Seconda parte > Il fine ultimo della vita umana, che è la beatitudine > Il fine ultimo dell'uomo > Se esista un fine ultimo della vita umana
Prima pars secundae partis
Quaestio 1
Articulus 4
[33430] Iª-IIae q. 1 a. 4 arg. 1 Ad quartum sic proceditur. Videtur quod non sit aliquis ultimus finis humanae vitae, sed procedatur in finibus in infinitum. Bonum enim, secundum suam rationem, est diffusivum sui; ut patet per Dionysium, IV cap. de Div. Nom. Si ergo quod procedit ex bono, ipsum etiam est bonum, oportet quod illud bonum diffundat aliud bonum, et sic processus boni est in infinitum. Sed bonum habet rationem finis. Ergo in finibus est processus in infinitum.
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Prima parte della seconda parte
Questione 1
Articolo 4
[33430] Iª-IIae q. 1 a. 4 arg. 1
SEMBRA che non esista un fine ultimo della vita umana, ma piuttosto una serie indefinita di fini. Infatti:
1. Il bene è per natura ordinato a diffondersi, come Dionigi dimostra. Ma se quanto procede dal bene, è bene esso stesso, è necessario che codesto bene diffonda altro bene: e così la promanazione del bene è senza limiti. Ora, il bene ha ragione di fine. Quindi tra i fini c'è un procedimento all'infinito.
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[33431] Iª-IIae q. 1 a. 4 arg. 2 Praeterea, ea quae sunt rationis, in infinitum multiplicari possunt, unde et mathematicae quantitates in infinitum augentur. Species etiam numerorum propter hoc sunt infinitae, quia, dato quolibet numero, ratio alium maiorem excogitare potest. Sed desiderium finis sequitur apprehensionem rationis. Ergo videtur quod etiam in finibus procedatur in infinitum.
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[33431] Iª-IIae q. 1 a. 4 arg. 2
2. Le entità dipendenti dalla ragione possono moltiplicarsi all'infinito: difatti le quantità matematiche possono crescere senza limiti. E le specie dei numeri sono anch'esse infinite, poiché, posto qualsiasi numero, la ragione può sempre escogitarne uno più grande. Ma il desiderio del fine dipende dalla ragione. Perciò anche nei fini si procede all'infinito.
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[33432] Iª-IIae q. 1 a. 4 arg. 3 Praeterea, bonum et finis est obiectum voluntatis. Sed voluntas infinities potest reflecti supra seipsam, possum enim velle aliquid, et velle me velle illud, et sic in infinitum. Ergo in finibus humanae voluntatis proceditur in infinitum, et non est aliquis ultimus finis humanae voluntatis.
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[33432] Iª-IIae q. 1 a. 4 arg. 3
3. Il bene, o fine, è oggetto della volontà. Ma la volontà può riflettere su se stessa infinite volte: posso cioè volere qualche cosa, e quindi volere di volerla, e così all'infinito. Dunque si ha un processo all'infinito nei fini del volere, e si esclude l'esistenza di un ultimo fine della volontà umana.
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[33433] Iª-IIae q. 1 a. 4 s. c. Sed contra est quod philosophus dicit, II Metaphys., quod qui infinitum faciunt, auferunt naturam boni. Sed bonum est quod habet rationem finis. Ergo contra rationem finis est quod procedatur in infinitum. Necesse est ergo ponere unum ultimum finem.
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[33433] Iª-IIae q. 1 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: Il Filosofo insegna, che "distruggono l'essenza del bene, coloro che lo riducono a un processo indefinito". Ma il bene è precisamente quello che ha ragione di fine. Dunque il processo all'infinito è contro la ragione di fine. È perciò necessario ammettere un ultimo fine.
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[33434] Iª-IIae q. 1 a. 4 co. Respondeo dicendum quod, per se loquendo, impossibile est in finibus procedere in infinitum, ex quacumque parte. In omnibus enim quae per se habent ordinem ad invicem, oportet quod, remoto primo, removeantur ea quae sunt ad primum. Unde philosophus probat, in VIII Physic., quod non est possibile in causis moventibus procedere in infinitum, quia iam non esset primum movens, quo subtracto alia movere non possunt, cum non moveant nisi per hoc quod moventur a primo movente. In finibus autem invenitur duplex ordo, scilicet ordo intentionis, et ordo executionis, et in utroque ordine oportet esse aliquid primum. Id enim quod est primum in ordine intentionis est quasi principium movens appetitum, unde, subtracto principio, appetitus a nullo moveretur. Id autem quod est principium in executione, est unde incipit operatio, unde, isto principio subtracto, nullus inciperet aliquid operari. Principium autem intentionis est ultimus finis, principium autem executionis est primum eorum quae sunt ad finem. Sic ergo ex neutra parte possibile est in infinitum procedere, quia si non esset ultimus finis, nihil appeteretur, nec aliqua actio terminaretur, nec etiam quiesceret intentio agentis; si autem non esset primum in his quae sunt ad finem, nullus inciperet aliquid operari, nec terminaretur consilium, sed in infinitum procederet. Ea vero quae non habent ordinem per se, sed per accidens sibi invicem coniunguntur, nihil prohibet infinitatem habere, causae enim per accidens indeterminatae sunt. Et hoc etiam modo contingit esse infinitatem per accidens in finibus, et in his quae sunt ad finem.
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[33434] Iª-IIae q. 1 a. 4 co.
RISPONDO: È da escludersi sotto tutti gli aspetti un vero processo all'infinito tra i fini. Poiché in ogni serie di cose ordinate tra loro, avviene necessariamente che tolta la prima vengano a cessare anche le altre connesse con quella. Il Filosofo infatti dimostra che è impossibile procedere all'infinito tra le cause del moto, poiché se non esistesse un primo motore, gli altri non potrebbero muovere, derivando essi il loro moto da quel primo motore. Ora, tra i fini esistono due tipi di ordine, e cioè l'ordine di intenzione e l'ordine di esecuzione: e in tutti e due deve esistere un primo. Quello che è primo nell'ordine di intenzione costituisce come il principio motore degli appetiti: perciò, eliminato il principio, l'appetito rimane inerte. Principio invece in ordine di esecuzione è il primo passo che uno compie nell'operare: cosicché, eliminando questo, nessuno comincerebbe mai un'operazione. Principio in ordine di intenzione è il fine ultimo; principio in ordine di esecuzione è il primo dei mezzi necessari al raggiungimento del fine. Perciò da nessuna delle due parti è possibile procedere all'infinito: poiché senza ultimo fine non ci sarebbe appetizione alcuna, nessuna azione avrebbe un termine, e l'intenzione dell'agente non sarebbe mai soddisfatta; senza un primo nell'ordine esecutivo nessuno comincerebbe mai ad operare, e il consiglio, o deliberazione, nella scelta dei mezzi sarebbe interminabile.
Le cose invece, che non hanno un ordine essenziale tra loro, ma solo un ordine per accidens, possono avere una (certa) infinità: difatti le cause per accidens sono indeterminate. E in questo senso può esserci un'infinità per accidens sia nei fini che nei mezzi preordinati al fine.
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[33435] Iª-IIae q. 1 a. 4 ad 1 Ad primum ergo dicendum quod de ratione boni est quod aliquid ab ipso effluat, non tamen quod ipsum ab alio procedat. Et ideo, cum bonum habeat rationem finis, et primum bonum sit ultimus finis, ratio ista non probat quod non sit ultimus finis; sed quod a fine primo supposito procedatur in infinitum inferius versus ea quae sunt ad finem. Et hoc quidem competeret, si consideraretur sola virtus primi boni, quae est infinita. Sed quia primum bonum habet diffusionem secundum intellectum, cuius est secundum aliquam certam formam profluere in causata; aliquis certus modus adhibetur bonorum effluxui a primo bono, a quo omnia alia bona participant virtutem diffusivam. Et ideo diffusio bonorum non procedit in infinitum, sed, sicut dicitur Sap. XI, Deus omnia disposuit in numero, pondere et mensura.
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[33435] Iª-IIae q. 1 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. È insita nella ragione di bene l'emanazione di qualche cosa da esso, non già l'emanazione di esso da un altro bene. Quindi, avendo il bene ragione di fine, ed essendo il primo bene l'ultimo fine, la ragione invocata non dimostra che non esiste un ultimo fine; ma che, stabilito un fine ultimo, si potrebbe avere un processo all'infinito in ordine discendente, una infinità di mezzi ordinati al fine. Si arriverebbe a questo, se si considerasse la sola potenza del bene supremo, che è infinita. Ma siccome il bene supremo si effonde seguendo l'intelligenza, la quale influisce sugli effetti secondo forme determinate, il fluire dei vari beni dal bene supremo, dal quale gli altri beni partecipano l'attitudine a diffondersi, segue una maniera determinata. Perciò l'attitudine dei beni ad effondersi non ha un processo all'infinito, ma, come dice la Sapienza, Dio ha tutto disposto "in numero, peso e misura".
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[33436] Iª-IIae q. 1 a. 4 ad 2 Ad secundum dicendum quod in his quae sunt per se, ratio incipit a principiis naturaliter notis, et ad aliquem terminum progreditur. Unde philosophus probat, in I Poster., quod in demonstrationibus non est processus in infinitum, quia in demonstrationibus attenditur ordo aliquorum per se ad invicem connexorum, et non per accidens. In his autem quae per accidens connectuntur, nihil prohibet rationem in infinitum procedere. Accidit autem quantitati aut numero praeexistenti, inquantum huiusmodi, quod ei addatur quantitas aut unitas. Unde in huiusmodi nihil prohibet rationem procedere in infinitum.
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[33436] Iª-IIae q. 1 a. 4 ad 2
2. Trattandosi di cose ordinate tra loro in maniera necessaria (per se), la ragione parte da principii per sé noti per giungere a un termine definito. E il Filosofo prova che nelle dimostrazioni non c'è un processo all'infinito, proprio perché in esse si ha di mira un ordine di cose non connesse tra loro per accidens, ma per se. Niente impedisce, invece, che si proceda all'infinito, trattandosi di cose connesse tra loro per accidens. A una quantità, p. es., o a un numero, presi come tali, può sempre capitare l'aggiunta di altra quantità, o di altre unità. Perciò in questo campo la ragione non trova ostacoli nel procedere all'infinito.
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[33437] Iª-IIae q. 1 a. 4 ad 3 Ad tertium dicendum quod illa multiplicatio actuum voluntatis reflexae supra seipsam, per accidens se habet ad ordinem finium. Quod patet ex hoc, quod circa unum et eundem finem indifferenter semel vel pluries supra seipsam voluntas reflectitur.
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[33437] Iª-IIae q. 1 a. 4 ad 3
3. Il ripetersi degli atti della volontà che riflette su se stessa è per accidens nell'ordine dei fini. E lo dimostra il fatto che, rispetto a un medesimo fine, la volontà può riflettere indifferentemente una o più volte.
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