[38945] IIª-IIae q. 4 a. 1 co. Respondeo dicendum quod, licet quidam dicant praedicta apostoli verba non esse fidei definitionem, tamen, si quis recte consideret, omnia ex quibus fides potest definiri in praedicta descriptione tanguntur, licet verba non ordinentur sub forma definitionis, sicut etiam apud philosophos praetermissa syllogistica forma syllogismorum principia tanguntur. Ad cuius evidentiam considerandum est quod, cum habitus cognoscantur per actus et actus per obiecta, fides, cum sit habitus quidam, debet definiri per proprium actum in comparatione ad proprium obiectum. Actus autem fidei est credere, qui, sicut supra dictum est, actus est intellectus determinati ad unum ex imperio voluntatis. Sic ergo actus fidei habet ordinem et ad obiectum voluntatis, quod est bonum et finis; et ad obiectum intellectus, quod est verum. Et quia fides, cum sit virtus theologica, sicut supra dictum est, habet idem pro obiecto et fine, necesse est quod obiectum fidei et finis proportionaliter sibi correspondeant. Dictum est autem supra quod veritas prima est obiectum fidei secundum quod ipsa est non visa et ea quibus propter ipsam inhaeretur. Et secundum hoc oportet quod ipsa veritas prima se habeat ad actum fidei per modum finis secundum rationem rei non visae. Quod pertinet ad rationem rei speratae, secundum illud apostoli, ad Rom. VIII, quod non videmus speramus, veritatem enim videre est ipsam habere; non autem sperat aliquis id quod iam habet, sed spes est de hoc quod non habetur, ut supra dictum est. Sic igitur habitudo actus fidei ad finem, qui est obiectum voluntatis, significatur in hoc quod dicitur, fides est substantia rerum sperandarum. Substantia enim solet dici prima inchoatio cuiuscumque rei, et maxime quando tota res sequens continetur virtute in primo principio, puta si dicamus quod prima principia indemonstrabilia sunt substantia scientiae, quia scilicet primum quod in nobis est de scientia sunt huiusmodi principia, et in eis virtute continetur tota scientia. Per hunc ergo modum dicitur fides esse substantia rerum sperandarum, quia scilicet prima inchoatio rerum sperandarum in nobis est per assensum fidei, quae virtute continet omnes res sperandas. In hoc enim speramus beatificari quod videbimus aperta visione veritatem cui per fidem adhaeremus, ut patet per ea quae supra de felicitate dicta sunt. Habitudo autem actus fidei ad obiectum intellectus, secundum quod est obiectum fidei, designatur in hoc quod dicitur, argumentum non apparentium. Et sumitur argumentum pro argumenti effectu, per argumentum enim intellectus inducitur ad adhaerendum alicui vero; unde ipsa firma adhaesio intellectus ad veritatem fidei non apparentem vocatur hic argumentum. Unde alia littera habet convictio, quia scilicet per auctoritatem divinam intellectus credentis convincitur ad assentiendum his quae non videt. Si quis ergo in formam definitionis huiusmodi verba reducere velit, potest dicere quod fides est habitus mentis, qua inchoatur vita aeterna in nobis, faciens intellectum assentire non apparentibus. Per hoc autem fides ab omnibus aliis distinguitur quae ad intellectum pertinent. Per hoc enim quod dicitur argumentum, distinguitur fides ab opinione, suspicione et dubitatione, per quae non est prima adhaesio intellectus firma ad aliquid. Per hoc autem quod dicitur non apparentium, distinguitur fides a scientia et intellectu, per quae aliquid fit apparens. Per hoc autem quod dicitur substantia sperandarum rerum, distinguitur virtus fidei a fide communiter sumpta, quae non ordinatur ad beatitudinem speratam. Omnes autem aliae definitiones quaecumque de fide dantur, explicationes sunt huius quam apostolus ponit. Quod enim dicit Augustinus, fides est virtus qua creduntur quae non videntur; et quod dicit Damascenus, quod fides est non inquisitus consensus; et quod alii dicunt, quod fides est certitudo quaedam animi de absentibus supra opinionem et infra scientiam; idem est ei quod apostolus dicit, argumentum non apparentium. Quod vero Dionysius dicit, VII cap. de Div. Nom., quod fides est manens credentium fundamentum, collocans eos in veritate et in ipsis veritatem, idem est ei quod dicitur, substantia sperandarum rerum.
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[38945] IIª-IIae q. 4 a. 1 co.
RISPONDO: Sebbene alcuni ritengano che le parole dell'Apostolo qui riferite non siano una definizione della fede, tuttavia, a pensarci bene in codesta descrizione si trovano tutti gli elementi per una definizione, anche se le parole non sono ordinate sotto forma di definizione. Del resto anche nei filosofi si riscontrano (spesso) gli elementi del sillogismo, fuori della forma sillogistica.
Per averne l'evidenza si deve ricordare che la fede, essendo un abito, deve essere definita dal proprio atto in relazione al proprio oggetto; perché gli abiti si conoscono dai loro atti, e gli atti dall'oggetto. Ora, l'atto della fede è credere; e credere, secondo le spiegazioni date, è un atto dell'intelletto determinato a una data cosa dal comando della volontà. Perciò l'atto della fede dice ordine, sia all'oggetto della volontà, che è il bene e il fine; sia all'oggetto dell'intelletto, che è il vero. E poiché nella fede, che, come sopra abbiamo detto, è una virtù teologale, unico deve essere il fine e l'oggetto, è necessario che l'oggetto e il fine della fede si corrispondano perfettamente. Ora, sopra abbiamo detto che oggetto della fede è la prima verità in quanto inevidente, e altre verità accettate a motivo di essa. Perciò la stessa prima verità sta all'atto di fede come fine di esso, sotto l'aspetto di cosa inevidente. E questo è appunto l'aspetto delle cose sperate, secondo le parole dell'Apostolo: "Speriamo quel che non vediamo". Infatti vedere la verità sarebbe possederla. Ora, uno non spera quello che già possiede, ma la speranza, come si disse, ha per oggetto ciò che non si possiede.
Ecco perché il rapporto dell'atto di fede col fine, che è oggetto della volontà, viene espresso con quelle parole: "Fede è sustanza di cose sperate". Infatti si suole chiamare sostanza il primo elemento di qualsiasi cosa, specialmente quando tutto lo sviluppo successivo è contenuto virtualmente in quel primo principio: potremmo dire, p. es., che i primi principi indimostrabili sono la sostanza della scienza, perché in noi il primo elemento della scienza sono codesti principi, e in essi tutta la scienza è virtualmente racchiusa. In codesto senso si dice che la fede è sostanza di cose sperate; poiché il primo inizio in noi delle cose sperate viene dall'assenso della fede, la quale contiene virtualmente tutte le cose sperate. Infatti noi speriamo di conseguire la beatitudine con l'aperta visione della verità cui abbiamo aderito con la fede, come si disse nel trattato sulla beatitudine.
Invece il rapporto dell'atto di fede con l'oggetto dell'intelligenza, in quanto oggetto di fede, è indicato dalle parole: "argomento delle non parventi". E qui argomento sta per l'effetto dell'argomento. Infatti l'intelletto è indotto dagli argomenti ad accettare qualche verità. Ecco perché qui viene chiamata argomento la stessa ferma adesione dell'intelletto alle verità di fede inevidenti. Cosicché altri testi hanno il termine "convincimento": poiché l'intelletto del credente viene convinto ad accettare le cose che non vede dall'autorità di Dio.
Perciò, se uno volesse ridurre le parole suddette in forma di definizione, potrebbe dire che "la fede è un abito intellettivo, col quale si inizia in noi la vita eterna, facendo aderire l'intelletto a cose inevidenti". Così infatti la fede viene distinta da tutte le altre funzioni intellettive. Col termine "argomento" viene distinta dall'opinione, dal sospetto e dal dubbio, nelle quali funzioni l'intelletto non ha un'adesione radicale e ferma a qualche cosa. Con le parole "non parventi" la fede viene distinta dalla scienza e dall'intuizione intellettiva, che rendono evidenti le cose. E con l'espressione "sustanza di cose sperate" la virtù della fede viene distinta dalla fede in genere, la quale non è ordinata alla beatitudine.
Del resto tutte le altre definizioni della fede, non sono che spiegazioni di quella dell'Apostolo. Infatti le parole di S. Agostino: "La fede è una virtù con la quale sono credute cose che non si vedono"; e quelle del Damasceno, che dichiarano la fede "un consenso indiscusso"; e quelle di altri, per i quali la fede è "una certezza dell'animo su cose lontane, superiore all'opinione e inferiore alla scienza", coincidono con l'espressione dell'Apostolo: "argomento delle non parventi". E l'affermazione di Dionigi, che la fede è "un fondamento stabile dei credenti, che colloca essi nella verità, e la verità in essi", si identifica con quelle parole: "sostanza di cose sperate".
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