con intensità maggiore». Ora, a detta del medesimo Filosofo, «precisamente dal fatto che una cosa è o non è, deriva che sia vera o falsa un'opinione o un'espressione». Dunque la verità è piuttosto nelle cose che nell'intelligenza.

[29052] Iª q. 16 a. 1 s. c.
Sed contra est quod philosophus dicit, VI Metaphys., quod verum et falsum non sunt in rebus, sed in intellectu.

 

[29052] Iª q. 16 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Aristotele dice che «il vero e il falso non sono nelle cose, ma nell'intelletto».

[29053] Iª q. 16 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod, sicut bonum nominat id in quod tendit appetitus, ita verum nominat id in quod tendit intellectus. Hoc autem distat inter appetitum et intellectum, sive quamcumque cognitionem, quia cognitio est secundum quod cognitum est in cognoscente, appetitus autem est secundum quod appetens inclinatur in ipsam rem appetitam. Et sic terminus appetitus, quod est bonum, est in re appetibili, sed terminus cognitionis, quod est verum, est in ipso intellectu. Sicut autem bonum est in re, inquantum habet ordinem ad appetitum; et propter hoc ratio bonitatis derivatur a re appetibili in appetitum, secundum quod appetitus dicitur bonus, prout est boni, ita, cum verum sit in intellectu secundum quod conformatur rei intellectae, necesse est quod ratio veri ab intellectu ad rem intellectam derivetur, ut res etiam intellecta vera dicatur, secundum quod habet aliquem ordinem ad intellectum. Res autem intellecta ad intellectum aliquem potest habere ordinem vel per se, vel per accidens. Per se quidem habet ordinem ad intellectum a quo dependet secundum suum esse, per accidens autem ad intellectum a quo cognoscibilis est. Sicut si dicamus quod domus comparatur ad intellectum artificis per se, per accidens autem comparatur ad intellectum a quo non dependet. Iudicium autem de re non sumitur secundum id quod inest ei per accidens, sed secundum id quod inest ei per se. Unde unaquaeque res dicitur vera absolute, secundum ordinem ad intellectum a quo dependet. Et inde est quod res artificiales dicuntur verae per ordinem ad intellectum nostrum, dicitur enim domus vera, quae assequitur similitudinem formae quae est in mente artificis; et dicitur oratio vera, inquantum est signum intellectus veri. Et similiter res naturales dicuntur esse verae, secundum quod assequuntur similitudinem specierum quae sunt in mente divina, dicitur enim verus lapis, qui assequitur propriam lapidis naturam, secundum praeconceptionem intellectus divini. Sic ergo veritas principaliter est in intellectu; secundario vero in rebus, secundum quod comparantur ad intellectum ut ad principium. Et secundum hoc, veritas diversimode notificatur. Nam Augustinus, in libro de vera Relig., dicit quod veritas est, qua ostenditur id quod est. Et Hilarius dicit quod verum est declarativum aut manifestativum esse. Et hoc pertinet ad veritatem secundum quod est in intellectu. Ad veritatem autem rei secundum ordinem ad intellectum, pertinet definitio Augustini in libro de vera Relig., veritas est summa similitudo principii, quae sine ulla dissimilitudine est. Et quaedam definitio Anselmi, veritas est rectitudo sola mente perceptibilis; nam rectum est, quod principio concordat. Et quaedam definitio Avicennae, veritas uniuscuiusque rei est proprietas sui esse quod stabilitum est ei. Quod autem dicitur quod veritas est adaequatio rei et intellectus potest ad utrumque pertinere.

 

[29053] Iª q. 16 a. 1 co.
RISPONDO: Come il termine bene esprime ciò verso cui tende la facoltà appetitiva, così il termine vero esprime ciò verso cui tende l'intelletto. Ma tra la facoltà appetitiva e l'intelligenza, o qualsiasi altra potenza conoscitiva, vi è questo divario, che la conoscenza si ha perché il conoscibile viene a trovarsi nel soggetto conoscente: mentre l'appetizione avviene per il fatto che il relativo soggetto si muove verso la cosa desiderata. Per cui il termine della facoltà appetitiva, che è il bene, è nella cosa desiderata, mentre il termine della conoscenza, che è il vero, è nella intelligenza stessa.
Ora, come il bene è nella cosa in quante dice ordine alla facoltà appetitiva e, per tale motivo, la nozione di bene proviene alla facoltà appetitiva dall'oggetto, talché essa si dice buona, perché tende al bene: così, essendo il vero nell'intelletto in quanto l'intelletto si adegua alla cosa conosciuta, necessariamente la nozione di vero proviene alla cosa conosciuta dall'intelletto, in maniera che la stessa cosa conosciuta si dice vera per il rapporto che ha con l'intelletto.
Ora, l'oggetto conosciuto può avere con un intelletto rapporti essenziali o accidentali. Essenzialmente dice ordine a quell’intelletto, dal quale ontologicamente dipende; accidentalmente, all’intelletto dal quale può essere conosciuto. Come se dicessimo: la casa importa relazione essenziale alla mente dell'architetto, relazione accidentale a un [altro] intelletto da cui non dipende. Ora, una cosa non si giudica già in base a quello che le conviene accidentalmente, ma a quello che le si addice essenzialmente: quindi ogni singola cosa si dice vera assolutamente per il rapporto che ha con l'intelligenza dalla quale dipende. Perciò i prodotti delle arti si dicono veri in ordine al nostro intelletto; vera si dice, infatti, quella casa che riproduce la forma che è nella mente dell'architetto; vere le parole, quando esprimono un pensiero vero. Cosi le cose naturali si dicono vere in quanto attuano la somiglianza delle specie che sono nella mente di Dio: p. es., si dice vera pietra, quella che ha la natura propria della pietra, secondo la concezione preesistente nella mente di Dio. - Quindi, la verità è principalmente nell'intelletto, secondariamente nelle cose, per la relazione che esse hanno all’intelletto, come a loro principio.
Per tali ragioni, la verità è stata definita in diverse maniere. S. Agostino dice che «la verità è la manifestazione di ciò che è». S. Ilario insegna che «il vero è ciò che dichiara o manifesta l'essere». Queste definizioni riguardano la verità in quanto è nella mente. - Definizione invece della verità delle cose in rapporto all’intelletto è questa di S. Agostino: «La verità è la perfetta somiglianza delle cose con il loro principio, senza nessuna dissomiglianza»; e quest'altra di S. Anselmo: «La verità è la rettitudine percettibile con la sola mente»; perché retto è ciò che concorda col suo principio; ed anche questa di Avicenna: «La verità di ciascuna cosa è la proprietà del suo essere, quale le è stato assegnato». - L'assioma, «la verità è adeguazione tra la cosa e l'intelletto», può riferirsi ai due aspetti della verità.

[29054] Iª q. 16 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod Augustinus loquitur de veritate rei; et excludit a ratione huius veritatis, comparationem ad intellectum nostrum. Nam id quod est per accidens, ab unaquaque definitione excluditur.

 

[29054] Iª q. 16 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. S. Agostino parla della verità [ontologica] delle cose, e dalla nozione di essa esclude ogni relazione col nostro intelletto. Ed invero, in ogni definizione, non si ammette ciò che non è essenziale.

[29055] Iª q. 16 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod antiqui philosophi species rerum naturalium non dicebant procedere ab aliquo intellectu, sed eas provenire a casu, et quia considerabant quod verum importat comparationem ad intellectum, cogebantur veritatem rerum constituere in ordine ad intellectum nostrum. Ex quo inconvenientia sequebantur quae philosophus prosequitur in IV Metaphys. Quae quidem inconvenientia non accidunt, si ponamus veritatem rerum consistere in comparatione ad intellectum divinum.

 

[29055] Iª q. 16 a. 1 ad 2
2. Questi antichi filosofi dicevano che la natura non deriva da una intelligenza, ma dal caso: e siccome, d'altra parte, vedevano che il vero dice rapporto all’intelligenza, erano costretti a far consistere la verità delle cose nel loro rapporto con la nostra mente. Di qui tutti gli inconvenienti denunciati da Aristotele. I quali inconvenienti si evitano, se si pone che la verità [ontologica] delle cose consiste nel loro rapporto con la divina intelligenza.

[29056] Iª q. 16 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod, licet veritas intellectus nostri a re causetur, non tamen oportet quod in re per prius inveniatur ratio veritatis, sicut neque in medicina per prius invenitur ratio sanitatis quam in animali; virtus enim medicinae, non sanitas eius, causat sanitatem, cum non sit agens univocum. Et similiter esse rei, non veritas eius, causat veritatem intellectus. Unde philosophus dicit quod opinio et oratio vera est ex eo quod res est, non ex eo quod res vera est.

 

[29056] Iª q. 16 a. 1 ad 3
3. Sebbene la verità del nostro intelletto sia causata dalle cose, non è però necessario che la verità si trovi primieramente nelle cose, come la sanità non si trova prima nella medicina che nell'animale, perché l'efficacia della medicina, e non la sua sanità, causa la sanità, non essendo un agente univoco. Analogamente, l'essere della cosa, non la sua verità, causa la verità dell'intelletto. Perciò dice il Filosofo, che un'opinione o un'affermazione è vera perché la cosa è, e non perché la cosa è vera.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > La verità > Se la verità sia soltanto nell'intelletto che unisce o che separa dei concetti


Prima pars
Quaestio 16
Articulus 2

[29057] Iª q. 16 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod veritas non sit solum in intellectu componente et dividente. Dicit enim philosophus, in III de anima, quod sicut sensus propriorum sensibilium semper veri sunt, ita et intellectus eius quod quid est. Sed compositio et divisio non est neque in sensu, neque in intellectu cognoscente quod quid est. Ergo veritas non solum est in compositione et divisione intellectus.

 
Prima parte
Questione 16
Articolo 2

[29057] Iª q. 16 a. 2 arg. 1
SEMBRA che la verità sia soltanto nell'intelletto che unisce o che separa [dei concetti]. Infatti:
1. Dice il Filosofo che come i sensi nel percepire il sensibile proprio non ingannano mai, così anche l'intelletto, quando apprende la quiddità [delle cose]. Ma la composizione e la divisione non si verifica nel senso, e neppure nell'intelletto che conosce la quiddità. Dunque la verità non è solo nell'atto del comporre e del dividere che fa l'intelletto.

[29058] Iª q. 16 a. 2 arg. 2
Praeterea, Isaac dicit, in libro de definitionibus, quod veritas est adaequatio rei et intellectus. Sed sicut intellectus complexorum potest adaequari rebus, ita intellectus incomplexorum, et etiam sensus sentiens rem ut est. Ergo veritas non est solum in compositione et divisione intellectus.

 

[29058] Iª q. 16 a. 2 arg. 2
2. Isacco dice che la verità è adeguazione tra la cosa e l'intelletto. Ma come il giudizio intellettuale si può adeguare alle cose, così anche l'intellezione dei concetti semplici, ed anche il senso che percepisce la cosa come è. Dunque la verità non è esclusivamente nell'operazione dell'intelletto che compone e divide.

[29059] Iª q. 16 a. 2 s. c.
Sed contra est quod dicit philosophus, in VI Metaphys., quod circa simplicia et quod quid est non est veritas, nec in intellectu neque in rebus.

 

[29059] Iª q. 16 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Secondo il Filosofo finché si tratta di oggetti semplici e di quiddità non si ha il vero nell'intelligenza e neppure nelle cose.

[29060] Iª q. 16 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod verum, sicut dictum est, secundum sui primam rationem est in intellectu. Cum autem omnis res sit vera secundum quod habet propriam formam naturae suae, necesse est quod intellectus, inquantum est cognoscens, sit verus inquantum habet similitudinem rei cognitae, quae est forma eius inquantum est cognoscens. Et propter hoc per conformitatem intellectus et rei veritas definitur. Unde conformitatem istam cognoscere, est cognoscere veritatem. Hanc autem nullo modo sensus cognoscit, licet enim visus habeat similitudinem visibilis, non tamen cognoscit comparationem quae est inter rem visam et id quod ipse apprehendit de ea. Intellectus autem conformitatem sui ad rem intelligibilem cognoscere potest, sed tamen non apprehendit eam secundum quod cognoscit de aliquo quod quid est; sed quando iudicat rem ita se habere sicut est forma quam de re apprehendit, tunc primo cognoscit et dicit verum. Et hoc facit componendo et dividendo, nam in omni propositione aliquam formam significatam per praedicatum, vel applicat alicui rei significatae per subiectum, vel removet ab ea. Et ideo bene invenitur quod sensus est verus de aliqua re, vel intellectus cognoscendo quod quid est, sed non quod cognoscat aut dicat verum. Et similiter est de vocibus complexis aut incomplexis. Veritas quidem igitur potest esse in sensu, vel in intellectu cognoscente quod quid est, ut in quadam re vera, non autem ut cognitum in cognoscente, quod importat nomen veri; perfectio enim intellectus est verum ut cognitum. Et ideo, proprie loquendo, veritas est in intellectu componente et dividente, non autem in sensu, neque in intellectu cognoscente quod quid est.

 

[29060] Iª q. 16 a. 2 co.
RISPONDO: II vero, come abbiamo già dimostrato, si trova formalmente nell'intelletto. E siccome ogni cosa è vera secondo che ha la forma conveniente alla propria natura, l'intelletto, considerato nell'atto del conoscere, sarà verace, in quanto ha in sé l'immagine della cosa conosciuta, perché tale immagine è la sua forma nell'atto del conoscere. Per questo motivo la verità si definisce per la conformità dell'intelletto alla realtà, e quindi conoscere tale conformità è conoscere la verità. Tale conformità il senso non la conosce affatto; per quanto infatti l'occhio abbia in sé l'immagine dell'oggetto visibile, pure non afferra il rapporto che corre tra la cosa veduta e quello che esso ne percepisce. L'intelletto, invece, può conoscere la propria conformità con la cosa conosciuta. Tuttavia non l'afferra quando di una cosa percepisce la quiddità; ma quando giudica che la cosa in se stessa è conforme alla sua apprensione: allora solamente conosce e afferma il vero. E fa questo nell'atto di comporre e di dividere: infatti in ogni proposizione l'intelletto applica ed esclude, in una cosa espressa nel soggetto, una certa forma [o attributo] espressa dal predicato. Perciò è giusto affermare che la percezione sensitiva relativamente ad una data cosa è vera, come è vero l’intelletto nel conoscere la quiddità; ma non si può dire che l'una e l'altro conosca, o affermi il vero. La stessa cosa è delle espressioni verbali complesse o semplici. La verità dunque può anche trovarsi nei sensi o nell'intelletto che conosce la quiddità come in un oggetto vero: ma non quale cosa conosciuta nel soggetto conoscente, come indica il termine vero: la perfezione dell'intelletto, infatti, è il vero conosciuto. Per conseguenza, a parlar propriamente, la verità è nell'intelletto che compone o divide [che giudica]; non già nel senso, oppure nell'intelletto che percepisce la quiddità.

[29061] Iª q. 16 a. 2 ad arg.
Et per hoc patet solutio ad obiecta.

 

[29061] Iª q. 16 a. 2 ad arg.
Le difficoltà hanno così trovato la loro soluzione.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > La verità > Se il vero e l'ente si identifichino


Prima pars
Quaestio 16
Articulus 3

[29062] Iª q. 16 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod verum et ens non convertantur. Verum enim est proprie in intellectu, ut dictum est. Ens autem proprie est in rebus. Ergo non convertuntur.

 
Prima parte
Questione 16
Articolo 3

[29062] Iª q. 16 a. 3 arg. 1
SEMBRA che il vero e l'ente non si identifichino. Infatti:
1. Il vero è nell'intelletto, come si è detto; l'ente, invece, propriamente è nelle cose. Dunque non si identificano.

[29063] Iª q. 16 a. 3 arg. 2
Praeterea, id quod se extendit ad ens et non ens, non convertitur cum ente. Sed verum se extendit ad ens et non ens, nam verum est quod est esse, et quod non est non esse. Ergo verum et ens non convertuntur.

 

[29063] Iª q. 16 a. 3 arg. 2
2. Ciò che si estende all'essere e al non essere, non si identifica con l'ente. Ora, il vero si estende all'essere ed al non essere; infatti, è ugualmente vero che l'essere è, e che il non essere non è. Dunque vero ed essere non sono la stessa cosa.

[29064] Iª q. 16 a. 3 arg. 3
Praeterea, quae se habent secundum prius et posterius, non videntur converti. Sed verum videtur prius esse quam ens, nam ens non intelligitur nisi sub ratione veri. Ergo videtur quod non sint convertibilia.

 

[29064] Iª q. 16 a. 3 arg. 3
3. Tra cose aventi rapporti di anteriorità e posteriorità, non si dà identità. Ora, il vero sembra che sia prima dell'ente, perché non si intende l'ente se non sotto la ragione di vero. Dunque sembra che non si identifichino.

[29065] Iª q. 16 a. 3 s. c.
Sed contra est quod dicit philosophus, II Metaphys., quod eadem est dispositio rerum in esse et veritate.

 

[29065] Iª q. 16 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: Il Filosofo dice che i rapporti di una cosa all'essere e alla verità sono identici.

[29066] Iª q. 16 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod, sicut bonum habet rationem appetibilis, ita verum habet ordinem ad cognitionem. Unumquodque autem inquantum habet de esse, intantum est cognoscibile. Et propter hoc dicitur in III de anima, quod anima est quodammodo omnia secundum sensum et intellectum. Et ideo, sicut bonum convertitur cum ente, ita et verum. Sed tamen, sicut bonum addit rationem appetibilis supra ens, ita et verum comparationem ad intellectum.

 

[29066] Iª q. 16 a. 3 co.
RISPONDO: Il bene si presenta come appetibile, allo stesso modo che il vero dice ordine alla conoscenza. E ogni cosa è conoscibile nella misura che partecipa dell'essere: onde Aristotele dice che «l'anima in qualche maniera è tutte le cose» in forza dei sensi e dell'intelletto. Perciò il vero si identifica con l'ente come il bene. Tuttavia, come il bene aggiunge all'ente la nozione di appetibilità, così il vero vi aggiunge un rapporto all’intelletto.

[29067] Iª q. 16 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod verum est in rebus et in intellectu, ut dictum est. Verum autem quod est in rebus, convertitur cum ente secundum substantiam. Sed verum quod est in intellectu, convertitur cum ente, ut manifestativum cum manifestato. Hoc enim est de ratione veri, ut dictum est. Quamvis posset dici quod etiam ens est in rebus et in intellectu, sicut et verum; licet verum principaliter in intellectu, ens vero principaliter in rebus. Et hoc accidit propter hoc, quod verum et ens differunt ratione.

 

[29067] Iª q. 16 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il vero si trova e nelle cose e nell'intelletto, come abbiamo dimostrato. Ma il vero che è nelle cose si identifica con l'ente in tutta la sua realtà. Mentre il vero che è nell'intelletto si identifica con l'ente, come l'espressione con la cosa espressa. Ed infatti, proprio in questo consiste la ragione di vero, come abbiamo detto sopra. - E si potrebbe pure rispondere che anche l'ente è nelle cose e nell'intelletto, come il vero; benché il vero sia principalmente nell'intelletto, e l'ente principalmente nelle cose. E ciò avviene per il fatto che il vero e l'ente differiscono concettualmente.

[29068] Iª q. 16 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod non ens non habet in se unde cognoscatur, sed cognoscitur inquantum intellectus facit illud cognoscibile. Unde verum fundatur in ente, inquantum non ens est quoddam ens rationis, apprehensum scilicet a ratione.

 

[29068] Iª q. 16 a. 3 ad 2
2. Il non ente non ha in se stesso onde possa esser conosciuto; ma è conosciuto perché l'intelletto lo fa intelligibile. Quindi anche il vero si fonda sull'ente, in quanto il non ente è un ente di ragione, cioè un ente concepito dalla ragione.

[29069] Iª q. 16 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod, cum dicitur quod ens non potest apprehendi sine ratione veri, hoc potest dupliciter intelligi. Uno modo, ita quod non apprehendatur ens, nisi ratio veri assequatur apprehensionem entis. Et sic locutio habet veritatem. Alio modo posset sic intelligi, quod ens non posset apprehendi, nisi apprehenderetur ratio veri. Et hoc falsum est. Sed verum non potest apprehendi, nisi apprehendatur ratio entis, quia ens cadit in ratione veri. Et est simile sicut si comparemus intelligibile ad ens. Non enim potest intelligi ens, quin ens sit intelligibile, sed tamen potest intelligi ens, ita quod non intelligatur eius intelligibilitas. Et similiter ens intellectum est verum, non tamen intelligendo ens, intelligitur verum.

 

[29069] Iª q. 16 a. 3 ad 3
3. La proposizione, l'ente non si può apprendere se non sotto l'aspetto di vero, si può intendere in due modi. O nel senso che non si può apprendere l'ente senza che questa apprensione sia accompagnata dalla nozione di vero. E così l'affermazione è vera. Oppure nel senso che l'ente non può essere appreso senza che sia conosciuta la ragione di vero. E questo è falso. Piuttosto è il vero che non si può conoscere se [prima] non si apprende l'ente, perché l'ente è incluso nella nozione di vero. E come se noi paragonassimo l’intelligibile all'ente. Infatti, l'ente non potrebbe mai essere conosciuto intellettualmente, se non fosse intelligibile: tuttavia, può essere conosciuto l'ente, prescindendo dalla sua intelligibilità. Così pure l'ente intellettualmente conosciuto è vero; ma non si conosce [esplicitamente] il vero conoscendo l'ente.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > La verità > Se il bene sia concettualmente prima del vero


Prima pars
Quaestio 16
Articulus 4

[29070] Iª q. 16 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod bonum secundum rationem sit prius quam verum. Quod enim est universalius, secundum rationem prius est, ut patet ex I Physic. Sed bonum est universalius quam verum, nam verum est quoddam bonum, scilicet intellectus. Ergo bonum prius est secundum rationem quam verum.

 
Prima parte
Questione 16
Articolo 4

[29070] Iª q. 16 a. 4 arg. 1
SEMBRA che il bene sia concettualmente prima del vero. Infatti:
1. Ciò che è più universale, concettualmente è prima, come insegna Aristotele. Ora, il bene è più universale del vero, perché il vero è un certo bene, ossia è il bene dell'intelletto. Dunque il bene concettualmente è prima del vero.

[29071] Iª q. 16 a. 4 arg. 2
Praeterea, bonum est in rebus, verum autem in compositione et divisione intellectus, ut dictum est. Sed ea quae sunt in re, sunt priora his quae sunt in intellectu. Ergo prius est secundum rationem bonum quam verum.

 

[29071] Iª q. 16 a. 4 arg. 2
2. Il bene è nelle cose, il vero invece è nel comporre e nel dividere dell'intelligenza, come si è detto. Ora, ciò che è nella realtà delle cose è anteriore a ciò che è nell'intelletto. Dunque il bene concettualmente è prima del vero.

[29072] Iª q. 16 a. 4 arg. 3
Praeterea, veritas est quaedam species virtutis, ut patet in IV Ethic. Sed virtus continetur sub bono, est enim bona qualitas mentis, ut dicit Augustinus. Ergo bonum est prius quam verum.

 

[29072] Iª q. 16 a. 4 arg. 3
3. Secondo Aristotele, la verità è una virtù. Ma la virtù rientra nel bene: perché, al dire di S. Agostino, è una buona qualità dell'animo. Dunque il bene è prima del vero.

[29073] Iª q. 16 a. 4 s. c.
Sed contra, quod est in pluribus, est prius secundum rationem. Sed verum est in quibusdam in quibus non est bonum, scilicet in mathematicis. Ergo verum est prius quam bonum.

 

[29073] Iª q. 16 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Quello che è più comune, è concettualmente anteriore. Ora, il vero è in alcune cose nelle quali non si trova il bene, cioè nelle entità matematiche. Dunque il vero è prima del bene.

[29074] Iª q. 16 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod, licet bonum et verum supposito convertantur cum ente, tamen ratione differunt. Et secundum hoc verum, absolute loquendo, prius est quam bonum. Quod ex duobus apparet. Primo quidem ex hoc, quod verum propinquius se habet ad ens, quod est prius, quam bonum. Nam verum respicit ipsum esse simpliciter et immediate, ratio autem boni consequitur esse, secundum quod est aliquo modo perfectum; sic enim appetibile est. Secundo apparet ex hoc, quod cognitio naturaliter praecedit appetitum. Unde, cum verum respiciat cognitionem, bonum autem appetitum, prius erit verum quam bonum secundum rationem.

 

[29074] Iª q. 16 a. 4 co.
RISPONDO: Nonostante che il vero e il bene siano in concreto identici all'ente, tuttavia differiscono concettualmente. E sotto questo riguardo il vero, assolutamente parlando, è anteriore al bene, per due motivi. Primo motivo: perché il vero è più vicino all'ente, il quale è prima del bene. Infatti, il vero dice rapporto all'essere stesso semplicemente ed immediatamente, mentre la nozione di bene consegue all'essere, in quanto l'essere, in certo modo, dice perfezione; infatti sotto questo aspetto l'essere è appetibile. - Secondo motivo: perché la conoscenza naturalmente precede l'appetizione. Quindi, siccome il vero dice rapporto alla cognizione, e il bene alla facoltà appetitiva, il vero è concettualmente prima del bene.

[29075] Iª q. 16 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod voluntas et intellectus mutuo se includunt, nam intellectus intelligit voluntatem, et voluntas vult intellectum intelligere. Sic ergo inter illa quae ordinantur ad obiectum voluntatis, continentur etiam ea quae sunt intellectus; et e converso. Unde in ordine appetibilium, bonum se habet ut universale, et verum ut particulare, in ordine autem intelligibilium est e converso. Ex hoc ergo quod verum est quoddam bonum, sequitur quod bonum sit prius in ordine appetibilium, non autem quod sit prius simpliciter.

 

[29075] Iª q. 16 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La volontà e l'intelletto si includono a vicenda, perché l'intelletto conosce la volontà, e la volontà muove l'intelletto a conoscere. Così, dunque, tra le cose che dicono ordina all'oggetto della volontà, ai trovano anche quelle che riguardano l'intelletto, e viceversa. Quindi, nell'ordine del desiderabile, il bene ha ragione di universale e il vero ha ragione di particolare; nell'ordine poi dell'intelligibile è l'inverso. Per il fatto, dunque, che il vero è un certo bene, ne segue che il bene sia prima nell'ordine degli appetibili, non però che sia prima assolutamente.

[29076] Iª q. 16 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod secundum hoc est aliquid prius ratione, quod prius cadit in intellectu. Intellectus autem per prius apprehendit ipsum ens; et secundario apprehendit se intelligere ens; et tertio apprehendit se appetere ens. Unde primo est ratio entis, secundo ratio veri, tertio ratio boni, licet bonum sit in rebus.

 

[29076] Iª q. 16 a. 4 ad 2
2. Una cosa è concettualmente anteriore, perché considerata per prima dall'intelletto. L'intelletto innanzi tutto raggiunge l'ente; in secondo luogo conosce se stesso nell'atto di intendere l'ente; in terzo luogo conosce se stesso nell'atto di desiderare l'ente. Perciò, prima abbiamo la nozione di ente, dipoi la nozione di vero; finalmente la nozione di bene, per quanto il bene sia intrinseco alle cose.

[29077] Iª q. 16 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod virtus quae dicitur veritas, non est veritas communis, sed quaedam veritas secundum quam homo in dictis et factis ostendit se ut est. Veritas autem vitae dicitur particulariter, secundum quod homo in vita sua implet illud ad quod ordinatur per intellectum divinum, sicut etiam dictum est veritatem esse in ceteris rebus. Veritas autem iustitiae est secundum quod homo servat id quod debet alteri secundum ordinem legum. Unde ex his particularibus veritatibus non est procedendum ad veritatem communem.

 

[29077] Iª q. 16 a. 4 ad 3
3. La virtù detta verità [o veracità], non è la verità in genere, ma è quella specie di verità per la quale l'uomo nel dire e nel fare si palesa quale è. In senso più ristretto parliamo di verità della vita in quanto l'uomo nella sua vita attua quello a cui è ordinato dalla divina intelligenza: nel senso in cui, come abbiamo spiegato, la verità è in tutte le cose. Si da poi una verità della giustizia quando l'uomo rispetta gli obblighi che ha verso gli altri secondo le disposizioni della legge. Ma da queste [accezioni del termine] verità [così] particolari non si possono fare deduzioni circa la verità in generale.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > La verità > Se Dio sia verità


Prima pars
Quaestio 16
Articulus 5

[29078] Iª q. 16 a. 5 arg. 1
Ad quintum sic proceditur. Videtur quod Deus non sit veritas. Veritas enim consistit in compositione et divisione intellectus. Sed in Deo non est compositio et divisio. Ergo non est ibi veritas.

 
Prima parte
Questione 16
Articolo 5

[29078] Iª q. 16 a. 5 arg. 1
SEMBRA che Dio non sia verità. Infatti:
1. La verità consiste nell'atto del comporre e del dividere compiuto dall'intelletto. Ma in Dio non c’è composizione e divisione. Dunque non c’è verità.

[29079] Iª q. 16 a. 5 arg. 2
Praeterea, veritas, secundum Augustinum, in libro de vera Relig., est similitudo principii. Sed Dei non est similitudo ad principium. Ergo in Deo non est veritas.

 

[29079] Iª q. 16 a. 5 arg. 2
2. La verità, secondo S. Agostino, è la «somiglianza delle cose con il loro principio». Ora, Dio non somiglia a nessun principio. Dunque in Dio non c’è verità.

[29080] Iª q. 16 a. 5 arg. 3
Praeterea, quidquid dicitur de Deo, dicitur de eo ut de prima causa omnium, sicut esse Dei est causa omnis esse, et bonitas eius est causa omnis boni. Si ergo in Deo sit veritas, ergo omne verum erit ab ipso. Sed aliquem peccare est verum. Ergo hoc erit a Deo. Quod patet esse falsum.

 

[29080] Iª q. 16 a. 5 arg. 3
3. Tutto quello che si dice di Dio, si dice di lui come della prima causa di tutte le cose: p. es., l'essere di Dio è causa di ogni essere, e la sua bontà è causa di ogni bene. Se dunque in Dio vi è verità, ogni vero proverrà da lui. Ora, è vero che qualcuno pecca. Dunque Dio dovrebbe esserne la causa. Il che evidentemente è falso.

[29081] Iª q. 16 a. 5 s. c.
Sed contra est quod dicit dominus, Ioan. XIV, ego sum via, veritas et vita.

 

[29081] Iª q. 16 a. 5 s. c.
IN CONTRARIO: Il Signore dice: «Io sono la Via, la Verità e la Vita».

[29082] Iª q. 16 a. 5 co.
Respondeo dicendum quod, sicut dictum est, veritas invenitur in intellectu secundum quod apprehendit rem ut est, et in re secundum quod habet esse conformabile intellectui. Hoc autem maxime invenitur in Deo. Nam esse suum non solum est conforme suo intellectui, sed etiam est ipsum suum intelligere; et suum intelligere est mensura et causa omnis alterius esse, et omnis alterius intellectus; et ipse est suum esse et intelligere. Unde sequitur quod non solum in ipso sit veritas, sed quod ipse sit ipsa summa et prima veritas.

 

[29082] Iª q. 16 a. 5 co.
RISPONDO: Come si è già spiegato, la verità si trova nell'intelletto quando esso conosce una cosa cosi come è, e nelle cose in quanto il loro essere dice rapporto all’intelligenza. Ora, tutto questo si trova in Dio in sommo grado. Infatti il suo essere non solo è conforme al suo intelletto, ma è il suo stesso intendere; e il suo atto d'intellezione è la misura e la causa di ogni altro essere e di ogni altro intelletto; ed egli stesso è il suo proprio essere e la sua intellezione. Conseguentemente non soltanto in lui vi è verità, ma egli medesimo è la stessa somma e prima verità.

[29083] Iª q. 16 a. 5 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, licet in intellectu divino non sit compositio et divisio, tamen secundum suam simplicem intelligentiam iudicat de omnibus, et cognoscit omnia complexa. Et sic in intellectu eius est veritas.

 

[29083] Iª q. 16 a. 5 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Sebbene nella divina intelligenza non vi sia composizione e divisione, tuttavia Dio con la sua semplice intelligenza giudica di tutto, e conosce tutte le cose, compresi tutti i giudizi. E così nel suo intelletto c’è la verità.

[29084] Iª q. 16 a. 5 ad 2
Ad secundum dicendum quod verum intellectus nostri est secundum quod conformatur suo principio, scilicet rebus, a quibus cognitionem accipit. Veritas etiam rerum est secundum quod conformantur suo principio, scilicet intellectui divino. Sed hoc, proprie loquendo, non potest dici in veritate divina, nisi forte secundum quod veritas appropriatur filio, qui habet principium. Sed si de veritate essentialiter dicta loquamur, non potest intelligi, nisi resolvatur affirmativa in negativam, sicut cum dicitur, pater est a se, quia non est ab alio. Et similiter dici potest similitudo principii veritas divina, inquantum esse suum non est suo intellectui dissimile.

 

[29084] Iª q. 16 a. 5 ad 2
2. La verità del nostro intelletto consiste nella conformità al suo principio, cioè alle cose dalle quali trae le sue cognizioni. Anche la verità delle cose [ontologica] consiste nella conformità di esse al loro principio, cioè all’intelletto divino. Ma l'affermazione, propriamente parlando, si potrebbe applicare alla verità divina soltanto se si trattasse della verità che si appropria al Figlio, il quale ha un principio. Non vede però per la verità attributo essenziale di Dio, a meno che la proposizione affermativa non si voglia risolvere in negativa, come quando si afferma che il Padre è di per se stesso, per negare che sia da altri. Si potrebbe anche dire che la verità divina è «somiglianza col suo principio» per indicare che tra l'essere di Dio e il suo intelletto non e'è dissomiglianza.

[29085] Iª q. 16 a. 5 ad 3
Ad tertium dicendum quod non ens et privationes non habent ex seipsis veritatem, sed solum ex apprehensione intellectus. Omnis autem apprehensio intellectus a Deo est, unde quidquid est veritatis in hoc quod dico, istum fornicari est verum, totum est a Deo. Sed si arguatur, ergo istum fornicari est a Deo, est fallacia accidentis.

 

[29085] Iª q. 16 a. 5 ad 3
3. Il non ente e le privazioni non hanno verità in se stessi; l’hanno solamente dalla conoscenza dell'intelletto. Ora, ogni conoscenza viene da Dio: quindi quanto di verità c’è in questo mio dire: è vero che costui commette fornicazione, proviene da Dio. Ma se uno ne conclude: dunque la fornicazione di costui proviene da Dio, si ha un sofisma di accidente.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > La verità > Se vi sia una sola verità, secondo la quale tutte le cose sono vere


Prima pars
Quaestio 16
Articulus 6

[29086] Iª q. 16 a. 6 arg. 1
Ad sextum sic proceditur. Videtur quod una sola sit veritas, secundum quam omnia sunt vera. Quia, secundum Augustinum, nihil est maius mente humana, nisi Deus. Sed veritas est maior mente humana, alioquin mens iudicaret de veritate; nunc autem omnia iudicat secundum veritatem, et non secundum seipsam. Ergo solus Deus est veritas. Ergo non est alia veritas quam Deus.

 
Prima parte
Questione 16
Articolo 6

[29086] Iª q. 16 a. 6 arg. 1
SEMBRA che vi sia una sola verità, secondo la quale tutte le cose sono vere. Infatti:
1. Per S. Agostino niente è più grande della mente umana, tranne Dio. Ora, la verità è superiore alla mente umana, che altrimenti questa giudicherebbe la verità; e invece giudica tutte le cose secondo la verità e non secondo se stessa Dunque solo Dio è verità. Dunque non vi è altra verità che Dio.

[29087] Iª q. 16 a. 6 arg. 2
Praeterea, Anselmus dicit, in libro de veritate, quod sicut tempus se habet ad temporalia, ita veritas ad res veras. Sed unum est tempus omnium temporalium. Ergo una est veritas, qua omnia vera sunt.

 

[29087] Iª q. 16 a. 6 arg. 2
2. S. Anselmo dice che come il tempo sta alle cose temporali, così la verità sta alle cose vere. Ora, il tempo è uno per tutte le cose temporali. Dunque non vi è che una verità, per la quale tutte le cose sono vere.

[29088] Iª q. 16 a. 6 s. c.
Sed contra est quod in Psalmo XI dicitur, diminutae sunt veritates a filiis hominum.

 

[29088] Iª q. 16 a. 6 s. c.
IN CONTRARIO: Nei Salmi si legge: «Le verità sono diminuite tra i figli degli uomini».

[29089] Iª q. 16 a. 6 co.
Respondeo dicendum quod quodammodo una est veritas, qua omnia sunt vera, et quodammodo non. Ad cuius evidentiam, sciendum est quod, quando aliquid praedicatur univoce de multis, illud in quolibet eorum secundum propriam rationem invenitur, sicut animal in qualibet specie animalis. Sed quando aliquid dicitur analogice de multis, illud invenitur secundum propriam rationem in uno eorum tantum, a quo alia denominantur. Sicut sanum dicitur de animali et urina et medicina, non quod sanitas sit nisi in animali tantum, sed a sanitate animalis denominatur medicina sana, inquantum est illius sanitatis effectiva, et urina, inquantum est illius sanitatis significativa. Et quamvis sanitas non sit in medicina neque in urina, tamen in utroque est aliquid per quod hoc quidem facit, illud autem significat sanitatem. Dictum est autem quod veritas per prius est in intellectu, et per posterius in rebus, secundum quod ordinantur ad intellectum divinum. Si ergo loquamur de veritate prout existit in intellectu, secundum propriam rationem, sic in multis intellectibus creatis sunt multae veritates; etiam in uno et eodem intellectu, secundum plura cognita. Unde dicit Glossa super illud Psalmi XI, diminutae sunt veritates a filiis hominum etc., quod sicut ab una facie hominis resultant plures similitudines in speculo, sic ab una veritate divina resultant plures veritates. Si vero loquamur de veritate secundum quod est in rebus, sic omnes sunt verae una prima veritate, cui unumquodque assimilatur secundum suam entitatem. Et sic, licet plures sint essentiae vel formae rerum, tamen una est veritas divini intellectus, secundum quam omnes res denominantur verae.

 

[29089] Iª q. 16 a. 6 co.
RISPONDO: In un certo senso esiste un'unica verità, per la quale tutti gli esseri sono veri, mentre non è così in un altro senso. Per chiarire la cosa, giova riflettere che quando un attributo si afferma di più cose univocamente, si trova in ciascuna di esse secondo la sua propria ragione, come animale in ogni specie di animali. Ma quando un attributo si afferma di più soggetti analogicamente, allora esso si trova secondo la sua propria ragione in uno solo, dal quale tutti gli altri si denominano: p. es., sano si dice dell'animale, dell'orina e della medicina, non che l'attributo della sanità si trovi nel solo animale, ma dalla sanità dell'animale è denominata sana la medicina, in quanto è causa di tale sanità, e sana è denominata l'orina, in quanto ne è il segno. E sebbene la sanità non sia nella medicina e neppure nell'orina, tuttavia nell'una e nell'altra vi è qualche cosa per cui l'una produce e l'altra significa la sanità. Ora, sopra si è detto che la verità primieramente o nell'intelletto, secondariamente nelle cose in quanto dicono ordine alla intelligenza divina. Se dunque parliamo della verità in quanto, secondo la propria nozione, è nell'intelletto, allora, dato che esistono molte intelligenze create, vi sono anche molte verità; e anche in un solo e medesimo intelletto vi possono essere più verità, data la pluralità degli oggetti conosciuti. Per tal motivo la Glossa sulle parole del Salmo, «le verità sono diminuite tra i figli degli uomini», fa questo rilievo: come da un solo volto di uomo risultano più immagini nello specchio, così dall'unica verità divina risultano più verità. Se poi parliamo della verità in quanto è nelle cose, allora tutte le cose sono vere in forza dell'unica prima verità, alla quale ciascuna di esse si conforma nella misura del proprio essere. E così, sebbene siano molteplici le essenze o forme delle cose, tuttavia unica è la verità dell'intelletto divino, secondo la quale tutte le cose si denominano vere.

[29090] Iª q. 16 a. 6 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod anima non secundum quamcumque veritatem iudicat de rebus omnibus; sed secundum veritatem primam, inquantum resultat in ea sicut in speculo, secundum prima intelligibilia. Unde sequitur quod veritas prima sit maior anima. Et tamen etiam veritas creata, quae est in intellectu nostro, est maior anima, non simpliciter, sed secundum quid, inquantum est perfectio eius; sicut etiam scientia posset dici maior anima. Sed verum est quod nihil subsistens est maius mente rationali, nisi Deus.

 

[29090] Iª q. 16 a. 6 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. L'anima nostra non giudica di tutte le cose secondo una qualsiasi verità; ma secondo la verità prima, m quanto essa si riflette nell'anima, attraverso i principii intellettivi, come in uno specchio. Ne consegue che la verità prima è superiore all'anima. Tuttavia, anche la verità creata, che è nel nostro intelletto, è superiore all'anima nostra, non assolutamente, ma relativamente, in quanto è una sua perfezione: in questo senso anche la scienza può dirsi superiore all'anima. È vero però che nessun essere concreto è superiore allo spirito intelligente, all’infuori di Dio.

[29091] Iª q. 16 a. 6 ad 2
Ad secundum dicendum quod dictum Anselmi veritatem habet, secundum quod res dicuntur verae per comparationem ad intellectum divinum.

 

[29091] Iª q. 16 a. 6 ad 2
2. L'affermazione di S. Anselmo è giusta nel senso che le cose si dicono vere in rapporto alla divina intelligenza.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > La verità > Se la verità creata sia eterna


Prima pars
Quaestio 16
Articulus 7

[29092] Iª q. 16 a. 7 arg. 1
Ad septimum sic proceditur. Videtur quod veritas creata sit aeterna. Dicit enim Augustinus, in libro de libero arbitrio, quod nihil est magis aeternum quam ratio circuli, et duo et tria esse quinque. Sed horum veritas est veritas creata. Ergo veritas creata est aeterna.

 
Prima parte
Questione 16
Articolo 7

[29092] Iª q. 16 a. 7 arg. 1
SEMBRA che la verità creata sia eterna. Infatti:
1. Dice S. Agostino che niente è più eterno della nozione del circolo o dell'affermazione che due più tre fa cinque. Ora, la verità di tutte queste cose è una verità creata. Dunque la verità creata è eterna.

[29093] Iª q. 16 a. 7 arg. 2
Praeterea, omne quod est semper, est aeternum. Sed universalia sunt ubique et semper. Ergo sunt aeterna. Ergo et verum, quod est maxime universale.

 

[29093] Iª q. 16 a. 7 arg. 2
2. Tutto ciò che è sempre, è eterno. Ora, gli universali sono dovunque e sempre. Dunque sono eterni. Dunque anche il vero, che è sommamente universale.

[29094] Iª q. 16 a. 7 arg. 3
Praeterea, id quod est verum in praesenti, semper fuit verum esse futurum. Sed sicut veritas propositionis de praesenti est veritas creata, ita veritas propositionis de futuro. Ergo aliqua veritas creata est aeterna.

 

[29094] Iª q. 16 a. 7 arg. 3
3. Ciò che è vero presentemente, fu sempre vero che in futuro sarebbe stato. Ma come è verità creata la verità di una proposizione al presente, così lo è la verità di una proposizione al futuro. Dunque qualche verità creata è eterna.

[29095] Iª q. 16 a. 7 arg. 4
Praeterea, omne quod caret principio et fine, est aeternum. Sed veritas enuntiabilium caret principio et fine. Quia, si veritas incoepit cum ante non esset, verum erat veritatem non esse, et utique aliqua veritate verum erat, et sic veritas erat antequam inciperet. Et similiter si ponatur veritatem habere finem, sequitur quod sit postquam desierit, verum enim erit veritatem non esse. Ergo veritas est aeterna.

 

[29095] Iª q. 16 a. 7 arg. 4
4. Tutto ciò che è senza principio e senza fine, è elenio. Ora, la verità degli enunciati è senza cominciamento e senza fine. Poiché se la verità ha cominciato a essere mentre prima non era, era vero in quel tempo che la verità non c'era: e sicuramente era vero in forza di una verità, e così la verità c'era prima di avere inizio. Parimente, se si ammette che la verità abbia fine, ne viene che esisterà dopo di aver cessato di essere, perché sarà vero allora che la verità non c’è. Dunque la verità è eterna.

[29096] Iª q. 16 a. 7 s. c.
Sed contra est quod solus Deus est aeternus, ut supra habitum est.

 

[29096] Iª q. 16 a. 7 s. c.
IN CONTRARIO: Dio solo è eterno, come abbiamo già dimostrato.

[29097] Iª q. 16 a. 7 co.
Respondeo dicendum quod veritas enuntiabilium non est aliud quam veritas intellectus. Enuntiabile enim et est in intellectu, et est in voce. Secundum autem quod est in intellectu, habet per se veritatem. Sed secundum quod est in voce, dicitur verum enuntiabile, secundum quod significat aliquam veritatem intellectus; non propter aliquam veritatem in enuntiabili existentem sicut in subiecto. Sicut urina dicitur sana, non a sanitate quae in ipsa sit, sed a sanitate animalis, quam significat. Similiter etiam supra dictum est quod res denominantur verae a veritate intellectus. Unde si nullus intellectus esset aeternus, nulla veritas esset aeterna. Sed quia solus intellectus divinus est aeternus, in ipso solo veritas aeternitatem habet. Nec propter hoc sequitur quod aliquid aliud sit aeternum quam Deus, quia veritas intellectus divini est ipse Deus, ut supra ostensum est.

 

[29097] Iª q. 16 a. 7 co.
RISPONDO: La verità degli enunciati non è altro che i a verità dell'intelletto. Infatti un enunciato può essere nella mente e nella parola. Secondo che è nella mente, esso ha di per sé la verità; ma secondo che è nella parola si dice vero in quanto esprime la verità della mente, non già per una qualche verità che risieda nella proposizione come in un soggetto. Così l'orina è detta sana, non per una sanità che sia in essa, ma per la sanità dell'animale, della quale è segno. Del resto anche sopra abbiamo spiegato che le cose si denominano vere dalla verità dell'intelletto. Per cui se non vi fosse nessuna mente eterna, non vi sarebbe alcuna verità eterna. Ma siccome il solo intelletto divino è eterno, soltanto in esso la verità trova la sua eternità. Né per questo si può concludere che vi sia qualche altra cosa di eterno oltre Dio: perché la verità della divina intelligenza è Dio medesimo, come già si è dimostrato.

[29098] Iª q. 16 a. 7 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod ratio circuli, et duo et tria esse quinque, habent aeternitatem in mente divina.

 

[29098] Iª q. 16 a. 7 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La nozione del circolo e l'affermazione che due più tre fa cinque, hanno la loro eternità nella mente di Dio.

[29099] Iª q. 16 a. 7 ad 2
Ad secundum dicendum quod aliquid esse semper et ubique, potest intelligi dupliciter. Uno modo, quia habet in se unde se extendat ad omne tempus et ad omnem locum, sicut Deo competit esse ubique et semper. Alio modo, quia non habet in se quo determinetur ad aliquem locum vel tempus, sicut materia prima dicitur esse una, non quia habet unam formam, sicut homo est unus ab unitate unius formae, sed per remotionem omnium formarum distinguentium. Et per hunc modum, quodlibet universale dicitur esse ubique et semper, inquantum universalia abstrahunt ab hic et nunc. Sed ex hoc non sequitur ea esse aeterna, nisi in intellectu, si quis sit aeternus.

 

[29099] Iª q. 16 a. 7 ad 2
2. Che una cosa sia sempre e dovunque, si può intendere in due modi. O perché ha in sé onde estendersi a ogni tempo e a ogni luogo; e in tal senso compete a Dio. Oppure nel senso che non ha in sé un elemento che la determini a un punto dello spazio o del tempo [piuttosto che a un altro]: nella stessa maniera che la materia prima è detta una, non perché abbia una determinata forma, come l'uomo il quale è uno per l'unità di una sola forma, ma per la eliminazione di tutte le forme atte a distinguere. E in questo senso di ogni universale si dice che è dovunque e sempre, in quanto gli universali astraggono dallo spazio e dal tempo. Ma da ciò non segue che essi siano eterni se non nell'intelletto, dato che ve ne sia uno eterno.

[29100] Iª q. 16 a. 7 ad 3
Ad tertium dicendum quod illud quod nunc est, ex eo futurum fuit antequam esset, quia in causa sua erat ut fieret. Unde, sublata causa, non esset futurum illud fieri. Sola autem causa prima est aeterna. Unde ex hoc non sequitur quod ea quae sunt, semper fuerit verum ea esse futura, nisi quatenus in causa sempiterna fuit ut essent futura. Quae quidem causa solus Deus est.

 

[29100] Iª q. 16 a. 7 ad 3
3. Quello che esiste ora, prima di esistere era cosa futura, perché esisteva una causa, capace di produrlo. Quindi, tolta la causa, la sua produzione non sarebbe stata cosa futura. Ora, soltanto la causa prima è eterna. Perciò non ne segue che sarebbe stato sempre vero che le cose attualmente esistenti dovessero essere nel futuro, se non dipendentemente dalla causa eterna. E tale causa è solo Dio.

[29101] Iª q. 16 a. 7 ad 4
Ad quartum dicendum quod, quia intellectus noster non est aeternus, nec veritas enuntiabilium quae a nobis formantur, est aeterna, sed quandoque incoepit. Et antequam huiusmodi veritas esset, non erat verum dicere veritatem talem non esse, nisi ab intellectu divino, in quo solum veritas est aeterna. Sed nunc verum est dicere veritatem tunc non fuisse. Quod quidem non est verum nisi veritate quae nunc est in intellectu nostro, non autem per aliquam veritatem ex parte rei. Quia ista est veritas de non ente; non ens autem non habet ex se ut sit verum, sed solummodo ex intellectu apprehendente ipsum. Unde intantum est verum dicere veritatem non fuisse, inquantum apprehendimus non esse ipsius ut praecedens esse eius.

 

[29101] Iª q. 16 a. 7 ad 4
4. Siccome il nostro intelletto non è eterno, neppure è eterna la verità degli enunciati che noi formiamo, ma ha cominciato a essere a un dato momento. Prima quindi che tale verità fosse, non era vera l'affermazione che essa non esisteva se non a causa dell'intelletto divino, nel quale la verità è eterna. Ma in questo momento è vero dire che quella verità allora non esisteva. Quest'ultima affermazione però non è vera se non in forza di quella verità che adesso è nel nostro intelletto, non già in forza di una verità oggettiva della cosa. Perché si tratta di una verità che ha per oggetto il non ente: e il non ente non può esser vero in forza di se stesso, ma solo in forza dell'intelletto che lo concepisce. Quindi è vero dire che la verità non esisteva, soltanto perché noi apprendiamo la non esistenza della medesima come anteriore alla sua esistenza.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > La verità > Se la verità sia immutabile


Prima pars
Quaestio 16
Articulus 8

[29102] Iª q. 16 a. 8 arg. 1
Ad octavum sic proceditur. Videtur quod veritas sit immutabilis. Dicit enim Augustinus, in libro II de libero arbitrio, quod veritas non est aequalis menti, quia esset mutabilis, sicut et mens.

 
Prima parte
Questione 16
Articolo 8

[29102] Iª q. 16 a. 8 arg. 1
SEMBRA che la verità sia immutabile. Infatti:
1. S. Agostino dice che la verità non è come la mente, perché altrimenti sarebbe mutabile al pari di essa.

[29103] Iª q. 16 a. 8 arg. 2
Praeterea, id quod remanet post omnem mutationem, est immutabile, sicut prima materia est ingenita et incorruptibilis, quia remanet post omnem generationem et corruptionem. Sed veritas remanet post omnem mutationem, quia post omnem mutationem verum est dicere esse vel non esse. Ergo veritas est immutabilis.

 

[29103] Iª q. 16 a. 8 arg. 2
2. Ciò che resta dopo ogni cambiamento è immutabile: come la materia prima, la quale non si può ne generare ne corrompere, perché essa permane dopo tutte le generazioni e le corruzioni. Ora, la verità rimane dopo ogni mutamento, perché dopo ogni mutazione è sempre vero il dire; tale cosa è o non è. Dunque la verità è immutabile.

[29104] Iª q. 16 a. 8 arg. 3
Praeterea, si veritas enuntiationis mutatur, maxime mutatur ad mutationem rei. Sed sic non mutatur. Veritas enim, secundum Anselmum, est rectitudo quaedam, inquantum aliquid implet id quod est de ipso in mente divina. Haec autem propositio, Socrates sedet, accipit a mente divina ut significet Socratem sedere, quod significat etiam eo non sedente. Ergo veritas propositionis nullo modo mutatur.

 

[29104] Iª q. 16 a. 8 arg. 3
3. Se la verità di una proposizione potesse mutare ciò avverrebbe specialmente quando cambia la cosa. Ma proprio in questo caso non si ha mutamento. Infatti, dice S. Anselmo che la verità è una certa rettitudine [o fedeltà] consistente nella conformità di una cosa con l'idea corrispondente che è nella mente divina. Ora, questa proposizione, Socrate siede, riceve dalla mente divina di significare che Socrate siede: cosa che significherà anche quando Socrate non sarà più seduto. Dunque la verità della proposizione in nessun modo cambia.

[29105] Iª q. 16 a. 8 arg. 4
Praeterea, ubi est eadem causa, et idem effectus. Sed eadem res est causa veritatis harum trium propositionum Socrates sedet, sedebit, et sedit. Ergo eadem est harum veritas. Sed oportet quod alterum horum sit verum. Ergo veritas harum propositionum immutabiliter manet. Et eadem ratione cuiuslibet alterius propositionis.

 

[29105] Iª q. 16 a. 8 arg. 4
4. Ove una è la causa, avremo anche un identico effetto. Ora, un solo e identico fatto è causa di queste tre proposizioni: Socrate siede, sederà, sedette. Per conseguenza la verità di esse è la medesima. E siccome una delle tre bisogna che sia vera, ne segue che la verità di queste proposizioni rimane immutabile, e per la stessa ragione la verità di ogni altra proposizione.

[29106] Iª q. 16 a. 8 s. c.
Sed contra est quod dicitur in Psalmo XI, diminutae sunt veritates a filiis hominum.

 

[29106] Iª q. 16 a. 8 s. c.
IN CONTRARIO: Nei Salmi si dice: «Le verità sono venute meno tra i figli degli uomini».

[29107] Iª q. 16 a. 8 co.
Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, veritas proprie est in solo intellectu, res autem dicuntur verae a veritate quae est in aliquo intellectu. Unde mutabilitas veritatis consideranda est circa intellectum. Cuius quidem veritas in hoc consistit, quod habeat conformitatem ad res intellectas. Quae quidem conformitas variari potest dupliciter, sicut et quaelibet alia similitudo, ex mutatione alterius extremi. Unde uno modo variatur veritas ex parte intellectus, ex eo quod de re eodem modo se habente aliquis aliam opinionem accipit, alio modo si, opinione eadem manente, res mutetur. Et utroque modo fit mutatio de vero in falsum. Si ergo sit aliquis intellectus in quo non possit esse alternatio opinionum, vel cuius acceptionem non potest subterfugere res aliqua, in eo est immutabilis veritas. Talis autem est intellectus divinus, ut ex superioribus patet. Unde veritas divini intellectus est immutabilis. Veritas autem intellectus nostri mutabilis est. Non quod ipsa sit subiectum mutationis, sed inquantum intellectus noster mutatur de veritate in falsitatem; sic enim formae mutabiles dici possunt. Veritas autem intellectus divini est secundum quam res naturales dicuntur verae, quae est omnino immutabilis.

 

[29107] Iª q. 16 a. 8 co.
RISPONDO: Come si è detto sopra, la verità propriamente è soltanto nell'intelletto; mentre le cose si dicono vere in rapporto alla verità che si trova in un'intelligenza. Quindi la mutabilità del vero va ricercata in relazione all’intelletto, la cui verità consiste nella conformità con le cose conosciute. Ora, questa conformità può variare in due maniere, come ogni altro confronto, cioè per il cambiamento dell'uno o dell'altro termine. Perciò per parte dell'intelligenza la verità cambia se, restando la cosa immutata, uno se ne forma una opinione diversa: varierà egualmente se, restando invariata l’opinione, cambia la cosa. In ambedue i casi c’è mutamento dal vero al falso.
Se dunque si dà un'intelligenza nella quale non vi sia l'alternarsi di opinioni, e al cui sguardo non sia cosa che possa sfuggire, la verità in questa intelligenza è immutabile. Ebbene, tale è la divina intelligenza, come risulta dagli articoli precedenti. La verità dell'intelletto divino è dunque immutabile, mentre quella del nostro intelletto è mutabile. Non che essa sia il soggetto di queste mutazioni, ma [si ha il mutamento] a motivo del nostro intelletto che passa dalla verità alla falsità; in questa maniera infatti sono mutabili le forme. Ma la verità dell'intelletto divino è del tutto immutabile, perché dipende da essa che le cose create possano dirsi vere.

[29108] Iª q. 16 a. 8 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod Augustinus loquitur de veritate divina.

 

[29108] Iª q. 16 a. 8 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. In quel passo S. Agostino parla della verità divina.

[29109] Iª q. 16 a. 8 ad 2
Ad secundum dicendum quod verum et ens sunt convertibilia. Unde, sicut ens non generatur neque corrumpitur per se, sed per accidens, inquantum hoc vel illud ens corrumpitur vel generatur, ut dicitur in I Physic.; ita veritas mutatur, non quod nulla veritas remaneat, sed quia non remanet illa veritas quae prius erat.

 

[29109] Iª q. 16 a. 8 ad 2
2. Il vero e l'ente si identificano. Quindi, come l'ente non viene generato ne si corrompe di per se stesso, ma indirettamente, in quanto questo o quel soggetto viene distrutto o generato, come dice Aristotele: cosi la verità cambia, non perché non resti nessuna verità, ma perché la verità che prima esisteva, non esiste più.

[29110] Iª q. 16 a. 8 ad 3
Ad tertium dicendum quod propositio non solum habet veritatem sicut res aliae veritatem habere dicuntur, inquantum implent id quod de eis est ordinatum ab intellectu divino; sed dicitur habere veritatem quodam speciali modo, inquantum significat veritatem intellectus. Quae quidem consistit in conformitate intellectus et rei. Qua quidem subtracta, mutatur veritas opinionis, et per consequens veritas propositionis. Sic igitur haec propositio, Socrates sedet, eo sedente vera est et veritate rei, inquantum est quaedam vox significativa; et veritate significationis, inquantum significat opinionem veram. Socrate vero surgente, remanet prima veritas, sed mutatur secunda.

 

[29110] Iª q. 16 a. 8 ad 3
3. La proposizione non è vera soltanto come sono vere le altre cose, cioè in quanto attuano quello che per esse è stato ordinato dalla mente divina; ma è detta vera anche in un suo modo particolare, in quanto significa la verità dell'intelletto, la quale consiste nella conformità tra l'intelletto e la cosa. Se scompare questa conformità, cambia la verità dell'opinione, e per conseguenza la verità della proposizione. Perciò questa proposizione: Socrate siede, finché Socrate di fatto siede, è vera doppiamente: vera di verità ontologica, in quanto è una data espressione verbale; vera per il significato [verità logica], in quanto esprime una opinione vera. Ma se Socrate si alza, la prima verità rimane, la seconda invece viene distrutta.

[29111] Iª q. 16 a. 8 ad 4
Ad quartum dicendum quod sessio Socratis, quae est causa veritatis huius propositionis, Socrates sedet, non eodem modo se habet dum Socrates sedet, et postquam sederit, et antequam sederet. Unde et veritas ab hoc causata, diversimode se habet; et diversimode significatur propositionibus de praesenti, praeterito et futuro. Unde non sequitur quod, licet altera trium propositionum sit vera, quod eadem veritas invariabilis maneat.

 

[29111] Iª q. 16 a. 8 ad 4
4. Il sedersi di Socrate, che è la causa della verità di questa proposizione, Socrate siede, non si può considerare allo stesso modo quando Socrate siede e dopo che è stato seduto e prima che sedesse. Quindi anche la verità da esso causata presenta aspetti diversi [rispetto al tempo], e si esprime in diverse maniere nelle tre proposizioni: al presente, al passato e al futuro. Perciò non ne viene che, restando vera una delle tre proposizioni, resti invariabile un'unica verità.

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