Parte prima > La derivazione delle creature da Dio > Gli angeli > La locuzione degli angeli > Se un angelo parli con l'altro
Prima pars
Quaestio 107
Articulus 1
[32887] Iª q. 107 a. 1 arg. 1 Ad primum sic proceditur. Videtur quod unus Angelus alteri non loquatur. Dicit enim Gregorius, XVIII Moral., quod in statu resurrectionis uniuscuiusque mentem ab alterius oculis membrorum corpulentia non abscondit. Multo igitur minus mens unius Angeli absconditur ab altero. Sed locutio est ad manifestandum alteri quod latet in mente. Non igitur oportet quod unus Angelus alteri loquatur.
|
|
Prima parte
Questione 107
Articolo 1
[32887] Iª q. 107 a. 1 arg. 1
SEMBRA che un angelo non parli con l'altro. Infatti:
1. Dice S. Gregorio che nello stato di resurrezione "la corporeità delle membra non nasconde la mente dell'uno agli occhi dell'altro". Molto meno dunque la mente d'un angelo può essere nascosta all'altro. Ma il parlare ha lo scopo di manifestare agli altri quel che è nascosto nella mente. Non v'è dunque bisogno che un angelo parli all'altro.
|
[32888] Iª q. 107 a. 1 arg. 2 Praeterea, duplex est locutio, interior, per quam aliquis sibi ipsi loquitur; et exterior, per quam aliquis loquitur alteri. Exterior autem locutio fit per aliquod sensibile signum, puta voce vel nutu vel aliquo corporis membro, puta lingua vel digito, quae Angelis competere non possunt. Ergo unus Angelus alteri non loquitur.
|
|
[32888] Iª q. 107 a. 1 arg. 2
2. Si parla in due modi: interiormente, con se stessi; esteriormente, con gli altri. Questo secondo modo si compie, o per mezzo di segni sensibili, quali la voce e il gesto, o per mezzo di organi corporei, quali la lingua e le dita: tutte cose che gli angeli non possono avere. Quindi un angelo non parla con l'altro.
|
[32889] Iª q. 107 a. 1 arg. 3 Praeterea, loquens excitat audientem ut attendat suae locutioni. Sed non videtur per quid unus Angelus excitet alium ad attendendum, hoc enim fit apud nos aliquo sensibili signo. Ergo unus Angelus non loquitur alteri.
|
|
[32889] Iª q. 107 a. 1 arg. 3
3. Chi sta per parlare, eccita prima l'attenzione di chi deve ascoltare. Ma non si vede con quale mezzo un angelo potrebbe eccitare l'attenzione d'un altro angelo: giacché questo, tra noi uomini, si fa mediante segni sensibili. Quindi un angelo non parla con l'altro.
|
[32890] Iª q. 107 a. 1 s. c. Sed contra est quod dicitur I Cor. XIII, si linguis hominum loquar et Angelorum.
|
|
[32890] Iª q. 107 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Sta scritto: "Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli".
|
[32891] Iª q. 107 a. 1 co. Respondeo dicendum quod in Angelis est aliqua locutio, sed, sicut dicit Gregorius II Moral., dignum est ut mens nostra, qualitatem corporeae locutionis excedens, ad sublimes atque incognitos modos locutionis intimae suspendatur. Ad intelligendum igitur qualiter unus Angelus alii loquatur, considerandum est quod, sicut supra diximus cum de actibus et potentiis animae ageretur, voluntas movet intellectum ad suam operationem. Intelligibile autem est in intellectu tripliciter, primo quidem, habitualiter, vel secundum memoriam, ut Augustinus dicit; secundo autem, ut in actu consideratum vel conceptum; tertio, ut ad aliud relatum. Manifestum est autem quod de primo gradu in secundum transfertur intelligibile per imperium voluntatis, unde in definitione habitus dicitur, quo quis utitur cum voluerit. Similiter autem et de secundo gradu transfertur in tertium per voluntatem, nam per voluntatem conceptus mentis ordinatur ad alterum, puta vel ad agendum aliquid, vel ad manifestandum alteri. Quando autem mens convertit se ad actu considerandum quod habet in habitu, loquitur aliquis sibi ipsi, nam ipse conceptus mentis interius verbum vocatur. Ex hoc vero quod conceptus mentis angelicae ordinatur ad manifestandum alteri, per voluntatem ipsius Angeli, conceptus mentis unius Angeli innotescit alteri, et sic loquitur unus Angelus alteri. Nihil est enim aliud loqui ad alterum, quam conceptum mentis alteri manifestare.
|
|
[32891] Iª q. 107 a. 1 co.
RISPONDO: Esiste una locuzione negli angeli; "è necessario però", come osserva S. Gregorio, "che la mente nostra si elevi al di sopra delle condizioni del parlare materiale e consideri i sublimi e occulti modi del parlare interiore". Per capire dunque in che modo un angelo parli all'altro, bisogna ricordare, come abbiamo detto precedentemente, trattando degli atti e delle potenze dell'anima, che è la volontà a muovere l'intelletto alla sua operazione. Ora l'oggetto intelligibile si trova nell'intelletto in tre modi: primo, sotto forma di abito, cioè come oggetto della memoria, conforme all'insegnamento di S. Agostino; secondo, come oggetto del pensiero attuale; terzo, come riferito ad altro. È chiaro poi che il passaggio dell'oggetto dal primo modo al secondo si compie dietro il comando della volontà: tanto è vero che nella definizione dell'abito si dice: "del quale uno usa quando vuole". Sempre per mezzo della volontà si compie il passaggio dal secondo modo al terzo: è per mezzo della volontà, infatti, che il concetto della mente viene riferito ad altro, vale a dire, o all'operazione da compiere, o alla manifestazione di esso ad altri. - Ora, quando la mente si applica a considerare quello che possiede in maniera abituale, si dice che uno parla a se stesso: infatti il concetto della mente viene chiamato parola interiore. Quando poi l'idea d'una mente angelica viene ordinata dalla rispettiva volontà ad essere manifestata a un altro, essa viene ad essere conosciuta dall'altro: e così un angelo parla all'altro. Parlare, infatti, è lo stesso che manifestare agli altri i propri pensieri.
|
[32892] Iª q. 107 a. 1 ad 1 Ad primum ergo dicendum quod in nobis interior mentis conceptus quasi duplici obstaculo clauditur. Primo quidem, ipsa voluntate, quae conceptum intellectus potest retinere interius, vel ad extra ordinare. Et quantum ad hoc, mentem unius nullus alius potest videre nisi solus Deus; secundum illud I Cor. II, quae sunt hominis, nemo novit nisi spiritus hominis, qui in ipso est. Secundo autem clauditur mens hominis ab alio homine per grossitiem corporis. Unde cum etiam voluntas ordinat conceptum mentis ad manifestandum alteri, non statim cognoscitur ab alio, sed oportet aliquod signum sensibile adhibere. Et hoc est quod Gregorius dicit, II Moral., alienis oculis intra secretum mentis, quasi post parietem corporis stamus, sed cum manifestare nosmetipsos cupimus, quasi per linguae ianuam egredimur, ut quales sumus intrinsecus, ostendamus. Hoc autem obstaculum non habet Angelus. Et ideo quam cito vult manifestare suum conceptum, statim alius cognoscit.
|
|
[32892] Iª q. 107 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. In noi, il concetto interiore della mente è come racchiuso da un doppio ostacolo. Il primo ostacolo è costituito dalla stessa volontà che ha il potere di ritenere internamente quel concetto o di indirizzarlo al di fuori. E sotto questo aspetto, nessuno, ad eccezione di Dio, può vedere la mente di un altro, come scrive S. Paolo: "Nessuno tra gli uomini conosce le cose dell'uomo, tranne lo spirito dell'uomo che è in lui". - Il secondo ostacolo è costituito dalla materialità del corpo. Di qui avviene che, anche quando la volontà ha ordinato il concetto della mente a essere manifestato a un altro, esso non è subito conosciuto dall'altro, ma si richiedono dei segni sensibili. A questo proposito scrive S. Gregorio: "Per gli occhi estranei noi stiamo nel segreto della mente quasi come dietro le pareti del corpo: ma se desideriamo manifestarci, usciamo fuori quasi passando per la porta della lingua, per mostrarci quali siamo internamente". Ora, l'angelo non ha un tale ostacolo. Quindi, appena egli ha determinato di manifestare il suo pensiero, l'altro lo conosce all'istante.
|
[32893] Iª q. 107 a. 1 ad 2 Ad secundum dicendum quod locutio exterior quae fit per vocem, est nobis necessaria propter obstaculum corporis. Unde non convenit Angelo, sed sola locutio interior; ad quam pertinet non solum quod loquatur sibi interius concipiendo, sed etiam quod ordinet per voluntatem ad alterius manifestationem. Et sic lingua Angelorum metaphorice dicitur ipsa virtus Angeli, qua conceptum suum manifestat.
|
|
[32893] Iª q. 107 a. 1 ad 2
2. Il parlare esteriore, che si effettua mediante la voce, a noi è necessario per superare l'ostacolo del corpo. Esso perciò non conviene all'angelo, ma a lui conviene solo il parlare interiore; e questo si effettua non soltanto col parlare a se stessi pensando, ma anche con l'indirizzare, per mezzo della volontà, il proprio pensiero agli altri. Quindi la lingua degli angeli metaforicamente non è che la virtù dell'angelo con la quale egli manifesta il suo pensiero.
|
[32894] Iª q. 107 a. 1 ad 3 Ad tertium dicendum quod, quantum ad Angelos bonos, qui semper se invicem vident in verbo, non esset necessarium ponere aliquid excitativum, quia sicut unus semper videt alium, ita semper videt quidquid in eo est ad se ordinatum. Sed quia etiam in statu naturae conditae sibi invicem loqui poterant, et mali Angeli etiam nunc sibi invicem loquuntur; dicendum est quod, sicut sensus movetur a sensibili, ita intellectus movetur ab intelligibili. Sicut ergo per signum sensibile excitatur sensus, ita per aliquam virtutem intelligibilem potest excitari mens Angeli ad attendendum.
|
|
[32894] Iª q. 107 a. 1 ad 3
3. Quanto agli angeli buoni, che sempre si vedono reciprocamente nel Verbo, non ci sarebbe bisogno di porre un mezzo per eccitarne l'attenzione: poiché, come l'uno vede sempre l'altro, così in esso vede sempre tutto ciò che a lui rivolge. Ma siccome gli angeli potevano parlarsi anche nello stato di natura, e gli angeli malvagi si parlano tuttora, si deve rispondere che, come il senso è mosso dall'oggetto sensibile, così l'intelletto viene mosso da quello intelligibile. Quindi, come il senso viene eccitato mediante un segno sensibile, così la mente dell'angelo può essere eccitata all'attenzione mediante una qualche virtù intellettiva.
|
|
|