I, 10

Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > L'eternità di Dio


Prima pars
Quaestio 10
Prooemium

[28588] Iª q. 10 pr.
Deinde quaeritur de aeternitate. Et circa hoc quaeruntur sex.
Primo, quid sit aeternitas.
Secundo, utrum Deus sit aeternus.
Tertio, utrum esse aeternum sit proprium Dei.
Quarto, utrum aeternitas differat a tempore.
Quinto, de differentia aevi et temporis.
Sexto, utrum sit unum aevum tantum, sicut est unum tempus et una aeternitas.

 
Prima parte
Questione 10
Proemio

[28588] Iª q. 10 pr.
Passiamo ora a trattare dell'eternità. E in proposito si pongono sei quesiti:
1. Che cosa sia l'eternità;
2. Se Dio sia eterno;
3. Se essere eterno sia proprietà esclusiva di Dio;
4. Se l'eternità differisca dal tempo;
5. Sulla differenza tra evo e tempo;
6. Se vi sia un solo evo, come vi è un solo tempo e una sola eternità.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > L'eternità di Dio > Se l'eternità sia ben definita così: "Il possesso intero, perfetto e simultaneo di una vita interminabile"


Prima pars
Quaestio 10
Articulus 1

[28589] Iª q. 10 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod non sit conveniens definitio aeternitatis, quam Boetius ponit V de consolatione, dicens quod aeternitas est interminabilis vitae tota simul et perfecta possessio. Interminabile enim negative dicitur. Sed negatio non est de ratione nisi eorum quae sunt deficientia, quod aeternitati non competit. Ergo in definitione aeternitatis non debet poni interminabile.

 
Prima parte
Questione 10
Articolo 1

[28589] Iª q. 10 a. 1 arg. 1
SEMBRA che non sia esatta la definizione che dell'eternità dà Boezio dicendo che "l'eternità è il possesso intero, perfetto e simultaneo di una vita interminabile". Infatti:
1. Interminabile dice negazione: ora la negazione rientra soltanto nel concetto di quelle cose che sono defettibili: il che non conviene all'eternità. Dunque nella definizione dell'eternità non si deve mettere quell'interminabile.

[28590] Iª q. 10 a. 1 arg. 2
Praeterea, aeternitas durationem quandam significat. Duratio autem magis respicit esse quam vitam. Ergo non debuit poni in definitione aeternitatis vita, sed magis esse.

 

[28590] Iª q. 10 a. 1 arg. 2
2. L'eternità significa una certa durata. Ora, la durata riguarda più l'esistenza che la vita. Nella definizione dunque dell'eternità più che la vita dovrebbe porsi l'esistenza.

[28591] Iª q. 10 a. 1 arg. 3
Praeterea, totum dicitur quod habet partes. Hoc autem aeternitati non convenit, cum sit simplex. Ergo inconvenienter dicitur tota.

 

[28591] Iª q. 10 a. 1 arg. 3
3. Intero o tutto si dice ciò che ha parti. Ora, l'eternità non ha parti, perché è semplice. Dunque quell'intero non sta bene.

[28592] Iª q. 10 a. 1 arg. 4
Praeterea, plures dies non possunt esse simul, nec plura tempora. Sed in aeternitate pluraliter dicuntur dies et tempora, dicitur enim Micheae V, egressus eius ab initio, a diebus aeternitatis; et ad Rom., XVI cap., secundum revelationem mysterii temporibus aeternis taciti. Ergo aeternitas non est tota simul.

 

[28592] Iª q. 10 a. 1 arg. 4
4. Più giorni o più tempi non possono esistere simultaneamente. Ora, nell'eternità si nominano al plurale giorni e tempi, poiché è detto in Michea: "La sua origine è dal principio dei giorni dell'eternità"; e in S. Paolo: "Conforme alla rivelazione di un mistero taciuto per tempi eterni". Dunque l'eternità non è simultanea.

[28593] Iª q. 10 a. 1 arg. 5
Praeterea, totum et perfectum sunt idem. Posito igitur quod sit tota, superflue additur quod sit perfecta.

 

[28593] Iª q. 10 a. 1 arg. 5
5. Intero e perfetto sono la stessa cosa. Posto dunque che l'eternità sia un possesso intero è superfluo aggiungervi perfetto.

[28594] Iª q. 10 a. 1 arg. 6
Praeterea, possessio ad durationem non pertinet. Aeternitas autem quaedam duratio est. Ergo aeternitas non est possessio.

 

[28594] Iª q. 10 a. 1 arg. 6
6. Il termine possesso non include l'idea di durata, mentre l'eternità è una certa durata. Dunque l'eternità non è un possesso.

[28595] Iª q. 10 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod, sicut in cognitionem simplicium oportet nos venire per composita, ita in cognitionem aeternitatis oportet nos venire per tempus; quod nihil aliud est quam numerus motus secundum prius et posterius. Cum enim in quolibet motu sit successio, et una pars post alteram, ex hoc quod numeramus prius et posterius in motu, apprehendimus tempus; quod nihil aliud est quam numerus prioris et posterioris in motu. In eo autem quod caret motu, et semper eodem modo se habet, non est accipere prius et posterius. Sicut igitur ratio temporis consistit in numeratione prioris et posterioris in motu, ita in apprehensione uniformitatis eius quod est omnino extra motum, consistit ratio aeternitatis. Item, ea dicuntur tempore mensurari, quae principium et finem habent in tempore, ut dicitur in IV Physic., et hoc ideo, quia in omni eo quod movetur est accipere aliquod principium et aliquem finem. Quod vero est omnino immutabile, sicut nec successionem, ita nec principium aut finem habere potest. Sic ergo ex duobus notificatur aeternitas. Primo, ex hoc quod id quod est in aeternitate, est interminabile, idest principio et fine carens (ut terminus ad utrumque referatur). Secundo, per hoc quod ipsa aeternitas successione caret, tota simul existens.

 

[28595] Iª q. 10 a. 1 co.
RISPONDO: Come per arrivare alla conoscenza delle cose semplici dobbiamo servirci delle cose composte, così alla cognizione dell'eternità è necessario arrivarci mediante la cognizione del tempo; il quale è la "misura numerica del moto secondo il prima ed il poi". Infatti, siccome in ogni moto vi è una successione ed una parte viene dopo l'altra, dal fatto che noi enumeriamo un prima ed un poi nel movimento, percepiamo il tempo; il quale non è altro che l'enumerazione di ciò che è prima e di quel che è dopo nel movimento. Ora, dove non c'è movimento, dove l'essere è sempre il medesimo, non si può parlare di prima e di poi. Come dunque l'essenza del tempo consiste nell'enumerazione del prima e del poi nel movimento, così nella percezione dell'uniformità di quel che è completamente fuori del moto, consiste l'essenza dell'eternità.
Ancora: si dicono misurate dal tempo le cose che hanno un cominciamento ed una fine nel tempo, come osserva Aristotele; per il motivo che a tutto quel che si muove si può sempre assegnare un inizio e un termine. Al contrario ciò che è del tutto immutabile, come non può avere una successione, così non può avere neppure un inizio ed un termine.
Concludendo, il concetto di eternità è dato da queste due cose: primo, dal fatto che ciò che è nell'eternità, è interminabile (senza termine) cioè senza principio e senza fine (riferendosi la parola termine all'uno e all'altra). In secondo luogo: per il fatto che la stessa eternità esclude ogni successione, "esistendo tutta insieme".

[28596] Iª q. 10 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod simplicia consueverunt per negationem definiri, sicut punctus est cuius pars non est. Quod non ideo est, quod negatio sit de essentia eorum, sed quia intellectus noster, qui primo apprehendit composita, in cognitionem simplicium pervenire non potest, nisi per remotionem compositionis.

 

[28596] Iª q. 10 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Siamo soliti definire in forma negativa le cose semplici, così il punto "è ciò che è senza parti". Non già perché la negazione appartenga alla loro essenza; ma perché il nostro intelletto, il quale apprende prima le cose composte, non può venire alla conoscenza del semplice che escludendo la composizione.

[28597] Iª q. 10 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod illud quod est vere aeternum, non solum est ens, sed vivens, et ipsum vivere se extendit quodammodo ad operationem, non autem esse. Protensio autem durationis videtur attendi secundum operationem, magis quam secundum esse, unde et tempus est numerus motus.

 

[28597] Iª q. 10 a. 1 ad 2
2. Ciò che è veramente eterno, non solo è ente (ha l'essere), ma è anche vivente; ed è proprio il vivere che si estende in certa guisa all'operazione, non già l'essere. Ora, l'estendersi della durata pare che si debba considerare secondo l'operazione, piuttosto che secondo l'essere: tanto è vero che anche il tempo è misura del movimento.

[28598] Iª q. 10 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod aeternitas dicitur tota, non quia habet partes, sed inquantum nihil ei deest.

 

[28598] Iª q. 10 a. 1 ad 3
3. L'eternità si dice intera, non quasi che abbia delle parti, ma perché non le manca niente.

[28599] Iª q. 10 a. 1 ad 4
Ad quartum dicendum quod, sicut Deus, cum sit incorporeus, nominibus rerum corporalium metaphorice in Scripturis nominatur, sic aeternitas, tota simul existens, nominibus temporalibus successivis.

 

[28599] Iª q. 10 a. 1 ad 4
4. Come Dio, pur essendo incorporeo, nelle Scritture è chiamato metaforicamente con nomi di cose corporali, così anche l'eternità, pur esistendo "tutta insieme", è indicata con nomi che esprimono successione temporale.

[28600] Iª q. 10 a. 1 ad 5
Ad quintum dicendum quod in tempore est duo considerare, scilicet ipsum tempus, quod est successivum; et nunc temporis, quod est imperfectum. Dicit ergo tota simul, ad removendum tempus, et perfecta, ad excludendum nunc temporis.

 

[28600] Iª q. 10 a. 1 ad 5
5. Nel tempo ci sono da considerare due cose: cioè il tempo stesso, che esiste successivamente, e l'istante, che è qualche cosa di incompleto. Ora, l'eternità si dice simultanea per escludere il tempo; si dice perfetta per escludere l'istante.

[28601] Iª q. 10 a. 1 ad 6
Ad sextum dicendum quod illud quod possidetur, firmiter et quiete habetur. Ad designandam ergo immutabilitatem et indeficientiam aeternitatis, usus est nomine possessionis.

 

[28601] Iª q. 10 a. 1 ad 6
6. Ciò che si possiede, si ha con stabilità e quiete. Quindi, (Boezio) adoperò il termine possesso per indicare che l'eternità è immutabile e indefettibile.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > L'eternità di Dio > Se Dio sia eterno


Prima pars
Quaestio 10
Articulus 2

[28602] Iª q. 10 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod Deus non sit aeternus. Nihil enim factum potest dici de Deo. Sed aeternitas est aliquid factum, dicit enim Boetius quod nunc fluens facit tempus, nunc stans facit aeternitatem; et Augustinus dicit, in libro octoginta trium quaest., quod Deus est auctor aeternitatis. Ergo Deus non est aeternus.

 
Prima parte
Questione 10
Articolo 2

[28602] Iª q. 10 a. 2 arg. 1
SEMBRA che Dio non sia eterno. Infatti:
1. Niente di ciò che è causato può attribuirsi a Dio. Ora, l'eternità è qualche cosa di causato; dice infatti Boezio che "l'istante fluente fa il tempo, l'istante permanente fa l'eternità"; e S. Agostino dice che "Dio è autore dell'eternità". Dunque Dio non è eterno.

[28603] Iª q. 10 a. 2 arg. 2
Praeterea, quod est ante aeternitatem et post aeternitatem, non mensuratur aeternitate. Sed Deus est ante aeternitatem, ut dicitur in libro de causis, et post aeternitatem; dicitur enim Exod. XV, quod dominus regnabit in aeternum et ultra. Ergo esse aeternum non convenit Deo.

 

[28603] Iª q. 10 a. 2 arg. 2
2. Ciò che è prima e dopo l'eternità non è misurato dall'eternità. Ora, Dio è prima dell'eternità, come dice il Liber De Causis, e dopo l'eternità, come appare dalla Scrittura che dice: "Il Signore regnerà in eterno, e al di là". Dunque a Dio non compete di essere eterno.

[28604] Iª q. 10 a. 2 arg. 3
Praeterea, aeternitas mensura quaedam est. Sed Deo non convenit esse mensuratum. Ergo non competit ei esse aeternum.

 

[28604] Iª q. 10 a. 2 arg. 3
3. L'eternità è una misura. Ora, Dio non può essere misurato. Dunque l'eternità non gli appartiene.

[28605] Iª q. 10 a. 2 arg. 4
Praeterea, in aeternitate non est praesens, praeteritum vel futurum cum sit tota simul, ut dictum est. Sed de Deo dicuntur in Scripturis verba praesentis temporis, praeteriti vel futuri. Ergo Deus non est aeternus.

 

[28605] Iª q. 10 a. 2 arg. 4
4. Nell'eternità, perché simultanea, come si è detto, non esiste presente, passato e futuro. Ma nelle Scritture si adoperano, parlando di Dio, verbi al tempo presente, passato e futuro. Dunque Dio non è eterno.

[28606] Iª q. 10 a. 2 s. c.
Sed contra est quod dicit Athanasius, aeternus pater, aeternus filius, aeternus spiritus sanctus.

 

[28606] Iª q. 10 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Dice S. Atanasio: "Eterno è il Padre, eterno il Figlio, eterno lo Spirito Santo".

[28607] Iª q. 10 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod ratio aeternitatis consequitur immutabilitatem, sicut ratio temporis consequitur motum, ut ex dictis patet. Unde, cum Deus sit maxime immutabilis, sibi maxime competit esse aeternum. Nec solum est aeternus, sed est sua aeternitas, cum tamen nulla alia res sit sua duratio, quia non est suum esse. Deus autem est suum esse uniforme, unde, sicut est sua essentia, ita est sua aeternitas.

 

[28607] Iª q. 10 a. 2 co.
RISPONDO: La nozione di eternità nasce dall'immutabilità, come quella di tempo deriva dal movimento, come risulta da ciò che si è detto. Quindi, essendo Dio sommamente immutabile, a lui in modo assoluto compete di essere eterno. E non è soltanto eterno, ma è anche la sua stessa eternità, mentre nessun'altra cosa è la propria durata, perché non è il proprio essere. Dio invece è il suo stesso essere uniforme, e perciò come è la sua essenza, così è la sua eternità.

[28608] Iª q. 10 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod nunc stans dicitur facere aeternitatem, secundum nostram apprehensionem. Sicut enim causatur in nobis apprehensio temporis, eo quod apprehendimus fluxum ipsius nunc, ita causatur in nobis apprehensio aeternitatis, inquantum apprehendimus nunc stans. Quod autem dicit Augustinus, quod Deus est auctor aeternitatis, intelligitur de aeternitate participata, eo enim modo communicat Deus suam aeternitatem aliquibus, quo et suam immutabilitatem.

 

[28608] Iª q. 10 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Quando si dice che l'istante permanente fa l'eternità, ci si riferisce al nostro modo d'intendere. Infatti, come in noi viene causata l'idea di tempo in quanto concepiamo il fluire dell'istante, così in noi vien prodotta l'idea di eternità con l'apprendere l'immobilità dell'istante. - Riguardo poi a quel che dice S. Agostino che "Dio è l'autore dell'eternità", s'intende dell'eternità partecipata, perché Dio partecipa ad alcuni esseri la sua eternità al modo stesso che partecipa loro la sua immutabilità.

[28609] Iª q. 10 a. 2 ad 2
Et per hoc patet solutio ad secundum. Nam Deus dicitur esse ante aeternitatem, prout participatur a substantiis immaterialibus. Unde et ibidem dicitur, quod intelligentia parificatur aeternitati. Quod autem dicitur in Exodo, dominus regnabit in aeternum et ultra sciendum quod aeternum accipitur ibi pro saeculo, sicut habet alia translatio. Sic igitur dicitur quod regnabit ultra aeternum, quia durat ultra quodcumque saeculum, idest ultra quamcumque durationem datam, nihil est enim aliud saeculum quam periodus cuiuslibet rei, ut dicitur in libro I de caelo. Vel dicitur etiam ultra aeternum regnare, quia, si etiam aliquid aliud semper esset (ut motus caeli secundum quosdam philosophos), tamen Deus ultra regnat, inquantum eius regnum est totum simul.

 

[28609] Iª q. 10 a. 2 ad 2
2. Con ciò resta risolta anche la seconda difficoltà. Si dice infatti che Dio è avanti l'eternità, intendendosi qui l'eternità partecipata dalle sostanze spirituali. E così nel medesimo libro si dice anche che "l'intelligenza è equiparata all'eternità". - Quanto alla frase della Scrittura: "Il Signore regnerà in eterno, e al di là", bisogna sapere che in quel punto la parola eterno sta per secolo, come si ha in altra versione. Così dunque si dice che Dio regnerà al di là dell'eternità, perché perdura oltre qualunque secolo, cioè oltre qualsiasi durata stabilita: per secolo infatti non s'intende altro che una durata periodica di una cosa qualsiasi, come dice Aristotele. - Oppure si dice che regna oltre l'eternità per indicare che se anche ci fosse qualche altra cosa che esistesse sempre (come, p. es., il movimento del cielo, secondo alcuni naturalisti), tuttavia Dio regnerebhe anche più in là (cioè in maniera più perfetta), in quanto il suo regno è tutto insieme (senza successione).

[28610] Iª q. 10 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod aeternitas non est aliud quam ipse Deus. Unde non dicitur Deus aeternus, quasi sit aliquo modo mensuratus, sed accipitur ibi ratio mensurae secundum apprehensionem nostram tantum.

 

[28610] Iª q. 10 a. 2 ad 3
3. L'eternità non è altro che Dio medesimo. Quindi Dio si dice eterno non come se fosse in qualche modo misurato; ma l'idea di misura qui si prende solo secondo il nostro modo d'intendere.

[28611] Iª q. 10 a. 2 ad 4
Ad quartum dicendum quod verba diversorum temporum attribuuntur Deo, inquantum eius aeternitas omnia tempora includit, non quod ipse varietur per praesens, praeteritum et futurum.

 

[28611] Iª q. 10 a. 2 ad 4
4. Si applicano a Dio verbi di tempi diversi, perché la sua eternità include tutti i tempi; non già perché egli sia soggetto alla variabilità del presente, del passato e del futuro.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > L'eternità di Dio > Se essere eterno sia proprietà esclusiva di Dio


Prima pars
Quaestio 10
Articulus 3

[28612] Iª q. 10 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod esse aeternum non sit soli Deo proprium. Dicitur enim Danielis XII, quod qui ad iustitiam erudiunt plurimos, erunt quasi stellae in perpetuas aeternitates. Non autem essent plures aeternitates, si solus Deus esset aeternus. Non igitur solus Deus est aeternus.

 
Prima parte
Questione 10
Articolo 3

[28612] Iª q. 10 a. 3 arg. 1
SEMBRA che essere eterno non sia esclusiva proprietà di Dio. Infatti:1. È detto nella Scrittura: "Quelli che istruiranno molti alla giustizia, saranno come astri nelle eternità senza fine". Ora, non ci sarebbero molte eternità se soltanto Dio fosse eterno. Non è dunque eterno soltanto Dio.

[28613] Iª q. 10 a. 3 arg. 2
Praeterea, Matth. XXV dicitur, ite, maledicti, in ignem aeternum. Non igitur solus Deus est aeternus.

 

[28613] Iª q. 10 a. 3 arg. 2
2. Nel Vangelo è scritto: "Andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno". Dunque non il solo Dio è eterno.

[28614] Iª q. 10 a. 3 arg. 3
Praeterea, omne necessarium est aeternum. Sed multa sunt necessaria; sicut omnia principia demonstrationis, et omnes propositiones demonstrativae. Ergo non solus Deus est aeternus.

 

[28614] Iª q. 10 a. 3 arg. 3
3. Tutto ciò che è necessario è eterno. Ora, molte cose sono necessarie, p. es., tutti i principi della dimostrazione e tutte le proposizioni dimostrative. Dunque eterno non è solo Dio.

[28615] Iª q. 10 a. 3 s. c.
Sed contra est quod dicit Hieronymus, ad Marcellam, Deus solus est qui exordium non habet. Quidquid autem exordium habet, non est aeternum. Solus ergo Deus est aeternus.

 

[28615] Iª q. 10 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: S. Girolamo scrive: "Soltanto Dio è senza inizio". Ora, tutto ciò che ha un inizio non è eterno. Quindi soltanto Dio è eterno.

[28616] Iª q. 10 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod aeternitas vere et proprie in solo Deo est. Quia aeternitas immutabilitatem consequitur, ut ex dictis patet. Solus autem Deus est omnino immutabilis, ut est superius ostensum. Secundum tamen quod aliqua ab ipso immutabilitatem percipiunt, secundum hoc aliqua eius aeternitatem participant. Quaedam ergo quantum ad hoc immutabilitatem sortiuntur a Deo, quod nunquam esse desinunt, et secundum hoc dicitur Eccle. I de terra, quod in aeternum stat. Quaedam etiam aeterna in Scripturis dicuntur propter diuturnitatem durationis, licet corruptibilia sint, sicut in Psalmo dicuntur montes aeterni; et Deuter. XXXIII etiam dicitur, de pomis collium aeternorum. Quaedam autem amplius participant de ratione aeternitatis, inquantum habent intransmutabilitatem vel secundum esse, vel ulterius secundum operationem, sicut Angeli et beati, qui verbo fruuntur, quia quantum ad illam visionem verbi, non sunt in sanctis volubiles cogitationes, ut dicit Augustinus, XV de Trin. Unde et videntes Deum dicuntur habere vitam aeternam, secundum illud Ioann. XVII, haec est vita aeterna, ut cognoscant et cetera.

 

[28616] Iª q. 10 a. 3 co.
RISPONDO: L'eternità veramente e propriamente è soltanto in Dio. Perché l'eternità deriva dall'immutabilità, come si è già provato; e d'altra parte solo Dio è del tutto immutabile, come abbiamo visto sopra. Tuttavia nella misura in cui alcune cose partecipano da Dio l'immutabilità da lui partecipano anche l'eternità.
Certe cose dunque partecipano da Dio l'immutabilità in questo senso che mai cessano di esistere, come nella Scrittura è detto della terra che "eternamente sussiste". Certe altre sono dette eterne nella Sacra Scrittura per la diuturnità della durata, sebbene siano corruttibili, come nei Salmi son chiamate "eterne le montagne", ed anche nel Deuteronomio si parla "dei frutti dei colli eterni". Altre cose anche più ampiamente partecipano la natura dell'eternità in quanto sono immutabili o nell'essere, o anche perfino nell'operare, com'è degli angeli e dei beati, ammnessi alla fruizione del Verbo; perché relativamente a quella visione del Verbo nei santi non ci sono "pensieri variabili", come dice S. Agostino. Cosicché di coloro che vedono Dio si dice che possiedono la vita eterna, secondo il detto della Scrittura: "la vita eterna consiste nel conoscere (Te, solo Dio vero)...".

[28617] Iª q. 10 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod dicuntur multae aeternitates, secundum quod sunt multi participantes aeternitatem ex ipsa Dei contemplatione.

 

[28617] Iª q. 10 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Si dicono molte le eternità per indicare che sono molti coloro che partecipano dell'eternità per la contemplazione di Dio.

[28618] Iª q. 10 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod ignis Inferni dicitur aeternus propter interminabilitatem tantum. Est tamen in poenis eorum transmutatio, secundum illud Iob XXIV, ad nimium calorem transibunt ab aquis nivium. Unde in Inferno non est vera aeternitas, sed magis tempus; secundum illud Psalmi, erit tempus eorum in saecula.

 

[28618] Iª q. 10 a. 3 ad 2
2. Il fuoco dell'inferno è detto eterno unicamente perché non finirà mai. Però nelle pene dei dannati vi saranno delle trasmutazionl, secondo il detto della Scrittura: "Ad eccessivo calore passi egli dalle acque delle nevi". Quindi nell'inferno non vi è vera eternità, ma piuttosto il tempo, secondo la frase del Salmo: "Il loro tempo si estenderà per tutti i secoli".

[28619] Iª q. 10 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod necessarium significat quendam modum veritatis. Verum autem, secundum philosophum, VI Metaphys., est in intellectu. Secundum hoc igitur vera et necessaria sunt aeterna, quia sunt in intellectu aeterno, qui est intellectus divinus solus. Unde non sequitur quod aliquid extra Deum sit aeternum.

 

[28619] Iª q. 10 a. 3 ad 3
3. Necessario indica una modalità del vero. E il vero, a detta del Filosofo, è nell'intelletto. Per conseguenza le cose vere e necessarie sono eterne in quanto esistono in un intelletto eterno, che è soltanto l'intelletto divino. Non ne viene perciò che oltre Dio vi sia qualche cosa di eterno.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > L'eternità di Dio > Se l'eternità differisca dal tempo


Prima pars
Quaestio 10
Articulus 4

[28620] Iª q. 10 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod aeternitas non sit aliud a tempore. Impossibile est enim duas esse mensuras durationis simul, nisi una sit pars alterius, non enim sunt simul duo dies vel duae horae; sed dies et hora sunt simul, quia hora est pars diei. Sed aeternitas et tempus sunt simul, quorum utrumque mensuram quandam durationis importat. Cum igitur aeternitas non sit pars temporis, quia aeternitas excedit tempus et includit ipsum; videtur quod tempus sit pars aeternitatis, et non aliud ab aeternitate.

 
Prima parte
Questione 10
Articolo 4

[28620] Iª q. 10 a. 4 arg. 1
SEMBRA che l'eternità non si distingua dal tempo. Infatti: 1. È impossibile che due misure di durata coesistano, tranne il caso che una sia parte dell'altra: infatti due giorni o due ore non esistono simultaneamente; ma un giorno ed un'ora possono essere simultanei perché l'ora è una parte del giorno. Ma l'eternità ed il tempo sono insieme, e tutti e due importano una certa misura di durata. Quindi non essendo l'eternità una parte del tempo, perché l'eternità lo sopravanza e lo include, pare che il tempo sia una parte dell'eternità e non cosa diversa da essa.

[28621] Iª q. 10 a. 4 arg. 2
Praeterea, secundum philosophum in IV Physic., nunc temporis manet idem in toto tempore. Sed hoc videtur constituere rationem aeternitatis, quod sit idem indivisibiliter se habens in toto decursu temporis. Ergo aeternitas est nunc temporis. Sed nunc temporis non est aliud secundum substantiam a tempore. Ergo aeternitas non est aliud secundum substantiam a tempore.

 

[28621] Iª q. 10 a. 4 arg. 2
2. Secondo Aristotele l'istante resta identico a se stesso in tutto il corso del tempo. Ma sembra costituire l'essenza stessa dell'eternità, il restare indivisibilmente la stessa in tutto il decorso del tempo. Dunque l'eternità è l'istante del tempo; ma l'istante non si distingue realmente dal tempo. Perciò l'eternità realmente non differisce dal tempo.

[28622] Iª q. 10 a. 4 arg. 3
Praeterea, sicut mensura primi motus est mensura omnium motuum, ut dicitur in IV Physic., ita videtur quod mensura primi esse sit mensura omnis esse. Sed aeternitas est mensura primi esse, quod est esse divinum. Ergo aeternitas est mensura omnis esse. Sed esse rerum corruptibilium mensuratur tempore. Ergo tempus vel est aeternitas, vel aliquid aeternitatis.

 

[28622] Iª q. 10 a. 4 arg. 3
3. Come la misura del primo moto è la misura di tutti i movimenti, come dice Aristotele, così parrebbe che la misura del primo ente debba essere la misura di ogni ente. Ma la misura del primo essere, che è l'essere divino, è l'eternità. Dunque l'eternità è la misura di ogni ente. Ma l'essere delle cose corruttibili è misurato dal tempo. Quindi il tempo o è l'eternità, o qualche cosa di essa.

[28623] Iª q. 10 a. 4 s. c.
Sed contra est quod aeternitas est tota simul, in tempore autem est prius et posterius. Ergo tempus et aeternitas non sunt idem.

 

[28623] Iª q. 10 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: L'eternità è tutta simultaneamente; nel tempo invece vi è un prima ed un poi. Dunque tempo ed eternità non sono la stessa cosa.

[28624] Iª q. 10 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod manifestum est tempus et aeternitatem non esse idem. Sed huius diversitatis rationem quidam assignaverunt ex hoc quod aeternitas caret principio et fine, tempus autem habet principium et finem. Sed haec est differentia per accidens, et non per se. Quia dato quod tempus semper fuerit et semper futurum sit, secundum positionem eorum qui motum caeli ponunt sempiternum, adhuc remanebit differentia inter aeternitatem et tempus, ut dicit Boetius in libro de Consolat., ex hoc quod aeternitas est tota simul, quod tempori non convenit, quia aeternitas est mensura esse permanentis, tempus vero est mensura motus. Si tamen praedicta differentia attendatur quantum ad mensurata, et non quantum ad mensuras, sic habet aliquam rationem, quia solum illud mensuratur tempore, quod habet principium et finem in tempore, ut dicitur in IV Physic. Unde si motus caeli semper duraret, tempus non mensuraret ipsum secundum suam totam durationem, cum infinitum non sit mensurabile; sed mensuraret quamlibet circulationem, quae habet principium et finem in tempore. Potest tamen et aliam rationem habere ex parte istarum mensurarum, si accipiatur finis et principium in potentia. Quia etiam dato quod tempus semper duret, tamen possibile est signare in tempore et principium et finem, accipiendo aliquas partes ipsius, sicut dicimus principium et finem diei vel anni, quod non contingit in aeternitate. Sed tamen istae differentiae consequuntur eam quae est per se et primo, differentiam, per hoc quod aeternitas est tota simul, non autem tempus.

 

[28624] Iª q. 10 a. 4 co.
RISPONDO: È manifesto che tempo ed eternità non sono la medesima cosa. Ma di tale diversità alcuni hanno assegnato questa ragione, che l'eternità non ha né inizio né termine, il tempo invece ha inizio e termine. Ma questa differenza è accidentale e non essenziale. Perché, supposto che il tempo sia sempre stato e che sempre abbia ad essere, come ammettono coloro che attribuiscono al cielo un movimento sempiterno, resterà pur sempre una differenza, al dire di Boezio, tra eternità e tempo per il motivo che l'eternità è tutta insieme, il che non compete al tempo; poiché l'eternità è la misura dell'essere permanente, il tempo invece è misura del movimento.
Tuttavia, se tale differenza si consideri rispetto alle cose misurate e non alle stesse misure, ha un certo valore: perché col tempo si misura soltanto ciò che ha inizio e termine nel tempo, come dice Aristotele. Cosicché se il movimento del cielo durasse sempre, il tempo non lo misurerebbe secondo tutta la sua durata, essendo l'infinito immensurabile, ma ne misurerebbe ogni ciclo, che nel tempo ha inizio e termine.
Però tale differenza potrebbe avere un valore anche rispetto a queste misure (della durata: tempo, evo, eternità), se inizio e termine si prendessero in potenza. Perché, anche supponendo che il tempo durasse sempre, sarebbe possibile, prendendone delle parti, determinare nel tempo un inizio e un termine, come quando parliamo d'inizio e di fine del giorno o dell'anno; ciò che non si verifica per l'eternità.
Tuttavia queste differenze sono conseguenze di quella che è la prima ed essenziale, cioè che l'eternità, diversamente dal tempo, è tutta simultaneamente.

[28625] Iª q. 10 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod ratio illa procederet, si tempus et aeternitas essent mensurae unius generis, quod patet esse falsum, ex his quorum est tempus et aeternitas mensura.

 

[28625] Iª q. 10 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Questa ragione sarebbe buona, se tempo ed eternità fossero misure dello stesso genere: il che appare esser falso se si considera di quali cose tempo ed eternità sono misura.

[28626] Iª q. 10 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod nunc temporis est idem subiecto in toto tempore, sed differens ratione, eo quod, sicut tempus respondet motui, ita nunc temporis respondet mobili; mobile autem est idem subiecto in toto decursu temporis, sed differens ratione, inquantum est hic et ibi. Et ista alternatio est motus. Similiter fluxus ipsius nunc, secundum quod alternatur ratione, est tempus. Aeternitas autem manet eadem et subiecto et ratione. Unde aeternitas non est idem quod nunc temporis.

 

[28626] Iª q. 10 a. 4 ad 2
2. L'istante quanto alla sua realtà è identico a se stesso in tutto il corso del tempo, ma cambiano i suoi rapporti; perché come il tempo corrisponde al movimento, così l'istante del tempo corrisponde al soggetto mobile; ora, il soggetto che si muove è in se stesso identico per tutto il corso del tempo, ma cambia nei suoi rapporti, in quanto che adesso è qui e poi è là. E questa variazione (di rapporti) costituisce il movimento. Allo stesso modo, lo scorrere di un medesimo istante, in quanto subisce l'alternarsi dei rapporti, costituisce il tempo. L'eternità invece rimane identica e in se stessa e quanto a riferimenti o rapporti. Perciò l'eternità non s'identifica con l'istante del tempo.

[28627] Iª q. 10 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod, sicut aeternitas est propria mensura ipsius esse, ita tempus est propria mensura motus. Unde secundum quod aliquod esse recedit a permanentia essendi et subditur transmutationi, secundum hoc recedit ab aeternitate et subditur tempori. Esse ergo rerum corruptibilium, quia est transmutabile, non mensuratur aeternitate, sed tempore. Tempus enim mensurat non solum quae transmutantur in actu, sed quae sunt transmutabilia. Unde non solum mensurat motum, sed etiam quietem; quae est eius quod natum est moveri, et non movetur.

 

[28627] Iª q. 10 a. 4 ad 3
3. Come l'eternità è la misura propria dell'essere, così il tempo è la misura propria del movimento. Quindi, quanto più un ente si allontana dalla fissità dell'essere e si trova soggetto al mutamento, tanto più si allontana dall'eternità e si assoggetta al tempo. Dunque l'essere delle cose corruttibili, perché trasmutabile, non è misurato dall'eternità, ma dal tempo. Il tempo infatti non solo misura le cose che attualmente si mutano, ma anche quelle che sono mutabili. Per cui non soltanto misura il movimento, ma anche la quiete, propria di ciò che è nato per muoversi, e che attualmente non si muove.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > L'eternità di Dio > Sulla differenza tra evo e tempo


Prima pars
Quaestio 10
Articulus 5

[28628] Iª q. 10 a. 5 arg. 1
Ad quintum sic proceditur. Videtur quod aevum non sit aliud a tempore. Dicit enim Augustinus, VIII super Gen. ad Litt., quod Deus movet creaturam spiritualem per tempus. Sed aevum dicitur esse mensura spiritualium substantiarum. Ergo tempus non differt ab aevo.

 
Prima parte
Questione 10
Articolo 5

[28628] Iª q. 10 a. 5 arg. 1
SEMBRA che l'evo non si distingua dal tempo. Infatti: 1. Dice S. Agostino che "Dio muove la creatura spirituale nel tempo". Ora l'evo si dice che è misura delle sostanze spirituali. Dunque il tempo non differisce dall'evo.

[28629] Iª q. 10 a. 5 arg. 2
Praeterea, de ratione temporis est quod habeat prius et posterius, de ratione vero aeternitatis est quod sit tota simul, ut dictum est. Sed aevum non est aeternitas, dicitur enim Eccli. I, quod sapientia aeterna est ante aevum. Ergo non est totum simul, sed habet prius et posterius, et ita est tempus.

 

[28629] Iª q. 10 a. 5 arg. 2
2. È essenziale al tempo avere il prima e il poi; essenziale dell'eternità è di essere tutta insieme, come si è detto. Ora, l'evo non è l'eternità, perché nella Scrittura si dice che la sapienza eterna esiste "avanti l'evo". Dunque non è tutto simultaneamente, ma ha un prima e un poi: e così non è altro che il tempo.

[28630] Iª q. 10 a. 5 arg. 3
Praeterea, si in aevo non est prius et posterius, sequitur quod in aeviternis non differat esse vel fuisse vel futurum esse. Cum igitur sit impossibile aeviterna non fuisse, sequitur quod impossibile sit ea non futura esse. Quod falsum est, cum Deus possit ea reducere in nihilum.

 

[28630] Iª q. 10 a. 5 arg. 3
3. Se nell'evo non c'è prima e poi, ne viene di conseguenza che negli esseri eviterni (cioè misurati dall'evo) non vi è differenza tra l'essere presentemente, l'essere stati in passato, e l'essere nel futuro. Ma siccome non è più concepibile che gli eviterni non siano stati in passato, ne segue che sia cosa assurda che essi possano non esistere in futuro. Ciò che è falso, potendoli Dio annientare.

[28631] Iª q. 10 a. 5 arg. 4
Praeterea, cum duratio aeviternorum sit infinita ex parte post, si aevum sit totum simul, sequitur quod aliquod creatum sit infinitum in actu, quod est impossibile. Non igitur aevum differt a tempore.

 

[28631] Iª q. 10 a. 5 arg. 4
4. Siccome la durata degli esseri eviterni è infinita a parte post (cioè ha dinanzi a sé l'infinito), se l'evo è tutto intero simultaneamente, ne segue che qualche cosa di creato è un infinito attuale: il che è impossibile. Dunque l'evo non differisce dal tempo.

[28632] Iª q. 10 a. 5 s. c.
Sed contra est quod dicit Boetius, qui tempus ab aevo ire iubes.

 

[28632] Iª q. 10 a. 5 s. c.
IN CONTRARIO: Boezio canta così: "Sei tu (o Signore) che comandi al tempo di scaturire dall'evo".

[28633] Iª q. 10 a. 5 co.
Respondeo dicendum quod aevum differt a tempore et ab aeternitate, sicut medium existens inter illa. Sed horum differentiam aliqui sic assignant, dicentes quod aeternitas principio et fine caret; aevum habet principium, sed non finem; tempus autem habet principium et finem. Sed haec differentia est per accidens, sicut supra dictum est, quia si etiam semper aeviterna fuissent et semper futura essent, ut aliqui ponunt; vel etiam si quandoque deficerent, quod Deo possibile esset, adhuc aevum distingueretur ab aeternitate et tempore. Alii vero assignant differentiam inter haec tria, per hoc quod aeternitas non habet prius et posterius; tempus autem habet prius et posterius cum innovatione et veteratione; aevum habet prius et posterius sine innovatione et veteratione. Sed haec positio implicat contradictoria. Quod quidem manifeste apparet, si innovatio et veteratio referantur ad ipsam mensuram. Cum enim prius et posterius durationis non possint esse simul, si aevum habet prius et posterius, oportet quod, priore parte aevi recedente, posterior de novo adveniat, et sic erit innovatio in ipso aevo, sicut in tempore. Si vero referantur ad mensurata, adhuc sequitur inconveniens. Ex hoc enim res temporalis inveteratur tempore, quod habet esse transmutabile, et ex transmutabilitate mensurati, est prius et posterius in mensura, ut patet ex IV Physic. Si igitur ipsum aeviternum non sit inveterabile nec innovabile, hoc erit quia esse eius est intransmutabile. Mensura ergo eius non habebit prius et posterius. Est ergo dicendum quod, cum aeternitas sit mensura esse permanentis, secundum quod aliquid recedit a permanentia essendi, secundum hoc recedit ab aeternitate. Quaedam autem sic recedunt a permanentia essendi, quod esse eorum est subiectum transmutationis, vel in transmutatione consistit, et huiusmodi mensurantur tempore; sicut omnis motus, et etiam esse omnium corruptibilium. Quaedam vero recedunt minus a permanentia essendi, quia esse eorum nec in transmutatione consistit, nec est subiectum transmutationis, tamen habent transmutationem adiunctam, vel in actu vel in potentia. Sicut patet in corporibus caelestibus, quorum esse substantiale est intransmutabile; tamen esse intransmutabile habent cum transmutabilitate secundum locum. Et similiter patet de Angelis, quod habent esse intransmutabile cum transmutabilitate secundum electionem, quantum ad eorum naturam pertinet; et cum transmutabilitate intelligentiarum et affectionum, et locorum suo modo. Et ideo huiusmodi mensurantur aevo, quod est medium inter aeternitatem et tempus. Esse autem quod mensurat aeternitas, nec est mutabile, nec mutabilitati adiunctum. Sic ergo tempus habet prius et posterius, aevum autem non habet in se prius et posterius, sed ei coniungi possunt, aeternitas autem non habet prius neque posterius, neque ea compatitur.

 

[28633] Iª q. 10 a. 5 co.
RISPONDO: L'evo differisce dal tempo e dall'eternità come qualche cosa di mezzo tra l'uno e l'altro. Ma alcuni autori assegnano così la loro differenza, dicendo che l'eternità è senza inizio e senza termine; l'evo ha inizio ma non termine; il tempo poi ha inizio e termine. - Ma questa differenza è puramente accidentale, come si è già notato, perché anche se gli esseri eviterni fossero sempre stati e sempre fossero per essere, come alcuni ammettono, o anche se venissero annientati, ciò che è possibile a Dio, l'evo si distinguerebbe ancora dall'eternità e dal tempo.
Altri invece assegnano come differenza tra queste cose il fatto che l'eternità non ha un prima e un poi; il tempo ha un prima ed un poi con innovazioni e invecchiamenti; l'evo ha un prima ed un poi senza innovazione ed invecchiamento. - Ma questa opinione è contraddittoria. Il che appare in modo evidente se innovazione e invecchiamento si riferiscono alla misura stessa (cioè all'evo e non agli eviterni), perché il prima e il poi della durata, non potendo essere simultaneamente, se l'evo ha un prima e un poi è inevitabile che, partendosene la prima parte dell'evo, quella che vien dopo giunga come qualche cosa di nuovo: e così ci sarà innovazione nello stesso evo, come nel tempo. E tale inconveniente rimane anche se (innovazione e invecchiamento) si riferiscono alle entità misurate. Infatti una cosa temporanea invecchia col tempo in quanto è trasmutabile: e dipende da questa trasmutabilità del misurato che nella misura (cioè nel tempo) ci sia un prima e un poi, come insegna Aristotele. Se dunque la stessa realtà eviterna non è soggetta a invecchiare e a rinnovarsi, è perché il suo essere è immutabile. Dunque la sua misura (di durata, ossia l'evo) non avrà né prima né poi.
Dobbiamo dunque dire che, essendo l'eternità misura dell'essere immutabile, un ente si allontana dall'eternità a seconda che si allontana dall'immutabilità nell'essere. Ora, alcune creature si discostano dall'immutabilità nell'essere in questo, che il loro essere è soggetto di trasmutazione, o consiste in una trasmutazione; e questi enti son misurati dal tempo, come è di ogni moto, nonché della sostanza delle cose corruttibili. Altre cose poi si scostano meno dall'immutabilità nell'essere, perché il loro essere né consiste nella trasmutazione, né è soggetto di trasmutazione: tuttavia hanno congiunta una certa trasmutabilità o attuale o potenziale. È quel che avviene nei corpi celesti, il cui essere sostanziale è immutabile; ma hanno un tale essere congiunto al cambiamento di luogo. Ciò è evidente anche negli angeli, perché per quanto riguarda la loro natura hanno l'essere immutabile, congiunto a una mutabilità negli atti liberi; e hanno anche mutabilità di intuizioni e di affetti, e, a loro modo, di luoghi. Per tale motivo essi sono misurati dall'evo, che sta tra l'eternità e il tempo. L'essere invece che è misurato dall'eternità non è mutabile in se stesso, né associabile a variazioni. - Così dunque il tempo implica un prima e un poi; l'evo non ha in sé né prima né poi, ma possono essergli annessi; l'eternità non ha un prima e un poi, né li comporta in alcun modo.

[28634] Iª q. 10 a. 5 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod creaturae spirituales, quantum ad affectiones et intelligentias, in quibus est successio, mensurantur tempore. Unde et Augustinus ibidem dicit quod per tempus moveri, est per affectiones moveri. Quantum vero ad eorum esse naturale, mensurantur aevo. Sed quantum ad visionem gloriae, participant aeternitatem.

 

[28634] Iª q. 10 a. 5 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Le creature spirituali, quanto ai loro desideri e pensieri nei quali vi è successione, han per misura il tempo. Tanto è vero che S. Agostino nel passo citato spiega che muoversi nel tempo vuol dire avere una successione di sentimenti. Quanto al loro essere naturale, son misurate dall'evo. Quanto poi alla visione della gloria, partecipano dell'eternità.

[28635] Iª q. 10 a. 5 ad 2
Ad secundum dicendum quod aevum est totum simul, non tamen est aeternitas, quia compatitur secum prius et posterius.

 

[28635] Iª q. 10 a. 5 ad 2
2. L'evo è tutto insieme; ma non è eternità, perché è compatibile con un prima e un dopo.

[28636] Iª q. 10 a. 5 ad 3
Ad tertium dicendum quod in ipso esse Angeli in se considerato, non est differentia praeteriti et futuri, sed solum secundum adiunctas mutationes. Sed quod dicimus Angelum esse vel fuisse vel futurum esse, differt secundum acceptionem intellectus nostri, qui accipit esse Angeli per comparationem ad diversas partes temporis. Et cum dicit Angelum esse vel fuisse, supponit aliquid cum quo eius oppositum non subditur divinae potentiae, cum vero dicit futurum esse, nondum supponit aliquid. Unde, cum esse et non esse Angeli subsit divinae potentiae, absolute considerando, potest Deus facere quod esse Angeli non sit futurum, tamen non potest facere quod non sit dum est, vel quod non fuerit postquam fuit.

 

[28636] Iª q. 10 a. 5 ad 3
3. Nell'angelo la differenza tra passato e futuro non è nel suo essere, ma solo rispetto alle mutazioni annesse. Ma quando noi diciamo che l'angelo è, o che è stato, o che sarà, si tratta di differenze dovute al modo di concepire della nostra intelligenza, la quale apprende l'essere dell'angelo in confronto alle varie parti del tempo. E quando (la nostra mente) dice che l'angelo è o che è stato, afferma una verità (talmente necessaria) che la stessa potenza divina non potrebbe conciliarla col suo contrario; quando invece dice che sarà afferma una cosa inesistente. Quindi, siccome l'essere e il non essere dell'angelo è soggetto alla divina potenza, Dio, assolutamente parlando, può far sì che non sia nel futuro; non può però far sì che non sia mentre è, o che non sia stato dopo che è stato.

[28637] Iª q. 10 a. 5 ad 4
Ad quartum dicendum quod duratio aevi est infinita, quia non finitur tempore. Sic autem esse aliquod creatum infinitum, quod non finiatur quodam alio, non est inconveniens.

 

[28637] Iª q. 10 a. 5 ad 4
4. La durata dell'evo è infinita nel senso che non è limitata dal tempo. Ora, ad ammettere qualche cosa di creato come infinito, nel senso di non limitato da qualche altra cosa, non c'è nessun inconveniente.




Parte prima > Trattato relativo all'essenza di Dio > L'eternità di Dio > Se vi sia un evo soltanto


Prima pars
Quaestio 10
Articulus 6

[28638] Iª q. 10 a. 6 arg. 1
Ad sextum sic proceditur. Videtur quod non sit tantum unum aevum. Dicitur enim in apocryphis Esdrae, maiestas et potestas aevorum est apud te, domine.

 
Prima parte
Questione 10
Articolo 6

[28638] Iª q. 10 a. 6 arg. 1
SEMBRA che non vi sia soltanto un evo. Infatti:
1. Nei libri apocrifi di Esdra è scritto: "La maestà e la potestà degli evi è presso di Te, o Signore!".

[28639] Iª q. 10 a. 6 arg. 2
Praeterea, diversorum generum diversae sunt mensurae. Sed quaedam aeviterna sunt in genere corporalium, scilicet corpora caelestia, quaedam vero sunt spirituales substantiae, scilicet Angeli. Non ergo est unum aevum tantum.

 

[28639] Iª q. 10 a. 6 arg. 2
2. Diversità di generi richiede diversità di misure. Ora, alcuni eviterni sono d'ordine corporale, cioè i corpi celesti; altri sono sostanze spirituali, cioè gli angeli. Non vi è dunque un evo soltanto.

[28640] Iª q. 10 a. 6 arg. 3
Praeterea, cum aevum sit nomen durationis, quorum est unum aevum, est una duratio. Sed non omnium aeviternorum est una duratio, quia quaedam post alia esse incipiunt, ut maxime patet in animabus humanis. Non est ergo unum aevum tantum.

 

[28640] Iª q. 10 a. 6 arg. 3
3. Siccome evo è nome di durata, cose che hanno un solo evo, hanno anche una sola durata. Ora, tutti gli esseri eviterni non hanno una sola durata; perché alcuni principiano ad essere dopo gli altri, come è chiaro massime delle anime umane. Non vi è dunque un evo solo.

[28641] Iª q. 10 a. 6 arg. 4
Praeterea, ea quae non dependent ab invicem, non videntur habere unam mensuram durationis, propter hoc enim omnium temporalium videtur esse unum tempus, quia omnium motuum quodammodo causa est primus motus, qui prius tempore mensuratur. Sed aeviterna non dependent ab invicem, quia unus Angelus non est causa alterius. Non ergo est unum aevum tantum.

 

[28641] Iª q. 10 a. 6 arg. 4
4. Enti tra loro indipendenti non pare che abbiano una sola misura di durata: la ragione infatti per cui tutte le cose temporanee sembrano soggette a un unico tempo, è che di tutti i movimenti è causa, in qualche maniera, il primo moto, il quale per primo è misurato dal tempo. Ora, gli esseri eviterni non dipendono l'uno dall'altro; perché un angelo non è causa d'un altro angelo. Dunque non vi è un evo solo.

[28642] Iª q. 10 a. 6 s. c.
Sed contra, aevum est simplicius tempore, et propinquius se habens ad aeternitatem. Sed tempus est unum tantum. Ergo multo magis aevum.

 

[28642] Iª q. 10 a. 6 s. c.
IN CONTRARIO: L'evo è più semplice del tempo e si accosta di più all'eternità. Ora, il tempo è uno solo. Dunque con più ragione l'evo.

[28643] Iª q. 10 a. 6 co.
Respondeo dicendum quod circa hoc est duplex opinio, quidam enim dicunt quod est unum aevum tantum; quidam quod multa. Quid autem horum verius sit, oportet considerare ex causa unitatis temporis, in cognitionem enim spiritualium per corporalia devenimus. Dicunt autem quidam esse unum tempus omnium temporalium, propter hoc quod est unus numerus omnium numeratorum, cum tempus sit numerus, secundum philosophum. Sed hoc non sufficit, quia tempus non est numerus ut abstractus extra numeratum, sed ut in numerato existens, alioquin non esset continuus; quia decem ulnae panni continuitatem habent, non ex numero, sed ex numerato. Numerus autem in numerato existens non est idem omnium, sed diversus diversorum. Unde alii assignant causam unitatis temporis ex unitate aeternitatis, quae est principium omnis durationis. Et sic, omnes durationes sunt unum, si consideretur earum principium, sunt vero multae, si consideretur diversitas eorum quae recipiunt durationem ex influxu primi principii. Alii vero assignant causam unitatis temporis ex parte materiae primae, quae est primum subiectum motus, cuius mensura est tempus. Sed neutra assignatio sufficiens videtur, quia ea quae sunt unum principio vel subiecto, et maxime remoto, non sunt unum simpliciter sed secundum quid. Est ergo ratio unitatis temporis, unitas primi motus, secundum quem, cum sit simplicissimus, omnes alii mensurantur, ut dicitur in X Metaphys. Sic ergo tempus ad illum motum comparatur non solum ut mensura ad mensuratum, sed etiam ut accidens ad subiectum; et sic ab eo recipit unitatem. Ad alios autem motus comparatur solum ut mensura ad mensuratum. Unde secundum eorum multitudinem non multiplicatur, quia una mensura separata multa mensurari possunt. Hoc igitur habito, sciendum quod de substantiis spiritualibus duplex fuit opinio. Quidam enim dixerunt quod omnes processerunt a Deo in quadam aequalitate, ut Origenes dixit; vel etiam multae earum, ut quidam posuerunt. Alii vero dixerunt quod omnes substantiae spirituales processerunt a Deo quodam gradu et ordine et hoc videtur sentire Dionysius, qui dicit, cap. X Cael. Hier., quod inter substantias spirituales sunt primae, mediae et ultimae, etiam in uno ordine Angelorum. Secundum igitur primam opinionem, necesse est dicere quod sunt plura aeva, secundum quod sunt plura aeviterna prima aequalia. Secundum autem secundam opinionem, oportet dicere quod sit unum aevum tantum, quia, cum unumquodque mensuretur simplicissimo sui generis, ut dicitur in X Metaphys., oportet quod esse omnium aeviternorum mensuretur esse primi aeviterni, quod tanto est simplicius, quanto prius. Et quia secunda opinio verior est, ut infra ostendetur, concedimus ad praesens unum esse aevum tantum.

 

[28643] Iª q. 10 a. 6 co.
RISPONDO: Su questo punto vi sono due opinioni: c'è chi dice che vi è un solo evo, e c'è chi dice che ve ne sono molti. Per sapere quale delle due sia la più vera, bisogna considerare donde deriva l'unità del tempo: perché alla conoscenza delle cose spirituali noi arriviamo mediante le corporali. Dunque, dicono alcuni che per tutte le cose temporali vi è un solo tempo perché una sola è la serie dei numeri per tutte le cose numerate: infatti, secondo Aristotele, il tempo non è che numero. - Ma la ragione è insufficiente, perché il tempo non è un numero preso come astratto e separato dalle cose numerate, ma come ad esse inerente, ché altrimenti non sarebbe continuo: così dieci braccia di panno non sono continue a causa del numero (10), ma del numerato (cioè del panno stesso). Ora, il numero come si trova in concreto nelle cose numerate non è identico per tutte, ma diverso per ogni cosa diversa.
Quindi altri assegnano come causa dell'unità del tempo l'unità dell'eternità, la quale è il principio di ogni durata. E così, tutte le durate sono una cosa sola, se si considera il loro principio; ma sono molte, se si considera la diversità degli esseri che ricevono la loro durata dall'influsso della prima causa. Altri invece assegnano come causa dell'unità del tempo la materia prima, la quale è il primo soggetto del movimento, la cui misura è il tempo. - Ma nessuna di queste due spiegazioni è sufficiente, perché le cose che hanno in comune la causa o il soggetto, specie se remoto, non sono una cosa unica in senso pieno e assoluto, ma in senso relativo.
La vera ragione dell'unità del tempo è dunque l'unità del primo moto, il quale, essendo semplicissimo, regola tutti gli altri, come insegna Aristotele. Così dunque il tempo non sta in relazione con quel moto soltanto come la misura col misurato, ma anche come l'accidente col soggetto, e così riceve da esso la sua unità. Rispetto agli altri moti invece dice un rapporto solo come una misura al misurato. Per cui non si moltiplica col moltiplicarsi di essi, perché un'unica misura separata è buona per misurare innumerevoli oggetti.
Posto ciò, bisogna sapere che riguardo alle sostanze spirituali vi fu doppia opinione. Alcuni, come Origene, hanno sostenuto che tutte quante son derivate da Dio uguali tra loro; o, per lo meno, come altri han detto, molte di esse. Invece altri hanno detto che tutte le sostanze spirituali sono provenute da Dio secondo una certa gerarchia e con un certo ordine. Tale sembra essere il sentire di Dionigi, il quale asserisce che tra le sostanze spirituali vi sono le prime, le intermedie e le ultime, anche in un medesimo ordine di angeli. Secondo la prima opinione, dunque, è necessario dire che vi sono più evi, in quanto che vi sono più eviterni primi ed eguali. Invece secondo l'altra opinione bisogna dire che vi è un solo evo; perché, essendo ogni cosa misurata con ciò che vi è di più semplice nel suo genere, come dice Aristotele, è necessario ammettere che l'essere di tutti gli eviterni abbia per misura l'essere del primo eviterno, il quale è tanto più semplice quanto più eccelso. E poiché questa seconda opinione è la più vera come dimostreremo in seguito, ammettiamo fin da ora che vi è un solo evo.

[28644] Iª q. 10 a. 6 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod aevum aliquando accipitur pro saeculo, quod est periodus durationis alicuius rei, et sic dicuntur multa aeva, sicut multa saecula.

 

[28644] Iª q. 10 a. 6 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Evo, qualche volta, si prende per secolo, il quale è un periodo di durata di qualche cosa: ed in questo senso si dice che ci sono molti evi, come molti secoli.

[28645] Iª q. 10 a. 6 ad 2
Ad secundum dicendum quod, licet corpora caelestia et spiritualia differant in genere naturae, tamen conveniunt in hoc, quod habent esse intransmutabile. Et sic mensurantur aevo.

 

[28645] Iª q. 10 a. 6 ad 2
2. Sebbene i corpi celesti e le creature spirituali differiscano nella loro natura generica; tuttavia convengono in questo, che tutti hanno l'essere intrasmutabile, e per questo hanno per misura l'evo.

[28646] Iª q. 10 a. 6 ad 3
Ad tertium dicendum quod nec omnia temporalia simul incipiunt, et tamen omnium est unum tempus, propter primum quod mensuratur tempore. Et sic omnia aeviterna habent unum aevum propter primum, etiam si non omnia simul incipiant.

 

[28646] Iª q. 10 a. 6 ad 3
3. Neanche le cose temporali nascono tutte insieme, e tuttavia hanno un unico tempo, perché la prima (di esse) è misurata dal tempo. Così tutti gli eviterni hanno un unico evo a motivo del primo tra essi, anche se non cominciano tutti insieme.

[28647] Iª q. 10 a. 6 ad 4
Ad quartum dicendum quod ad hoc quod aliqua mensurentur per aliquod unum, non requiritur quod illud unum sit causa omnium eorum; sed quod sit simplicius.

 

[28647] Iª q. 10 a. 6 ad 4
4. Perché più cose abbiano una stessa misura non si richiede che una sia causa di tutte le altre; basta che sia la più semplice.

Alla Questione precedente

 

Alla Questione successiva