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Se la superbia del primo uomo consistesse nel desiderare la somiglianza con Dio
Secunda pars secundae partis
Quaestio 163
Articulus 2
[45599] IIª-IIae, q. 163 a. 2 arg. 1 Ad secundum sic proceditur. Videtur quod superbia primi hominis non fuerit in hoc quod appetierit divinam similitudinem. Nullus enim peccat appetendo id quod sibi competit secundum suam naturam. Sed similitudo Dei competit homini secundum suam naturam, dicitur enim Gen. I, faciamus hominem ad imaginem et similitudinem nostram. Ergo non peccavit divinam similitudinem appetendo.
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Seconda parte della seconda parte
Questione 163
Articolo 2
[45599] IIª-IIae, q. 163 a. 2 arg. 1
SEMBRA che la superbia del primo uomo non consistesse nel desiderare la somiglianza con Dio. Infatti:
1. Nessuno pecca col desiderare ciò che gli compete per natura. Ora, la somiglianza con Dio compete all'uomo per la sua natura; poiché si legge nella Genesi: "Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza". Quindi egli non peccò col desiderare la somiglianza con Dio.
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[45600] IIª-IIae, q. 163 a. 2 arg. 2 Praeterea, in hoc videtur primus homo divinam similitudinem appetiisse, ut scientia boni et mali potiretur, hoc enim ei a serpente suggerebatur, eritis sicut dii, scientes bonum et malum. Sed appetitus scientiae est homini naturalis, secundum illud philosophi, in principio Metaphys., omnes homines natura scire desiderant. Ergo non peccavit appetendo divinam similitudinem.
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[45600] IIª-IIae, q. 163 a. 2 arg. 2
2. Il primo uomo desiderò la somiglianza con Dio per avere la scienza del bene e del male: "Sarete come dei, venendo a conoscere il bene e il male". Ma il desiderio del sapere è naturale nell'uomo, come dichiara il Filosofo: "Tutti gli uomini per natura desiderano di conoscere". Perciò il peccato dei progenitori non fu il desiderio della somiglianza con Dio.
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[45601] IIª-IIae, q. 163 a. 2 arg. 3 Praeterea, nullus sapiens eligit id quod est impossibile. Primus autem homo sapientia praeditus erat, secundum illud Eccli. XVII, disciplina intellectus replevit illos. Cum ergo omne peccatum consistat in appetitu deliberato, qui est electio, videtur quod primus homo non peccaverit appetendo aliquid impossibile. Sed impossibile est esse hominem similem Deo, secundum illud Exodi XV, quis similis tui in fortibus, domine? Ergo primus homo non peccavit appetendo divinam similitudinem.
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[45601] IIª-IIae, q. 163 a. 2 arg. 3
3. Nessun uomo saggio delibera ed elegge cose impossibili. Ora, i nostri progenitori erano dotati di saggezza, come è affermato nell'Ecclesiaste: "Li riempì del sapere dell'intelligenza". E poiché tutti i peccati consistono in un desiderio deliberato, che è l'elezione, è chiaro che il primo uomo non poté peccare desiderando una cosa impossibile. Ma è impossibile che l'uomo sia simile a Dio; come si legge nell'Esodo: "Chi tra i forti è simile a te, Signore?". Perciò il primo uomo non poté peccare desiderando la somiglianza con Dio.
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[45602] IIª-IIae, q. 163 a. 2 s. c. Sed contra est quod super illud Psalmi, quae non rapui, tunc exsolvebam, dicit Augustinus, Adam et Eva rapere voluerunt divinitatem, et perdiderunt felicitatem.
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[45602] IIª-IIae, q. 163 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: S. Agostino nel suo commento ai Salmi afferma: "Adamo ed Eva tentarono di rapire la divinità, e perdettero la felicità".
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[45603] IIª-IIae, q. 163 a. 2 co. Respondeo dicendum quod duplex est similitudo. Una omnimodae aequiparantiae. Et hanc similitudinem ad Deum primi parentes non appetierunt, quia talis similitudo ad Deum non cadit in apprehensione, praecipue sapientis. Alia autem est similitudo imitationis, qualis possibilis est creaturae ad Deum, inquantum videlicet participat aliquid de similitudine ipsius secundum suum modum. Unde Dionysius dicit, in IX cap. de Div. Nom., eadem similia sunt Deo, et dissimilia, hoc quidem secundum contingentem imitationem; hoc autem secundum quod causata minus habent a causa. Quodlibet autem bonum in creatura existens est quaedam participata similitudo primi boni. Et ideo ex hoc ipso quod homo appetiit aliquod spirituale bonum supra suam mensuram, ut dictum est, consequens est quod appetierit divinam similitudinem inordinate. Considerandum tamen est quod appetitus proprie est rei non habitae. Bonum autem spirituale secundum quod creatura rationalis participat divinam similitudinem, potest secundum tria attendi. Primo quidem, secundum ipsum esse naturae. Et talis similitudo ab ipso creationis principio fuit impressa et homini, de quo dicitur, Gen. I, quod fecit Deus hominem ad imaginem et similitudinem suam; et Angelo, de quo dicitur, Ezech. XXVIII, tu signaculum similitudinis. Secundo vero, quantum ad cognitionem. Et hanc etiam similitudinem in sui creatione Angelus accepit, unde in praemissis verbis, cum dictum esset, tu signaculum similitudinis, statim subditur, plenus sapientia. Sed primus homo in sua creatione istam similitudinem nondum actu adeptus erat, sed solum in potentia. Tertio, quantum ad potestatem operandi. Et hanc similitudinem nondum erant in actu assecuti neque Angelus neque homo in ipso creationis principio, quia utrique restabat aliquid agendum quo ad beatitudinem perveniret. Et ideo cum uterque, scilicet Diabolus et primus homo, inordinate divinam similitudinem appetierint, neuter eorum peccavit appetendo similitudinem naturae. Sed primus homo peccavit principaliter appetendo similitudinem Dei quantum ad scientiam boni et mali, sicut serpens ei suggessit, ut scilicet per virtutem propriae naturae determinaret sibi quid esset bonum et quid malum ad agendum; vel etiam ut per seipsum praecognosceret quid sibi boni vel mali esset futurum. Et secundario peccavit appetendo similitudinem Dei quantum ad propriam potestatem operandi, ut scilicet virtute propriae naturae operaretur ad beatitudinem consequendam, unde Augustinus dicit, XI super Gen. ad Litt., quod menti mulieris inhaesit amor propriae potestatis. Sed Diabolus peccavit appetendo similitudinem Dei quantum ad potestatem, unde Augustinus dicit, in libro de vera Relig., quod magis voluit sua potentia frui quam Dei. Veruntamen quantum ad aliquid uterque Deo aequiparari appetiit, inquantum scilicet uterque sibi inniti voluit, contempto divinae regulae ordine.
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[45603] IIª-IIae, q. 163 a. 2 co.
RISPONDO: Ci sono due tipi di somiglianza. Il primo di uguaglianza assoluta. E questa non poté essere desiderata dai nostri progenitori: perché tale somiglianza è una follia da escludersi, specialmente in chi è dotato di sapienza. - Il secondo tipo è di somiglianza per imitazione, che è nelle possibilità della creatura rispetto a Dio, entro i limiti della propria nobiltà. Di qui le parole di Dionigi: "Una stessa cosa può somigliare e non somigliare a Dio: gli somiglia però in quanto lo imita; se ne discosta in quanto gli esseri causati sono inferiori alla loro causa". Ora, qualsiasi bene esistente nelle creature è una somiglianza partecipata del sommo bene. Perciò per il fatto stesso che l'uomo desiderò, come abbiamo detto, un bene spirituale superiore alla propria nobiltà, desiderò in maniera peccaminosa una somiglianza con Dio.
Si deve però notare che oggetto del desiderio propriamente è ciò che non si possiede. Ora, il bene spirituale per cui l'uomo partecipa la somiglianza divina può essere di tre specie. Primo, imitazione nell'essere e nella natura. E tale somiglianza fu impressa nell'uomo all'inizio della creazione: "Dio fece l'uomo a sua immagine e somiglianza", dice la Genesi; e a proposito dell'angelo si legge in Ezechiele: "Tu sei contrassegno di somiglianza". - Secondo, imitazione nell'ordine della conoscenza. E anche questa somiglianza l'angelo la ricevette fin dalla sua creazione; di qui il seguito delle parole riferite di Ezechiele: "Tu sei contrassegno di somiglianza, pieno di sapienza". Ebbene, l'uomo nel momento della creazione questa somiglianza non l'ebbe in atto, ma solo in potenza. - Terzo, imitazione nella potestà di agire. E questa somiglianza all'inizio della loro creazione non l'ebbero né l'angelo né l'uomo: poiché all'uno e all'altro rimaneva da compiere qualche cosa per raggiungere la beatitudine.
E poiché il demonio e l'uomo peccarono desiderando disordinatamente una somiglianza con Dio, è certo che nessuno dei due peccò col desiderare una somiglianza di natura. Ma il primo uomo peccò principalmente col desiderare una somiglianza nella "scienza del bene e del male", come gli suggerì il serpente: in modo da poter determinare in forza della propria natura quello che nel suo agire doveva essere bene o male; oppure da poter conoscere in precedenza il bene e il male che dovevano capitargli. Secondariamente l'uomo peccò col desiderare la somiglianza con Dio nel potere di agire, cioè di poter conseguire la beatitudine in virtù della propria natura: "L'animo della donna", scrive S. Agostino, "fu attratto dall'amore della propria potestà". Il demonio invece peccò col desiderare la somiglianza con Dio nel potere: infatti S. Agostino insegna, che il demonio "preferì la fruizione del suo potere a quello di Dio". - Entrambi però desiderarono una certa somiglianza con Dio, volendo appoggiarsi sulle proprie forze, disprezzando l'ordine del disegno divino.
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[45604] IIª-IIae, q. 163 a. 2 ad 1 Ad primum ergo dicendum quod ratio illa procedit de similitudine naturae, ex cuius appetitu homo non peccavit, ut dictum est.
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[45604] IIª-IIae, q. 163 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La prima difficoltà argomenta sulla somiglianza di natura; la quale, come abbiamo spiegato, non diede all'uomo occasione di peccare.
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[45605] IIª-IIae, q. 163 a. 2 ad 2 Ad secundum dicendum quod appetere similitudinem Dei absolute quantum ad scientiam, non est peccatum. Sed appetere huiusmodi similitudinem inordinate, idest supra suam mensuram, peccatum est. Unde super illud Psalmi, Deus quis similis erit tibi, dicit Augustinus, qui per se vult esse Deus, perverse vult esse similis Deo, ut Diabolus, qui noluit sub eo esse; et homo, qui ut servus noluit tenere praecepta.
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[45605] IIª-IIae, q. 163 a. 2 ad 2
2. Di suo desiderare la somiglianza con Dio nella scienza non è peccato. Ma è peccato desiderarla in modo disordinato, cioè oltre la propria misura. Spiegando quel detto dei Salmi: "O Dio, chi simile a te?", S. Agostino afferma: "Chi da se stesso vuol esser Dio, vuole essere ingiustamente simile a Dio: come il demonio, il quale non volle essere sotto di lui; e come l'uomo, il quale non volle come suddito osservare i comandi".
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[45606] IIª-IIae, q. 163 a. 2 ad 3 Ad tertium dicendum quod ratio illa procedit de similitudine aequiparantiae.
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[45606] IIª-IIae, q. 163 a. 2 ad 3
3. L'ultima difficoltà si fonda sulla somiglianza di uguaglianza assoluta.
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