II-II, 166

Seconda parte > Le azioni umane > La temperanza > La studiosità


Secunda pars secundae partis
Quaestio 166
Prooemium

[45681] IIª-IIae, q. 166 pr.
Deinde considerandum est de studiositate, et curiositate sibi opposita. Circa studiositatem autem quaeruntur duo.
Primo, quae sit materia studiositatis.
Secundo, utrum sit pars temperantiae.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 166
Proemio

[45681] IIª-IIae, q. 166 pr.
Passiamo ora a trattare della studiosità e del suo contrario che è la curiosità. A proposito della studiosità si pongono due quesiti:
1. Quale sia la materia della studiosità;
2. Se essa sia tra le parti della temperanza.




Seconda parte > Le azioni umane > La temperanza > La studiosità > Se materia della studiosità sia propriamente la conoscenza


Secunda pars secundae partis
Quaestio 166
Articulus 1

[45682] IIª-IIae, q. 166 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod materia studiositatis non sit proprie cognitio. Studiosus enim dicitur aliquis ex eo quod adhibet studium aliquibus rebus. Sed in qualibet materia debet homo studium adhibere, ad hoc quod recte faciat quod est faciendum. Ergo videtur quod non sit specialis materia studiositatis cognitio.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 166
Articolo 1

[45682] IIª-IIae, q. 166 a. 1 arg. 1
SEMBRA che materia della studiosità non sia propriamente la conoscenza. Infatti:
1. Si dice che è uno studioso per il fatto che mette dello studio nel fare qualche cosa. Ma un uomo deve mettere studio in tutti i campi, per far bene quello che deve fare. Perciò materia speciale della studiosità non è la conoscenza.

[45683] IIª-IIae, q. 166 a. 1 arg. 2
Praeterea, studiositas curiositati opponitur. Sed curiositas, quae a cura dicitur, potest esse etiam circa ornatum vestium, et circa alia huiusmodi quae pertinent ad corpus, unde apostolus dicit, Rom. XIII, carnis curam ne feceritis in desideriis. Ergo studiositas non est solum circa cognitionem.

 

[45683] IIª-IIae, q. 166 a. 1 arg. 2
2. La studiosità è il contrario della curiosità. Ma la curiosità, che deriva da cura, può riferirsi al vestito, e ad altre cose riguardanti il corpo, come si accenna in quel testo paolino: "Non abbiate cura della carne sì da subirne i desideri". Perciò la studiosità non riguarda solo la conoscenza.

[45684] IIª-IIae, q. 166 a. 1 arg. 3
Praeterea, Ierem. VI dicitur, a minori usque ad maiorem, omnes avaritiae student. Sed avaritia non est proprie circa cognitionem, sed magis circa possessionem divitiarum, ut supra habitum est. Ergo studiositas, quae a studio dicitur, non est proprie circa cognitionem.

 

[45684] IIª-IIae, q. 166 a. 1 arg. 3
3. In Geremia si legge: "Tutti, dal minore al maggiore si applicano studiosamente all'avarizia". Ora, l'avarizia non riguarda la conoscenza, bensì il possesso delle ricchezze, come sopra abbiamo visto. Dunque la studiosità non riguarda propriamente la conoscenza.

[45685] IIª-IIae, q. 166 a. 1 s. c.
Sed contra est quod dicitur Prov. XXVII, stude sapientiae, fili mi, et laetifica cor meum, ut possis respondere sermonem. Sed eadem studiositas est quae laudatur ut virtus, et ad quam lex invitat. Ergo studiositas proprie est circa cognitionem.

 

[45685] IIª-IIae, q. 166 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Sta scritto: "Applicati, o figliolo, allo studio della sapienza, e rallegrami il cuore, affinché tu possa rispondere". Ora, la studiosità che viene lodata come virtù è identica a quella raccomandata dalla legge di Dio. Perciò la studiosità propriamente riguarda la conoscenza.

[45686] IIª-IIae, q. 166 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod studium praecipue importat vehementem applicationem mentis ad aliquid. Mens autem non applicatur ad aliquid nisi cognoscendo illud. Unde per prius mens applicatur ad cognitionem, secundario autem applicatur ad ea in quibus homo per cognitionem dirigitur. Et ideo studium per prius respicit cognitionem, et per posterius quaecumque alia ad quae operanda directione cognitionis indigemus. Virtutes autem proprie sibi attribuunt illam materiam circa quam primo et principaliter sunt, sicut fortitudo pericula mortis, et temperantia delectationem tactus. Et ideo studiositas proprie dicitur circa cognitionem.

 

[45686] IIª-IIae, q. 166 a. 1 co.
RISPONDO: Lo studio implica soprattutto forte applicazione dell'anima a qualche cosa. Ora, l'anima non si applica a qualche cosa, se non la conosce. Perciò prima di tutto l'anima si applica alla conoscenza: secondariamente si applica a quegli atti cui l'uomo viene indirizzato dalla cognizione. Quindi lo studio riguarda innanzi tutto la conoscenza; e in secondo luogo tutte le altre attività nelle quali abbiamo bisogno di essere diretti dalla cognizione. Le virtù però hanno come materia propria quello che forma il loro oggetto primario e principale: per la fortezza, p. es., oggetto sono i pericoli di morte; e per la temperanza i piaceri del tatto. Dunque la studiosità propriamente riguarda la conoscenza.

[45687] IIª-IIae, q. 166 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod circa alias materias non potest aliquid recte fieri, nisi secundum quod est praeordinatum per rationem cognoscentem. Et ideo per prius studiositas cognitionem respicit, cuicumque materiae studium adhibeatur.

 

[45687] IIª-IIae, q. 166 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. In altri campi non è possibile compiere cosa alcuna con accuratezza, se non in quanto l'opera viene guidata dalla conoscenza. Perciò la studiosità riguarda innanzi tutto la conoscenza, qualunque sia la materia cui ci si voglia applicare.

[45688] IIª-IIae, q. 166 a. 1 ad 2
Ad secundum dicendum quod ex affectu hominis trahitur mens eius ad intendendum his ad quae afficitur, secundum illud Matth. VI, ubi est thesaurus tuus, ibi est et cor tuum. Et quia ad ea quibus caro fovetur, maxime homo afficitur, consequens est quod cogitatio hominis versetur praecipue circa ea quibus caro fovetur, ut scilicet homo inquirat qualiter homo optime possit carni suae subvenire. Et secundum hoc, curiositas ponitur circa ea quae ad carnem pertinent, ratione eorum quae ad cognitionem pertinent.

 

[45688] IIª-IIae, q. 166 a. 1 ad 2
2. L'affetto porta la mente dell'uomo a considerare con attenzione le cose che premono, secondo le parole evangeliche: "Dov'è il tuo tesoro, là v'è anche il tuo cuore". E poiché l'uomo è attaccatissimo alle cose che giovano alla carne, ne segue che il pensiero dell'uomo si occupa principalmente di esse: egli cioè s'industria per provvedere nel miglior modo alla propria carne. È in tal senso che si parla di curiosità rispetto alle cose della carne, in quanto vi è interessata la conoscenza.

[45689] IIª-IIae, q. 166 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod avaritia inhiat ad lucra conquirenda, ad quod maxime necessaria est quaedam peritia terrenarum rerum. Et secundum hoc, studium attribuitur his quae ad avaritiam spectant.

 

[45689] IIª-IIae, q. 166 a. 1 ad 3
3. L'avarizia aspira al guadagno, per il quale è sommamente necessaria una certa esperienza, o conoscenza delle cose terrene. E in tal senso si parla di studio nelle cose riguardanti l'avarizia.




Seconda parte > Le azioni umane > La temperanza > La studiosità > Se la studiosità sia parte (potenziale) della temperanza


Secunda pars secundae partis
Quaestio 166
Articulus 2

[45690] IIª-IIae, q. 166 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod studiositas non sit temperantiae pars. Studiosus enim dicitur aliquis secundum studiositatem. Sed universaliter omnis virtuosus vocatur studiosus, ut patet per philosophum, qui frequenter sic utitur nomine studiosi. Ergo studiositas est generalis virtus, et non est pars temperantiae.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 166
Articolo 2

[45690] IIª-IIae, q. 166 a. 2 arg. 1
SEMBRA che la studiosità non sia parte (potenziale) della temperanza. Infatti:
1. Per la studiosità si è chiamati studiosi. Ma qualsiasi persona virtuosa può essere così denominata: come dimostra il Filosofo, usando spesso il termine studioso per virtuoso. Dunque la studiosità è virtù in genere e non parte della temperanza.

[45691] IIª-IIae, q. 166 a. 2 arg. 2
Praeterea, studiositas, sicut dictum est, ad cognitionem pertinet. Sed cognitio non pertinet ad virtutes morales, quae sunt in appetitiva animae parte, sed magis ad intellectuales, quae sunt in parte cognoscitiva, unde et sollicitudo est actus prudentiae, ut supra habitum est. Ergo studiositas non est pars temperantiae.

 

[45691] IIª-IIae, q. 166 a. 2 arg. 2
2. Studiosità si riferisce, come abbiamo detto, alla conoscenza. Ma la conoscenza non appartiene alle virtù morali, che risiedono nella parte appetitiva dell'anima, bensì alle virtù intellettuali, che risiedono nella parte conoscitiva; infatti anche la sollecitudine è un atto della prudenza, come sopra abbiamo visto. Perciò la studiosità non è parte (potenziale) della temperanza.

[45692] IIª-IIae, q. 166 a. 2 arg. 3
Praeterea, virtus quae ponitur pars alicuius principalis virtutis, assimilatur ei quantum ad modum. Sed studiositas non assimilatur temperantiae quantum ad modum. Quia temperantiae nomen sumitur ex quadam refrenatione, unde magis opponitur vitio quod est in excessu. Nomen autem studiositatis sumitur e contrario ex applicatione animae ad aliquid, unde magis videtur opponi vitio quod est in defectu, scilicet negligentiae studendi, quam vitio quod est in excessu, scilicet curiositati. Unde, propter horum similitudinem, dicit Isidorus, in libro Etymol., quod studiosus dicitur quasi studiis curiosus. Ergo studiositas non est pars temperantiae.

 

[45692] IIª-IIae, q. 166 a. 2 arg. 3
3. Una virtù che è tra le parti di qualche virtù principale deve somigliare a quella nel modo di agire. Invece la studiosità in questo non somiglia alla temperanza. Poiché temperanza dice freno: e quindi si contrappone maggiormente al vizio contrario per eccesso. Invece il termine studiosità deriva dall'applicazione dell'anima a qualche cosa: e quindi sembra opporsi di più al vizio contrario per difetto, cioè alla negligenza nello studio, che alla curiosità, la quale è vizio contrario per eccesso. Anzi la sua somiglianza con quest'ultima fa dire a S. Isidoro che "studioso" deriva da "studiis curiosus" (curioso nello studio). Quindi la studiosità non è parte della temperanza.

[45693] IIª-IIae, q. 166 a. 2 s. c.
Sed contra est quod Augustinus dicit, in libro de moribus Eccle., curiosi esse prohibemur, quod magnae temperantiae munus est. Sed curiositas prohibetur per studiositatem moderatam. Ergo studiositas est pars temperantiae.

 

[45693] IIª-IIae, q. 166 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino ha scritto: "Ci è proibito di essere curiosi: e ciò si ottiene con una grande temperanza". Ma la curiosità è esclusa da una studiosità moderata. Dunque la studiosità è tra le parti della temperanza.

[45694] IIª-IIae, q. 166 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, ad temperantiam pertinet moderari motum appetitus, ne superflue tendat in id quod naturaliter concupiscitur. Sicut autem naturaliter homo concupiscit delectationes ciborum et venereorum secundum naturam corporalem, ita secundum animam naturaliter desiderat cognoscere aliquid, unde et philosophus dicit, in I Metaphys., quod omnes homines naturaliter scire desiderant. Moderatio autem huius appetitus pertinet ad virtutem studiositatis. Unde consequens est quod studiositas sit pars potentialis temperantiae, sicut virtus secundaria ei adiuncta ut principali virtuti. Et comprehenditur sub modestia, ratione superius dicta.

 

[45694] IIª-IIae, q. 166 a. 2 co.
RISPONDO: Come abbiamo già notato, la temperanza ha il compito di moderare i moti dell'appetito, perché non ecceda nel tendere verso ciò che naturalmente si desidera. Ora, l'uomo, come brama istintivamente con la sua natura corporea i piaceri venerei e gastronomici, così con la sua anima desidera naturalmente di conoscere, secondo l'affermazione del Filosofo: "Tutti gli uomini per natura desiderano di conoscere". Ebbene, la moderazione di codesto desiderio appartiene alla virtù della studiosità. Quindi la studiosità è parte potenziale della temperanza, quale virtù annessa di detta virtù cardinale. E rientra nella modestia, come sopra abbiamo spiegato.

[45695] IIª-IIae, q. 166 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod prudentia est completiva omnium virtutum moralium, ut dicitur in VI Ethic. Inquantum igitur cognitio prudentiae ad omnes virtutes pertinet, intantum nomen studiositatis, quae proprie circa cognitionem est, ad omnes virtutes derivatur.

 

[45695] IIª-IIae, q. 166 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La prudenza è il coronamento di tutte le virtù morali, a detta di Aristotele. Ora, come il discernimento della prudenza rientra in tutte le virtù, così può applicarsi a tutte il termine studiosità, il quale riguarda appunto la conoscenza.

[45696] IIª-IIae, q. 166 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod actus cognoscitivae virtutis imperatur a vi appetitiva, quae est motiva omnium virium, ut supra habitum est. Et ideo circa cognitionem duplex bonum potest attendi. Unum quidem, quantum ad ipsum actum cognitionis. Et tale bonum pertinet ad virtutes intellectuales, ut scilicet homo circa singula aestimet verum. Aliud autem est bonum quod pertinet ad actum appetitivae virtutis, ut scilicet homo habeat appetitum rectum applicandi vim cognoscitivam sic vel aliter, ad hoc vel ad illud. Et hoc pertinet ad virtutem studiositatis. Unde computatur inter virtutes morales.

 

[45696] IIª-IIae, q. 166 a. 2 ad 2
2. Gli atti delle potenze conoscitive possono essere imperati dalla facoltà appetitiva, la quale, come abbiamo visto, può muovere tutte le nostre facoltà. Perciò nella conoscenza si possono distinguere due tipi di bontà. La prima riguarda l'atto stesso della conoscenza. E tale bontà è proprio delle virtù intellettuali: p. es., che su ogni cosa si sappia la verità. - L'altro tipo di bontà riguarda l'atto delle potenze appetitive; e cioè che si abbia la volontà retta di applicare le facoltà conoscitive in un modo o in un altro, a una cosa o ad un'altra. E questo spetta alla virtù della studiosità. Perciò quest'ultima viene enumerata tra le virtù morali.

[45697] IIª-IIae, q. 166 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod, sicut philosophus dicit, in II Ethic., ad hoc quod homo fiat virtuosus, oportet quod servet se ab his ad quae maxime inclinat natura. Et inde est quod, quia natura praecipue inclinat ad timendum mortis pericula et ad sectandum delectabilia carnis, quod laus virtutis fortitudinis praecipue consistit in quadam firmitate persistendi contra huiusmodi pericula, et laus virtutis temperantiae in quadam refrenatione a delectabilibus carnis. Sed quantum ad cognitionem, est in homine contraria inclinatio. Quia ex parte animae, inclinatur homo ad hoc quod cognitionem rerum desideret, et sic oportet ut homo laudabiliter huiusmodi appetitum refrenet, ne immoderate rerum cognitioni intendat. Ex parte vero naturae corporalis, homo inclinatur ad hoc ut laborem inquirendi scientiam vitet. Quantum igitur ad primum, studiositas in refrenatione consistit, et secundum hoc ponitur pars temperantiae. Sed quantum ad secundum laus huius virtutis consistit in quadam vehementia intentionis ad scientiam rerum percipiendam, et ex hoc nominatur. Primum autem est essentialius huic virtuti quam secundum. Nam appetitus cognoscendi per se respicit cognitionem, ad quam ordinatur studiositas. Sed labor addiscendi est impedimentum quoddam cognitionis, unde respicitur ab hac virtute per accidens, quasi removendo prohibens.

 

[45697] IIª-IIae, q. 166 a. 2 ad 3
3. Come dice il Filosofo, perché un uomo sia virtuoso, si richiede che si guardi da ciò cui tende maggiormente per natura. Infatti, siccome la natura inclina specialmente a temere i pericoli di morte e a seguire i piaceri della carne, ecco che il valore della fortezza consiste in una certa fermezza di fronte a questi pericoli, e il valore della temperanza sta nel tenere a freno le attrattive della carne. Ma rispetto alla conoscenza ci sono nell'uomo due tendenze contrastanti. Poiché per parte dell'anima l'uomo è inclinato a desiderare la conoscenza delle cose: e da questo lato deve tenere a freno tale desiderio, per non cercare sregolatamente la conoscenza. Invece per parte della natura corporea l'uomo è incline ad evitare la fatica per l'acquisto della scienza. Perciò rispetto alla prima di queste tendenze la studiosità è un freno: e per questo è tra le parti della temperanza. Invece rispetto alla seconda il valore di questa virtù sta in una certa forza di applicazione nell'acquisto della scienza: e da essa prende il nome. La prima però di tali tendenze è più essenziale della seconda in questa virtù. Infatti il desiderio di conoscere è essenziale alla conoscenza, cui la studiosità è ordinata. Invece la fatica dello studio è un ostacolo alla conoscenza; e quindi è una cosa accidentale per questa virtù, che ha in essa una difficoltà da superare.

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