Seconda parte > Gli atti umani in generale > La volizione. L'oggetto della volizione > Se il volere abbia per oggetto soltanto il fine, oppure anche le cose ordinate al fine
Prima pars secundae partis
Quaestio 8
Articulus 2
[33846] Iª-IIae q. 8 a. 2 arg. 1 Ad secundum sic proceditur. Videtur quod voluntas non sit eorum quae sunt ad finem, sed tantum finis. Dicit enim philosophus, in III Ethic., quod voluntas est finis, electio autem eorum quae sunt ad finem.
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Prima parte della seconda parte
Questione 8
Articolo 2
[33846] Iª-IIae q. 8 a. 2 arg. 1
SEMBRA che il volere non abbia per oggetto le cose ordinate al fine, ma il fine soltanto. Infatti:
1. Il Filosofo scrive nell'Etica che "il volere riguarda il fine, l'elezione invece le cose ordinate al fine".
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[33847] Iª-IIae q. 8 a. 2 arg. 2 Praeterea, ad ea quae sunt diversa genere, diversae potentiae animae ordinantur, ut dicitur in VI Ethic. Sed finis et ea quae sunt ad finem sunt in diverso genere boni, nam finis, qui est bonum honestum vel delectabile, est in genere qualitatis, vel actionis aut passionis; bonum autem quod dicitur utile, quod est ad finem, est in ad aliquid, ut dicitur in I Ethic. Ergo, si voluntas est finis, non erit eorum quae sunt ad finem.
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[33847] Iª-IIae q. 8 a. 2 arg. 2
2. Aristotele insegna nel medesimo libro, che " per cose di genere diverso sono predisposte potenze psichiche diverse". Ora, il fine e le cose ordinate al fine sono beni di genere diverso: infatti il fine, che è un bene onesto o dilettevole, è nel genere di qualità, o come azione, o come passione; invece il bene utile, cioè quello ordinato a un fine, è nel genere di relazione, secondo Aristotele. Dunque, se il volere ha per oggetto il fine non può avere per oggetto le cose ordinate al fine.
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[33848] Iª-IIae q. 8 a. 2 arg. 3 Praeterea, habitus proportionantur potentis, cum sint earum perfectiones. Sed in habitibus qui dicuntur artes operativae, ad aliud pertinet finis, et ad aliud quod est ad finem, sicut ad gubernatorem pertinet usus navis, qui est finis eius; ad navifactivam vero constructio navis, quae est propter finem. Ergo, cum voluntas sit finis, non erit eorum quae sunt ad finem.
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[33848] Iª-IIae q. 8 a. 2 arg. 3
3. Gli abiti sono proporzionati alle potenze; essendo essi le loro perfezioni. Ora negli abiti chiamati arti operative il fine e le cose, ordinate al fine appartengono a cose diverse: l'uso della nave, p. es., spetta al pilota; mentre la costruzione della nave, che è ordinata a codesto fine, spetta all'arte di fabbricare le navi. E poiché il volere ha per oggetto il fine, non potrà avere per oggetto le cose ordinate al fine.
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[33849] Iª-IIae q. 8 a. 2 s. c. Sed contra est, quia in rebus naturalibus per eandem potentiam aliquid pertransit media, et pertingit ad terminum. Sed ea quae sunt ad finem, sunt quaedam media per quae pervenitur ad finem sicut ad terminum. Ergo, si voluntas est finis, ipsa etiam est eorum quae sunt ad finem.
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[33849] Iª-IIae q. 8 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: Nelle cose materiali un corpo passa attraverso lo spazio intermedio e raggiunge il suo termine mediante un'unica potenza. Ora, le cose ordinate al fine sono altrettante posizioni intermedie, attraverso le quali si giunge al fine come ad ultimo termine. Se dunque il volere ha per oggetto il fine, deve avere per oggetto anche le cose che sono ordinate al fine.
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[33850] Iª-IIae q. 8 a. 2 co. Respondeo dicendum quod voluntas quandoque dicitur ipsa potentia qua volumus; quandoque autem ipse voluntatis actus. Si ergo loquamur de voluntate secundum quod nominat potentiam, sic se extendit et ad finem, et ad ea quae sunt ad finem. Ad ea enim se extendit unaquaeque potentia, in quibus inveniri potest quocumque modo ratio sui obiecti, sicut visus se extendit ad omnia quaecumque participant quocumque modo colorem. Ratio autem boni, quod est obiectum potentiae voluntatis, invenitur non solum in fine, sed etiam in his quae sunt ad finem. Si autem loquamur de voluntate secundum quod nominat proprie actum, sic, proprie loquendo, est finis tantum. Omnis enim actus denominatus a potentia, nominat simplicem actum illius potentiae, sicut intelligere nominat simplicem actum intellectus. Simplex autem actus potentiae est in id quod est secundum se obiectum potentiae. Id autem quod est propter se bonum et volitum, est finis. Unde voluntas proprie est ipsius finis. Ea vero quae sunt ad finem, non sunt bona vel volita propter seipsa, sed ex ordine ad finem. Unde voluntas in ea non fertur, nisi quatenus fertur in finem, unde hoc ipsum quod in eis vult, est finis. Sicut et intelligere proprie est eorum quae secundum se cognoscuntur, scilicet principiorum, eorum autem quae cognoscuntur per principia, non dicitur esse intelligentia, nisi inquantum in eis ipsa principia considerantur, sic enim se habet finis in appetibilibus, sicut se habet principium in intelligibilibus, ut dicitur in VII Ethic.
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[33850] Iª-IIae q. 8 a. 2 co.
RISPONDO: Il volere talora indica la facoltà con la quale vogliamo; altre volte invece indica l'atto stesso della volontà. Se dunque parliamo del volere in quanto sta a indicare la facoltà, allora esso abbraccia il fine e le cose ordinate al fine. Infatti ogni potenza abbraccia tutte le cose in cui si trova in qualche modo la natura del proprio oggetto: la vista, p. es., abbraccia tutte le cose che in qualche modo partecipano del colore. Ora, il bene, che è l'oggetto della facoltà volitiva, non si trova soltanto nel fine, ma anche nelle cose ordinate al fine.
Se invece parliamo propriamente del volere in quanto sta a indicare l'atto, allora esso ha per oggetto, propriamente parlando, soltanto il fine. Infatti ogni atto denominato dalla rispettiva potenza,
designa l'atto genuino di quella potenza: l'intelligere, p. es., indica l'atto più elementare dell'intelletto. Ma, l'atto genuino di una potenza ha di mira ciò che forma per se stesso l'oggetto della potenza medesima. Ora, la cosa che è buona e voluta di per se stessa è il fine. Dunque il volere ha propriamente per oggetto il fine. Le cose invece che dicono ordine al fine non sono buone e volute per se stesse, ma in ordine al fine. Dunque il volere non si porta su di esse, se non in quanto va verso il fine: cosicché anche in esse vuole il fine. Allo stesso modo l'intellezione ha propriamente per oggetto le cose di per sé intelligibili, cioè i [primi] principii: invece le cose conosciute mediante i principii non sono oggetto di intelligenza, se non in quanto si scorgono in esse i [primi] principii: infatti, come scrive Aristotele, "il fine sta alle cose appetibili, come i principii a quelle intelligibili".
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[33851] Iª-IIae q. 8 a. 2 ad 1 Ad primum ergo dicendum quod philosophus loquitur de voluntate, secundum quod proprie nominat simplicem actum voluntatis, non autem secundum quod nominat potentiam.
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[33851] Iª-IIae q. 8 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il Filosofo parla in quel testo del volere, in quanto propriamente indica l'atto genuino della volontà: non in quanto indica la potenza.
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[33852] Iª-IIae q. 8 a. 2 ad 2 Ad secundum dicendum quod ad ea quae sunt diversa genere ex aequo se habentia, ordinantur diversae potentiae, sicut sonus et color sunt diversa genera sensibilium, ad quae ordinantur auditus et visus. Sed utile et honestum non ex aequo se habent, sed sicut quod est secundum se et secundum alterum. Huiusmodi autem semper referuntur ad eandem potentiam, sicut per potentiam visivam sentitur et color, et lux, per quam color videtur.
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[33852] Iª-IIae q. 8 a. 2 ad 2
2. Per cose di genere diverso, che non sono tra loro subordinate, sono preordinate potenze diverse: il suono e il colore, p. es., sono cose sensibili di genere diverso, per cui si richiedono l'udito e la vista. Ma il bene utile e quello onesto non sono pari tra loro, ma subordinati, come ciò che è di per sé e ciò che è tale in rapporto ad esso. E cose di codesto genere fanno sempre capo a un'unica potenza: così mediante la sola vista si percepisce e il colore e la luce che serve a far vedere il colore.
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[33853] Iª-IIae q. 8 a. 2 ad 3 Ad tertium dicendum quod non quidquid diversificat habitum, diversificat potentiam, habitus enim sunt quaedam determinationes potentiarum ad aliquos speciales actus. Et tamen quaelibet ars operativa considerat et finem et id quod est ad finem. Nam ars gubernativa considerat quidem finem, ut quem operatur, id autem quod est ad finem, ut quod imperat. E contra vero navifactiva considerat id quod est ad finem, ut quod operatur, id vero quod est finis, ut ad quod ordinat id quod operatur. Et iterum in unaquaque arte operativa est aliquis finis proprius, et aliquid quod est ad finem, quod proprie ad illam artem pertinet.
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[33853] Iª-IIae q. 8 a. 2 ad 3
3. Non è detto che esiga una diversità di potenze tutto quello che impone una diversità di abiti: poiché gli abiti sono speciali determinazioni delle potenze per certi atti determinati. Si aggiunga che qualsiasi arte operativa considera, sia il fine, sia le cose ordinate al fine. L'arte nautica, p. es., considera e il fine. come cosa da operare; e i mezzi necessari per il fine come cose da preordinare. Al contrario l'arte di fabbricare le navi considera i mezzi necessari al fine [la navigazione], come cosa da operare; e ciò che costituisce il fine come termine ultimo cui subordinare ciò che opera. E quindi in ogni arte c'è un fine proprio, e ci sono delle cose [i mezzi] ordinate al fine che è proprio di quell'arte.
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