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L’ESSENZA DEL CRISTIANESIMO E I CRISTIANI DI OGGI

 

L’ESSENZA DEL CRISTIANESIMO E I CRISTIANI DI OGGI

 

Dottrina e vita, fede e ragione,

per promuovere un cristianesimo autentico.

Il rischio del fideismo.

La “nuova evangelizzazione”

pretende cristiani liberi dallo “spirito del mondo”.

 

Di Mons. Antonio Livi

 

L’essenza del cristianesimo: un tema ricorrente anche nei titoli di alcune opere di pensiero famose, da quella dell'ateo Ludwig Feuerbach (Das Wesen des Christentum) a quella del cattolico Romano Guardini (Das Wesen des Christentum), per finire con quella ultimamente pubblicata in Italia da un noto teologo (Bruno Forte, L'essenza del cristianesimo). Questi autori hanno affrontato il tema dal punto di vista dottrinale, cercando cioè di dire qual è l'essenza della dottrina cristiana; ma il tema deve essere affrontato anche dal punto di vista esistenziale, cercando cioè di dire qual è l'essenza della vi­ta cristiana, tanto nella dimensione individua­le quanto in quella sociale. Questi punti di vi­sta ‑ quello dottrinale e quello esistenziale ‑ sono ambedue "essenziali", ossia costituisco­no l'essenza del cristianesimo, giacché il sen­so profondo e determinante della dottrina cri­stiana é appunto di promuovere la vita in Cri­sto in ogni singolo credente, di modo che la grazia di Cristo operi nella coscienza individua­le e nella società umana, lì dove si realizza gior­no per giorno la "storia della salvezza".

Se qualcuno si domanda se la situazione at­tuale faccia ben sperare per il futuro della cri­stianità, l'unica risposta saggia è questa: pri­ma bisogna fissare un criterio teologico preci­so su che cosa sia la vita cristiana, per poi ten­tare una valutazione sociologica sullo stato di salute della comunità dei credenti.

Da un punto di vista logico (naturalmente, all'interno di un discorso di fede, cioè all'interno della teologia, la vita cristiana non è altro che la proiezione esistenziale della fede teologale: la vita cristiana è fondamentalmente la vita di un credente, voglio dire un credente sincero e coerente. Se una persona è davvero certa che Dio è la Trinità e che la contemplazione amoro­sa della Trinità è il suo ultimo fine; se poi que­sta persona è certa che il Verbo eterno di Dio si è fatto Uomo e ci ha redenti con la sua Pas­sione e la sua Resurrezione, e che la Redenzio­ne operata da Cristo ci viene applicata nei sa­cramenti della Chiesa; se infine questa perso­na ha anche la certezza che nella Chiesa ogni battezzato è chiamato alla santità e all'aposto­lato, secondo la sua specifica vocazione e i suoi carismi; se tutto questo, con la grazia di Dio, è davvero una certezza solida e sem­pre rinnovata nell'intimo della coscienza, allo­ra ogni aspetto della vita di questa persona verrà informato da questa fede autentica e for­te: e si potrà parlare di "vita cristiana" come vita di preghiera, come vita ascetica, come vi­ta mistica, come vita apostolica, come vita co­munitaria, come vita consacrata, e così via. Se invece la fede autentica in quella persona non c'è mai stata, oppure c'è stata all'inizio e poi si è attenuata fino a dissolversi nel dubbio o a capovolgersi nell'apostasia, allora queste ma­nifestazioni della vita cristiana non ci saranno più o saranno soltanto false apparenze.

 

L'importanza della cultura

 

In questo quadro, una forma non secondaria di vita cristiana è la "vita della mente", come diceva Hannah Arendt. ossia la cultura. La cultura cristiana è parte essenziale della vita cristiana, perché un credente deve vivere come un uomo che crede, e un uomo è tale solo se è guidato dalla ragione. La grazia divina fa sì che il credente abbia il dono della fede, che illumina la ragione e la porta ad accettare anche l'oscurità luminosa dei misteri soprannaturali rivelati da Dio in Cristo;  ma la fede non è tale se non è accolta dalla ragione, e sulla base di precise ragioni. La fede cristiana inizia e permane solo se esistono e permangono, nella coscienza del credente, le "premesse razionali' che rendono razionale la fede stessa. Il magistero della Chiesa lo ha sempre ricordato ai fedeli, siano essi teologi o persone prive di istruzione religiosa  superiore; ai nostri giorni, Papa Giovanni Paolo II lo ha vigorosamente ribadito dedicando all'argomento tutta un'enciclica, la Fides et ratio, dove tra l'altro riporta la celebre frase di sant'Agostino: “La fede se non è pensata è nulla”. (n. 79). Purtroppo, però, l'insegnamento della Chiesa su questa punto è stato gravemente disatteso da molti cristiani delle ultime generazioni, e la situazione attuale è che la vita cristiana è molto carente dal punto di vista dottrinale.

Mi si dirà che la cosa è risaputa, ed è anche detta e ridetta. Può darsi (ma non mi pare che ci si dedichi molta attenzione), ma ciò che intendo dire non è che manchi la cultura cosiddetta “teologica”, che materialmente è oggi più diffusa di quanto non sia stata in passato. Ma formalmente questa sovrabbondanza di temi e problemi proposti dalla saggistica teologica non è stata capace di formare una cultura cattolica con spessore teologico, perché questa scorpacciata di letture occasionali ed eterogenee su argomenti di teologia dogmatica e morale e su questioni bibliche e liturgiche, invece di alimentare la fede con la dottrina ha prodotto una vera e propria indigestione intellettuale. E il motivo è che la cultura cristiana ha bisogno sempre innanzitutto di una solida base "naturale", ossia di una cultura che sia autentica sapienza, indipendentemente dalla possibilità di esprimersi anche come filosofia. La cosiddetta “teologia” veicolata e diffusa dalla pubblicistica corrente non è che cattiva filosofia, e la cattiva filosofia produce nella cultura cristiana delle carenze assai dannose alla fede, in quanto va a colpire, a minare e alla fine a distruggere quelle che prima denominavo "premesse razionali della fede".

Il risultato è che la maggioranza dei cristiani è, con categorie filosofiche (metafisiche, morali e religiose) incompatibili con la fede cattolica. Anche se professata con la bocca, la fede nella rivelazione divina non può essere vissuta  davvero nella coscienza e con il cuore quando l'intelletto non riesce a comprendere e pertanto ad accettare le verità rivelate per via delle categorie filosofiche imposte dalla cultura dominante, di stampo pragmatistico e relativistico, basata sui presupposti dello scetticismo. E chi non vive la fede con quella fermezza intellettuale che deriva dalla coscienza delle premesse razionali della fede stessa, poi non è capace nemmeno di dialogo apostolico con gli uomini del proprio tempo, non è in grado di evangelizzare il proprio ambiente.

L'essenza del cristianesimo e la fede, che è anzitutto certezza che la Parola di Dio è la verità, la verità definitiva e assoluta, l'unica verità che salva. Non è veramente cristiano se non chi ha saputo e ha creduto che Gesù è davvero “la Via, la Verità, la Vita”. Se uno è davvero cristiano, a ogni svolta della sua vita, rivolgendosi a Gesù nella preghiera del cuore, ripeterà con assoluta convinzione le parole di Pietro: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna”(Gv 6,88). Poi, nel rivolgersi agli altri (catechesi, evangelizzazione) ripeterà quelle altre parole di Pietro dopo la Pentecoste: “Non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale sia stabilito che possiamo essere salvativi” (Atti 4,12).

Se invece il comportamento dei presunti cristiani risponde a ben altre logiche, si ha il diritto di pensare (senza giudicare mai le intenzioni, che solo Dio conosce) che non si tratti di cristiani che vivono di fede e che possano propagare il Vangelo.

I rilevamenti sociologici fanno pensare che la tendenza dei cristiani sia di mettere sempre più in dubbio le ragioni della fede per accettare in modo sempre più acritico l'irrazionalismo insito nella teologia di stampo fideistico. Ritengo che il fideismo sia l'eresia cattolica più insidiosa, perché usa il linguaggio ingannevole della pseudomistica. Il suo messaggio, almeno implicito, è che la fede non ha bisogno di un retroterra di cultura metafisica, ossia di certezze naturali sul mondo, sull'uomo e su Dio (i “preambula fidei”, secondo la dottrina di Tommaso d'Aquino). Il risultato è che così si pretende che la nostra società secolarizzata ‑ la società dei consumi e dello spettacolo, della ubriacatura tecnologica e del fanatismo politico ‑ passi senza alcuna ragione dall'ateismo e dal materialismo alla fede in Cristo salvatore e alla speranza della vita eterna. Invece di aiutare gli uomini del nostro tempo a considerare quello che il cardinal Carlo Maria Martini chiama “d caso seno della fede”, molti intellettuali cattolici aiutano gli uomini a ritenere che il loro indifferentismo sia “vero”  perché condiviso dalla maggioranza (almeno quella visibile); e non si pensa che una voce di dissenso che venisse da parte dei credenti, una denuncia delle contraddizioni della civiltà materialistica che venisse da parte degli intellettuali cattolici sarebbero l'unico modo per mettere in crisi l’indifferentismo, per avviare un salutare processo di riflessione e di autocritica.

 

Le indicazioni dell'enciclica Fides et ratio

 

Non ritengo pertanto che sia un'azione pastorale illuminata ‑ tantomeno un'azione divinamente ispirata ‑ quella di molti pastori e di molti teologi che, invece di curare la formazione culturale dei cristiani sulla base della retta ragione e di una fede consapevole delle proprie ragioni, appaltano l'educazione delle intelligenze e delle coscienze alle agenzie ideologiche più alla moda, che poi sono quelle più nocive alla fede. Il Papa ha dato delle direttive pastorali ben chiare nella Fides et ratio, ma non si vedono segni di una ricezione docile e convinta agli appelli dell'enciclica a favore di una rifondazione metafisica della dottrina cristiana.

Il problema non sta solo nelle ideologie mondane, ossia nello "spirito del mondo", oggi (come ieri e come sempre) refrattario alla verità del Vangelo per opera del "principe di questo mondo": il problema sta anche e soprattutto nella vita di fede dei cristiani che si sono mondanizzati e si vanno convertendo al secolarismo ateo e materialistico. Non è certamente da questi cristiani che ci si potrà aspettare la “nuova evangelizzazione” chiesta da Giovanni Paolo II per il terzo millennio dell'era cristiana. È vero che la Chiesa e indefettibile, che la Parola di Dio è invincibile; è vero che il seme (la Parola di Dio) viene seminato generosamente dal Seminatore divino: ma lì dove il terreno è arido e sassoso, lì dove per l'incuria degli uomini crescono solo i rovi, sappiamo che non potrà attecchire il seme della Parola di Dio.

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 “La "coscienza di verità", la consapevolezza cioè di essere porta­tori della verità che salva, è fatto­re     essenziale del dinamismo mis­sionario dell'intera  comunità ec­clesiale,  come testimonia l'espe­rienza fatta dalla Chiesa fin dallesue origini. Oggi, in una situazio­ne  nella quale è urgente por ma­no quasi ad una nuova implantatio  evangelica anche in un Paese come l'Italia,  una forte e diffusa coscienza di verità appare partico­larmente necessaria,

  (Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al convegno ecclesiale a Loreto, n. 4)

 

Da “Il Timone”, Anno VI, gennaio 2004

 

 

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