Seconda parte > Gli atti umani in generale > La fruizione, quale atto della volontà > Se non esista altra fruizione che quella dell'ultimo fine
Prima pars secundae partis
Quaestio 11
Articulus 3
[33963] Iª-IIae q. 11 a. 3 arg. 1 Ad tertium sic proceditur. Videtur quod fruitio non sit tantum ultimi finis. Dicit enim apostolus, ad Philem., ita, frater, ego te fruar in domino. Sed manifestum est quod Paulus non posuerat ultimum suum finem in homine. Ergo frui non tantum est ultimi finis.
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Prima parte della seconda parte
Questione 11
Articolo 3
[33963] Iª-IIae q. 11 a. 3 arg. 1
SEMBRA che non esista altra fruizione che quella dell'ultimo fine.
Infatti:
1. L'Apostolo scriveva a Filemone: " Sì, fratello, possa io fruire di te nel Signore". Ora, è evidente che Paolo non aveva riposto il suo ultimo fine in un uomo. Dunque non c'è la sola fruizione dell'ultimo fine.
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[33964] Iª-IIae q. 11 a. 3 arg. 2 Praeterea, fructus est quo aliquis fruitur. Sed apostolus dicit, ad Galat. V, fructus spiritus est caritas, gaudium, pax, et cetera huiusmodi; quae non habent rationem ultimi finis. Non ergo fruitio est tantum ultimi finis.
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[33964] Iª-IIae q. 11 a. 3 arg. 2
2. Il frutto è la cosa di cui uno fruisce. Ma l'Apostolo scrive: "Frutto dello Spirito è l'amore, la gioia, la pace", ed altre cose del genere; le quali non hanno la natura di ultimo fine. Dunque la fruizione non si restringe all'ultimo fine.
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[33965] Iª-IIae q. 11 a. 3 arg. 3 Praeterea, actus voluntatis supra seipsos reflectuntur, volo enim me velle, et amo me amare. Sed frui est actus voluntatis, voluntas enim est per quam fruimur, ut Augustinus dicit X de Trin. Ergo aliquis fruitur sua fruitione. Sed fruitio non est ultimus finis hominis, sed solum bonum increatum, quod est Deus. Non ergo fruitio est solum ultimi finis.
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[33965] Iª-IIae q. 11 a. 3 arg. 3
3. Gli atti della volontà possono riflettere su se stessi: infatti io voglio volere, amo di amare. Ora, fruire è un atto della volontà; poiché "la volontà è la facoltà mediante la quale noi abbiamo la fruizione", come scrive S. Agostino. Perciò uno può fruire della propria fruizione. D'altra parte non è la fruizione l'ultimo fine dell'uomo, ma soltanto il bene increato, cioè Dio. Dunque la fruizione non si limita all'ultimo fine.
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[33966] Iª-IIae q. 11 a. 3 s. c. Sed contra est quod Augustinus dicit, X de Trin., non fruitur si quis id quod in facultatem voluntatis assumit, propter aliud appetit. Sed solum ultimus finis est qui non propter aliud appetitur. Ergo solius ultimi finis est fruitio.
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[33966] Iª-IIae q. 11 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino scrive: "Non si ha fruizione, quando uno fa oggetto della sua facoltà volitiva una cosa, desiderandola in vista di un'altra". Ora, soltanto l'ultimo fine non viene desiderato in vista di altre cose. Dunque la fruizione è limitata all'ultimo fine.
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[33967] Iª-IIae q. 11 a. 3 co. Respondeo dicendum quod, sicut dictum est, ad rationem fructus duo pertinent, scilicet quod sit ultimum; et quod appetitum quietet quadam dulcedine vel delectatione. Ultimum autem est simpliciter, et secundum quid, simpliciter quidem, quod ad aliud non refertur; sed secundum quid, quod est aliquorum ultimum. Quod ergo est simpliciter ultimum, in quo aliquid delectatur sicut in ultimo fine, hoc proprie dicitur fructus, et eo proprie dicitur aliquis frui. Quod autem in seipso non est delectabile, sed tantum appetitur in ordine ad aliud, sicut potio amara ad sanitatem; nullo modo fructus dici potest. Quod autem in se habet quandam delectationem, ad quam quaedam praecedentia referuntur, potest quidem aliquo modo dici fructus, sed non proprie, et secundum completam rationem fructus, eo dicimur frui. Unde Augustinus, in X de Trin., dicit quod fruimur cognitis in quibus voluntas delectata conquiescit. Non autem quiescit simpliciter nisi in ultimo, quia quandiu aliquid expectatur, motus voluntatis remanet in suspenso, licet iam ad aliquid pervenerit. Sicut in motu locali, licet illud quod est medium in magnitudine, sit principium et finis; non tamen accipitur ut finis in actu, nisi quando in eo quiescitur.
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[33967] Iª-IIae q. 11 a. 3 co.
RISPONDO: Come abbiamo già detto, la nozione di frutto implica due elementi: che la cosa sia ultima, e che sazi l'appetito con una certa dolcezza o godimento. Ora, una cosa può essere ultima, o in modo assoluto, o in senso relativo: è ultimo in modo assoluto ciò che è tale senza riferimento ad altri; è ultimo in senso relativo ciò che è ultimo rispetto ad altri. Perciò, propriamente parlando, è frutto la sola cosa che in modo assoluto è ultima, e che viene goduta come ultimo fine: e a proposito di tale oggetto si può parlare in senso proprio di fruizione. - Le cose, al contrario, che sono gradevoli in se stesse, ma che sono desiderate in ordine ad altro, come una bevanda amara in ordine alla guarigione, in nessun modo possono chiamarsi frutti. - Invece trattandosi di cose che in sé offrono un certo godimento, verso il quale miravano degli atti precedenti, si può parlare in qualche modo di frutti; ma non di fruizione in senso proprio, e secondo la perfetta nozione di frutto. Infatti S. Agostino afferma, che "noi abbiamo la fruizione di quegli oggetti di conoscenza, nei quali la volontà compiaciuta si riposa". Assolutamente parlando, però, questa non riposa che all'ultimo: poiché il moto della volontà rimane in sospeso finche è in attesa, sebbene abbia già raggiunto qualche cosa. Così anche nel moto locale, sebbene uno dei punti intermedi possa essere principio e termine, tuttavia non si può considerare come termine effettivo, se non quando uno in esso riposa.
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[33968] Iª-IIae q. 11 a. 3 ad 1 Ad primum ergo dicendum quod, sicut Augustinus dicit in I de Doctr. Christ., si dixisset te fruar, et non addidisset in domino, videretur finem dilectionis in eo posuisse. Sed quia illud addidit, in domino se posuisse finem, atque eo se frui significavit. Ut sic fratre se frui dixerit non tanquam termino, sed tanquam medio.
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[33968] Iª-IIae q. 11 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Come fa osservare S. Agostino, "se avesse detto "possa io fruire di tè", senza aggiungere "nel Signore ", poteva sembrare che egli avesse riposto in lui il fine del suo amore. Ma con quella aggiunta mostrava di aver posto il suo fine in Dio, e di voler fruire di lui". Cosicché l'Apostolo auspicava la fruizione del fratello, non come fine, ma come mezzo.
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[33969] Iª-IIae q. 11 a. 3 ad 2 Ad secundum dicendum quod fructus aliter comparatur ad arborem producentem, et aliter ad hominem fruentem. Ad arborem quidem producentem comparatur ut effectus ad causam, ad fruentem autem, sicut ultimum expectatum et delectans. Dicuntur igitur ea quae enumerat ibi apostolus, fructus, quia sunt effectus quidam spiritus sancti in nobis, unde et fructus spiritus dicuntur, non autem ita quod eis fruamur tanquam ultimo fine. Vel aliter dicendum quod dicuntur fructus, secundum Ambrosium, quia propter se petenda sunt, non quidem ita quod ad beatitudinem non referantur; sed quia in seipsis habent unde nobis placere debeant.
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[33969] Iª-IIae q. 11 a. 3 ad 2
2. Il rapporto del frutto con l'albero che lo produce è diverso da quello esistente tra il frutto e l'uomo che ne fruisce. Infatti il frutto sta all'albero che lo produce come un effetto alla sua causa: invece sta a chi ne fruisce come ultimo oggetto della sua attesa e causa del suo godimento. Perciò le cose enumerate dall'Apostolo sono chiamate frutti, poiché sono effetti determinati dello Spirito Santo in noi, e quindi vengono denominati "frutti dello Spirito": non già nel senso che di essi noi abbiamo la fruizione come dell'ultimo fine. - Oppure si potrebbe rispondere, seguendo S. Ambrogio, che sono denominati frutti, "perché sono da chiedersi per se stessi": non già perché non ordinabili alla beatitudine; ma perché in se stessi hanno qualche cosa per cui devono incontrare il nostro gradimento.
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[33970] Iª-IIae q. 11 a. 3 ad 3 Ad tertium dicendum quod, sicut supra dictum est finis dicitur dupliciter, uno modo, ipsa res; alio modo, adeptio rei. Quae quidem non sunt duo fines, sed unus finis, in se consideratus, et alteri applicatus. Deus igitur est ultimus finis sicut res quae ultimo quaeritur, fruitio autem sicut adeptio huius ultimi finis. Sicut igitur non est alius finis Deus, et fruitio Dei; ita eadem ratio fruitionis est qua fruimur Deo, et qua fruimur divina fruitione. Et eadem ratio est de beatitudine creata, quae in fruitione consistit.
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[33970] Iª-IIae q. 11 a. 3 ad 3
3. Come abbiamo spiegato nelle questioni precedenti, il fine può indicare due cose: o l'oggetto da raggiungere, o il conseguimento di esso. E non si tratta di due fini, ma di un identico fine considerato, o in se stesso, o nella sua applicazione a un soggetto. Ora, Dio è l'ultimo fine come ultimo oggetto desiderato: la fruizione invece è come il conseguimento di codesto ultimo fine. Perciò, come Dio non è un fine diverso dalla fruizione di Dio, così identico è il motivo della fruizione che abbiamo di Dio, e della fruizione che abbiamo della fruizione divina. Lo stesso vale per la beatitudine creata, che consiste nella fruizione.
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