I, 11

Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > L'unità di Dio


Prima pars
Quaestio 11
Prooemium

[28648] Iª q. 11 pr.
Post praemissa, considerandum est de divina unitate. Et circa hoc quaeruntur quatuor.
Primo, utrum unum addat aliquid supra ens.
Secundo, utrum opponantur unum et multa.
Tertio, utrum Deus sit unus.
Quarto, utrum sit maxime unus.

 
Prima parte
Questione 11
Proemio

[28648] Iª q. 11 pr.
Dopo quanto si è detto rimane da trattare dell'unità di Dio. Su questo argomento poniamo quattro quesiti:
1. Se l'unità aggiunga qualche cosa all'essere;
2. Se ci sia opposizione tra l'uno e i molti;
3. Se Dio sia uno;
4. Se sia sommanlente uno.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > L'unità di Dio > Se l'unità aggiunga qualche cosa all'essere


Prima pars
Quaestio 11
Articulus 1

[28649] Iª q. 11 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod unum addat aliquid supra ens. Omne enim quod est in aliquo genere determinato, se habet ex additione ad ens, quod circuit omnia genera. Sed unum est in genere determinato, est enim principium numeri, qui est species quantitatis. Ergo unum addit aliquid supra ens.

 
Prima parte
Questione 11
Articolo 1

[28649] Iª q. 11 a. 1 arg. 1
SEMBRA che l'unità aggiunga qualche cosa all'essere. Infatti:
1. Tutto ciò che è posto in un genere determinato (di realtà), vi è posto perché si aggiunge (come determinazione) all'ente, il quale abbraccia tutti i generi. Ora l'uno appartiene ad un genere determinato, perché principio del numero, il quale è una specie del genere quantità. Dunque l'uno aggiunge qualche cosa all'ente.

[28650] Iª q. 11 a. 1 arg. 2
Praeterea, quod dividit aliquod commune, se habet ex additione ad illud. Sed ens dividitur per unum et multa. Ergo unum addit aliquid supra ens.

 

[28650] Iª q. 11 a. 1 arg. 2
2. Ciò che divide o distingue qualche cosa di generico, risulta da un'aggiunta al dato generico. Ora, l'ente si divide in uno e molti. Dunque l'uno aggiunge qualche cosa all'ente.

[28651] Iª q. 11 a. 1 arg. 3
Praeterea, si unum non addit supra ens, idem esset dicere unum et ens. Sed nugatorie dicitur ens ens. Ergo nugatio esset dicere ens unum, quod falsum est. Addit igitur unum supra ens.

 

[28651] Iª q. 11 a. 1 arg. 3
3. Se l'uno non aggiunge nulla all'ente, dire uno e dire ente sarebbe la stessa cosa. Ora, è un gioco di parole dire ente ente. Dunque sarebbe un gioco anche il dire ente uno: il che è falso. Dunque l'unità aggiunge qualche cosa all'ente.

[28652] Iª q. 11 a. 1 s. c.
Sed contra est quod dicit Dionysius, ult. cap. de Div. Nom., nihil est existentium non participans uno, quod non esset, si unum adderet supra ens quod contraheret ipsum. Ergo unum non habet se ex additione ad ens.

 

[28652] Iª q. 11 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Dionigi dice: "Niente vi è tra gli esistenti che non partecipi dell'uno". E ciò non sarebbe se l'uno aggiungesse all'ente qualche cosa che lo coartasse. Dunque l'unità nulla aggiunge all'essere.

[28653] Iª q. 11 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod unum non addit supra ens rem aliquam, sed tantum negationem divisionis, unum enim nihil aliud significat quam ens indivisum. Et ex hoc ipso apparet quod unum convertitur cum ente. Nam omne ens aut est simplex, aut compositum. Quod autem est simplex, est indivisum et actu et potentia. Quod autem est compositum, non habet esse quandiu partes eius sunt divisae, sed postquam constituunt et componunt ipsum compositum. Unde manifestum est quod esse cuiuslibet rei consistit in indivisione. Et inde est quod unumquodque, sicut custodit suum esse, ita custodit suam unitatem.

 

[28653] Iª q. 11 a. 1 co.
RISPONDO: L'unità non aggiunge all'essere nessuna realtà, ma solo la negazione della divisione; poiché uno non altro significa che ente indiviso. E da ciò appare chiaro che l'uno si identifica con l'ente. Infatti, ogni ente o è semplice o composto. Quello semplice non è attualmente diviso e neppure è divisibile. Quello composto non esiste finché le sue parti sono divise, ma solo dopo che l'hanno costituito e composto. Quindi è manifesto che l'essere di qualsiasi cosa consiste nell'indivisione. Di qui deriva che ogni cosa come conserva il proprio essere, così conserva la propria unità.

[28654] Iª q. 11 a. 1 ad 1
Ad primum igitur dicendum quod quidam, putantes idem esse unum quod convertitur cum ente, et quod est principium numeri, divisi sunt in contrarias positiones. Pythagoras enim et Plato, videntes quod unum quod convertitur cum ente, non addit aliquam rem supra ens, sed significat substantiam entis prout est indivisa, existimaverunt sic se habere de uno quod est principium numeri. Et quia numerus componitur ex unitatibus, crediderunt quod numeri essent substantiae omnium rerum. E contrario autem Avicenna, considerans quod unum quod est principium numeri, addit aliquam rem supra substantiam entis (alias numerus ex unitatibus compositus non esset species quantitatis), credidit quod unum quod convertitur cum ente, addat rem aliquam supra substantiam entis, sicut album supra hominem. Sed hoc manifeste falsum est, quia quaelibet res est una per suam substantiam. Si enim per aliquid aliud esset una quaelibet res, cum illud iterum sit unum, si esset iterum unum per aliquid aliud, esset abire in infinitum. Unde standum est in primo. Sic igitur dicendum est quod unum quod convertitur cum ente, non addit aliquam rem supra ens, sed unum quod est principium numeri, addit aliquid supra ens, ad genus quantitatis pertinens.

 

[28654] Iª q. 11 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Alcuni, pensando che fosse una stessa cosa l'uno che coincide con l'essere, e l'uno che è principio del numero, si divisero in sentenze opposte. Pitagora e Platone, vedendo che l'uno, il quale si identifica con l'ente, non aggiunge alcunché di reale sopra l'ente, ma significa la sostanza dell'ente in quanto è indivisa, stimarono che fosse altrettanto dell'uno che è principio del numero. E poiché il numero si compone di unità, credettero che i numeri fossero le essenze di tutte le cose. - Al contrario Avicenna, considerando che l'uno, principio del numero, aggiunge alcunché di reale alla sostanza dell'ente (ché altrimenti il numero composto di unità non sarebbe una specie della quantità) credette che l'uno, il quale coincide con l'ente, aggiungesse qualche cosa di reale alla sostanza dell'ente, come bianco a uomo. - Ma questo è manifestamente falso; perché ciascuna cosa è una in forza della propria sostanza. Se, infatti, ciascuna cosa fosse una per qualche cos'altro, essendo quest'altra entità a sua volta una, se fosse una anch'essa per qualche altra cosa, si andrebbe all'infinito. Quindi bisogna fermarsi al primo. - In conclusione, deve asserirsi che l'uno il quale si identifica con l'essere non aggiunge realtà alcuna all'ente; ma l'uno che è principio del numero aggiunge all'ente qualche cosa, che appartiene al genere di quantità.

[28655] Iª q. 11 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod nihil prohibet id quod est uno modo divisum, esse alio modo indivisum; sicut quod est divisum numero, est indivisum secundum speciem, et sic contingit aliquid esse uno modo unum, alio modo multa. Sed tamen si sit indivisum simpliciter; vel quia est indivisum secundum id quod pertinet ad essentiam rei, licet sit divisum quantum ad ea quae sunt extra essentiam rei, sicut quod est unum subiecto et multa secundum accidentia; vel quia est indivisum in actu, et divisum in potentia, sicut quod est unum toto et multa secundum partes, huiusmodi erit unum simpliciter, et multa secundum quid. Si vero aliquid e converso sit indivisum secundum quid, et divisum simpliciter; utpote quia est divisum secundum essentiam, et indivisum secundum rationem, vel secundum principium sive causam, erit multa simpliciter, et unum secundum quid; ut quae sunt multa numero et unum specie, vel unum principio. Sic igitur ens dividitur per unum et multa, quasi per unum simpliciter, et multa secundum quid. Nam et ipsa multitudo non contineretur sub ente, nisi contineretur aliquo modo sub uno. Dicit enim Dionysius, ult. cap. de Div. Nom., quod non est multitudo non participans uno, sed quae sunt multa partibus, sunt unum toto; et quae sunt multa accidentibus, sunt unum subiecto; et quae sunt multa numero, sunt unum specie; et quae sunt speciebus multa, sunt unum genere; et quae sunt multa processibus, sunt unum principio.

 

[28655] Iª q. 11 a. 1 ad 2
2. Niente impedisce che quanto sotto un aspetto è diviso, sotto un altro sia indiviso, come ciò che è diviso numericamente, è indiviso secondo la specie: e così accade che una cosa sia una in un modo, e molteplice in un altro. Ma tuttavia, se tale cosa è indivisa assolutamente parlando; o perché è indivisa secondo ciò che appartiene alla sua essenza, sebbene sia divisa quanto alle parti non essenziali, come ciò che è uno in ragione del soggetto e molteplice secondo gli accidenti; o perché è indivisa in atto e divisibile in potenza, come ciò che è una cosa sola in rapporto al tutto e molteplice in rapporto alle parti: tale essere sarà uno assolutamente parlando, e molteplice sotto un certo aspetto. Se poi, viceversa, una cosa è indivisa sotto un certo aspetto e divisa assolutamente parlando - perché è divisa secondo l'essenza e indivisa secondo ragione, oppure secondo il principio o la causa -: allora sarà molteplice assolutamente parlando e una sotto un certo aspetto; come è il caso di ciò che è molteplice numericamente e uno specificamente o secondo la causa. Così dunque l'ente si divide in uno e molti, ma in questo senso: uno in modo assoluto, e molteplice sotto un certo aspetto. Infatti una molteplicità di cose non sarebbe contenuta sotto l'ente se non fosse contenuta in qualche modo sotto l'uno. Dice infatti Dionigi che "non vi è moltitudine che non partecipi all'unità; ma quel che è molteplice a motivo delle parti, è uno in quanto tutto; e cose, che sono molteplici a motivo degli accidenti, sono una cosa sola quanto al soggetto; e cose molteplici quanto al numero sono una cosa sola quanto alla specie; e cose molteplici quanto alla specie sono una quanto al genere; e cose molteplici quanto alle derivazioni sono una sola cosa quanto al principio".

[28656] Iª q. 11 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod ideo non est nugatio cum dicitur ens unum, quia unum addit aliquid secundum rationem supra ens.

 

[28656] Iª q. 11 a. 1 ad 3
3. Non è quindi un giochetto dire ente uno, perché uno aggiunge a ente qualche cosa di concettualmente diverso.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > L'unità di Dio > Se ci sia opposizione tra l'uno e i molti


Prima pars
Quaestio 11
Articulus 2

[28657] Iª q. 11 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod unum et multa non opponantur. Nullum enim oppositum praedicatur de suo opposito. Sed omnis multitudo est quodammodo unum, ut ex praedictis patet. Ergo unum non opponitur multitudini.

 
Prima parte
Questione 11
Articolo 2

[28657] Iª q. 11 a. 2 arg. 1
SEMBRA che l'uno e i molti non si oppongano. Infatti:
1. Nessun contrario si afferma del suo contrario. Ora, secondo il già detto, ogni molteplice è in qualche modo uno. Dunque l'uno non si oppone ai molti.

[28658] Iª q. 11 a. 2 arg. 2
Praeterea, nullum oppositum constituitur ex suo opposito. Sed unum constituit multitudinem. Ergo non opponitur multitudini.

 

[28658] Iª q. 11 a. 2 arg. 2
2. Nessuna cosa è costituita dal suo opposto. Ora, l'unità costituisce la moltitudine. Dunque non si oppone ad essa.

[28659] Iª q. 11 a. 2 arg. 3
Praeterea, unum uni est oppositum. Sed multo opponitur paucum. Ergo non opponitur ei unum.

 

[28659] Iª q. 11 a. 2 arg. 3
3. Ad una cosa se ne oppone un'altra sola. Ora, al molto si oppone il poco. Dunque non gli si oppone l'uno.

[28660] Iª q. 11 a. 2 arg. 4
Praeterea, si unum opponitur multitudini, opponitur ei sicut indivisum diviso, et sic opponetur ei ut privatio habitui. Hoc autem videtur inconveniens, quia sequeretur quod unum sit posterius multitudine, et definiatur per eam; cum tamen multitudo definiatur per unum. Unde erit circulus in definitione, quod est inconveniens. Non ergo unum et multa sunt opposita.

 

[28660] Iª q. 11 a. 2 arg. 4
4. Se l'uno si oppone alla moltitudine, le si oppone come l'indiviso al diviso: e così le si oppone come la privazione alla qualità corrispondente. Ora, ciò sembra che ripugni, perché ne verrebbe che l'unità sia posteriore alla moltitudine e che si definisca per mezzo di essa, mentre invece la moltitudine si definisce per mezzo dell'unità. Vi sarebbe quindi un circolo vizioso nella definizione: il che non si può ammettere. Dunque l'uno e i molti non sono tra loro opposti.

[28661] Iª q. 11 a. 2 s. c.
Sed contra, quorum rationes sunt oppositae, ipsa sunt opposita. Sed ratio unius consistit in indivisibilitate, ratio vero multitudinis divisionem continet. Ergo unum et multa sunt opposita.

 

[28661] Iª q. 11 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Opposte tra loro sono quelle cose le cui nozioni sono contrastanti. Ora, la nozione dell'uno consiste nella indivisibilità, mentre quella della moltitudine contiene in sé la divisione. Dunque l'uno e i molti sono tra loro opposti.

[28662] Iª q. 11 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod unum opponitur multis, sed diversimode. Nam unum quod est principium numeri, opponitur multitudini quae est numerus, ut mensura mensurato, unum enim habet rationem primae mensurae, et numerus est multitudo mensurata per unum, ut patet ex X Metaphys. Unum vero quod convertitur cum ente, opponitur multitudini per modum privationis, ut indivisum diviso.

 

[28662] Iª q. 11 a. 2 co.
RISPONDO: L'uno si oppone ai molti, ma in maniere diverse. L'uno, infatti, che è principio del numero, si oppone alla pluralità numerica, come la misura al misurato; poiché uno include il concetto di prima misura, e il numero è la moltitudine misurata dall'uno, come dimostra Aristotele. L'uno, invece, che si identifica con l'ente, si oppone alla molteplicità a modo di privazione, cioè come l'indiviso si oppone a ciò che è diviso.

[28663] Iª q. 11 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod nulla privatio tollit totaliter esse, quia privatio est negatio in subiecto, secundum philosophum. Sed tamen omnis privatio tollit aliquod esse. Et ideo in ente, ratione suae communitatis, accidit quod privatio entis fundatur in ente, quod non accidit in privationibus formarum specialium, ut visus vel albedinis, vel alicuius huiusmodi. Et sicut est de ente, ita est de uno et bono, quae convertuntur cum ente, nam privatio boni fundatur in aliquo bono, et similiter remotio unitatis fundatur in aliquo uno. Et exinde contingit quod multitudo est quoddam unum, et malum est quoddam bonum, et non ens est quoddam ens. Non tamen oppositum praedicatur de opposito, quia alterum horum est simpliciter, et alterum secundum quid. Quod enim secundum quid est ens, ut in potentia, est non ens simpliciter, idest actu, vel quod est ens simpliciter in genere substantiae, est non ens secundum quid, quantum ad aliquod esse accidentale. Similiter ergo quod est bonum secundum quid, est malum simpliciter; vel e converso. Et similiter quod est unum simpliciter, est multa secundum quid; et e converso.

 

[28663] Iª q. 11 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Nessuna privazione toglie completamente l'essere, perché la privazione è negazione ma in un soggetto, come dice Aristotele. Tuttavia ogni privazione toglie una qualche entità. Perciò, se si tratta dell'ente stesso, avviene, a causa dell'universalità del termine, che la privazione di entità si determini sull'ente medesimo: il che non accade invece nelle privazioni di forme particolari: della vista, della bianchezza e simili. E come per l'ente, così è per l'uno e per il bene, che si identificano con l'ente: infatti la privazione del bene si fonda su qualche bene, e parimente la privazione dell'unità si fonda su qualche unità. Di qui può capitare che la moltitudine sia una certa unità, e il male un certo bene, e che il non-ente sia un certo ente. Tuttavia un contrario non si può predicare del suo contrario; perché l'uno si prende in senso assoluto, l'altro in senso relativo. Ciò infatti che è ente in un certo qual modo, perché in potenza, è non-ente in senso assoluto, cioè in atto: così ciò che è ente in senso assoluto, come sostanza, sotto un certo aspetto può essere non-ente, rispetto cioè a qualche entità accidentale. Parimente dunque, ciò che è bene (soltanto) sotto un certo aspetto può essere male assolutamente parlando; o viceversa. Così anche ciò che in senso pieno e assoluto è uno può essere molteplice sotto un certo aspetto; e viceversa.

[28664] Iª q. 11 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod duplex est totum, quoddam homogeneum, quod componitur ex similibus partibus; quoddam vero heterogeneum, quod componitur ex dissimilibus partibus. In quolibet autem toto homogeneo, totum constituitur ex partibus habentibus formam totius, sicut quaelibet pars aquae est aqua, et talis est constitutio continui ex suis partibus. In quolibet autem toto heterogeneo, quaelibet pars caret forma totius, nulla enim pars domus est domus, nec aliqua pars hominis est homo. Et tale totum est multitudo. Inquantum ergo pars eius non habet formam multitudinis, componitur multitudo ex unitatibus, sicut domus ex non domibus, non quod unitates constituant multitudinem secundum id quod habent de ratione indivisionis, prout opponuntur multitudini; sed secundum hoc quod habent de entitate, sicut et partes domus constituunt domum per hoc quod sunt quaedam corpora, non per hoc quod sunt non domus.

 

[28664] Iª q. 11 a. 2 ad 2
2. Il tutto è di due specie: c'è il tutto omogeneo, il quale si compone di parti simili, e c'è il tutto eterogeneo, che si compone di parti dissimili. In un tutto omogeneo, le parti che lo costituiscono hanno la forma (e la natura) del tutto, come ciascuna parte di acqua è acqua: e in tal modo è costituito il continuo dalle sue parti. In ogni tutto eterogeneo invece, qualsiasi parte manca della forma del tutto: nessuna parte della casa infatti è casa, e nessuna parte dell'uomo, è uomo. E un tale tutto è la moltitudine. Ora dunque, proprio in quanto la parte della moltitudine non ha la forma di essa, la moltitudine si compone di unità, come la casa è formata di non-case; non già che le unità costituiscano la moltitudine per la loro indivisibilità, per cui le si contrappongono, ma per la loro entità: come le parti della casa costituiscono la casa in quanto sono dei corpi, non già perché sono non-case.

[28665] Iª q. 11 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod multum accipitur dupliciter. Uno modo, absolute, et sic opponitur uni. Alio modo, secundum quod importat excessum quendam, et sic opponitur pauco. Unde primo modo duo sunt multa; non autem secundo.

 

[28665] Iª q. 11 a. 2 ad 3
3. Il termine "molto" si può prendere in due sensi. Per primo, in modo assoluto: e così si oppone all'uno. In secondo luogo in quanto implica un certo eccesso; e così si oppone al poco. Quindi nel primo senso, due son già molti; ma non nel secondo.

[28666] Iª q. 11 a. 2 ad 4
Ad quartum dicendum quod unum opponitur privative multis, inquantum in ratione multorum est quod sint divisa. Unde oportet quod divisio sit prius unitate, non simpliciter, sed secundum rationem nostrae apprehensionis. Apprehendimus enim simplicia per composita, unde definimus punctum, cuius pars non est, vel principium lineae. Sed multitudo, etiam secundum rationem, consequenter se habet ad unum, quia divisa non intelligimus habere rationem multitudinis, nisi per hoc quod utrique divisorum attribuimus unitatem. Unde unum ponitur in definitione multitudinis, non autem multitudo in definitione unius. Sed divisio cadit in intellectu ex ipsa negatione entis. Ita quod primo cadit in intellectu ens; secundo, quod hoc ens non est illud ens, et sic secundo apprehendimus divisionem; tertio, unum; quarto, multitudinem.

 

[28666] Iª q. 11 a. 2 ad 4
4. L'uno si oppone ai molti come privazione, in quanto nel loro concetto i molti implicano l'idea di divisione. Quindi che la divisione sia prima dell'unità è necessario non assolutamente, ma secondo il nostro modo di conoscere. Perché noi conosciamo le cose semplici mediante le composte, tanto che definiamo il punto: "ciò che non ha parti", oppure: "il principio della linea". Ma la moltitudine, anche logicamente, è posteriore all'unità; perché noi non possiamo intendere come due cose tra loro divise costituiscano una moltitudine se non perché attribuiamo all'una e all'altra l'unità. Ed è per questo che l'uno si mette nella definizione della moltitudine, e non già la moltitudine nella definizione dell'unità. Ma appena negato l'ente l'intelletto concepisce la divisione. Cosicché prima di tutto si presenta alla nostra intelligenza l'ente; in secondo luogo, (riflettendo) che questo ente non è quell'altro ente, si apprende la divisione; in terzo luogo, l'uno; in quarto luogo, la moltitudine.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > L'unità di Dio > Se Dio sia uno


Prima pars
Quaestio 11
Articulus 3

[28667] Iª q. 11 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod Deus non sit unus. Dicitur enim I ad Cor. VIII, siquidem sunt dii multi et domini multi.

 
Prima parte
Questione 11
Articolo 3

[28667] Iª q. 11 a. 3 arg. 1
SEMBRA che Dio non sia uno. Infatti:
1. S. Paolo dice: "Ci sono molti dei e molti signori".

[28668] Iª q. 11 a. 3 arg. 2
Praeterea, unum quod est principium numeri, non potest praedicari de Deo, cum nulla quantitas de Deo praedicetur. Similiter nec unum quod convertitur cum ente, quia importat privationem, et omnis privatio imperfectio est, quae Deo non competit. Non est igitur dicendum quod Deus sit unus.

 

[28668] Iª q. 11 a. 3 arg. 2
2. L'uno che è principio del numero non si può attribuire a Dio, perché a Dio non si può attribuire nessuna quantità. Parimente non gli si può attribuire l'uno che si identifica con l'ente, perché esso importa privazione, e ogni privazione è un'imperfezione, che disdice a Dio. Non deve dirsi, dunque, che Dio sia uno.

[28669] Iª q. 11 a. 3 s. c.
Sed contra est quod dicitur Deut. VI, audi, Israel, dominus Deus tuus unus est.

 

[28669] Iª q. 11 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: Nel Deuteronomio sta scritto: "Ascolta, Israele: Il Signore Dio tuo è uno solo".

[28670] Iª q. 11 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod Deum esse unum, ex tribus demonstratur. Primo quidem ex eius simplicitate. Manifestum est enim quod illud unde aliquod singulare est hoc aliquid, nullo modo est multis communicabile. Illud enim unde Socrates est homo, multis communicari potest, sed id unde est hic homo, non potest communicari nisi uni tantum. Si ergo Socrates per id esset homo, per quod est hic homo, sicut non possunt esse plures Socrates, ita non possent esse plures homines. Hoc autem convenit Deo, nam ipse Deus est sua natura, ut supra ostensum est. Secundum igitur idem est Deus, et hic Deus. Impossibile est igitur esse plures deos. Secundo vero, ex infinitate eius perfectionis. Ostensum est enim supra quod Deus comprehendit in se totam perfectionem essendi. Si ergo essent plures dii, oporteret eos differre. Aliquid ergo conveniret uni, quod non alteri. Et si hoc esset privatio, non esset simpliciter perfectus, si autem hoc esset perfectio, alteri eorum deesset. Impossibile est ergo esse plures deos. Unde et antiqui philosophi, quasi ab ipsa coacti veritate, ponentes principium infinitum, posuerunt unum tantum principium. Tertio, ab unitate mundi. Omnia enim quae sunt, inveniuntur esse ordinata ad invicem, dum quaedam quibusdam deserviunt. Quae autem diversa sunt, in unum ordinem non convenirent, nisi ab aliquo uno ordinarentur. Melius enim multa reducuntur in unum ordinem per unum, quam per multa, quia per se unius unum est causa, et multa non sunt causa unius nisi per accidens, inquantum scilicet sunt aliquo modo unum. Cum igitur illud quod est primum, sit perfectissimum et per se, non per accidens, oportet quod primum reducens omnia in unum ordinem, sit unum tantum. Et hoc est Deus.

 

[28670] Iª q. 11 a. 3 co.
RISPONDO: Che Dio sia uno si dimostra in tre modi. Primo, dalla sua semplicità. È evidente che ciò, per cui un essere singolo viene costituito soggetto individuale, in nessuna maniera è comunicabile a più d'uno. P. es., ciò per cui Socrate è uomo, è comunicabile a molti; ma ciò per cui Socrate è quest'uomo qui, non può convenire che a uno solo. Se dunque Socrate fosse costituito uomo da ciò per cui è quest'uomo, come non vi possono essere più Socrati, così non vi potrebbero essere più uomini. Ora, questo avviene di Dio: perché Dio è la sua stessa natura, come si è già dimostrato. Per l'identico motivo, dunque, egli è Dio e questo Dio. Impossibile, quindi, che vi siano più dei.
Secondo, dall'infinità della sua perfezione. Si è dimostrato sopra che Dio comprende in se stesso tutta la perfezione dell'essere. Se dunque ci fossero più dei, bisognerebbe che in qualche cosa differissero: quindi qualche cosa converrebbe all'uno che non converrebbe all'altro. E se questo qualche cosa fosse una privazione, l'uno non sarebbe pienamente perfetto; se poi fosse una perfezione, l'altro ne sarebbe mancante. È dunque impossibile che vi siano più dei. Ond'è che gli stessi filosofi dell'antichità, come costretti dalla verità stessa, riconoscendo l'esistenza di un principio infinito, riconobbero che questo principio è uno soltanto.
Terzo, dall'unità del mondo. Le cose tutte che esistono si mostrano vicendevolmente ordinate dal momento che le une servono alle altre. Ora, cose diverse non concordebbero in un medesimo ordinamento, se non vi fossero indirizzate da un agente unico. Infatti, più cose sono riunite meglio in un ordine da un solo agente che da molti; perché l'uno è causa per se dell'unità, mentre i molti non sono causa dell'unità se non accidentalmente, in quanto cioè anch'essi in qualche modo formano un'unità. Siccome, dunque, quello che è primo è perfettissimo e per se (cioè in forza di se stesso), e non per accidens (in forza di altro), è necessario che il primo agente che riunisce tutte le cose in un solo ordine, sia uno solamente. E questi è Dio.

[28671] Iª q. 11 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod dicuntur dii multi secundum errorem quorundam qui multos deos colebant, existimantes planetas et alias stellas esse deos, vel etiam singulas partes mundi. Unde subdit, nobis autem unus Deus, et cetera.

 

[28671] Iª q. 11 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Si parla di molti dei secondo l'errore di certuni che adoravano molti dei, pensando che i pianeti e le altre stelle, oppure le singole parti del mondo fossero dei. Cosicché (l'Apostolo) soggiunge: "Ma per noi c'è un unico Dio".

[28672] Iª q. 11 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod unum secundum quod est principium numeri, non praedicatur de Deo; sed solum de his quae habent esse in materia. Unum enim quod est principium numeri, est de genere mathematicorum; quae habent esse in materia, sed sunt secundum rationem a materia abstracta. Unum vero quod convertitur cum ente, est quoddam metaphysicum, quod secundum esse non dependet a materia. Et licet in Deo non sit aliqua privatio, tamen, secundum modum apprehensionis nostrae, non cognoscitur a nobis nisi per modum privationis et remotionis. Et sic nihil prohibet aliqua privative dicta de Deo praedicari; sicut quod est incorporeus, infinitus. Et similiter de Deo dicitur quod sit unus.

 

[28672] Iª q. 11 a. 3 ad 2
2. L'uno che è principio del numero non si attribuisce a Dio; ma solo alle cose (corporee) che hanno l'essere nella materia. L'uno, infatti, che è principio del numero, è del genere delle entità matematiche, le quali esistono (di fatto) nella materia, ma dalla ragione vengono astratte e separate da essa. L'uno invece, che si identifica con l'ente, è un'entità metafisica, che essenzialmente non dipende dalla materia. E sebbene in Dio non vi sia privazione di sorta, tuttavia, dato il nostro modo di intendere, da noi non è conosciuto se non per via di negazioni e di eliminazioni. E così niente vieta che si enuncino di Dio termini negativi; p. es., che è incorporeo, infinito. E in tal modo si dice che Dio è uno.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > L'unità di Dio > Se Dio sia sommamente uno


Prima pars
Quaestio 11
Articulus 4

[28673] Iª q. 11 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod Deus non sit maxime unus. Unum enim dicitur secundum privationem divisionis. Sed privatio non recipit magis et minus. Ergo Deus non dicitur magis unus quam alia quae sunt unum.

 
Prima parte
Questione 11
Articolo 4

[28673] Iª q. 11 a. 4 arg. 1
SEMBRA che Dio non sia sommamente uno. Infatti:
1. Uno dice assenza di divisione. Ora, una privazione non ammette il più e il meno. Dunque Dio non è uno più di ogni altro ente che è uno.

[28674] Iª q. 11 a. 4 arg. 2
Praeterea, nihil videtur esse magis indivisibile quam id quod est indivisibile actu et potentia, cuiusmodi est punctus et unitas. Sed intantum dicitur aliquid magis unum, inquantum est indivisibile. Ergo Deus non est magis unum quam unitas et punctus.

 

[28674] Iª q. 11 a. 4 arg. 2
2. Niente è più indivisibile di ciò che è indivisibile in atto ed in potenza, come il punto e l'unità. Ora, una cosa intanto si dice maggiormente una in quanto è indivisibile. Dunque Dio non è più uno dell'unità e del punto.

[28675] Iª q. 11 a. 4 arg. 3
Praeterea, quod est per essentiam bonum, est maxime bonum, ergo quod est per essentiam suam unum, est maxime unum. Sed omne ens est unum per suam essentiam, ut patet per philosophum in IV Metaphys. Ergo omne ens est maxime unum. Deus igitur non est magis unum quam alia entia.

 

[28675] Iª q. 11 a. 4 arg. 3
3. Ciò che è buono per essenza, è buono al sommo: dunque ciò che è uno per la sua essenza, è uno al massimo grado. Ora, ogni ente è uno per la sua essenza, come dimostra il Filosofo. Dunque ogni ente è uno al massimo grado e quindi, Dio non è uno più che gli altri esseri.

[28676] Iª q. 11 a. 4 s. c.
Sed contra est quod dicit Bernardus, quod inter omnia quae unum dicuntur, arcem tenet unitas divinae Trinitatis.

 

[28676] Iª q. 11 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: S. Bernardo dice "che fra tutti gli esseri, che si dicono uno, sta al vertice l'unità della Trinità divina".

[28677] Iª q. 11 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod, cum unum sit ens indivisum, ad hoc quod aliquid sit maxime unum, oportet quod sit et maxime ens et maxime indivisum. Utrumque autem competit Deo. Est enim maxime ens, inquantum est non habens aliquod esse determinatum per aliquam naturam cui adveniat, sed est ipsum esse subsistens, omnibus modis indeterminatum. Est autem maxime indivisum, inquantum neque dividitur actu neque potentia, secundum quemcunque modum divisionis, cum sit omnibus modis simplex, ut supra ostensum est. Unde manifestum est quod Deus est maxime unus.

 

[28677] Iª q. 11 a. 4 co.
RISPONDO: Siccome l'uno è l'ente indiviso, perché una cosa sia massimamente una, bisogna che sia e massimamente ente e massimamente indivisa. Ora, l'una e l'altra condizione si verifica in Dio. Egli infatti è massimamente ente, perché è ente non dall'avere un certo essere determinato da una qualche natura (o essenza) alla quale sia stato unito; ma (perché) è lo stesso essere sussistente, illimitato in tutti i sensi. È poi massimamente indiviso, in quanto non è divisibile per nessun genere di divisione né in atto, né in potenza, essendo semplice sotto tutti gli aspetti, come abbiamo già dimostrato. È dunque evidente che Dio è sommamente uno.

[28678] Iª q. 11 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, licet privatio secundum se non recipiat magis et minus, tamen secundum quod eius oppositum recipit magis et minus, etiam ipsa privativa dicuntur secundum magis et minus. Secundum igitur quod aliquid est magis divisum vel divisibile, vel minus, vel nullo modo, secundum hoc aliquid dicitur magis et minus vel maxime unum.

 

[28678] Iª q. 11 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Sebbene la privazione di suo non ammetta il più e il meno, tuttavia, in base ai loro contrari che comportano un più e un meno, anche i termini che indicano privazione si predicano secondo un più e un meno. A seconda, quindi, che una cosa è divisa o divisibile di più o di meno o in nessun modo, è detta o meno o più o sommamente una.

[28679] Iª q. 11 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod punctus et unitas quae est principium numeri, non sunt maxime entia, cum non habeant esse nisi in subiecto aliquo. Unde neutrum eorum est maxime unum. Sicut enim subiectum non est maxime unum, propter diversitatem accidentis et subiecti, ita nec accidens.

 

[28679] Iª q. 11 a. 4 ad 2
2. Il punto e l'unità, che è principio del numero, non sono enti al massimo grado, non avendo l'essere se non in un soggetto (cioè perché sono accidenti). Perciò nessuno dei due è uno al massimo grado. Infatti come il (loro) soggetto non è massimamente uno, per la diversità (palese) di accidente e sostanza, così neppure gli accidenti.

[28680] Iª q. 11 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod, licet omne ens sit unum per suam substantiam, non tamen se habet aequaliter substantia cuiuslibet ad causandam unitatem, quia substantia quorundam est ex multis composita, quorundam vero non.

 

[28680] Iª q. 11 a. 4 ad 3
3. Sebbene ogni ente sia uno per la sua essenza, l'essenza di ciascuno non causa però ugualmente l'unità: perché l'essenza di alcuni è composta di più elementi, non così quella di altri.

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