VIAGGIO
APOSTOLICO
DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI A MÜNCHEN,
ALTÖTTING E REGENSBURG
(9-14 SETTEMBRE 2006)
SANTA MESSA NELLA "NEUE MESSE" DI MÜNCHEN
Alle ore 10 di questa mattina, XXIII Domenica del tempo
ordinario, il Papa presiede
Nel corso della Santa
Messa, introdotto dall’indirizzo di omaggio dell’Arcivescovo di München und Freising, Em.mo Card. Friedrich Wetter, il Santo Padre Benedetto XVI pronuncia l’omelia che
riportiamo di seguito.
Cari fratelli e sorelle!
Innanzitutto vorrei
ancora una volta salutarvi tutti con affetto: sono lieto, e già l'ho detto, di
potermi trovare di nuovo tra voi e celebrare insieme con voi
Abbiamo appena ascoltato
le tre letture bibliche che la liturgia della Chiesa ha scelto per questa
domenica. Tutte e tre sviluppano un duplice tema, che in fondo rimane un unico
tema, accentuandone – a seconda delle circostanze –
l'uno o l'altro aspetto. Tutte e tre le letture parlano di Dio come centro
della realtà e come centro della nostra vita personale. "Ecco il vostro
Dio!" grida il profeta Isaia nella prima lettura (35,4).
Ma ora dobbiamo rivolgere la nostra attenzione al Vangelo che racconta la guarigione di un sordo-muto da parte di Gesù. Anche lì incontriamo di nuovo i due aspetti dell'unico tema. Gesù si dedica ai sofferenti, a coloro che sono spinti ai margini della società. Li guarisce e, aprendo loro così la possibilità di vivere e di decidere insieme, li introduce nell'uguaglianza e nella fraternità. Questo riguarda ovviamente tutti noi: Gesù indica a tutti noi la direzione del nostro agire, il come dobbiamo agire. Tutta la vicenda presenta, però, ancora un’altra dimensione, che i Padri della Chiesa hanno messo in luce con insistenza e che concerne in modo speciale anche noi oggi. I Padri parlano degli uomini e per gli uomini del loro tempo. Ma quello che dicono riguarda in modo nuovo anche noi uomini moderni. Non esiste soltanto la sordità fisica, che taglia l'uomo in gran parte fuori della vita sociale. Esiste una debolezza d'udito nei confronti di Dio di cui soffriamo specialmente in questo nostro tempo. Noi, semplicemente, non riusciamo più a sentirlo – sono troppe le frequenze diverse che occupano i nostri orecchi. Quello che si dice di Lui ci sembra pre-scientifico, non più adatto al nostro tempo. Con la debolezza d'udito o addirittura la sordità nei confronti di Dio si perde naturalmente anche la nostra capacità di parlare con Lui o a Lui. In questo modo, però, viene a mancarci una percezione decisiva. I nostri sensi interiori corrono il pericolo di spegnersi. Con il venir meno di questa percezione viene circoscritto poi in modo drastico e pericoloso il raggio del nostro rapporto con la realtà in genere. L'orizzonte della nostra vita si riduce in modo preoccupante.
Il Vangelo ci racconta che Gesù pose le dita negli orecchi del sordomuto, mise un po' della sua saliva sulla lingua del malato e disse: "Effatà" – "Apriti!" L'evangelista ha conservato per noi l'originale parola aramaica che Gesù allora pronunciò, trasferendoci così direttamente in quel momento. Quello che lì viene raccontato è una cosa unica, e tuttavia non appartiene ad un passato lontano: la stessa cosa Gesù la realizza in modo nuovo e ripetutamente anche oggi. Nel nostro Battesimo Egli ha compiuto su di noi questo gesto del toccare e (.) ha detto: "Effatà" – Apriti!", per renderci capaci di sentire Dio e per ridonarci così anche la possibilità di parlare a Lui. Ma questo evento, il Sacramento del Battesimo, non possiede niente di magico. Il Battesimo dischiude un cammino. Ci introduce nella comunità di coloro che sono capaci di ascoltare e di parlare; ci introduce nella comunione con Gesù stesso che, unico, ha visto Dio e quindi ha potuto parlare di Lui (cfr Gv 1,18): mediante la fede, Gesù vuole condividere con noi il suo vedere Dio, il suo ascoltare il Padre e parlare con Lui. Il cammino dell'essere battezzati deve diventare un processo di sviluppo progressivo, nel quale noi cresciamo nella vita di comunione con Dio, raggiungendo così anche uno sguardo diverso sull'uomo e sulla creazione.
Il Vangelo ci invita a
renderci conto che in noi esiste un deficit riguardo alla nostra capacità di
percezione – una carenza che inizialmente non avvertiamo come tale, perché
appunto tutto il resto si raccomanda per la sua urgenza e ragionevolezza;
perché apparentemente tutto procede in modo normale, anche se non abbiamo più
orecchi ed occhi per Dio e viviamo senza di Lui. Ma è vero che tutto procede
semplicemente, quando Dio viene a mancare nella nostra vita e nel nostro mondo?
Prima di porre ulteriori domande vorrei raccontare un po' delle mie esperienze
negli incontri con i Vescovi di tutto il mondo.
Le popolazioni dell'Africa e dell'Asia ammirano, sì, le prestazioni tecniche dell’Occidente e la nostra scienza, ma si spaventano di fronte ad un tipo di ragione che esclude totalmente Dio dalla visione dell'uomo, ritenendo questa la forma più sublime della ragione, da insegnare anche alle loro culture. La vera minaccia per la loro identità non la vedono nella fede cristiana, ma invece nel disprezzo di Dio e nel cinismo che considera il dileggio del sacro un diritto della libertà ed eleva l'utilità a supremo criterio per i futuri successi della ricerca. Cari amici, questo cinismo non è il tipo di tolleranza e di apertura culturale che i popoli aspettano e che tutti noi desideriamo! La tolleranza di cui abbiamo urgente bisogno comprende il timor di Dio – il rispetto di ciò che per l’altro è cosa sacra. Ma questo rispetto per ciò che gli altri ritengono sacro presuppone che noi stessi impariamo nuovamente il timor di Dio. Questo senso di rispetto può essere rigenerato nel mondo occidentale soltanto se cresce di nuovo la fede in Dio, se Dio sarà di nuovo presente per noi ed in noi.
La nostra fede non la imponiamo a nessuno. Un simile genere di proselitismo è contrario al cristianesimo. La fede può svilupparsi soltanto nella libertà. Ma è la libertà degli uomini alla quale facciamo appello di aprirsi a Dio, di cercarlo, di prestargli ascolto. Noi qui riuniti chiediamo al Signore con tutto il cuore di pronunciare nuovamente il suo "Effatà!", di guarire la nostra debolezza d'udito per Dio, per il suo operare e per la sua parola, e di renderci capaci di vedere e di ascoltare. Gli chiediamo di aiutarci a ritrovare la parola della preghiera, alla quale ci invita nella liturgia e la cui formula essenziale ci ha insegnato nel Padre nostro.
Il mondo ha bisogno di
Dio. Noi abbiamo bisogno di Dio. Di quale Dio abbiamo bisogno? Nella prima
lettura, il profeta si rivolge a un popolo oppresso dicendo: "La vendetta
di Dio verrà" (vgl 35,4). Noi possiamo
facilmente intuire come la gente si immaginava tale vendetta. Ma il profeta stesso
rivela poi in che cosa essa consiste: nella bontà risanatrice di Dio. E la
spiegazione definitiva della parola del profeta, la troviamo in Colui che è
morto per noi sulla Croce: in Gesù, il Figlio di Dio incarnato che
qui ci guarda così insistentemente. La sua "vendetta" è