Seconda parte > Le azioni umane > La fede


Secunda pars secundae partis
Prooemium

[38736] IIª-IIae pr.
Post communem considerationem de virtutibus et vitiis et aliis ad materiam moralem pertinentibus, necesse est considerare singula in speciali, sermones enim morales universales sunt minus utiles, eo quod actiones in particularibus sunt. Potest autem aliquid in speciali considerari circa moralia dupliciter, uno modo, ex parte ipsius materiae moralis, puta cum consideratur de hac virtute vel hoc vitio; alio modo, quantum ad speciales status hominum, puta cum consideratur de subditis et praelatis, de activis et contemplativis, vel quibuscumque aliis differentiis hominum. Primo ergo considerabimus specialiter de his quae pertinent ad omnes hominum status; secundo vero, specialiter de his quae pertinent ad determinatos status. Est autem considerandum circa primum quod, si seorsum determinaremus de virtutibus, donis, vitiis et praeceptis, oporteret idem multoties dicere, qui enim sufficienter vult tractare de hoc praecepto, non moechaberis, necesse habet inquirere de adulterio, quod est quoddam peccatum, cuius etiam cognitio dependet ex cognitione oppositae virtutis. Erit igitur compendiosior et expeditior considerationis via si simul sub eodem tractatu consideratio procedit de virtute et dono sibi correspondente, et vitiis oppositis, et praeceptis affirmativis vel negativis. Erit autem hic considerationis modus conveniens ipsis vitiis secundum propriam speciem, ostensum est enim supra quod vitia et peccata diversificantur specie secundum materiam vel obiectum, non autem secundum alias differentias peccatorum, puta cordis, oris et operis, vel secundum infirmitatem, ignorantiam et malitiam, et alias huiusmodi differentias; est autem eadem materia circa quam et virtus recte operatur et vitia opposita a rectitudine recedunt. Sic igitur tota materia morali ad considerationem virtutum reducta, omnes virtutes sunt ulterius reducendae ad septem, quarum tres sunt theologicae, de quibus primo est agendum; aliae vero quatuor sunt cardinales, de quibus posterius agetur. Virtutum autem intellectualium una quidem est prudentia, quae inter cardinales virtutes continetur et numeratur; ars vero non pertinet ad moralem, quae circa agibilia versatur, cum ars sit recta ratio factibilium, ut supra dictum est; aliae vero tres intellectuales virtutes, scilicet sapientia, intellectus et scientia, communicant etiam in nomine cum donis quibusdam spiritus sancti, unde simul etiam de eis considerabitur in consideratione donorum virtutibus correspondentium. Aliae vero virtutes morales omnes aliqualiter reducuntur ad virtutes cardinales, ut ex supradictis patet, unde in consideratione alicuius virtutis cardinalis considerabuntur etiam omnes virtutes ad eam qualitercumque pertinentes et vitia opposita. Et sic nihil moralium erit praetermissum.

 
Seconda parte della seconda parte
Proemio

[38736] IIª-IIae pr.
Dopo aver trattato in generale delle virtù, dei vizi e delle altre entità, che formano la morale, è necessario studiarle ciascuna singolarmente: infatti le considerazioni generiche in campo morale sono meno utili, perché le azioni (umane) sono particolari. In morale però una cosa può essere studiata distintamente in due maniere: primo, rispetto alla materia specifica di questa disciplina, cioè studiando una data virtù, o un dato vizio; secondo, rispetto allo stato particolare dei vari uomini, cioè studiando la condizione dei sudditi e dei prelati, degli uomini di vita attiva e dei contemplativi, e di altre varietà del vivere umano. Prima, dunque, studieremo quanto riguarda gli uomini in tutti gli stati; e in secondo luogo vedremo in particolare ciò che riguarda certi stati determinati.
Si deve però notare, sul primo argomento, che se noi volessimo trattare separatamente delle virtù, dei doni, dei vizi e dei precetti, dovremmo ripetere più volte le stesse cose. Chi infatti vuol trattare in modo adeguato del sesto comandamento, "Non commettere adulterio", è costretto a indagare sull'adulterio, che è un peccato la cui conoscenza dipende dalla cognizione della virtù opposta. Perciò avremo un metodo più conciso e pratico, se studieremo insieme nel medesimo trattato la virtù e il dono corrispondente, i vizi che le si oppongono, e i precetti corrispondenti, affermativi o negativi. E questo metodo gioverà a definire i vizi nella loro specie; sopra infatti abbiamo dimostrato che i vizi e i peccati si dividono specificamente secondo la loro materia od oggetto, e non secondo altre differenze: quali, p. es. le distinzioni tra peccati di pensiero, di parola e d'opera; oppure tra peccati di fragilità, di ignoranza e di malizia. Infatti è identica la materia sulla quale la virtù opera rettamente, e di cui i vizi opposti abusano.
Ebbene, dopo aver ridotto tutta la morale alla considerazione delle virtù, tutte le virtù vanno ancora ridotte al numero di sette: tre teologali, di cui parleremo subito; e quattro cardinali, di cui tratteremo in seguito. Delle (cinque) virtù intellettuali una è la prudenza, che ritroviamo nel numero delle virtù cardinali; l'arte poi esula dalla morale, che si occupa delle azioni da compiere, essendo l'arte, come sopra si disse, la retta norma delle cose fattibili; e le altre tre virtù intellettuali, sapienza, intelletto e scienza, convengono anche nel nome con alcuni doni dello Spirito Santo; e quindi parleremo di esse nel trattare dei doni corrispettivi delle varie virtù. Tutte le altre virtù morali, poi, si riducono in qualche modo alle virtù cardinali, come sopra abbiamo dimostrato: quindi nel trattare di una virtù cardinale, esamineremo anche tutte le altre virtù che ad essa in qualsiasi maniera appartengono, e i rispettivi vizi. E in tal modo non sarà trascurato nessun elemento della morale.




II-II, 1

Seconda parte > Le azioni umane > La fede > L'oggetto della fede


Secunda pars secundae partis
Quaestio 1
Prooemium

[38737] IIª-IIae q. 1 pr. Circa virtutes igitur theologicas primo erit considerandum de fide; secundo, de spe; tertio, de caritate. Circa fidem vero quadruplex consideratio occurrit, prima quidem de ipsa fide; secunda de donis intellectus et scientiae sibi correspondentibus; tertia de vitiis oppositis; quarta de praeceptis ad hanc virtutem pertinentibus. Circa fidem vero primo erit considerandum de eius obiecto; secundo, de eius actu; tertio, de ipso habitu fidei. Circa primum quaeruntur decem.
Primo, utrum obiectum fidei sit veritas prima.
Secundo, utrum obiectum fidei sit aliquid complexum vel incomplexum, idest res aut enuntiabile.
Tertio, utrum fidei possit subesse falsum.
Quarto, utrum obiectum fidei possit esse aliquid visum.
Quinto, utrum possit esse aliquid scitum.
Sexto, utrum credibilia debeant distingui per certos articulos.
Septimo, utrum iidem articuli subsint fidei secundum omne tempus.
Octavo, de numero articulorum.
Nono, de modo tradendi articulos in symbolo.
Decimo, cuius sit fidei symbolum constituere.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 1
Proemio

[38737] IIª-IIae q. 1 pr.
Dovendo trattare delle virtù teologali, troviamo al primo posto la fede, al secondo la speranza, al terzo la carità. E a proposito della fede si presentano quattro argomenti: primo, la fede in se stessa; secondo, i doni corrispondenti dell'intelletto e della scienza; terzo, i vizi opposti; quarto, i precetti relativi a questa virtù. Nella fede poi dobbiamo considerare: primo, l'oggetto; secondo, l'atto; terzo, l'abito.
A proposito dell'oggetto tratteremo dieci argomenti:

1. Se l'oggetto della fede sia la prima verità;
2. Se l'oggetto della fede sia qualche cosa di semplice o di composto, se sia cioè la cosa o l'enunciato;
3. Se la fede possa poggiare sul falso;
4. Se oggetto della fede possano essere le cose che si vedono;
5. Se possano esserlo le cose di cui si ha la scienza;
6. Se le verità di fede debbano essere distinte in un certo numero di articoli;
7. Se in tutti i tempi furono oggetto di fede i medesimi articoli;
8. Il numero di codesti articoli;
9. La redazione degli articoli del simbolo;
10. A chi spetti costituire il simbolo della fede.




Seconda parte > Le azioni umane > La fede > Il suo oggetto > Se l'oggetto della fede sia la prima verità


Secunda pars secundae partis
Quaestio 1
Articulus 1

[38738] IIª-IIae q. 1 a. 1 arg. 1
Ad primum sic proceditur. Videtur quod obiectum fidei non sit veritas prima. Illud enim videtur esse obiectum fidei quod nobis proponitur ad credendum. Sed non solum proponuntur nobis ad credendum ea quae pertinent ad divinitatem, quae est veritas prima; sed etiam ea quae pertinent ad humanitatem Christi et Ecclesiae sacramenta et creaturarum conditionem. Ergo non solum veritas prima est fidei obiectum.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 1
Articolo 1

[38738] IIª-IIae q. 1 a. 1 arg. 1
SEMBRA che oggetto della fede non sia la prima verità. Infatti:
1. Oggetto della fede è quanto viene proposto per essere da noi creduto. Ora, ci viene proposto così non soltanto ciò che riguarda Dio, che è la prima verità, ma anche quanto riguarda l'umanità di Cristo, i sacramenti della Chiesa, e la creazione delle cose. Dunque oggetto della fede non è soltanto la prima verità.

[38739] IIª-IIae q. 1 a. 1 arg. 2
Praeterea, fides et infidelitas sunt circa idem, cum sint opposita. Sed circa omnia quae in sacra Scriptura continentur potest esse infidelitas, quidquid enim horum homo negaverit, infidelis reputatur. Ergo etiam fides est circa omnia quae in sacra Scriptura continentur. Sed ibi multa continentur de hominibus et de aliis rebus creatis. Ergo obiectum fidei non solum est veritas prima, sed etiam veritas creata.

 

[38739] IIª-IIae q. 1 a. 1 arg. 2
2. Fede e incredulità riguardano le stesse cose, essendo contrarie tra loro. Ora, uno può peccare di incredulità su tutto ciò che è racchiuso nella Sacra Scrittura: uno infatti è reputato incredulo, se nega una qualsiasi affermazione di essa. Perciò anche la fede riguarda tutto ciò che è racchiuso nella Sacra Scrittura. Ma in questa ci sono molte cose che riguardano gli uomini e altri esseri creati. Quindi oggetto della fede non è soltanto la prima verità, ma anche la verità creata.

[38740] IIª-IIae q. 1 a. 1 arg. 3
Praeterea, fides caritati condividitur, ut supra dictum est. Sed caritate non solum diligimus Deum, qui est summa bonitas, sed etiam diligimus proximum. Ergo fidei obiectum non est solum veritas prima.

 

[38740] IIª-IIae q. 1 a. 1 arg. 3
3. Fede e carità, come abbiamo visto, si corrispondono. Ora, con la carità noi amiamo non soltanto Dio, ma anche il prossimo. Dunque oggetto della fede non è soltanto la prima verità.

[38741] IIª-IIae q. 1 a. 1 s. c.
Sed contra est quod Dionysius dicit, VII cap. de Div. Nom., quod fides est circa simplicem et semper existentem veritatem. Haec autem est veritas prima. Ergo obiectum fidei est veritas prima.

 

[38741] IIª-IIae q. 1 a. 1 s. c.
IN CONTRARIO: Dionigi insegna, che "la fede riguarda la verità semplice e sempre esistente". Ma questa è la prima verità. Quindi la prima verità è l'oggetto della fede.

[38742] IIª-IIae q. 1 a. 1 co.
Respondeo dicendum quod cuiuslibet cognoscitivi habitus obiectum duo habet, scilicet id quod materialiter cognoscitur, quod est sicut materiale obiectum; et id per quod cognoscitur, quod est formalis ratio obiecti. Sicut in scientia geometriae materialiter scita sunt conclusiones; formalis vero ratio sciendi sunt media demonstrationis, per quae conclusiones cognoscuntur. Sic igitur in fide, si consideremus formalem rationem obiecti, nihil est aliud quam veritas prima, non enim fides de qua loquimur assentit alicui nisi quia est a Deo revelatum; unde ipsi veritati divinae innititur tanquam medio. Si vero consideremus materialiter ea quibus fides assentit, non solum est ipse Deus, sed etiam multa alia. Quae tamen sub assensu fidei non cadunt nisi secundum quod habent aliquem ordinem ad Deum, prout scilicet per aliquos divinitatis effectus homo adiuvatur ad tendendum in divinam fruitionem. Et ideo etiam ex hac parte obiectum fidei est quodammodo veritas prima, inquantum nihil cadit sub fide nisi in ordine ad Deum, sicut etiam obiectum medicinae est sanitas, quia nihil medicina considerat nisi in ordine ad sanitatem.

 

[38742] IIª-IIae q. 1 a. 1 co.
RISPONDO: Nell'oggetto di qualsiasi abito conoscitivo si devono distinguere due cose: la cosa che materialmente viene conosciuta, la quale costituisce come l'oggetto materiale; e la cosa per cui si conosce, e che costituisce la ragione formale dell'oggetto. Nella geometria, p. es., l'oggetto materiale è costituito dalle conclusioni conosciute; mentre la ragione formale della scienza stessa consiste nei principi dimostrativi, che permettono di conoscere le conclusioni. Lo stesso si dica della fede: se consideriamo la ragione formale dell'oggetto, essa non ha altro oggetto che la prima verità, poiché la fede di cui parliamo non accetta verità alcuna, se non in quanto è rivelata da Dio; perciò si appoggia alla verità divina come a suo principio. Se invece consideriamo materialmente le cose accettate dalla fede, oggetto di questa non è soltanto Dio, ma molte altre cose. Queste però non vengono accettate dalla fede, se non in ordine a Dio: cioè solo in quanto l'uomo viene aiutato nel cammino verso la fruizione di Dio dalle opere di lui. Perciò anche da questo lato in qualche modo oggetto della fede è sempre la prima verità, poiché niente rientra nella fede, se non in ordine a Dio: cioè come la salute è oggetto della medicina, poiché niente è considerato dalla medicina, se non in ordine alla salute.

[38743] IIª-IIae q. 1 a. 1 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod ea quae pertinent ad humanitatem Christi et ad sacramenta Ecclesiae vel ad quascumque creaturas cadunt sub fide inquantum per haec ordinamur ad Deum. Et eis etiam assentimus propter divinam veritatem.

 

[38743] IIª-IIae q. 1 a. 1 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Le verità riguardanti l'umanità di Cristo, i sacramenti della Chiesa e una qualsiasi creatura rientrano nella fede in quanto servono a indirizzarci a Dio. E accettiamo anche queste per la veracità di Dio.

[38744] IIª-IIae q. 1 a. 1 ad 2
Et similiter dicendum est ad secundum, de omnibus illis quae in sacra Scriptura traduntur.

 

[38744] IIª-IIae q. 1 a. 1 ad 2
2. Lo stesso vale per tutte le verità che ci sono insegnate dalla Sacra Scrittura.

[38745] IIª-IIae q. 1 a. 1 ad 3
Ad tertium dicendum quod etiam caritas diligit proximum propter Deum; et sic obiectum eius proprie est ipse Deus, ut infra dicetur.

 

[38745] IIª-IIae q. 1 a. 1 ad 3
3. Anche la carità ama il prossimo per Dio; e quindi propriamente il suo oggetto è Dio stesso, come vedremo in seguito.




Seconda parte > Le azioni umane > La fede > Il suo oggetto > Se l'oggetto della fede sia qualche cosa di composto a guisa di enunciato


Secunda pars secundae partis
Quaestio 1
Articulus 2

[38746] IIª-IIae q. 1 a. 2 arg. 1
Ad secundum sic proceditur. Videtur quod obiectum fidei non sit aliquid complexum per modum enuntiabilis. Obiectum enim fidei est veritas prima, sicut dictum est. Sed prima veritas est aliquid incomplexum. Ergo obiectum fidei non est aliquid complexum.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 1
Articolo 2

[38746] IIª-IIae q. 1 a. 2 arg. 1
SEMBRA che l'oggetto della fede non sia qualche cosa di composto a guisa di enunciato. Infatti:
1. Oggetto della fede, come abbiamo detto, è la prima verità. Ma la prima verità è qualche cosa di semplice. Quindi l'oggetto della fede non è qualche cosa di composto.

[38747] IIª-IIae q. 1 a. 2 arg. 2
Praeterea, expositio fidei in symbolo continetur. Sed in symbolo non ponuntur enuntiabilia, sed res, non enim dicitur ibi quod Deus sit omnipotens, sed, credo in Deum omnipotentem. Ergo obiectum fidei non est enuntiabile, sed res.

 

[38747] IIª-IIae q. 1 a. 2 arg. 2
2. È nel simbolo che noi troviamo la formula della fede. Ora, nel simbolo non troviamo gli enunciati, ma le cose: infatti non vi si dice che Dio è onnipotente, ma semplicemente: "Io credo in Dio onnipotente". Dunque oggetto della fede non sono gli enunciati, ma le cose.

[38748] IIª-IIae q. 1 a. 2 arg. 3
Praeterea, fidei succedit visio, secundum illud I ad Cor. XIII, videmus nunc per speculum in aenigmate, tunc autem facie ad faciem. Sed visio patriae est de incomplexo, cum sit ipsius divinae essentiae. Ergo etiam fides viae.

 

[38748] IIª-IIae q. 1 a. 2 arg. 3
3. Alla fede deve succedere la visione; poiché sta scritto: "Adesso noi vediamo attraverso uno specchio in enigma, allora vedremo faccia a faccia". Ma la visione della patria ha di mira una realtà semplice: quale è la divina essenza. Perciò lo stesso è della fede in questa vita.

[38749] IIª-IIae q. 1 a. 2 s. c.
Sed contra, fides est media inter scientiam et opinionem. Medium autem et extrema sunt eiusdem generis. Cum igitur scientia et opinio sint circa enuntiabilia, videtur quod similiter fides sit circa enuntiabilia. Et ita obiectum fidei, cum fides sit circa enuntiabilia, est aliquid complexum.

 

[38749] IIª-IIae q. 1 a. 2 s. c.
IN CONTRARIO: La fede è qualcosa di intermedio tra la scienza e l'opinione. Ora, le cose intermedie appartengono allo stesso genere degli estremi. E poiché la scienza e l'opinione hanno per oggetto degli enunciati, lo stesso si deve dire della fede. E quindi l'oggetto della fede, avendo di mira degli enunciati, è qualche cosa di composto.

[38750] IIª-IIae q. 1 a. 2 co.
Respondeo dicendum quod cognita sunt in cognoscente secundum modum cognoscentis. Est autem modus proprius humani intellectus ut componendo et dividendo veritatem cognoscat, sicut in primo dictum est. Et ideo ea quae sunt secundum se simplicia intellectus humanus cognoscit secundum quandam complexionem, sicut e converso intellectus divinus incomplexe cognoscit ea quae sunt secundum se complexa. Sic igitur obiectum fidei dupliciter considerari potest. Uno modo, ex parte ipsius rei creditae, et sic obiectum fidei est aliquid incomplexum, scilicet res ipsa de qua fides habetur. Alio modo, ex parte credentis, et secundum hoc obiectum fidei est aliquid complexum per modum enuntiabilis. Et ideo utrumque vere opinatum fuit apud antiquos, et secundum aliquid utrumque est verum.

 

[38750] IIª-IIae q. 1 a. 2 co.
RISPONDO: Le cose conosciute sono in chi le conosce secondo la natura del conoscente. Ora, è proprio nella natura dell'intelletto umano conoscere la verità componendo e dividendo, come abbiamo spiegato nella Prima Parte. Perciò l'intelletto umano conosce le cose che sono semplici in se stesse in una certa composizione: come, al contrario, l'intelletto divino conosce in maniera semplice anche le cose che di per sé sono composte. Dunque l'oggetto della fede si può considerare sotto due aspetti. Primo, dal lato delle cose credute: e allora l'oggetto della fede è una realtà semplice. Secondo, dal lato di chi crede: e allora l'oggetto della fede è qualche cosa di composto, come lo sono gli enunciati. Perciò erano vere entrambe, in qualche modo, le due opinioni formulate dagli antichi.

[38751] IIª-IIae q. 1 a. 2 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod ratio illa procedit de obiecto fidei ex parte ipsius rei creditae.

 

[38751] IIª-IIae q. 1 a. 2 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Il primo argomento è valido per l'oggetto della fede considerato in se stesso, nella realtà.

[38752] IIª-IIae q. 1 a. 2 ad 2
Ad secundum dicendum quod in symbolo tanguntur ea de quibus est fides inquantum ad ea terminatur actus credentis, ut ex ipso modo loquendi apparet. Actus autem credentis non terminatur ad enuntiabile, sed ad rem, non enim formamus enuntiabilia nisi ut per ea de rebus cognitionem habeamus, sicut in scientia, ita et in fide.

 

[38752] IIª-IIae q. 1 a. 2 ad 2
2. Nel simbolo si ricordano le cose di fede, in quanto ad esse termina l'atto del credente: come appare dal modo stesso di esprimersi. Ora, l'atto del credente non si ferma all'enunciato, ma va alla realtà: infatti formiamo degli enunciati solo per avere la conoscenza delle cose, sia nella scienza, che nella fede.

[38753] IIª-IIae q. 1 a. 2 ad 3
Ad tertium dicendum quod visio patriae erit veritatis primae secundum quod in se est, secundum illud I Ioan. III, cum apparuerit, similes ei erimus et videbimus eum sicuti est. Et ideo visio illa erit non per modum enuntiabilis, sed per modum simplicis intelligentiae. Sed per fidem non apprehendimus veritatem primam sicut in se est. Unde non est similis ratio.

 

[38753] IIª-IIae q. 1 a. 2 ad 3
3. La visione della patria avrà per oggetto la prima verità come è in se stessa; poiché sta scritto: "Quando si manifesterà, saremo simili a lui, e lo vedremo come egli è". Perciò tale visione non avrà la forma di un enunciato, ma sarà un semplice atto di intelligenza. Ora, invece con la fede non conosciamo la prima verità come è in se stessa. Perciò il paragone non regge.




Seconda parte > Le azioni umane > La fede > Il suo oggetto > Se la fede possa poggiare sul falso


Secunda pars secundae partis
Quaestio 1
Articulus 3

[38754] IIª-IIae q. 1 a. 3 arg. 1
Ad tertium sic proceditur. Videtur quod fidei possit subesse falsum. Fides enim condividitur spei et caritati. Sed spei potest aliquid subesse falsum, multi enim sperant se habituros vitam aeternam qui non habebunt. Similiter etiam et caritati, multi enim diliguntur tanquam boni qui tamen boni non sunt. Ergo etiam fidei potest aliquid subesse falsum.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 1
Articolo 3

[38754] IIª-IIae q. 1 a. 3 arg. 1
SEMBRA che la fede possa poggiare sul falso. Infatti:
1. La fede è sullo stesso piano della speranza e della carità. Ora, la speranza può poggiare sul falso: poiché molti che sperano di avere la vita eterna, non la raggiungono. Lo stesso avviene per la carità: infatti molti vengono amati come buoni, e tuttavia non lo sono. Perciò anche la fede può poggiare sul falso.

[38755] IIª-IIae q. 1 a. 3 arg. 2
Praeterea, Abraham credidit Christum nasciturum, secundum illud Ioan. VIII, Abraham, pater vester, exultavit ut videret diem meum. Sed post tempus Abrahae Deus poterat non incarnari, sola enim sua voluntate carnem accepit, et ita esset falsum quod Abraham de Christo credidit. Ergo fidei potest subesse falsum.

 

[38755] IIª-IIae q. 1 a. 3 arg. 2
2. Abramo credeva che il Cristo sarebbe nato, secondo l'affermazione del Vangelo: "Abramo, vostro padre, esultò per vedere il mio giorno". Ora, Dio dopo i tempi di Abramo poteva non incarnarsi, poiché ha preso la carne solo per volontà propria: e così sarebbe stato falso ciò che Abramo aveva creduto del Cristo. Quindi la fede può poggiare sul falso.

[38756] IIª-IIae q. 1 a. 3 arg. 3
Praeterea, fides antiquorum fuit quod Christus esset nasciturus, et haec fides duravit in multis usque ad praedicationem Evangelii. Sed Christo iam nato, antequam praedicare inciperet, falsum erat Christum nasciturum. Ergo fidei potest subesse falsum.

 

[38756] IIª-IIae q. 1 a. 3 arg. 3
3. La fede degli antichi voleva che il Cristo sarebbe nato, e codesta fede durò in molti fino alla predicazione del Vangelo. Ma dopo la nascita di Cristo, prima che questi iniziasse la sua predicazione, era falso ritenere che sarebbe nato. Dunque la fede può poggiare sul falso.

[38757] IIª-IIae q. 1 a. 3 arg. 4
Praeterea, unum de pertinentibus ad fidem est ut aliquis credat sub sacramento altaris verum corpus Christi contineri. Potest autem contingere, quando non recte consecratur, quod non est ibi verum corpus Christi, sed solum panis. Ergo fidei potest subesse falsum.

 

[38757] IIª-IIae q. 1 a. 3 arg. 4
4. È un dogma di fede credere che il Sacramento dell'Altare contiene il vero corpo di Cristo. Ora, può capitare, quando non viene debitamente consacrato, che là non vi sia il vero corpo di Cristo, ma il pane soltanto. Perciò la fede può poggiare sul falso.

[38758] IIª-IIae q. 1 a. 3 s. c.
Sed contra, nulla virtus perficiens intellectum se habet ad falsum secundum quod est malum intellectus, ut patet per philosophum, in VI Ethic. Sed fides est quaedam virtus perficiens intellectum, ut infra patebit. Ergo ei non potest subesse falsum.

 

[38758] IIª-IIae q. 1 a. 3 s. c.
IN CONTRARIO: Nessuna virtù chiamata a nobilitare l'intelletto può avere legami con la falsità, che, a detta del Filosofo, è il male di ordine intellettivo. Ma la fede è una virtù chiamata a perfezionare l'intelletto. Essa, dunque, non può poggiare sul falso.

[38759] IIª-IIae q. 1 a. 3 co.
Respondeo dicendum quod nihil subest alicui potentiae vel habitui aut etiam actui, nisi mediante ratione formali obiecti, sicut color videri non potest nisi per lucem, et conclusio sciri non potest nisi per medium demonstrationis. Dictum est autem quod ratio formalis obiecti fidei est veritas prima. Unde nihil potest cadere sub fide nisi inquantum stat sub veritate prima. Sub qua nullum falsum stare potest, sicut nec non ens sub ente, nec malum sub bonitate. Unde relinquitur quod fidei non potest subesse aliquod falsum.

 

[38759] IIª-IIae q. 1 a. 3 co.
RISPONDO: Nessuna cosa può interessare una potenza, un abito, o un atto, se non mediante la ragione formale dell'oggetto rispettivo: un colore, p. es., non può essere veduto che mediante la luce, e una conclusione non può essere conosciuta che in forza del termine medio della dimostrazione. Ora, abbiamo già visto che la ragione formale dell'oggetto della fede è la prima verità. Perciò niente può essere materia di fede, se non in quanto dipende dalla prima verità, con la quale qualsiasi falsità è incompatibile; come è incompatibile il non ente con l'ente, e il male col bene. Rimane, quindi, che la fede non può poggiare sul falso.

[38760] IIª-IIae q. 1 a. 3 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod, quia verum est bonum intellectus, non autem est bonum appetitivae virtutis, ideo omnes virtutes quae perficiunt intellectum excludunt totaliter falsum, quia de ratione virtutis est quod se habeat solum ad bonum. Virtutes autem perficientes partem appetitivam non excludunt totaliter falsum, potest enim aliquis secundum iustitiam aut temperantiam agere aliquam falsam opinionem habens de eo circa quod agit. Et ita, cum fides perficiat intellectum, spes autem et caritas appetitivam partem, non est similis ratio de eis. Et tamen neque etiam spei subest falsum. Non enim aliquis sperat se habiturum vitam aeternam secundum propriam potestatem (hoc enim esset praesumptionis), sed secundum auxilium gratiae, in qua si perseveraverit, omnino infallibiliter vitam aeternam consequetur. Similiter etiam ad caritatem pertinet diligere Deum in quocumque fuerit. Unde non refert ad caritatem utrum in isto sit Deus qui propter Deum diligitur.

 

[38760] IIª-IIae q. 1 a. 3 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. La verità è un bene dell'intelletto e non delle potenze appetitive; ecco perché tutte le virtù che perfezionano l'intelletto escludono assolutamente il falso: poiché è essenziale alla virtù volgersi unicamente al bene. Invece le virtù della parte appetitiva non sono del tutto incompatibili col falso: ché uno può agire secondo la giustizia o la temperanza, avendo una falsa opinione a proposito di ciò che sta facendo. Ecco perché fede, speranza e carità non sono alla pari, dal momento che la prima nobilita l'intelletto, e le due ultime perfezionano le potenze appetitive.
Tuttavia neppure la speranza poggia sul falso. Infatti uno spera di possedere la vita eterna non con le proprie capacità (il che sarebbe un atto di presunzione), ma con l'aiuto della grazia: e se in essa perseverasse, conseguirebbe infallibilmente la vita eterna. Parimente spetta alla carità amare Dio in tutti coloro in cui si trova. Perciò alla carità poco importa, se Dio di fatto si trovi o no nella persona che viene amata per lui.

[38761] IIª-IIae q. 1 a. 3 ad 2
Ad secundum dicendum quod Deum non incarnari, secundum se consideratum, fuit possibile etiam post tempus Abrahae. Sed secundum quod cadit sub praescientia divina, habet quandam necessitatem infallibilitatis, ut in primo dictum est. Et hoc modo cadit sub fide. Unde prout cadit sub fide, non potest esse falsum.

 

[38761] IIª-IIae q. 1 a. 3 ad 2
2. Anche dopo Abramo era sempre possibile, assolutamente parlando, che Dio non si incarnasse. Ma in quanto la cosa ricadeva nella prescienza di Dio, diventava in qualche modo necessaria, perché infallibilmente sarebbe avvenuta, come abbiamo spiegato nella Prima Parte. Ed è sotto quest'aspetto che è materia di fede. E quindi, quale dogma di fede, la cosa non può esser falsa.

[38762] IIª-IIae q. 1 a. 3 ad 3
Ad tertium dicendum quod hoc ad fidem credentis pertinebat post Christi nativitatem quod crederet eum quandoque nasci. Sed illa determinatio temporis, in qua decipiebatur, non erat ex fide, sed ex coniectura humana. Possibile est enim hominem fidelem ex coniectura humana falsum aliquid aestimare. Sed quod ex fide falsum aestimet, hoc est impossibile.

 

[38762] IIª-IIae q. 1 a. 3 ad 3
3. La fede dei credenti esigeva, dopo la nascita del Cristo, di ritenere che a un dato momento egli sarebbe nato. Ma la determinazione del tempo, in cui essi s'ingannavano, non era dovuta alla fede, bensì a una supposizione umana. Infatti è sempre possibile che un credente giudichi falsamente una cosa, per una supposizione umana; ma non quando giudica partendo dalla fede.

[38763] IIª-IIae q. 1 a. 3 ad 4
Ad quartum dicendum quod fides credentis non refertur ad has species panis vel illas, sed ad hoc quod verum corpus Christi sit sub speciebus panis sensibilis quando recte fuerit consecratum. Unde si non sit recte consecratum, fidei non suberit propter hoc falsum.

 

[38763] IIª-IIae q. 1 a. 3 ad 4
4. La fede del credente non si riferisce a queste, o a quelle determinate specie del pane: ma al fatto che quando il pane sensibile è consacrato nel debito modo, il vero corpo di Cristo si trova sotto le sue specie. Perciò, se non è debitamente consacrato, non per questo la fede poggia sul falso.




Seconda parte > Le azioni umane > La fede > Il suo oggetto > Se le cose che si vedono possano essere oggetto di fede


Secunda pars secundae partis
Quaestio 1
Articulus 4

[38764] IIª-IIae q. 1 a. 4 arg. 1
Ad quartum sic proceditur. Videtur quod obiectum fidei sit aliquid visum. Dicit enim dominus Thomae, Ioan. XX, quia vidisti me, credidisti. Ergo et de eodem est visio et fides.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 1
Articolo 4

[38764] IIª-IIae q. 1 a. 4 arg. 1
SEMBRA che le cose che si vedono possano essere oggetto di fede. Infatti:
1. Il Signore disse a Tommaso: "Hai creduto perché hai visto". Dunque una stessa cosa può essere oggetto di visione e di fede.

[38765] IIª-IIae q. 1 a. 4 arg. 2
Praeterea, apostolus, I ad Cor. XIII, dicit, videmus nunc per speculum in aenigmate. Et loquitur de cognitione fidei. Ergo id quod creditur videtur.

 

[38765] IIª-IIae q. 1 a. 4 arg. 2
2. L'Apostolo afferma: "Adesso noi vediamo attraverso uno specchio, in enigma". E parla della conoscenza della fede. Dunque ciò che uno crede può anche vederlo.

[38766] IIª-IIae q. 1 a. 4 arg. 3
Praeterea, fides est quoddam spirituale lumen. Sed quolibet lumine aliquid videtur. Ergo fides est de rebus visis.

 

[38766] IIª-IIae q. 1 a. 4 arg. 3
3. La fede è una luce dello spirito. Ora, con qualsiasi luce si vede sempre qualche cosa. Perciò la fede ha per oggetto cose che si vedono.

[38767] IIª-IIae q. 1 a. 4 arg. 4
Praeterea, quilibet sensus visus nominatur, ut Augustinus dicit, in libro de Verb. Dom. Sed fides est de auditis, secundum illud ad Rom. X, fides ex auditu. Ergo fides est de rebus visis.

 

[38767] IIª-IIae q. 1 a. 4 arg. 4
4. A detta di S. Agostino, col termine vista si può intendere qualsiasi senso. Ora, la fede ha per oggetto cose che si odono, secondo l'espressione di S. Paolo: "La fede viene dall'ascoltare". Perciò la fede ha per oggetto cose che si vedono.

[38768] IIª-IIae q. 1 a. 4 s. c.
Sed contra est quod apostolus dicit, ad Heb. XI, quod fides est argumentum non apparentium.

 

[38768] IIª-IIae q. 1 a. 4 s. c.
IN CONTRARIO: L'Apostolo insegna che "la fede è convincimento di cose che non si vedono".

[38769] IIª-IIae q. 1 a. 4 co.
Respondeo dicendum quod fides importat assensum intellectus ad id quod creditur. Assentit autem alicui intellectus dupliciter. Uno modo, quia ad hoc movetur ab ipso obiecto, quod est vel per seipsum cognitum, sicut patet in principiis primis, quorum est intellectus; vel est per aliud cognitum, sicut patet de conclusionibus, quarum est scientia. Alio modo intellectus assentit alicui non quia sufficienter moveatur ab obiecto proprio, sed per quandam electionem voluntarie declinans in unam partem magis quam in aliam. Et si quidem hoc fit cum dubitatione et formidine alterius partis, erit opinio, si autem fit cum certitudine absque tali formidine, erit fides. Illa autem videri dicuntur quae per seipsa movent intellectum nostrum vel sensum ad sui cognitionem. Unde manifestum est quod nec fides nec opinio potest esse de visis aut secundum sensum aut secundum intellectum.

 

[38769] IIª-IIae q. 1 a. 4 co.
RISPONDO: La fede implica l'assenso dell'intelletto a ciò che si crede. Ora, l'intelletto può assentire a una cosa in due maniere. Primo, perché mosso dall'oggetto, il quale può essere conosciuto, o direttamente per se stesso, come avviene per i primi principi di cui ha un abito naturale; oppure indirettamente, come avviene per le conclusioni di cui si ha la scienza. Secondo, non perché mosso adeguatamente dal proprio oggetto, ma per una scelta volontaria, che inclina più verso una parte che verso l'altra. E se questo si fa col dubbio e col timore che sia vero l'opposto, avremo l'opinione: se invece si fa con la certezza e senza codesto timore, avremo la fede. Ora, possiamo dire che si vedono le cose le quali direttamente muovono i sensi, o il nostro intelletto alla propria conoscenza. Perciò è chiaro che né la fede né l'opinione possono essere di cose evidenti per il senso, o per l'intelletto.

[38770] IIª-IIae q. 1 a. 4 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod Thomas aliud vidit et aliud credidit. Hominem vidit et Deum credens confessus est, cum dixit, dominus meus et Deus meus.

 

[38770] IIª-IIae q. 1 a. 4 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Tommaso "altra cosa vide e altro credette. Vide l'uomo, e credendo lo confessò suo Dio, quando disse: "Signore mio e Dio mio"".

[38771] IIª-IIae q. 1 a. 4 ad 2
Ad secundum dicendum quod ea quae subsunt fidei dupliciter considerari possunt. Uno modo, in speciali, et sic non possunt esse simul visa et credita, sicut dictum est. Alio modo, in generali, scilicet sub communi ratione credibilis. Et sic sunt visa ab eo qui credit, non enim crederet nisi videret ea esse credenda, vel propter evidentiam signorum vel propter aliquid huiusmodi.

 

[38771] IIª-IIae q. 1 a. 4 ad 2
2. Le verità di fede si possono considerare da due punti di vista. Primo, in particolare: e così esse non possono essere insieme oggetto di visione e di fede, come abbiamo dimostrato. Secondo, in generale, cioè sotto l'aspetto generico di cose da credere. E in tal senso da chi crede esse sono vedute: infatti costui non le crederebbe, se non vedesse che sono da credersi, o per l'evidenza dei prodigi, o per altre cose del genere.

[38772] IIª-IIae q. 1 a. 4 ad 3
Ad tertium dicendum quod lumen fidei facit videre ea quae creduntur. Sicut enim per alios habitus virtutum homo videt illud quod est sibi conveniens secundum habitum illum, ita etiam per habitum fidei inclinatur mens hominis ad assentiendum his quae conveniunt rectae fidei et non aliis.

 

[38772] IIª-IIae q. 1 a. 4 ad 3
3. La luce della fede fa vedere quali siano le cose da credersi. Infatti, come gli altri abiti virtuosi fanno sì che un uomo veda ciò che gli conviene secondo codesti abiti, così l'abito della fede inclina l'anima umana ad accettare le cose che collimano con la vera fede, e a respingere le altre.

[38773] IIª-IIae q. 1 a. 4 ad 4
Ad quartum dicendum quod auditus est verborum significantium ea quae sunt fidei, non autem est ipsarum rerum de quibus est fides. Et sic non oportet ut huiusmodi res sint visae.

 

[38773] IIª-IIae q. 1 a. 4 ad 4
4. L'udito ha per oggetto le parole che esprimono le verità della fede: non già le cose stesse che formano l'oggetto della fede. E quindi non è detto che codeste cose si debbano vedere.




Seconda parte > Le azioni umane > La fede > Il suo oggetto > Se le cose di fede possano essere oggetto di scienza


Secunda pars secundae partis
Quaestio 1
Articulus 5

[38774] IIª-IIae q. 1 a. 5 arg. 1
Ad quintum sic proceditur. Videtur quod ea quae sunt fidei possint esse scita. Ea enim quae non sciuntur videntur esse ignorata, quia ignorantia scientiae opponitur. Sed ea quae sunt fidei non sunt ignorata, horum enim ignorantia ad infidelitatem pertinet, secundum illud I ad Tim. I, ignorans feci in incredulitate mea. Ergo ea quae sunt fidei possunt esse scita.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 1
Articolo 5

[38774] IIª-IIae q. 1 a. 5 arg. 1
SEMBRA che le cose di fede possano essere oggetto di scienza. Infatti:
1. Le cose che non si sanno sono ignorate: poiché l'opposto della scienza è l'ignoranza. Ma le cose di fede non sono ignorate: ché anzi la loro ignoranza è tra i mali dell'incredulità, secondo le parole di S. Paolo: "Ho agito per ignoranza nella mia incredulità". Dunque le cose di fede possono essere conosciute.

[38775] IIª-IIae q. 1 a. 5 arg. 2
Praeterea, scientia per rationes acquiritur. Sed ad ea quae sunt fidei a sacris auctoribus rationes inducuntur. Ergo ea quae sunt fidei possunt esse scita.

 

[38775] IIª-IIae q. 1 a. 5 arg. 2
2. La scienza si acquista mettendo innanzi delle ragioni. Ora, i teologi a sostegno delle cose di fede mettono innanzi delle ragioni. Quindi le cose di fede possono essere oggetto di scienza.

[38776] IIª-IIae q. 1 a. 5 arg. 3
Praeterea, ea quae demonstrative probantur sunt scita, quia demonstratio est syllogismus faciens scire. Sed quaedam quae in fide continentur sunt demonstrative probata a philosophis, sicut Deum esse, et Deum esse unum, et alia huiusmodi. Ergo ea quae sunt fidei possunt esse scita.

 

[38776] IIª-IIae q. 1 a. 5 arg. 3
3. Le verità provate con la dimostrazione sono oggetto di scienza: poiché la dimostrazione è "un sillogismo che fa scienza". Ma certe cose di fede, come, p. es., l'esistenza di Dio, la sua unità e simili, sono provate dai filosofi con la dimostrazione. Perciò le cose di fede possono essere oggetto di scienza.

[38777] IIª-IIae q. 1 a. 5 arg. 4
Praeterea, opinio plus distat a scientia quam fides, cum fides dicatur esse media inter opinionem et scientiam. Sed opinio et scientia possunt esse aliquo modo de eodem, ut dicitur in I Poster. Ergo etiam fides et scientia.

 

[38777] IIª-IIae q. 1 a. 5 arg. 4
4. L'opinione è più lontana dalla scienza che la fede: essendo quest'ultima tra l'opinione e la scienza. Eppure, a detta del Filosofo, "l'opinione e la scienza in qualche modo possono avere il medesimo oggetto". Dunque anche la fede e la scienza.

[38778] IIª-IIae q. 1 a. 5 s. c.
Sed contra est quod Gregorius dicit, quod apparentia non habent fidem, sed agnitionem. Ea ergo de quibus est fides agnitionem non habent. Sed ea quae sunt scita habent agnitionem. Ergo de his quae sunt scita non potest esse fides.

 

[38778] IIª-IIae q. 1 a. 5 s. c.
IN CONTRARIO: S. Gregorio insegna, che "delle cose evidenti non abbiamo la fede ma la scienza". Perciò le cose di fede non sono oggetto di scienza. E le cose di cui si ha la scienza non possono essere oggetto di fede.

[38779] IIª-IIae q. 1 a. 5 co.
Respondeo dicendum quod omnis scientia habetur per aliqua principia per se nota, et per consequens visa. Et ideo oportet quaecumque sunt scita aliquo modo esse visa. Non autem est possibile quod idem ab eodem sit creditum et visum, sicut supra dictum est. Unde etiam impossibile est quod ab eodem idem sit scitum et creditum. Potest tamen contingere ut id quod est visum vel scitum ab uno, sit creditum ab alio. Ea enim quae de Trinitate credimus nos visuros speramus, secundum illud I ad Cor. XIII, videmus nunc per speculum in aenigmate, tunc autem facie ad faciem, quam quidem visionem iam Angeli habent, unde quod nos credimus illi vident. Et similiter potest contingere ut id quod est visum vel scitum ab uno homine, etiam in statu viae, sit ab alio creditum, qui hoc demonstrative non novit. Id tamen quod communiter omnibus hominibus proponitur ut credendum est communiter non scitum. Et ista sunt quae simpliciter fidei subsunt. Et ideo fides et scientia non sunt de eodem.

 

[38779] IIª-IIae q. 1 a. 5 co.
RISPONDO: Qualsiasi scienza dipende da alcuni principi per sé noti, e quindi visti o evidenti. Ecco perché tutto ciò che è oggetto di scienza in qualche modo è oggetto di visione. Ora, non è possibile, come abbiamo dimostrato, che la stessa cosa sia per un medesimo soggetto creduta e veduta.
Tuttavia può capitare che quanto è visto e saputo da uno, sia creduto da un altro. Infatti noi crediamo la Trinità che speriamo un giorno di vedere, secondo le parole dell'Apostolo: "Vediamo adesso attraverso uno specchio in enigma, allora vedremo faccia a faccia": e codesta visione è già goduta dagli angeli. Perciò essi vedono quello che noi crediamo. E così può capitare che una cosa veduta o saputa da un uomo, anche nella vita presente, sia invece creduta da un altro, che non l'ha raggiunta con la dimostrazione. Tuttavia quanto comunemente si propone a credere a tutti gli uomini, in genere non è oggetto di scienza. E queste sono le verità che in senso assoluto sono materia di fede. Perciò la fede e la scienza non hanno il medesimo oggetto.

[38780] IIª-IIae q. 1 a. 5 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod infideles eorum quae sunt fidei ignorantiam habent, quia nec vident aut sciunt ea in seipsis, nec cognoscunt ea esse credibilia. Sed per hunc modum fideles habent eorum notitiam, non quasi demonstrative, sed inquantum per lumen fidei videntur esse credenda, ut dictum est.

 

[38780] IIª-IIae q. 1 a. 5 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Gli increduli hanno l'ignoranza delle cose di fede; perché non vedono e non conoscono codeste cose in se stesse, e non sanno che esse sono da credersi. Invece in quest'ultimo senso i fedeli ne hanno la conoscenza, non per una specie di dimostrazione, ma perché, come abbiamo detto, vedono con la luce della fede che sono da credersi.

[38781] IIª-IIae q. 1 a. 5 ad 2
Ad secundum dicendum quod rationes quae inducuntur a sanctis ad probandum ea quae sunt fidei non sunt demonstrativae, sed persuasiones quaedam manifestantes non esse impossibile quod in fide proponitur. Vel procedunt ex principiis fidei, scilicet ex auctoritatibus sacrae Scripturae, sicut Dionysius dicit, II cap. de Div. Nom. Ex his autem principiis ita probatur aliquid apud fideles sicut etiam ex principiis naturaliter notis probatur aliquid apud omnes. Unde etiam theologia scientia est, ut in principio operis dictum est.

 

[38781] IIª-IIae q. 1 a. 5 ad 2
2. Le ragioni portate dai Santi (Padri) come prove delle cose di fede non hanno valore di dimostrazioni, ma di indizi, i quali mostrano che non è impossibile quanto la fede propone. Oppure partono dai principi di fede, cioè dai testi della Sacra Scrittura, come spiega Dionigi. E con questi principi si può provare una conclusione tra persone credenti, come presso tutti si usa provare partendo dai principi noti per natura. Ecco perché anche la teologia è una scienza, come abbiamo spiegato all'inizio di quest'Opera.

[38782] IIª-IIae q. 1 a. 5 ad 3
Ad tertium dicendum quod ea quae demonstrative probari possunt inter credenda numerantur, non quia de ipsis sit simpliciter fides apud omnes, sed quia praeexiguntur ad ea quae sunt fidei, et oportet ea saltem per fidem praesupponi ab his qui horum demonstrationem non habent.

 

[38782] IIª-IIae q. 1 a. 5 ad 3
3. Certe cose che possono anche essere dimostrate si enumerano tra le verità da credersi, non perché per tutti esse sono oggetto di fede, ma perché sono prerequisite alle cose di fede, ed è necessario che si tengano almeno per la fede da coloro che non ne hanno la dimostrazione.

[38783] IIª-IIae q. 1 a. 5 ad 4
Ad quartum dicendum quod, sicut philosophus ibidem dicit, a diversis hominibus de eodem omnino potest haberi scientia et opinio, sicut et nunc dictum est de scientia et fide. Sed ab uno et eodem potest quidem haberi fides et scientia de eodem secundum quid, scilicet subiecto, sed non secundum idem, potest enim esse quod de una et eadem re aliquis aliquid sciat et aliquid aliud opinetur; et similiter de Deo potest aliquis demonstrative scire quod sit unus, et credere quod sit trinus. Sed de eodem secundum idem non potest esse simul in uno homine scientia nec cum opinione nec cum fide, alia tamen et alia ratione. Scientia enim cum opinione simul esse non potest simpliciter de eodem, quia de ratione scientiae est quod id quod scitur existimetur esse impossibile aliter se habere; de ratione autem opinionis est quod id quod quis existimat, existimet possibile aliter se habere. Sed id quod fide tenetur, propter fidei certitudinem, existimatur etiam impossibile aliter se habere, sed ea ratione non potest simul idem et secundum idem esse scitum et creditum, quia scitum est visum et creditum est non visum, ut dictum est.

 

[38783] IIª-IIae q. 1 a. 5 ad 4
4. Come nota il Filosofo stesso, su di un medesimo argomento persone diverse possono avere opinione e scienza, come abbiamo detto per la scienza e la fede. Ma una stessa persona può avere fede e scienza di una medesima cosa, considerata sotto aspetti diversi. Infatti può essere che di una stessa cosa uno conosca con certezza un aspetto, e per sola supposizione un altro aspetto. Parimente, a proposito di Dio uno può avere la dimostrazione della sua unità, e credere alla sua trinità. Ma della stessa cosa sotto il medesimo aspetto non è possibile che un uomo abbia la scienza e nello stesso tempo l'opinione, o la fede, sebbene queste due siano incompossibili con essa per ragioni diverse. Infatti la scienza di una cosa non è compatibile con la fede di essa, perché la scienza esige che quanto si conosce si veda essere impossibile che sia diversamente; invece l'opinione implica l'accettazione di codesta possibilità. Al contrario una cosa che si tiene per fede si deve credere che sia nell'impossibilità di essere diversamente, data la certezza della fede: ma una stessa cosa non può essere sotto lo stesso aspetto oggetto di scienza e di fede, perché ciò che si sa si vede, mentre ciò che si crede non si vede, come abbiamo spiegato.




Seconda parte > Le azioni umane > La fede > Il suo oggetto > Se le verità di fede debbano essere distinte in un certo numero di articoli


Secunda pars secundae partis
Quaestio 1
Articulus 6

[38784] IIª-IIae q. 1 a. 6 arg. 1
Ad sextum sic proceditur. Videtur quod credibilia non sint per certos articulos distinguenda. Eorum enim omnium quae in sacra Scriptura continentur est fides habenda. Sed illa non possunt reduci ad aliquem certum numerum, propter sui multitudinem. Ergo superfluum videtur articulos fidei distinguere.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 1
Articolo 6

[38784] IIª-IIae q. 1 a. 6 arg. 1
SEMBRA che le verità di fede non debbano essere distinte in un certo numero di articoli. Infatti:
1. Siamo tenuti a credere tutte le verità racchiuse nella Sacra Scrittura. Ma queste non si possono ridurre a un numero determinato. Dunque non ha senso distinguere gli articoli di fede.

[38785] IIª-IIae q. 1 a. 6 arg. 2
Praeterea, materialis distinctio, cum in infinitum fieri possit, est ab arte praetermittenda. Sed formalis ratio obiecti credibilis est una et indivisibilis, ut supra dictum est, scilicet veritas prima, et sic secundum rationem formalem credibilia distingui non possunt. Ergo praetermittenda est credibilium materialis distinctio per articulos.

 

[38785] IIª-IIae q. 1 a. 6 arg. 2
2. Siccome la distinzione materiale si può fare all'infinito, la scienza deve ignorarla. D'altra parte la ragione formale dell'oggetto della fede, cioè la prima verità, è una e indivisibile, come abbiamo detto: e quindi le verità di fede non si possono distinguere secondo la ragione formale. Dunque la materiale distinzione delle cose di fede in articoli deve essere trascurata.

[38786] IIª-IIae q. 1 a. 6 arg. 3
Praeterea, sicut a quibusdam dicitur, articulus est indivisibilis veritas de Deo arctans nos ad credendum. Sed credere est voluntarium, quia, sicut Augustinus dicit, nullus credit nisi volens. Ergo videtur quod inconvenienter distinguantur credibilia per articulos.

 

[38786] IIª-IIae q. 1 a. 6 arg. 3
3. Alcuni affermano che l'articolo è "una indivisibile verità su Dio, che ci coarta a credere". Ma credere è un atto volontario: poiché, a detta di S. Agostino, "nessuno crede se non perché vuole". Perciò non è giusto distinguere in articoli le cose da credere.

[38787] IIª-IIae q. 1 a. 6 s. c.
Sed contra est quod Isidorus dicit, articulus est perceptio divinae veritatis tendens in ipsam. Sed perceptio divinae veritatis competit nobis secundum distinctionem quandam, quae enim in Deo unum sunt in nostro intellectu multiplicantur. Ergo credibilia debent per articulos distingui.

 

[38787] IIª-IIae q. 1 a. 6 s. c.
IN CONTRARIO: Scrive S. Isidoro: "L'articolo è un modo di percepire la verità divina, che ci orienta verso di essa". Ora, la nostra percezione della verità divina avviene secondo una certa suddivisione: infatti le cose che in Dio sono unite, nel nostro intelletto sono molteplici. Dunque le verità della fede devono essere distinte in articoli.

[38788] IIª-IIae q. 1 a. 6 co.
Respondeo dicendum quod nomen articuli ex Graeco videtur esse derivatum. Arthron enim in Graeco, quod in Latino articulus dicitur, significat quandam coaptationem aliquarum partium distinctarum. Et ideo particulae corporis sibi invicem coaptatae dicuntur membrorum articuli. Et similiter in grammatica apud Graecos dicuntur articuli quaedam partes orationis coaptatae aliis dictionibus ad exprimendum earum genus, numerum vel casum. Et similiter in rhetorica articuli dicuntur quaedam partium coaptationes, dicit enim Tullius, in IV Rhet., quod articulus dicitur cum singula verba intervallis distinguuntur caesa oratione, hoc modo, acrimonia, voce, vultu adversarios perterruisti. Unde et credibilia fidei Christianae dicuntur per articulos distingui inquantum in quasdam partes dividuntur habentes aliquam coaptationem ad invicem. Est autem obiectum fidei aliquid non visum circa divina, ut supra dictum est. Et ideo ubi occurrit aliquid speciali ratione non visum, ibi est specialis articulus, ubi autem multa secundum eandem rationem sunt incognita, ibi non sunt articuli distinguendi. Sicut aliam difficultatem habet ad videndum quod Deus sit passus, et aliam quod mortuus resurrexerit, et ideo distinguitur articulus resurrectionis ab articulo passionis. Sed quod sit passus, mortuus et sepultus, unam et eandem difficultatem habent, ita quod, uno suscepto, non est difficile alia suscipere, et propter hoc omnia haec pertinent ad unum articulum.

 

[38788] IIª-IIae q. 1 a. 6 co.
RISPONDO: Il termine articolo sembra che sia derivato dal greco. Infatti in greco a????? reso dal latino articulus, sta a indicare la giuntura di parti distinte. Perciò nel corpo le particelle di giuntura sono chiamate articolazioni delle membra. Così in grammatica presso i greci sono chiamati articoli quelle parti del discorso che sono unite alle altre voci per esprimerne il genere, il numero e il caso. Così pure in retorica si parla di articolazioni a proposito di certe aggregazioni di parti: scrive infatti Cicerone, che "il parlare è articolato, quando le singole parole sono distinte da sospensioni del discorso, in questa maniera, p. es.: Con la prestanza, con la voce, con lo sguardo hai atterrito gli avversari". Perciò si dice che anche le verità della fede cristiana sono distinte in articoli, in quanto sono divise in parti che hanno un legame reciproco.
Ora, l'oggetto della fede, come abbiamo detto, è una verità divina inevidente. Quindi dove abbiamo qualche cosa che per una speciale ragione è inevidente, là troviamo un articolo distinto: invece là dove più cose sono conosciute o sconosciute per una medesima ragione, gli articoli non sono distinti. È differente, p. es., la difficoltà che c'è per capire che un Dio ha sofferto, e per capire che essendo morto è risuscitato: perciò l'articolo della resurrezione è distinto da quello della passione. È invece identica la difficoltà per capire che ha sofferto, che è morto e che è stato sepolto, poiché ammessa la prima cosa, è facile ammettere anche le altre. Ecco perché tutte codeste cose appartengono a un unico articolo.

[38789] IIª-IIae q. 1 a. 6 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod aliqua sunt credibilia de quibus est fides secundum se; aliqua vero sunt credibilia de quibus non est fides secundum se, sed solum in ordine ad alia, sicut etiam in aliis scientiis quaedam proponuntur ut per se intenta, et quaedam ad manifestationem aliorum. Quia vero fides principaliter est de his quae videnda speramus in patria, secundum illud Heb. XI, fides est substantia sperandarum rerum; ideo per se ad fidem pertinent illa quae directe nos ordinant ad vitam aeternam, sicut sunt tres personae, omnipotentia Dei, mysterium incarnationis Christi, et alia huiusmodi. Et secundum ista distinguuntur articuli fidei. Quaedam vero proponuntur in sacra Scriptura ut credenda non quasi principaliter intenta, sed ad praedictorum manifestationem, sicut quod Abraham habuit duos filios, quod ad tactum ossium Elisaei suscitatus est mortuus, et alia huiusmodi, quae narrantur in sacra Scriptura in ordine ad manifestationem divinae maiestatis vel incarnationis Christi. Et secundum talia non oportet articulos distinguere.

 

[38789] IIª-IIae q. 1 a. 6 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Ci sono delle verità che sono per se stesse oggetto di fede; e ce ne sono di quelle che lo sono non per se stesse, ma in ordine ad altre: così anche nelle scienze ci sono delle nozioni proposte come elementi richiesti per se stessi, e altri che servono a chiarire. Ora, avendo la fede come oggetto principale quanto speriamo di vedere nella patria poiché, secondo le parole di S. Paolo, "la fede è realtà di cose sperate", di per sé spettano alla fede le cose che ci indirizzano direttamente alla vita eterna: cioè le tre Persone divine, l'onnipotenza di Dio, il mistero dell'incarnazione di Cristo, e altre cose simili. E gli articoli della fede si dividono in base ad esse. Ma dalla Sacra Scrittura vengono proposte alla nostra fede anche altre cose, non come principali, bensì per chiarire le precedenti; p. es., che Abramo ebbe due figli, che un morto risuscitò al contatto delle ossa di Eliseo, e altre cose del genere che sono raccontate nella Sacra Scrittura per illustrare la grandezza di Dio, o l'incarnazione di Cristo. E in questo caso non è necessario distinguere gli articoli.

[38790] IIª-IIae q. 1 a. 6 ad 2
Ad secundum dicendum quod ratio formalis obiecti fidei potest accipi dupliciter. Uno modo, ex parte ipsius rei creditae. Et sic ratio formalis omnium credibilium est una, scilicet veritas prima. Et ex hac parte articuli non distinguuntur. Alio modo potest accipi formalis ratio credibilium ex parte nostra. Et sic ratio formalis credibilis est ut sit non visum. Et ex hac parte articuli fidei distinguuntur, ut visum est.

 

[38790] IIª-IIae q. 1 a. 6 ad 2
2. La ragione formale dell'oggetto della fede si può considerare da due punti di vista. Primo, dal lato della cosa creduta. E allora è unica la ragione formale di tutto ciò che si crede, cioè la prima verità. Secondo, dal lato dei credenti. E allora codesta ragione è la non evidenza. E da questo lato, come abbiamo spiegato, sono distinti gli articoli di fede.

[38791] IIª-IIae q. 1 a. 6 ad 3
Ad tertium dicendum quod illa definitio datur de articulo magis secundum quandam etymologiam nominis prout habet derivationem Latinam, quam secundum eius veram significationem prout a Graeco derivatur. Unde non est magni ponderis. Potest tamen dici quod, licet ad credendum necessitate coactionis nullus arctetur, cum credere sit voluntarium; arctatur tamen necessitate finis, quia accedentem ad Deum oportet credere, et sine fide impossibile est placere Deo, ut apostolus dicit, Heb. XI.

 

[38791] IIª-IIae q. 1 a. 6 ad 3
3. Codesta definizione dell'articolo deriva più dall'etimologia latina del termine, che dalla vera etimologia greca. Perciò non ha gran peso. - Si può rispondere però, che sebbene non si sia costretti a credere da una necessità di coazione, siamo costretti tuttavia dalla necessità del fine (da raggiungere); poiché, come scrive l'Apostolo, "a chi si avvicina a Dio è necessario credere", e "senza la fede è impossibile piacere a Dio".




Seconda parte > Le azioni umane > La fede > Il suo oggetto > Se gli articoli di fede siano cresciuti con l'andar del tempo


Secunda pars secundae partis
Quaestio 1
Articulus 7

[38792] IIª-IIae q. 1 a. 7 arg. 1
Ad septimum sic proceditur. Videtur quod articuli fidei non creverint secundum temporum successionem. Quia, ut apostolus dicit, ad Heb. XI, fides est substantia sperandarum rerum. Sed omni tempore sunt eadem speranda. Ergo omni tempore sunt eadem credenda.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 1
Articolo 7

[38792] IIª-IIae q. 1 a. 7 arg. 1
SEMBRA che gli articoli di fede non siano cresciuti con l'andare del tempo. Infatti:
1. L'Apostolo insegna che "la fede è realtà di cose sperate". Ora, in tutti i tempi le cose da sperare furono sempre le stesse. Dunque furono identiche in tutti i tempi anche le cose da credere.

[38793] IIª-IIae q. 1 a. 7 arg. 2
Praeterea, in scientiis humanitus ordinatis per successionem temporum augmentum factum est propter defectum cognitionis in primis qui scientias invenerunt, ut patet per philosophum, in II Metaphys. Sed doctrina fidei non est inventa humanitus, sed tradita a Deo. Dei enim donum est, ut dicitur Ephes. II. Cum igitur in Deum nullus defectus scientiae cadat, videtur quod a principio cognitio credibilium fuerit perfecta, et quod non creverit secundum successionem temporum.

 

[38793] IIª-IIae q. 1 a. 7 arg. 2
2. Nelle scienze umane si ha uno sviluppo con l'andare del tempo, per la mancanza di cognizioni nei primi cultori di esse, come fa notare Aristotele. Ora, la dottrina della fede non è stata inventata dagli uomini, ma rivelata da Dio: "infatti è un dono di Dio", come dice S. Paolo. E poiché in Dio non può esserci nessun difetto di scienza, è chiaro che la conoscenza delle cose di fede fu perfetta fin da principio, e non crebbe con l'andar del tempo.

[38794] IIª-IIae q. 1 a. 7 arg. 3
Praeterea, operatio gratiae non minus ordinate procedit quam operatio naturae. Sed natura semper initium sumit a perfectis ut Boetius dicit, in libro de Consol. Ergo etiam videtur quod operatio gratiae a perfectis initium sumpserit, ita quod illi qui primo tradiderunt fidem perfectissime eam cognoverunt.

 

[38794] IIª-IIae q. 1 a. 7 arg. 3
3. Le opere della grazia non procedono meno ordinate di quelle della natura. Ma la natura inizia sempre con le cose perfette, come nota Boezio. Dunque anche l'opera della grazia ha cominciato con le cose perfette, cosicché i primi iniziati alla fede la conobbero perfettamente.

[38795] IIª-IIae q. 1 a. 7 arg. 4
Praeterea, sicut per apostolos ad nos fides Christi pervenit, ita etiam in veteri testamento per priores patres ad posteriores devenit cognitio fidei, secundum illud Deut. XXXII, interroga patrem tuum et annuntiabit tibi. Sed apostoli plenissime fuerunt instructi de mysteriis, acceperunt enim, sicut tempore prius, ita et ceteris abundantius, ut dicit Glossa, super illud Rom. VIII, nos ipsi primitias spiritus habentes. Ergo videtur quod cognitio credibilium non creverit per temporum successionem.

 

[38795] IIª-IIae q. 1 a. 7 arg. 4
4. Come a noi è giunta la fede attraverso gli Apostoli, così nell'antico Testamento era giunta ai posteri dagli antichi Padri, poiché allora fu scritto: "Domandalo al padre tuo, e te lo racconterà". Ora, gli Apostoli furono pienamente istruiti sui misteri (cristiani): poiché come dice la Glossa su quel detto paolino, "noi stessi che abbiamo le primizie dello Spirito", "come li ebbero prima del tempo, così li ebbero anche più abbondantemente degli altri". Perciò la conoscenza delle cose di fede non crebbe nel corso del tempo.

[38796] IIª-IIae q. 1 a. 7 s. c.
Sed contra est quod Gregorius dicit, quod secundum incrementa temporum crevit scientia sanctorum patrum, et quanto viciniores adventui salvatoris fuerunt, tanto sacramenta salutis plenius perceperunt.

 

[38796] IIª-IIae q. 1 a. 7 s. c.
IN CONTRARIO: S. Gregorio insegna, che "secondo lo svolgersi del tempo crebbe la scienza dei santi Patriarchi: e quanto più questi furono vicini alla venuta del Salvatore, tanto più perfettamente compresero i misteri della salvezza".

[38797] IIª-IIae q. 1 a. 7 co.
Respondeo dicendum quod ita se habent in doctrina fidei articuli fidei sicut principia per se nota in doctrina quae per rationem naturalem habetur. In quibus principiis ordo quidam invenitur, ut quaedam in aliis implicite contineantur, sicut omnia principia reducuntur ad hoc sicut ad primum, impossibile est simul affirmare et negare, ut patet per philosophum, in IV Metaphys. Et similiter omnes articuli implicite continentur in aliquibus primis credibilibus, scilicet ut credatur Deus esse et providentiam habere circa hominum salutem, secundum illud ad Heb. XI, accedentem ad Deum oportet credere quia est, et quod inquirentibus se remunerator sit. In esse enim divino includuntur omnia quae credimus in Deo aeternaliter existere, in quibus nostra beatitudo consistit, in fide autem providentiae includuntur omnia quae temporaliter a Deo dispensantur ad hominum salutem, quae sunt via in beatitudinem. Et per hunc etiam modum aliorum subsequentium articulorum quidam in aliis continentur, sicut in fide redemptionis humanae implicite continetur et incarnatio Christi et eius passio et omnia huiusmodi. Sic igitur dicendum est quod, quantum ad substantiam articulorum fidei, non est factum eorum augmentum per temporum successionem, quia quaecumque posteriores crediderunt continebantur in fide praecedentium patrum, licet implicite. Sed quantum ad explicationem, crevit numerus articulorum, quia quaedam explicite cognita sunt a posterioribus quae a prioribus non cognoscebantur explicite. Unde dominus Moysi dicit, Exod. VI, ego sum Deus Abraham, Deus Isaac, Deus Iacob, et nomen meum Adonai non indicavi eis. Et David dicit, super senes intellexi. Et apostolus dicit, ad Ephes. III, aliis generationibus non est agnitum mysterium Christi sicut nunc revelatum est sanctis apostolis eius et prophetis.

 

[38797] IIª-IIae q. 1 a. 7 co.
RISPONDO: Gli articoli stanno alla dottrina della fede, come i principi per sé noti stanno alle scienze acquisite dalla ragione umana. Nei quali principi si riscontra un certo ordine, in quanto che alcuni sono impliciti in altri: tutti i principi, p. es., si riducono a quel primo principio, come il Filosofo dimostra: "L'affermazione e la negazione sono incompatibili simultaneamente". Parimente tutti gli articoli sono impliciti in alcune prime verità di fede, tutto cioè si riduce a credere che Dio esiste, e che provvede alla salvezza degli uomini, secondo l'insegnamento di S. Paolo: "Chi si accosta a Dio deve credere che egli esiste, e che è rimuneratore di quelli che lo cercano". Infatti nell'essere divino sono incluse tutte le cose che crediamo esistere eternamente in Dio, e nelle quali consisterà la nostra beatitudine; e nella fede nella provvidenza sono inclusi tutti i mezzi di cui Dio si serve nel tempo per la salvezza degli uomini, e che preparano alla beatitudine. E allo stesso modo anche tra gli articoli subordinati alcuni sono impliciti in altri: la fede, p. es., nella redenzione umana implica e l'incarnazione di Cristo, e la sua passione, e tutte le altre cose connesse.
Perciò si deve concludere che quanto alla sostanza degli articoli di fede non c'è stato nessuno sviluppo nel corso dei tempi: poiché i Padri posteriori credettero tutte le verità che erano contenute, sebbene implicitamente, nella fede dei loro antenati. Invece quanto all'esplicitazione il numero degli articoli ebbe un aumento: poiché i Padri posteriori conobbero esplicitamente cose che i primitivi non avevano conosciuto in maniera esplicita. Infatti così Dio parlò a Mosè: "Io sono il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe: ma non manifestai loro il mio nome di Adonai". E David affermava: "Ho compreso più dei vecchi". L'Apostolo finalmente scrive: "Nelle altre età non fu conosciuto il mistero di Cristo dai figli degli uomini, così come ora è stato rivelato ai santi suoi Apostoli e profeti".

[38798] IIª-IIae q. 1 a. 7 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod semper fuerunt eadem speranda apud omnes. Quia tamen ad haec speranda homines non pervenerunt nisi per Christum, quanto a Christo fuerunt remotiores secundum tempus, tanto a consecutione sperandorum longinquiores, unde apostolus dicit, ad Heb. XI, iuxta fidem defuncti sunt omnes isti, non acceptis repromissionibus, sed a longe eas respicientes. Quanto autem aliquid a longinquioribus videtur, tanto minus distincte videtur. Et ideo bona speranda distinctius cognoverunt qui fuerunt adventui Christi vicini.

 

[38798] IIª-IIae q. 1 a. 7 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Le cose da sperare furono sempre le stesse per tutti. Siccome però gli uomini non sono giunti a codeste speranze che mediante il Cristo, più furono lontani da Cristo nel tempo, più furono lontani dal conseguimento di esse. L'Apostolo infatti ha scritto: "Nella fede morirono tutti costoro senza aver conseguito le cose promesse, ma vedendole da lontano". Ora, più una cosa si vede di lontano, e meno si vede distintamente. Ecco perché coloro che furono più prossimi alla venuta di Cristo conobbero l'oggetto della speranza con maggior chiarezza.

[38799] IIª-IIae q. 1 a. 7 ad 2
Ad secundum dicendum quod profectus cognitionis dupliciter contingit. Uno modo, ex parte docentis, qui in cognitione proficit, sive unus sive plures, per temporum successionem. Et ista est ratio augmenti in scientiis per rationem humanam inventis. Alio modo, ex parte addiscentis, sicut magister qui novit totam artem non statim a principio tradit eam discipulo, quia capere non posset, sed paulatim, condescendens eius capacitati. Et hac ratione profecerunt homines in cognitione fidei per temporum successionem. Unde apostolus, ad Gal. III, comparat statum veteris testamenti pueritiae.

 

[38799] IIª-IIae q. 1 a. 7 ad 2
2. Lo sviluppo del sapere può dipendere da due motivi. Primo, dal fatto che l'insegnante, uno o molti che siano, progredisce nella scienza con l'andar del tempo. E questo è il motivo dello sviluppo nelle scienze umane. Secondo, per causa del discepolo: poiché un maestro che conosce perfettamente una disciplina non l'insegna subito tutta da principio al discepolo, che non potrebbe capirla, ma un po' per volta, adattandosi alle sue capacità. E per questo motivo gli uomini progredirono nella conoscenza della fede nel corso dei tempi. Infatti l'Apostolo paragona all'infanzia lo stato dell'antico Testamento.

[38800] IIª-IIae q. 1 a. 7 ad 3
Ad tertium dicendum quod ad generationem naturalem duae causae praeexiguntur, scilicet agens et materia. Secundum igitur ordinem causae agentis, naturaliter prius est quod est perfectius, et sic natura a perfectis sumit exordium, quia imperfecta non ducuntur ad perfectionem nisi per aliqua perfecta praeexistentia. Secundum vero ordinem causae materialis, prius est quod est imperfectius, et secundum hoc natura procedit ab imperfecto ad perfectum. In manifestatione autem fidei Deus est sicut agens, qui habet perfectam scientiam ab aeterno, homo autem est sicut materia recipiens influxum Dei agentis. Et ideo oportuit quod ab imperfectis ad perfectum procederet cognitio fidei in hominibus. Et licet in hominibus quidam se habuerint per modum causae agentis, quia fuerunt fidei doctores; tamen manifestatio spiritus datur talibus ad utilitatem communem, ut dicitur I ad Cor. XII. Et ideo tantum dabatur patribus qui erant instructores fidei de cognitione fidei, quantum oportebat pro tempore illo populo tradi vel nude vel in figura.

 

[38800] IIª-IIae q. 1 a. 7 ad 3
3. Per la generazione naturale delle cose si richiedono due cause, la causa agente e la materia. Ora, secondo l'ordine della causa agente per natura viene prima ciò che è più perfetto, ed ecco che la natura prende inizio dagli esseri più perfetti: poiché gli esseri imperfetti non raggiungono la perfezione che in forza di quelli perfetti preesistenti. Invece secondo l'ordine della causa materiale sono prima le cose più imperfette e qui la natura procede dalle cose imperfette a quelle perfette. Ebbene, nella rivelazione della fede la causa agente è Dio, che dall'eternità ha una scienza perfetta: l'uomo invece è come la materia che riceve l'influsso di Dio. Ecco perché presso gli uomini era necessario che la conoscenza della fede procedesse da uno stato imperfetto a quello perfetto. E sebbene tra gli uomini alcuni si siano trovati nella condizione di cause agenti, perché maestri della fede; tuttavia "la manifestazione dello Spirito fu loro concessa per una utilità comune", come dice S. Paolo. Ecco perché agli antichi Padri maggiormente iniziati fu concessa tanta conoscenza della fede, quanto al loro tempo era necessario esporne al popolo, sia in modo esplicito, che in modo figurale.

[38801] IIª-IIae q. 1 a. 7 ad 4
Ad quartum dicendum quod ultima consummatio gratiae facta est per Christum, unde et tempus eius dicitur tempus plenitudinis, ad Gal. IV. Et ideo illi qui fuerunt propinquiores Christo vel ante, sicut Ioannes Baptista, vel post, sicut apostoli, plenius mysteria fidei cognoverunt. Quia et circa statum hominis hoc videmus, quod perfectio est in iuventute, et tanto habet homo perfectiorem statum vel ante vel post, quanto est iuventuti propinquior.

 

[38801] IIª-IIae q. 1 a. 7 ad 4
4. L'ultima perfezione dell'opera della grazia fu data dal Cristo: difatti il suo tempo è chiamato da S. Paolo "la pienezza dei tempi". Perciò quelli che furono più vicini a Cristo, cioè S. Giovanni Battista prima, e gli Apostoli dopo, conobbero maggiormente i misteri della fede. Del resto questo si riscontra anche nella vita umana: poiché la perfezione è nella giovinezza, e un uomo ha uno stato tanto più perfetto, sia prima che dopo, quanto più si avvicina alla giovinezza.




Seconda parte > Le azioni umane > La fede > Il suo oggetto > Se gli articoli di fede siano ben enumerati


Secunda pars secundae partis
Quaestio 1
Articulus 8

[38802] IIª-IIae q. 1 a. 8 arg. 1
Ad octavum sic proceditur. Videtur quod inconvenienter articuli fidei enumerentur. Ea enim quae possunt ratione demonstrativa sciri non pertinent ad fidem ut apud omnes sint credibilia, sicut supra dictum est. Sed Deum esse unum potest esse scitum per demonstrationem, unde et philosophus hoc in XII Metaphys. probat, et multi alii philosophi ad hoc demonstrationes induxerunt. Ergo Deum esse unum non debet poni unus articulus fidei.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 1
Articolo 8

[38802] IIª-IIae q. 1 a. 8 arg. 1
SEMBRA che gli articoli di fede non siano ben enumerati. Infatti:
1. Le cose che si possono conoscere per dimostrazione scientifica non appartengono alla fede in modo da essere per tutti verità credute, come sopra abbiamo detto. Ora, che esiste un unico Dio si può scientificamente dimostrare: difatti così ha saputo fare Aristotele nella Metafisica, e molti altri filosofi hanno portato delle dimostrazioni per provarlo. Dunque non si deve considerare un articolo di fede l'esistenza di un unico Dio.

[38803] IIª-IIae q. 1 a. 8 arg. 2
Praeterea, sicut de necessitate fidei est quod credamus Deum omnipotentem, ita etiam quod credamus eum omnia scientem et omnibus providentem; et circa utrumque eorum aliqui erraverunt. Debuit ergo inter articulos fidei fieri mentio de sapientia et providentia divina, sicut et de omnipotentia.

 

[38803] IIª-IIae q. 1 a. 8 arg. 2
2. La fede come ci obbliga a credere che Dio è onnipotente, così ci impone di credere che è onnisciente e che provvede a tutti gli esseri; e ci furono errori contro l'una e contro l'altra verità. Perciò tra gli articoli di fede si doveva ricordare la sapienza e la provvidenza divina, come si è fatto per l'onnipotenza.

[38804] IIª-IIae q. 1 a. 8 arg. 3
Praeterea, eadem est notitia patris et filii, secundum illud Ioan. XIV, qui videt me videt et patrem. Ergo unus tantum articulus debet esse de patre et filio; et, eadem ratione, de spiritu sancto.

 

[38804] IIª-IIae q. 1 a. 8 arg. 3
3. Identica cosa è conoscere il Padre e il Figlio, come afferma il Signore nel Vangelo: "Chi vede me, vede anche il Padre". Dunque un unico articolo doveva abbracciare il Padre e il Figlio; e, per la stessa ragione, anche lo Spirito Santo.

[38805] IIª-IIae q. 1 a. 8 arg. 4
Praeterea, persona patris non est minor quam filii et spiritus sancti. Sed plures articuli ponuntur circa personam spiritus sancti, et similiter circa personam filii. Ergo plures articuli debent poni circa personam patris.

 

[38805] IIª-IIae q. 1 a. 8 arg. 4
4. Il Padre non è da meno del Figlio e dello Spirito Santo. Ma per lo Spirito Santo sono enumerati diversi articoli, e così pure per il Figlio. Dunque dovevano esserci più articoli anche per la persona del Padre.

[38806] IIª-IIae q. 1 a. 8 arg. 5
Praeterea, sicuti personae patris et personae spiritus sancti aliquid appropriatur, ita et personae filii secundum divinitatem. Sed in articulis ponitur aliquod opus appropriatum patri, scilicet opus creationis; et similiter aliquod opus appropriatum spiritui sancto, scilicet quod locutus est per prophetas. Ergo etiam inter articulos fidei debet aliquod opus appropriari filio secundum divinitatem.

 

[38806] IIª-IIae q. 1 a. 8 arg. 5
5. Come viene appropriato qualcosa al Padre e allo Spirito Santo, così bisogna appropriare qualcosa alla persona del Figlio relativo alla sua divinità. Ora, negli articoli (del simbolo) troviamo ricordata l'opera della creazione appropriata al Padre, e l'opera della rivelazione "fatta ai profeti", appropriata allo Spirito Santo. Dunque negli articoli di fede si doveva appropriare un'opera anche al Figlio secondo la sua divinità.

[38807] IIª-IIae q. 1 a. 8 arg. 6
Praeterea, sacramentum Eucharistiae specialem habet difficultatem prae multis articulis. Ergo de ea debuit poni specialis articulus. Non videtur ergo quod articuli sufficienter enumerentur.

 

[38807] IIª-IIae q. 1 a. 8 arg. 6
6. Il sacramento dell'Eucarestia presenta una difficoltà particolare superiore a quella di molti altri articoli. Perciò esso meritava un articolo a parte. E quindi non sembra che gli articoli siano adeguatamente enumerati.

[38808] IIª-IIae q. 1 a. 8 s. c.
Sed in contrarium est auctoritas Ecclesiae sic enumerantis.

 

[38808] IIª-IIae q. 1 a. 8 s. c.
IN CONTRARIO: Sta l'autorità della Chiesa che li enumera così.

[38809] IIª-IIae q. 1 a. 8 co.
Respondeo dicendum quod, sicut dictum est, illa per se pertinent ad fidem quorum visione in vita aeterna perfruemur, et per quae ducemur in vitam aeternam. Duo autem nobis ibi videnda proponuntur, scilicet occultum divinitatis, cuius visio nos beatos facit; et mysterium humanitatis Christi, per quem in gloriam filiorum Dei accessum habemus, ut dicitur ad Rom. V. Unde dicitur Ioan. XVII, haec est vita aeterna, ut cognoscant te, Deum verum, et quem misisti Iesum Christum. Et ideo prima distinctio credibilium est quod quaedam pertinent ad maiestatem divinitatis; quaedam vero pertinent ad mysterium humanitatis Christi, quod est pietatis sacramentum, ut dicitur I ad Tim. III. Circa maiestatem autem divinitatis tria nobis credenda proponuntur. Primo quidem, unitas divinitatis, et ad hoc pertinet primus articulus. Secundo, Trinitas personarum, et de hoc sunt tres articuli secundum tres personas. Tertio vero proponuntur nobis opera divinitatis propria. Quorum primum pertinet ad esse naturae, et sic proponitur nobis articulus creationis. Secundum vero pertinet ad esse gratiae, et sic proponuntur nobis sub uno articulo omnia pertinentia ad sanctificationem humanam. Tertium vero pertinet ad esse gloriae, et sic ponitur alius articulus de resurrectione carnis et de vita aeterna. Et ita sunt septem articuli ad divinitatem pertinentes. Similiter etiam circa humanitatem Christi ponuntur septem articuli. Quorum primus est de incarnatione sive de conceptione Christi; secundus de nativitate eius ex virgine; tertius de passione eius et morte et sepultura; quartus est de descensu ad Inferos; quintus est de resurrectione; sextus de ascensione; septimus de adventu ad iudicium. Et sic in universo sunt quatuordecim. Quidam tamen distinguunt duodecim articulos fidei, sex pertinentes ad divinitatem et sex pertinentes ad humanitatem. Tres enim articulos trium personarum comprehendunt sub uno, quia eadem est cognitio trium personarum. Articulum vero de opere glorificationis distinguunt in duos, scilicet in resurrectionem carnis et gloriam animae. Similiter articulum conceptionis et nativitatis coniungunt in unum.

 

[38809] IIª-IIae q. 1 a. 8 co.
RISPONDO: Abbiamo già detto che alla fede appartengono essenzialmente soltanto le cose di cui godremo la visione nella vita eterna, e che ad essa ci conducono. Ora, due sono le cose che là ci saranno presentate: il mistero della divinità, la cui visione ci rende beati; e il mistero dell'umanità del Cristo, mediante il quale "abbiamo adito alla gloria dei figli di Dio". Perciò sta scritto: "La vita eterna è questa, che conoscano te, vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo". Quindi la prima divisione delle verità di fede è questa, che parte di esse riguardano la grandezza di Dio, e parte riguardano il mistero dell'umanità di Cristo, che a dire di S. Paolo è "il mistero della pietà".
E a proposito della grandezza di Dio vengono proposte alla nostra fede tre cose. Primo, l'unità di Dio, di cui si occupa il primo articolo. Secondo, la trinità delle Persone: ed abbiamo così tre articoli, uno per ogni persona. Terzo, sono presentate le opere proprie della divinità. La prima di esse riguarda l'esistenza della natura: ecco perché viene proposto l'articolo della creazione. La seconda riguarda l'esistenza della grazia: ed ecco che ci vengono proposte sotto un unico articolo tutte le opere riguardanti la santificazione umana. La terza riguarda l'esistenza della gloria: ed ecco un altro articolo che riguarda la resurrezione e la vita eterna. Abbiamo così sette articoli riguardanti la divinità.
Anche a proposito dell'umanità di Cristo sono proposti sette articoli. Il primo riguarda l'incarnazione, ovvero la concezione del Cristo; il secondo la sua nascita dalla Vergine; il terzo la passione, la morte e la sepoltura di lui; il quarto la discesa agli inferi; il quinto la resurrezione; il sesto l'ascensione; il settimo il suo ritorno per il giudizio (finale). E quindi in tutto sono quattordici.
Alcuni però distinguono dodici articoli di fede: sei per la divinità, e sei per l'umanità (del Redentore). Essi riducono a uno solo i tre articoli riguardanti le Persone: poiché la conoscenza delle tre Persone è identica. Invece distinguono in due articoli l'opera della glorificazione: resurrezione della carne, e gloria dell'anima. Al contrario riducono a uno solo gli articoli dell'incarnazione e della nascita.

[38810] IIª-IIae q. 1 a. 8 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod multa per fidem tenemus de Deo quae naturali ratione investigare philosophi non potuerunt, puta circa providentiam eius et omnipotentiam, et quod ipse solus sit colendus. Quae omnia continentur sub articulo unitatis Dei.

 

[38810] IIª-IIae q. 1 a. 8 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Con la fede noi apprendiamo su Dio molte cose, che i filosofi non furono in grado di investigare con la ragione naturale: p. es., che egli è provvidente ed onnipotente, e che lui solo deve essere adorato. Tutte cose che sono racchiuse nell'articolo riguardante l'unità di Dio.

[38811] IIª-IIae q. 1 a. 8 ad 2
Ad secundum dicendum quod ipsum nomen divinitatis importat provisionem quandam, ut in primo libro dictum est. Potentia autem in habentibus intellectum non operatur nisi secundum voluntatem et cognitionem. Et ideo omnipotentia Dei includit quodammodo omnium scientiam et providentiam, non enim posset omnia quae vellet in istis inferioribus agere nisi ea cognosceret et eorum providentiam haberet.

 

[38811] IIª-IIae q. 1 a. 8 ad 2
2. Il nome stesso di Dio implica l'idea di provvidenza, come abbiamo visto nella Prima Parte. Inoltre la potenza negli esseri dotati di intelletto non opera che seguendo la volontà e la cognizione. Perciò l'onnipotenza di Dio include in qualche modo la scienza e la provvidenza di tutte le cose: egli infatti non potrebbe compiere nel mondo tutto ciò che vuole, se non conoscesse le cose e non ne avesse provvidenza.

[38812] IIª-IIae q. 1 a. 8 ad 3
Ad tertium dicendum quod patris et filii et spiritus sancti est una cognitio quantum ad unitatem essentiae, quae pertinet ad primum articulum. Quantum vero ad distinctionem personarum, quae est per relationes originis, quodammodo in cognitione patris includitur cognitio filii, non enim esset pater si filium non haberet, quorum nexus est spiritus sanctus. Et quantum ad hoc bene moti sunt qui posuerunt unum articulum trium personarum. Sed quia circa singulas personas sunt aliqua attendenda circa quae contingit esse errorem, quantum ad hoc de tribus personis possunt poni tres articuli. Arius enim credidit patrem omnipotentem et aeternum, sed non credidit filium coaequalem et consubstantialem patri, et ideo necessarium fuit apponere articulum de persona filii ad hoc determinandum. Et eadem ratione contra Macedonium necesse fuit ponere articulum tertium de persona spiritus sancti. Et similiter etiam conceptio Christi et nativitas, et etiam resurrectio et vita aeterna, secundum unam rationem possunt comprehendi sub uno articulo, inquantum ad unum ordinantur, et secundum aliam rationem possunt distingui, inquantum seorsum habent speciales difficultates.

 

[38812] IIª-IIae q. 1 a. 8 ad 3
3. Unica è la conoscenza del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo quanto all'unità dell'essenza, che rientra nel primo articolo. Invece quanto alla distinzione delle Persone, che dipende dalle relazioni di origine, troviamo che nella conoscenza del Padre è inclusa in qualche modo la conoscenza del Figlio; poiché Dio non sarebbe Padre, se non avesse un Figlio: e il loro nesso è lo Spirito Santo. E da questo lato hanno un giusto motivo quelli che enumerano un unico articolo per le tre Persone divine. Siccome però sulle singole Persone ci sono da tenere presenti alcune cose su cui è possibile ingannarsi, si possono hen distinguere tre articoli a proposito di esse. Ario infatti credeva che il Padre fosse onnipotente ed eterno, ma non credeva che il Figlio fosse coequale e consustanziale al Padre: ecco perché era necessario un articolo sulla persona del Figlio, per determinarlo. E per la stessa ragione fu necessario stabilire un terzo articolo contro Macedonio sulla persona dello Spirito Santo.
Parimente, l'incarnazione e la nascita di Cristo, e così pure la resurrezione e la vita eterna, sotto un certo aspetto si possono racchiudere in un solo articolo, perché son cose ordinate a uno scopo unico: e sotto un altro aspetto si possono distinguere, perché ciascuna ha particolari difficoltà.

[38813] IIª-IIae q. 1 a. 8 ad 4
Ad quartum dicendum quod filio et spiritui sancto convenit mitti ad sanctificandam creaturam, circa quod plura credenda occurrunt. Et ideo circa personam filii et spiritus sancti plures articuli multiplicantur quam circa personam patris, qui nunquam mittitur, ut in primo dictum est.

 

[38813] IIª-IIae q. 1 a. 8 ad 4
4. Al Figlio e allo Spirito Santo spetta di essere inviati per santificare le creature: ed è questa un'opera su cui troviamo molte cose da credere. Ecco perché sono più gli articoli riguardanti le persone del Figlio e dello Spirito Santo, che quelle riguardanti il Padre, il quale non viene mai inviato, come abbiamo detto nella Prima Parte.

[38814] IIª-IIae q. 1 a. 8 ad 5
Ad quintum dicendum quod sanctificatio creaturae per gratiam et consummatio per gloriam fit etiam per donum caritatis, quod appropriatur spiritui sancto, et per donum sapientiae, quod appropriatur filio. Et ideo utrumque opus pertinet et ad filium et ad spiritum sanctum per appropriationem secundum rationes diversas.

 

[38814] IIª-IIae q. 1 a. 8 ad 5
5. La santificazione delle creature con la grazia, e la loro sublimazione con la gloria avviene, sia mediante il dono della carità, che è appropriato allo Spirito Santo, sia mediante il dono della sapienza che è appropriato al Figlio. Perciò codeste due opere appartengono per appropriazione e al Figlio e allo Spirito Santo, sotto aspetti diversi.

[38815] IIª-IIae q. 1 a. 8 ad 6
Ad sextum dicendum quod in sacramento Eucharistiae duo possunt considerari. Unum scilicet quod sacramentum est, et hoc habet eandem rationem cum aliis effectibus gratiae sanctificantis. Aliud est quod miraculose ibi corpus Christi continetur, et sic concluditur sub omnipotentia, sicut et omnia alia miracula, quae omnipotentiae attribuuntur.

 

[38815] IIª-IIae q. 1 a. 8 ad 6
6. Nel sacramento dell'Eucarestia si possono considerare due cose. Primo, che è un sacramento: e questo è un aspetto comune a tutti gli altri effetti della grazia santificante. Secondo, che vi si contiene miracolosamente il corpo di Cristo: e sotto questo aspetto è incluso nell'onnipotenza, come tutti gli altri miracoli, che ad essa appunto sono attribuiti.




Seconda parte > Le azioni umane > La fede > Il suo oggetto > Se ci siano inconvenienti nella sistemazione degli articoli di fede nei simboli


Secunda pars secundae partis
Quaestio 1
Articulus 9

[38816] IIª-IIae q. 1 a. 9 arg. 1
Ad nonum sic proceditur. Videtur quod inconvenienter articuli fidei in symbolo ponantur. Sacra enim Scriptura est regula fidei, cui nec addere nec subtrahere licet, dicitur enim Deut. IV, non addetis ad verbum quod vobis loquor, neque auferetis ab eo. Ergo illicitum fuit aliquod symbolum constituere quasi regulam fidei, post sacram Scripturam editam.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 1
Articolo 9

[38816] IIª-IIae q. 1 a. 9 arg. 1
SEMBRA che nella sistemazione degli articoli di fede nei simboli ci siano degli inconvenienti. Infatti:
1. La Sacra Scrittura è una regola di fede, a cui non è lecito né aggiungere né togliere nulla; poiché sta scritto: "Non aggiungete e non togliete nulla a quanto io vi dico". Perciò è illecita la compilazione di simboli come regole di fede, dopo la pubblicazione della Sacra Scrittura.

[38817] IIª-IIae q. 1 a. 9 arg. 2
Praeterea, sicut apostolus dicit, ad Ephes. IV, una est fides. Sed symbolum est professio fidei. Ergo inconvenienter traditur multiplex symbolum.

 

[38817] IIª-IIae q. 1 a. 9 arg. 2
2. Come dice l'Apostolo, "una è la fede". Ora, un simbolo è una professione di fede. Dunque non si giustifica la pluralità dei simboli.

[38818] IIª-IIae q. 1 a. 9 arg. 3
Praeterea, confessio fidei quae in symbolo continetur pertinet ad omnes fideles. Sed non omnibus fidelibus convenit credere in Deum, sed solum illis qui habent fidem formatam. Ergo inconvenienter symbolum fidei traditur sub hac forma verborum, credo in unum Deum.

 

[38818] IIª-IIae q. 1 a. 9 arg. 3
3. La professione di fede contenuta nel simbolo conviene a tutti i fedeli. Ora, non tutti i fedeli possono dire di credere "in Dio", ma soltanto quelli che hanno la fede formata (dalla carità). Quindi non è giusta quella formula del simbolo "Io credo in un unico Dio".

[38819] IIª-IIae q. 1 a. 9 arg. 4
Praeterea, descensus ad Inferos est unus de articulis fidei, sicut supra dictum est. Sed in symbolo patrum non fit mentio de descensu ad Inferos. Ergo videtur insufficienter collectum.

 

[38819] IIª-IIae q. 1 a. 9 arg. 4
4. La discesa agli inferi è uno degli articoli di fede, come abbiamo visto. Ma nel simbolo dei Padri (niceno-costantinopolitani) non se ne parla. Dunque codesto simbolo è insufficiente.

[38820] IIª-IIae q. 1 a. 9 arg. 5
Praeterea, sicut Augustinus dicit, exponens illud Ioan. XIV, creditis in Deum, et in me credite, Petro aut Paulo credimus, sed non dicimur credere nisi in Deum. Cum igitur Ecclesia Catholica sit pure aliquid creatum, videtur quod inconvenienter dicatur, in unam sanctam, Catholicam et apostolicam Ecclesiam.

 

[38820] IIª-IIae q. 1 a. 9 arg. 5
5. S. Agostino, commentando quel passo evangelico: "Credete in Dio e credete anche in me", spiega che noi pure credendo "a Pietro" o "a Paolo", diciamo di non credere che "in Dio". Ora, siccome la Chiesa Cattolica è qualche cosa di creato, non sembra giusto che si dica: "credo nella Chiesa unica, santa, cattolica e apostolica".

[38821] IIª-IIae q. 1 a. 9 arg. 6
Praeterea, symbolum ad hoc traditur ut sit regula fidei. Sed regula fidei debet omnibus proponi et publice. Quodlibet igitur symbolum deberet in Missa cantari, sicut symbolum patrum. Non videtur ergo esse conveniens editio articulorum fidei in symbolo.

 

[38821] IIª-IIae q. 1 a. 9 arg. 6
6. Il simbolo vien dato come regola di fede. Ma una regola di fede deve essere proposta a tutti pubblicamente. Perciò tutti i simboli dovrebbero essere cantati nella messa, come il simbolo dei Padri (niceni). Dunque non è giusta la pubblicazione degli articoli di fede fatta nei simboli.

[38822] IIª-IIae q. 1 a. 9 s. c.
Sed contra est quod Ecclesia universalis non potest errare, quia spiritu sancto gubernatur, qui est spiritus veritatis, hoc enim promisit dominus discipulis, Ioan. XVI, dicens, cum venerit ille spiritus veritatis, docebit vos omnem veritatem. Sed symbolum est auctoritate universalis Ecclesiae editum. Nihil ergo inconveniens in eo continetur.

 

[38822] IIª-IIae q. 1 a. 9 s. c.
IN CONTRARIO: La Chiesa universale non può sbagliare, essendo guidata dallo Spirito Santo, che è Spirito di verità. Così infatti suona la promessa del Signore: "Quando sarà venuto lo Spirito di verità, egli vi insegnerà ogni verità". Ora, i simboli sono pubblicati dall'autorità della Chiesa universale. Dunque in essi non ci sono incongruenze.

[38823] IIª-IIae q. 1 a. 9 co.
Respondeo dicendum quod, sicut apostolus dicit, ad Heb. XI, accedentem ad Deum oportet credere. Credere autem non potest aliquis nisi ei veritas quam credat proponatur. Et ideo necessarium fuit veritatem fidei in unum colligi, ut facilius posset omnibus proponi, ne aliquis per ignorantiam a fidei veritate deficeret. Et ab huiusmodi collectione sententiarum fidei nomen symboli est acceptum.

 

[38823] IIª-IIae q. 1 a. 9 co.
RISPONDO: Come insegna l'Apostolo, "chi s'accosta a Dio deve credere". Ma uno non può credere, se non gli viene proposta la verità da credere. Ecco perché fu necessario raccogliere in un compendio le verità di fede, per proporle più facilmente a tutti, e perché nessuno si allontanasse dalla verità della fede per ignoranza. E codesto compendio di sentenze ha dato origine al termine simbolo.

[38824] IIª-IIae q. 1 a. 9 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod veritas fidei in sacra Scriptura diffuse continetur et variis modis, et in quibusdam obscure; ita quod ad eliciendum fidei veritatem ex sacra Scriptura requiritur longum studium et exercitium, ad quod non possunt pervenire omnes illi quibus necessarium est cognoscere fidei veritatem, quorum plerique, aliis negotiis occupati, studio vacare non possunt. Et ideo fuit necessarium ut ex sententiis sacrae Scripturae aliquid manifestum summarie colligeretur quod proponeretur omnibus ad credendum. Quod quidem non est additum sacrae Scripturae, sed potius ex sacra Scriptura assumptum.

 

[38824] IIª-IIae q. 1 a. 9 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Le verità della fede son contenute nella Sacra Scrittura in maniera prolissa, varia e in certi casi oscura; cosicché per estrarre le verità di fede dalla Scrittura si richiedono lunghi studi ed esercizio, che non sono alla portata di tutti coloro che hanno il dovere di conoscere codeste verità; poiché molti di essi, occupati in altre faccende, non possono attendere allo studio. Di qui la necessità di raccogliere dai testi della Sacra Scrittura un chiaro compendio, da proporre alla fede di tutti. Questo però non è una aggiunta che si fa alla Sacra Scrittura ma ne è piuttosto un estratto.

[38825] IIª-IIae q. 1 a. 9 ad 2
Ad secundum dicendum quod in omnibus symbolis eadem fidei veritas docetur. Sed ibi oportet populum diligentius instrui de fidei veritate ubi errores insurgunt, ne fides simplicium per haereticos corrumpatur. Et haec fuit causa quare necesse fuit edere plura symbola. Quae in nullo alio differunt nisi quod in uno plenius explicantur quae in alio continentur implicite, secundum quod exigebat haereticorum instantia.

 

[38825] IIª-IIae q. 1 a. 9 ad 2
2. In tutti i simboli viene insegnata la medesima verità di fede. Ma è necessario istruire il popolo più accuratamente su codesta verità, quando insorgono degli errori, perché la fede dei semplici non venga pervertita dagli eretici. Questa fu la causa che costrinse a redigere diversi simboli. Essi però differiscono tra loro solo per il fatto che le cose implicite nell'uno sono spiegate nell'altro con maggior chiarezza, come esigevano gli attacchi degli eretici.

[38826] IIª-IIae q. 1 a. 9 ad 3
Ad tertium dicendum quod confessio fidei traditur in symbolo quasi ex persona totius Ecclesiae, quae per fidem unitur. Fides autem Ecclesiae est fides formata, talis enim fides invenitur in omnibus illis qui sunt numero et merito de Ecclesia. Et ideo confessio fidei in symbolo traditur secundum quod convenit fidei formatae, ut etiam si qui fideles fidem formatam non habent, ad hanc formam pertingere studeant.

 

[38826] IIª-IIae q. 1 a. 9 ad 3
3. La professione di fede è presentata nel simbolo a nome di tutta la Chiesa, che deve alla fede la sua unità. Ma la fede della Chiesa è una fede formata (dalla carità): perché tale è la fede di coloro che appartengono alla Chiesa per numero e per merito. Ecco perché nel simbolo si presenta una professione di fede adatta per la fede "formata": e anche perché i fedeli che non avessero la fede "formata", cerchino di raggiungerla.

[38827] IIª-IIae q. 1 a. 9 ad 4
Ad quartum dicendum quod de descensu ad Inferos nullus error erat exortus apud haereticos, et ideo non fuit necessarium aliquam explicationem circa hoc fieri. Et propter hoc non reiteratur in symbolo patrum, sed supponitur tanquam praedeterminatum in symbolo apostolorum. Non enim symbolum sequens abolet praecedens, sed potius illud exponit, ut dictum est.

 

[38827] IIª-IIae q. 1 a. 9 ad 4
4. Presso gli eretici non era sorto nessun errore a proposito della discesa agli inferi; ecco perché non fu necessario aggiungere una spiegazione in proposito. E per questo non venne ricordata nel simbolo dei Padri (niceni); ma si suppone la sua determinazione nel simbolo degli Apostoli. Infatti un simbolo successivo non abolisce il precedente, bensì lo spiega, come abbiamo detto.

[38828] IIª-IIae q. 1 a. 9 ad 5
Ad quintum dicendum quod, si dicatur in sanctam Ecclesiam Catholicam, est hoc intelligendum secundum quod fides nostra refertur ad spiritum sanctum, qui sanctificat Ecclesiam, ut sit sensus, credo in spiritum sanctum sanctificantem Ecclesiam. Sed melius est et secundum communiorem usum, ut non ponatur ibi in, sed simpliciter dicatur sanctam Ecclesiam Catholicam, sicut etiam Leo Papa dicit.

 

[38828] IIª-IIae q. 1 a. 9 ad 5
5. Se si dice "nella santa Chiesa cattolica", si deve intendere che la nostra fede si riferisce allo Spirito Santo, il quale santifica la Chiesa; e cioè in questo senso: "Credo nello Spirito Santo che santifica la Chiesa". Però secondo l'uso più comune è meglio non mettere la preposizione in, e dire semplicemente: "la santa Chiesa cattolica", come fa anche S. Leone Papa.

[38829] IIª-IIae q. 1 a. 9 ad 6
Ad sextum dicendum quod, quia symbolum patrum est declarativum symboli apostolorum, et etiam fuit conditum fide iam manifestata et Ecclesia pacem habente, propter hoc publice in Missa cantatur. Symbolum autem apostolorum, quod tempore persecutionis editum fuit, fide nondum publicata, occulte dicitur in prima et in completorio, quasi contra tenebras errorum praeteritorum et futurorum.

 

[38829] IIª-IIae q. 1 a. 9 ad 6
6. Il simbolo niceno è una spiegazione di quello apostolico, e quindi fu compilato quando la fede era già divulgata e la Chiesa era in pace; ecco perché esso viene cantato pubblicamente nella messa. Invece il simbolo apostolico, compilato in tempo di persecuzione, quando la fede non era ancora divulgata, viene recitato in silenzio a Prima e a Compieta, quasi contro le tenebre degli errori passati e futuri.




Seconda parte > Le azioni umane > La fede > Il suo oggetto > Se spetti al Sommo Pontefice costituire il simbolo della fede


Secunda pars secundae partis
Quaestio 1
Articulus 10

[38830] IIª-IIae q. 1 a. 10 arg. 1
Ad decimum sic proceditur. Videtur quod non pertineat ad summum pontificem fidei symbolum ordinare. Nova enim editio symboli necessaria est propter explicationem articulorum fidei, sicut dictum est. Sed in veteri testamento articuli fidei magis ac magis explicabantur secundum temporum successionem propter hoc quod veritas fidei magis manifestabatur secundum maiorem propinquitatem ad Christum, ut supra dictum est. Cessante ergo tali causa in nova lege, non debet fieri maior ac maior explicatio articulorum fidei. Ergo non videtur ad auctoritatem summi pontificis pertinere nova symboli editio.

 
Seconda parte della seconda parte
Questione 1
Articolo 10

[38830] IIª-IIae q. 1 a. 10 arg. 1
SEMBRA che non spetti al Sommo Pontefice costituire il simbolo della fede. Infatti:
1. Una nuova edizione del simbolo è necessaria, come abbiamo detto, per spiegare gli articoli della fede. Ora, la spiegazione degli articoli di fede nel corso del tempo avveniva nel vecchio Testamento, perché le verità di fede, stando alle spiegazioni precedenti, venivano manifestate maggiormente all'approssimarsi della venuta di Cristo. Ma essendo cessato con la nuova Legge codesto motivo, non c'è ragione di spiegare sempre di più gli articoli di fede. Perciò non spetta all'autorità del Sommo Pontefice ordinare un nuovo simbolo.

[38831] IIª-IIae q. 1 a. 10 arg. 2
Praeterea, illud quod est sub anathemate interdictum ab universali Ecclesia non subest potestati alicuius hominis. Sed nova symboli editio interdicta est sub anathemate auctoritate universalis Ecclesiae. Dicitur enim in gestis primae Ephesinae synodi quod, perlecto symbolo Nicaenae synodi, decrevit sancta synodus aliam fidem nulli licere proferre vel conscribere vel componere praeter definitam a sanctis patribus qui in Nicaea congregati sunt cum spiritu sancto, et subditur anathematis poena; et idem etiam reiteratur in gestis Chalcedonensis synodi. Ergo videtur quod non pertineat ad auctoritatem summi pontificis nova editio symboli.

 

[38831] IIª-IIae q. 1 a. 10 arg. 2
2. Ciò che la Chiesa universale proibisce sotto pena di scomunica, non rientra nelle facoltà di nessun uomo. Ora, nuove redazioni del simbolo sono proibite sotto pena di scomunica dalla Chiesa universale. Infatti si legge negli atti del concilio di Efeso, che "dopo la lettura del simbolo niceno, il sacro concilio decretò che a nessuno fosse lecito proferire, scrivere, o comporre un altro simbolo di fede, fuori di quello definito, con lo Spirito Santo, dai santi padri radunati a Nicea", e si aggiunge la pena della scomunica. La stessa cosa viene ripetuta negli atti del concilio di Calcedonia. Dunque sembra che non spetti all'autorità del Sommo Pontefice fare una nuova redazione del simbolo.

[38832] IIª-IIae q. 1 a. 10 arg. 3
Praeterea, Athanasius non fuit summus pontifex, sed Alexandrinus patriarcha. Et tamen symbolum constituit quod in Ecclesia cantatur. Ergo non magis videtur pertinere editio symboli ad summum pontificem quam ad alios.

 

[38832] IIª-IIae q. 1 a. 10 arg. 3
3. S. Atanasio non era Sommo Pontefice, ma Patriarca di Alessandria. E tuttavia compose un simbolo che viene cantato nella Chiesa. Perciò la compilazione dei simboli non appartiene al Sommo Pontefice, più di quanto non appartenga ad altri.

[38833] IIª-IIae q. 1 a. 10 s. c.
Sed contra est quod editio symboli facta est in synodo generali. Sed huiusmodi synodus auctoritate solius summi pontificis potest congregari, ut habetur in decretis, dist. XVII. Ergo editio symboli ad auctoritatem summi pontificis pertinet.

 

[38833] IIª-IIae q. 1 a. 10 s. c.
IN CONTRARIO: La compilazione del simbolo fu fatta in un concilio ecumenico. Ma un tale concilio può essere adunato soltanto dall'autorità del Sommo Pontefice, come dice il Decreto (di Graziano). Dunque la compilazione del simbolo spetta all'autorità del Sommo Pontefice.

[38834] IIª-IIae q. 1 a. 10 co.
Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, nova editio symboli necessaria est ad vitandum insurgentes errores. Ad illius ergo auctoritatem pertinet editio symboli ad cuius auctoritatem pertinet sententialiter determinare ea quae sunt fidei, ut ab omnibus inconcussa fide teneantur. Hoc autem pertinet ad auctoritatem summi pontificis, ad quem maiores et difficiliores Ecclesiae quaestiones referuntur ut dicitur in decretis, dist. XVII. Unde et dominus, Luc. XXII, Petro dixit, quem summum pontificem constituit, ego pro te rogavi, Petre, ut non deficiat fides tua, et tu aliquando conversus confirma fratres tuos. Et huius ratio est quia una fides debet esse totius Ecclesiae, secundum illud I ad Cor. I, idipsum dicatis omnes, et non sint in vobis schismata. Quod servari non posset nisi quaestio fidei de fide exorta determinaretur per eum qui toti Ecclesiae praeest, ut sic eius sententia a tota Ecclesia firmiter teneatur. Et ideo ad solam auctoritatem summi pontificis pertinet nova editio symboli, sicut et omnia alia quae pertinent ad totam Ecclesiam, ut congregare synodum generalem et alia huiusmodi.

 

[38834] IIª-IIae q. 1 a. 10 co.
RISPONDO: Abbiamo già notato che una nuova redazione del simbolo è necessaria per combattere gli errori che insorgono. Perciò la promulgazione di un simbolo spetta all'autorità di colui che ha il potere di definire le cose di fede, in modo che esse siano tenute da tutti senza discussione. Ora, ciò spetta all'autorità del Sommo Pontefice, "al quale vanno devolute le questioni più gravi e più difficili della Chiesa", come dice il Decreto (di Graziano). Ecco perché il Signore disse a Pietro, che aveva costituito Sommo Pontefice: "Io ho pregato per te, o Pietro, affinché la tua fede non venga meno; e tu, quando sarai convertito, conferma i tuoi fratelli". E la ragione di ciò sta nel fatto che la Chiesa deve avere un'unica fede, secondo l'ammonimento di S. Paolo: "Dite tutti la stessa cosa, e non ci siano tra voi degli scismi". Ma questo non si può osservare se, quando sorge una questione di fede, non viene determinata da chi presiede su tutta la Chiesa, in modo che la sua decisione sia accettata dalla Chiesa intera con fermo consenso. Perciò spetta alla sola autorità del Sommo Pontefice la promulgazione di un nuovo simbolo: come del resto ogni altra funzione che interessa tutta la Chiesa: adunare, p. es., il concilio generale e altre cose del genere.

[38835] IIª-IIae q. 1 a. 10 ad 1
Ad primum ergo dicendum quod in doctrina Christi et apostolorum veritas fidei est sufficienter explicata. Sed quia perversi homines apostolicam doctrinam et ceteras Scripturas pervertunt ad sui ipsorum perditionem, sicut dicitur II Pet. ult.; ideo necessaria est, temporibus procedentibus, explanatio fidei contra insurgentes errores.

 

[38835] IIª-IIae q. 1 a. 10 ad 1
SOLUZIONE DELLE DIFFICOLTÀ: 1. Nell'insegnamento di Cristo e degli Apostoli le verità di fede sono spiegate a sufficienza. Siccome però gli uomini perversi "pervertono per loro perdizione", secondo l'espressione di S. Pietro, l'insegnamento apostolico come le altre Scritture, è necessario che nel corso del tempo ci sia un'esposizione della fede contro gli errori che insorgono.

[38836] IIª-IIae q. 1 a. 10 ad 2
Ad secundum dicendum quod prohibitio et sententia synodi se extendit ad privatas personas, quarum non est determinare de fide. Non enim per huiusmodi sententiam synodi generalis ablata est potestas sequenti synodo novam editionem symboli facere, non quidem aliam fidem continentem, sed eandem magis expositam. Sic enim quaelibet synodus observavit, ut sequens synodus aliquid exponeret supra id quod praecedens synodus exposuerat, propter necessitatem alicuius haeresis insurgentis. Unde pertinet ad summum pontificem, cuius auctoritate synodus congregatur et eius sententia confirmatur.

 

[38836] IIª-IIae q. 1 a. 10 ad 2
2. Le proibizioni e le decisioni di un concilio riguardano le persone private, che non hanno il compito di determinare le cose di fede. Infatti tali decisioni di un concilio ecumenico non tolgono il potere al concilio ecumenico successivo di fare una nuova redazione del simbolo, la quale non conterrà mai una fede diversa, ma la stessa in termini più chiari. Infatti in tutti i concili si osservò questa prassi; che il concilio successivo chiariva quanto aveva determinato il concilio precedente, sotto la spinta di una nuova eresia. Perciò si tratta di un compito del Sommo Pontefice, alla cui autorità spetta adunare i concili, e confermarne le decisioni.

[38837] IIª-IIae q. 1 a. 10 ad 3
Ad tertium dicendum quod Athanasius non composuit manifestationem fidei per modum symboli, sed magis per modum cuiusdam doctrinae, ut ex ipso modo loquendi apparet. Sed quia integram fidei veritatem eius doctrina breviter continebat, auctoritate summi pontificis est recepta, ut quasi regula fidei habeatur.

 

[38837] IIª-IIae q. 1 a. 10 ad 3
3. S. Atanasio compose un'esposizione della fede non come simbolo, ma piuttosto come trattato: il che è evidente anche dalle espressioni di cui si serve. Ma poiché la sua esposizione conteneva in breve tutte le verità della fede, fu accettata dall'autorità del Sommo Pontefice, perché fosse considerata come regola di fede.


 

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