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LETTERA AI VESCOVI SULLA COLLABORAZIONE DELL'UOMO E DELLA DONNA
NELLA CHIESA E NEL MONDO INTRODUZIONE 1. Esperta in umanità, Il presente documento, dopo una breve presentazione e
valutazione critica di alcune concezioni antropologiche odierne, intende
proporre riflessioni ispirate dai dati dottrinali dell'antropologia biblica —
indispensabili per salvaguardare l'identità della persona umana — circa alcuni presupposti per una retta
comprensione della collaborazione attiva, nel riconoscimento della loro
stessa differenza, tra uomo e donna nella Chiesa e nel mondo. Queste
riflessioni, inoltre, vogliono proporsi come punto di partenza per un cammino
di approfondimento all'interno della Chiesa e per instaurare un dialogo con
tutti gli uomini e le donne di buona volontà, nella sincera ricerca della
verità e nel comune impegno a sviluppare relazioni sempre più autentiche. I. IL PROBLEMA Una seconda tendenza emerge sulla scia della prima. Per evitare
ogni supremazia dell'uno o dell'altro sesso, si tende a cancellare le loro
differenze, considerate come semplici effetti di un condizionamento
storico-culturale. In questo livellamento, la differenza corporea, chiamata sesso, viene minimizzata, mentre
la dimensione strettamente culturale, chiamata genere, è sottolineata al massimo e ritenuta primaria.
L'oscurarsi della differenza o dualità dei sessi produce conseguenze enormi a
diversi livelli. Questa antropologia, che intendeva favorire prospettive
egualitarie per la donna, liberandola da ogni determinismo biologico, di
fatto ha ispirato ideologie che promuovono, ad esempio, la messa in questione
della famiglia, per sua indole naturale bi-parentale,
e cioè composta di padre e di madre, l'equiparazione dell'omosessualità
all'eterosessualità, un modello nuovo di sessualità polimorfa. 3. La radice immediata della suddetta tendenza si colloca nel
contesto della questione femminile, ma la sua motivazione più profonda va
ricercata nel tentativo della persona umana di liberarsi dai propri condizionamenti
biologici.2 Secondo questa prospettiva
antropologica la natura umana non avrebbe in se stessa caratteristiche che si
imporrebbero in maniera assoluta: ogni persona potrebbe o dovrebbe modellarsi
a suo piacimento, dal momento che sarebbe libera da ogni predeterminazione
legata alla sua costituzione essenziale. Questa prospettiva ha molteplici conseguenze. Anzitutto si
rafforza l'idea che la liberazione della donna comporti una critica alle
Sacre Scritture che trasmetterebbero una concezione patriarcale di Dio,
alimentata da una cultura essenzialmente maschilista. In secondo luogo tale
tendenza considererebbe privo di importanza e ininfluente il fatto che il
Figlio di Dio abbia assunto la natura umana nella sua forma maschile. 4. Dinanzi a queste correnti di pensiero, Per comprendere meglio il fondamento, il senso e le conseguenze
di questa risposta conviene tornare, sia pur brevemente, alla Sacra
Scrittura, ricca anche di umana sapienza, in cui questa risposta si è
manifestata progressivamente grazie all'intervento di Dio a favore
dell'umanità.3 II. I DATI
FONDAMENTALI 5. Una prima serie di testi biblici da esaminare sono i primi
tre capitoli della Genesi. Essi ci collocano «nel contesto di quel
“principio” biblico, in cui la verità rivelata sull'uomo come “immagine e
somiglianza di Dio” costituisce l'immutabile base di tutta l'antropologia cristiana».4 Nel primo testo (Gn 1,1-2,4) si descrive la potenza creatrice della
Parola di Dio che opera delle distinzioni nel caos primigenio. Appaiono la
luce e le tenebre, il mare e la terraferma, il giorno e la notte, le erbe e
gli alberi, i pesci e gli uccelli, tutti «secondo la loro specie». Nasce un
mondo ordinato a partire da differenze che, d'altra parte, sono altrettante
promesse di relazioni. Ecco dunque abbozzato il quadro generale nel quale si
colloca la creazione dell'umanità. «Dio disse: Facciamo l'uomo a nostra
immagine, a nostra somiglianza... Dio creò l'uomo a sua immagine, ad immagine
di Dio lo creò, maschio e femmina li creò» (Gn 1, 26-27). L'umanità è
qui descritta come articolata, fin dalla sua prima origine, nella relazione
del maschile e del femminile. È questa umanità sessuata che è dichiarata
esplicitamente «immagine di Dio». 6. Il secondo racconto della creazione (Gn 2,4-25) conferma in modo
inequivocabile l'importanza della differenza sessuale. Una volta plasmato da
Dio e collocato nel giardino di cui riceve la gestione, colui che è
designato, ancora con termine generico, come Adam, fa esperienza di una solitudine che la presenza degli
animali non riesce a colmare. Gli occorre un aiuto che gli sia corrispondente. Il termine designa qui non
un ruolo subalterno, ma un aiuto vitale.5
Lo scopo è infatti di permettere che la vita di Adam non si inabissi in un confronto sterile e, alla fine,
mortale solamente con se stesso. È necessario che entri in relazione con un
altro essere che sia al suo livello. Soltanto la donna, creata dalla stessa
«carne» ed avvolta dallo stesso mistero, dà alla vita dell'uomo un avvenire.
Ciò si verifica a livello ontologico, nel senso che la creazione della donna
da parte di Dio caratterizza l'umanità come realtà relazionale. In questo
incontro emerge anche la parola che dischiude per la prima volta la bocca
dell'uomo in una espressione di meraviglia: «Questa volta essa è carne dalla
mia carne e osso dalle mie ossa» (Gn 2,23). «La donna — ha
scritto il Santo Padre in riferimento a questo testo genesiaco
— è un altro “io” nella comune umanità. Sin dall'inizio essi [uomo e donna]
appaiono come “unità dei due”, e ciò significa il superamento dell'originaria
solitudine, nella quale l'uomo non trova “un aiuto che gli sia simile” (Gn 2,20). Si tratta qui solo
dell'“aiuto” nell'azione, nel “soggiogare la terra”? (cfr
Gn 1,28). Certamente si tratta della
compagna della vita, con la quale, come con una moglie, l'uomo può unirsi
divenendo con lei “una sola carne” e abbandonando per questo “suo padre e sua
madre” (cfr Gn 2,24)».6 La differenza vitale è orientata alla comunione ed è vissuta in
un modo pacifico espresso dal tema della nudità: «Ora tutti e due erano nudi,
l'uomo e sua moglie, ma non ne provavano vergogna» (Gn 2,25). In tal modo, il
corpo umano, contrassegnato dal sigillo della mascolinità o della
femminilità, «racchiude fin “dal principio” l'attributo “sponsale”, cioè la capacità di esprimere l'amore: quell'amore appunto nel quale l'uomo-persona diventa dono
e — mediante questo dono — attua il senso stesso del suo essere ed
esistere».7 E, sempre commentando questi versetti della Genesi, il
Santo Padre continua: «In questa sua particolarità, il corpo è l'espressione
dello spirito ed è chiamato, nel mistero stesso della creazione, ad esistere
nella comunione delle persone, “ad immagine di Dio”».8 Nella stessa prospettiva sponsale si comprende in che senso
l'antico racconto della Genesi lasci intendere come la donna, nel suo essere
più profondo e originario, esista «per l'altro» (cfr
1Cor 11,9): è un'affermazione
che, ben lungi dall'evocare alienazione, esprime un aspetto fondamentale
della somiglianza con Nella visione pacifica che conclude il secondo racconto di
creazione riecheggia quel «molto buono» che chiudeva, nel primo racconto, la
creazione della prima coppia umana. Qui sta il cuore del disegno originario
di Dio e della verità più profonda dell'uomo e della donna, così come Dio li
ha voluti e creati. Per quanto sconvolte e oscurate dal peccato, queste
disposizioni originarie del Creatore non potranno mai essere annullate. 7. Il peccato originale altera il modo con cui l'uomo e la donna
accolgono e vivono Nelle parole che Dio rivolge alla donna in seguito al peccato,
si esprime, in modo lapidario ma non meno impressionante, il tipo di rapporti
che si instaureranno ormai tra l'uomo e la donna: «Verso tuo marito sarà il
tuo istinto, ma egli ti dominerà» (Gn 3,16). Sarà una relazione in cui l'amore spesso
verrà snaturato in pura ricerca di sé, in una relazione che ignora ed uccide
l'amore, sostituendolo con il giogo della dominazione di un sesso sull'altro.
La storia dell'umanità riproduce di fatto queste situazioni, nelle quali si
esprime apertamente la triplice concupiscenza che ricorda San Giovanni,
parlando della concupiscenza della carne, della concupiscenza degli occhi e
della superbia della vita (cfr 1Gv 2,16). In questa tragica
situazione vengono perduti quell'uguaglianza, quel
rispetto e quell'amore che, secondo il disegno
originario di Dio, esige la relazione dell'uomo e della donna. 8. Il ripercorrere questi testi fondamentali permette di
riaffermare alcuni dati capitali dell'antropologia biblica. Prima di tutto bisogna sottolineare il carattere personale
dell'essere umano. «L'uomo è una
persona, in eguale misura l'uomo e la donna: ambedue, infatti, sono
stati creati ad immagine e somiglianza del Dio personale».10
L'eguale dignità delle persone si realizza come complementarità fisica,
psicologica ed ontologica, dando luogo ad un'armonica «unidualità»
relazionale, che solo il peccato e le «strutture di peccato» iscritte nella
cultura hanno reso potenzialmente conflittuale. L'antropologia biblica
suggerisce di affrontare con un approccio relazionale, non concorrenziale né
di rivalsa, quei problemi che a livello pubblico o privato coinvolgono la
differenza di sesso. C'è da rilevare inoltre l'importanza e il senso della differenza
dei sessi come realtà iscritta profondamente nell'uomo e nella donna: «La
sessualità caratterizza l'uomo e la donna non solo sul piano fisico, ma anche
su quello psicologico e spirituale, improntando ogni loro espressione».11
Essa non può essere ridotta a puro e insignificante dato biologico, ma è «una
componente fondamentale della personalità, un suo modo di essere, di
manifestarsi, di comunicare con gli altri, di sentire, di esprimere e di
vivere l'amore umano».12 Questa capacità di amare, riflesso e
immagine del Dio Amore, ha una sua espressione nel carattere sponsale del
corpo, in cui si iscrive la mascolinità e la femminilità della persona. È la dimensione antropologica della sessualità, inseparabile da
quella teologica. La creatura umana nella sua unità di anima e di corpo è
qualificata fin dal principio dalla relazione con l'altro-da-sé.
Questa relazione si presenta sempre buona ed alterata al tempo stesso. Essa è
buona, di una bontà originaria dichiarata da Dio fin dal primo momento della
creazione. Essa è, però, anche alterata dalla disarmonia fra Dio e l'umanità
sopraggiunta con il peccato. Questa alterazione non corrisponde tuttavia né
al progetto iniziale di Dio sull'uomo e sulla donna, né alla verità della
relazione dei sessi. Ne consegue perciò che questa relazione buona, ma
ferita, ha bisogno di essere guarita. Quali possono essere le vie di questa guarigione? Considerare ed
analizzare i problemi inerenti alla relazione dei sessi solo a partire da una
situazione segnata dal peccato porterebbe necessariamente il pensiero a
ritornare agli errori precedentemente accennati. Bisogna dunque rompere questa logica di peccato e cercare una
via d'uscita che permetta di eliminarla dal cuore dell'uomo peccatore. Un
orientamento chiaro in questo senso viene offerto dalla promessa divina di un
Salvatore, nella quale sono impegnati la «donna» e la sua «stirpe» (cfr Gn 3,15). È una promessa che prima di realizzarsi
conosce una lunga preparazione nella storia. 9. Una prima vittoria sul male è rappresentata dalla storia di Noè, uomo giusto, che, guidato da Dio, sfugge al diluvio
con la sua famiglia e con le diverse specie di animali (cfr
Gn 6-9). Ma è soprattutto nella
scelta divina di Abramo e della sua discendenza (cfr Gn
12,1ss) che la speranza di salvezza si conferma. Dio comincia così a svelare
il suo volto, affinché attraverso il popolo eletto l'umanità apprenda la via
della somiglianza divina, cioè della santità, e quindi del cambiamento del
cuore. Tra i molti modi in cui Dio si rivela al suo popolo (cfr Eb 1,1), secondo una lunga e paziente pedagogia,
vi è anche il riferimento ricorrente al tema dell'alleanza dell'uomo e della
donna. Ciò è paradossale, se si considera il dramma rievocato dalla Genesi e
la sua replica molto concreta al tempo dei profeti, come pure la mescolanza
fra sacro e sessualità presente nelle religioni che circondano Israele.
Eppure questo simbolismo appare indispensabile per comprendere il modo con
cui Dio ama il suo popolo: Dio si fa conoscere come Sposo che ama Israele,
sua Sposa. Se in questa relazione Dio viene descritto come «Dio geloso» (cfr Es 20,5;
Na
1,2) ed Israele denunciato come Sposa «adultera» o «prostituta» (cfr Os 2,4-15;
Ez 16,15-34) il motivo è che la speranza,
rafforzata dalla parola dei profeti, è proprio di vedere la nuova Gerusalemme
diventare la sposa perfetta: «come un giovane sposa una vergine, così ti
sposerà il tuo architetto; come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo
Dio gioirà per te» (Is
62,5). Ricreata «nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e
nell'amore» (Os2,21), colei,
che si era allontanata per cercare la vita e la felicità negli dèi falsi,
ritornerà e, a Colui che parlerà al suo cuore, «canterà come nei giorni della
sua giovinezza» (Os 2,17) e lo udrà dichiarare: «tuo
sposo è il tuo creatore» (Is 54,5). È in sostanza lo stesso dato che si afferma
quando, parallelamente al mistero dell'opera che Dio realizza attraverso la
figura maschile del Servo sofferente, il libro di Isaia evoca la figura
femminile di Sion adornata di una trascendenza e di una santità che
prefigurano il dono della salvezza destinata ad Israele. Il Cantico dei Cantici rappresenta senza dubbio un momento
privilegiato nell'uso di questa modalità di rivelazione. Nelle parole di un
amore umanissimo che celebra la bellezza dei corpi e la felicità della
ricerca reciproca, si esprime altresì l'amore divino per il suo popolo. Lungo tutto l'Antico Testamento si configura una storia di
salvezza che mette simultaneamente in gioco la partecipazione del maschile e
del femminile. I termini di sposo e sposa o anche di alleanza, con i quali si
caratterizza la dinamica della salvezza, pur avendo un'evidente dimensione
metaforica, sono molto più che semplici metafore. Questo vocabolario nuziale
tocca la natura stessa della relazione che Dio stabilisce con il suo popolo,
anche se questa relazione è più ampia di ciò che può sperimentarsi
nell'esperienza nuziale umana. Parimenti, le stesse condizioni concrete della
redenzione sono in gioco, nel modo in cui oracoli come quelli di Isaia
associano ruoli maschili e femminili nell'annuncio e nella prefigurazione
dell'opera della salvezza che Dio sta per compiere. Tale salvezza orienta il
lettore sia verso la figura maschile del Servo sofferente, sia verso la
figura femminile di Sion. Gli oracoli di Isaia infatti alternano questa
figura con quella del Servo di Dio, prima di culminare, nella finale del
libro, con la visione misteriosa di Gerusalemme che partorisce un popolo in
un solo giorno (cfrIs
66,7-14), profezia della grande novità che Dio sta per realizzare (cfr Is 48,6-8). 10. Nel Nuovo Testamento tutte queste prefigurazioni trovano il
loro compimento. Da una parte Maria, come eletta
figlia di Sion, nella sua femminilità, ricapitola e trasfigura la condizione
di Israele/Sposa in attesa del giorno della sua salvezza. Dall'altra, la
mascolinità del Figlio permette di riconoscere come Gesù
assuma nella sua persona tutto ciò che il simbolismo antico-testamentario
aveva applicato all'amore di Dio per il suo popolo, descritto come l'amore di
uno sposo per la sua sposa. Le figure di Gesù e di Maria, sua Madre, non soltanto assicurano la continuità
dell'Antico Testamento con il Nuovo, ma lo superano, dal momento che con Gesù Cristo appare — come dice Sant'Ireneo
— «ogni novità».13 Questo aspetto è messo in particolare evidenza dal Vangelo di
Giovanni. Nella scena delle nozze di Cana, per
esempio, Gesù è sollecitato da sua madre, chiamata
«donna», a offrire come segno il vino nuovo delle future nozze con l'umanità
(cfr Gv 2,1-12). Queste nozze messianiche si
realizzeranno sulla croce dove, ancora in presenza della madre, indicata come
«donna», sgorgherà dal cuore aperto del Crocifisso il sangue/vino della Nuova
Alleanza (cfr
Gv 19,25- 27.34).14 Non c'è
dunque niente di sorprendente se Giovanni Battista, interrogato sulla sua
identità, si presenti come «l'amico dello sposo», che gioisce quando ode la
voce dello sposo e deve eclissarsi alla sua venuta: «Chi possiede la sposa è
lo sposo; ma l'amico dello sposo, che è presente e l'ascolta, esulta di gioia
alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è compiuta. Egli deve crescere e
io invece diminuire» (Gv3,29-30).15
Nella sua attività apostolica, Paolo sviluppa tutto il senso
nuziale della redenzione concependo la vita cristiana come un mistero
nuziale. Scrive alla Chiesa di Corinto da lui fondata: «Io provo infatti per
voi una specie di gelosia divina, avendovi promessi a un unico sposo, per
presentarvi quale vergine casta a Cristo» (2Cor 11,2). Nella Lettera agli Efesini la
relazione sponsale fra Cristo e Meditando quindi sull'unione dell'uomo e della donna come è
descritta al momento della creazione del mondo (cfr Gn 2,24),
l'Apostolo esclama: «Questo mistero è grande: lo dico in riferimento a Cristo
ed alla Chiesa!» (Ef 5,32). L'amore dell'uomo e della
donna vissuto nella forza della vita battesimale diventa ormai sacramento
dell'amore del Cristo e della Chiesa, testimonianza resa al mistero di
fedeltà e di unità da cui nasce la «nuova Eva» e di cui questa vive nel suo
cammino sulla terra in attesa della pienezza delle nozze eterne. 11. Inseriti nel mistero pasquale e resi segni viventi
dell'amore del Cristo e della Chiesa, gli sposi cristiani sono rinnovati nel
loro cuore e possono sfuggire ai rapporti segnati dalla concupiscenza e dalla
tendenza all'asservimento che la rottura con Dio a causa del peccato aveva
introdotto nella coppia primitiva. Per essi la bontà dell'amore, di cui il
desiderio umano ferito aveva conservato la nostalgia, si rivela con accenti e
possibilità nuove. È in questa luce che Gesù, di
fronte alla domanda sul divorzio (cfr Mt 19,3-
9), può ricordare le esigenze dell'alleanza tra l'uomo e la donna come volute
da Dio all'origine, ovvero prima dell'insorgere del peccato che aveva
giustificato gli accomodamenti successivi della legge mosaica.
Lungi dall'essere l'imposizione di un ordine duro ed intransigente, questa
parola di Gesù è in effetti l'annuncio di una
«buona notizia», quella della fedeltà, più forte del peccato. Nella forza
della risurrezione è possibile la vittoria della fedeltà sulle debolezze,
sulle ferite subite e sui peccati della coppia. Nella grazia del Cristo che
rinnova il loro cuore, l'uomo e la donna diventano capaci di liberarsi dal
peccato e di conoscere la gioia del dono reciproco. 12. «Quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti
di Cristo... non c'è più uomo né donna», scrive San Paolo ai Galati (3,27-28). L'Apostolo non dichiara qui decaduta la
distinzione uomo-donna che altrove dice appartenere al progetto di Dio. Ciò
che vuole dire è piuttosto questo: nel Cristo, la rivalità, l'inimicizia e la
violenza che sfiguravano la relazione dell'uomo e della donna sono superabili
e superate. In questo senso, è più che mai riaffermata la distinzione
dell'uomo e della donna, che, del resto, accompagna fino alla fine la
rivelazione biblica. Nell'ora finale della storia presente, mentre si
profilano nell'Apocalisse di Giovanni «un cielo nuovo» e «una nuova terra» (Ap21,1), viene presentata in
visione una Gerusalemme femminile «pronta come una sposa adorna per il suo
sposo» (Ap
21,2). La rivelazione stessa si conclude con la parola della Sposa e dello
Spirito che implorano la venuta dello Sposo: «Vieni, Signore Gesù» (Ap 22,20).
Il maschile ed il femminile sono così rivelati come appartenenti ontologicamente
alla creazione, e quindi destinati a perdurare oltre il tempo presente, evidentemente in una forma
trasfigurata. In tal modo caratterizzano l'amore che «non avrà mai fine» (1 Cor 13,8), pur rendendosi caduca
l'espressione temporale e terrena della sessualità, ordinata ad un regime di
vita contrassegnato dalla generazione e dalla morte. Di questa forma di
esistenza futura del maschile e del femminile, il celibato per il Regno vuole
essere la profezia. Per coloro che lo vivono esso anticipa la realtà di una
vita che, pur restando quella di un uomo e di una donna, non sarà più
soggetta ai limiti presenti della relazione coniugale (cfr Mt
22,30). Per coloro che vivono la vita coniugale, inoltre, tale stato diventa
richiamo e profezia del compimento che la loro relazione troverà
nell'incontro faccia a faccia con Dio. Distinti fin dall'inizio della creazione e restando tali nel
cuore stesso dell'eternità, l'uomo e la donna, inseriti nel mistero pasquale
del Cristo, non avvertono quindi più la loro differenza come motivo di
discordia da superare con la negazione o con il livellamento, ma come una
possibilità di collaborazione che bisogna coltivare con il rispetto reciproco
della distinzione. Di qui si aprono nuove prospettive per una comprensione
più profonda della dignità della donna e del suo ruolo nella società umana e
nella Chiesa. III. L'ATTUALITÀ DEI VALORI FEMMINILI 13. Tra i valori fondamentali collegati alla vita concreta della
donna, vi è ciò che è stato chiamato la sua «capacità dell'altro». Nonostante
il fatto che un certo discorso femminista rivendichi le esigenze «per se
stessa», la donna conserva l'intuizione profonda che il meglio della sua vita
è fatto di attività orientate al risveglio dell'altro, alla sua crescita,
alla sua protezione. Questa intuizione è collegata alla sua capacità fisica di dare
la vita. Vissuta o potenziale, tale capacità è una realtà che struttura la
personalità femminile in profondità. Le consente di acquisire molto presto
maturità, senso della gravità della vita e delle responsabilità che essa
implica. Sviluppa in lei il senso ed il rispetto del concreto, che si oppone
ad astrazioni spesso letali per l'esistenza degli individui e della società.
È essa, infine, che, anche nelle situazioni più disperate — e la storia
passata e presente ne è testimone — possiede una capacità unica di resistere
nelle avversità, di rendere la vita ancora possibile pur in situazioni
estreme, di conservare un senso tenace del futuro e, da ultimo, di ricordare
con le lacrime il prezzo di ogni vita umana. Anche se la maternità è un elemento chiave dell'identità
femminile, ciò non autorizza affatto a considerare la donna soltanto sotto il
profilo della procreazione biologica. Vi possono essere in questo senso gravi
esagerazioni che esaltano una fecondità biologica in termini vitalistici e che si accompagnano spesso a un pericoloso
disprezzo della donna. L'esistenza della vocazione cristiana alla verginità,
audace rispetto alla tradizione antico-testamentaria e alle esigenze di molte
società umane, è al riguardo di grandissima importanza.17
Essa contesta radicalmente ogni pretesa di rinchiudere le donne in un destino
che sarebbe semplicemente biologico. Come la verginità riceve dalla maternità
fisica il richiamo che non esiste vocazione cristiana se non nel dono concreto
di sé all'altro, parimenti la maternità fisica riceve dalla verginità il
richiamo alla sua dimensione fondamentalmente spirituale: non è
accontentandosi di dare la vita fisica che si genera veramente l'altro. Ciò
significa che la maternità può trovare forme di realizzazione piena anche
laddove non c'è generazione fisica.18 In tale prospettiva si comprende il ruolo insostituibile della
donna in tutti gli aspetti della vita familiare e sociale che coinvolgono le
relazioni umane e la cura dell'altro. Qui si manifesta con chiarezza ciò che
Giovanni Paolo II ha chiamato il
genio della donna.19 Questo
implica prima di tutto che le donne siano presenti attivamente e anche con
fermezza nella famiglia, «società primordiale e, in un certo senso,
“sovrana”»,20 perché è qui, innanzitutto, che si plasma il volto
di un popolo, è qui che i suoi membri acquisiscono gli insegnamenti
fondamentali. Essi imparano ad amare in quanto sono amati gratuitamente,
imparano il rispetto di ogni altra persona in quanto sono rispettati,
imparano a conoscere il volto di Dio in quanto ne ricevono la prima
rivelazione da un padre e da una madre pieni di attenzione. Ogni volta che
vengono a mancare queste esperienze fondanti, è l'insieme della società che
soffre violenza e diventa, a sua volta, generatrice di molteplici violenze.
Questo implica inoltre che le donne siano presenti nel mondo del lavoro e
dell'organizzazione sociale e che abbiano accesso a posti di responsabilità
che offrano loro la possibilità di ispirare le politiche delle nazioni e di
promuovere soluzioni innovative ai problemi economici e sociali. Al riguardo, non si può tuttavia dimenticare che l'intreccio
delle due attività — la famiglia e il lavoro — assume, nel caso della donna,
caratteristiche diverse da quelle dell'uomo. Si pone pertanto il problema di
armonizzare la legislazione e l'organizzazione del lavoro con le esigenze
della missione della donna all'interno della famiglia. Il problema non è solo
giuridico, economico ed organizzativo; è innanzitutto un problema di
mentalità, di cultura e di rispetto. Si richiede, infatti, una giusta
valorizzazione del lavoro svolto dalla donna nella famiglia. In tal modo le
donne che liberamente lo desiderano potranno dedicare la totalità del loro
tempo al lavoro domestico, senza essere socialmente stigmatizzate ed
economicamente penalizzate, mentre quelle che desiderano svolgere anche altri
lavori potranno farlo con orari adeguati, senza essere messe di fronte
all'alternativa di mortificare la loro vita familiare oppure di subire una
situazione abituale di stress
che non favorisce né l'equilibrio personale né l'armonia familiare. Come ha
scritto Giovanni Paolo II, «tornerà ad onore della società rendere possibile
alla madre —senza ostacolarne la libertà, senza discriminazione psicologica o
pratica, senza penalizzazione nei confronti delle sue compagne — di dedicarsi
alla cura e all'educazione dei figli secondo i bisogni differenziati della
loro età».21 14. È opportuno comunque ricordare che i valori femminili, ora richiamati,
sono innanzitutto valori umani: la condizione umana, dell'uomo e della donna,
creati ad immagine di Dio, è una e indivisibile. È solo perché le donne sono
più immediatamente in sintonia con questi valori che esse possono esserne il
richiamo ed il segno privilegiato. Ma, in ultima analisi, ogni essere umano,
uomo e donna, è destinato ad essere «per l'altro». In tale prospettiva ciò
che si chiama «femminilità» è più di un semplice attributo del sesso
femminile. La parola designa infatti la capacità fondamentalmente umana di
vivere per l'altro e grazie all'altro. Pertanto la promozione della donna all'interno della società
deve essere compresa e voluta come una umanizzazione realizzata attraverso
quei valori riscoperti grazie alle donne. Ogni prospettiva che intende
proporsi come una lotta dei sessi è solamente un'illusione ed un pericolo:
finirebbe in situazioni di segregazione e di competizione tra uomini e donne
e promuoverebbe un solipsismo che si alimenta ad una falsa concezione della
libertà. Senza pregiudizio circa gli sforzi per promuovere i diritti ai
quali le donne possono aspirare nella società e nella famiglia, queste
osservazioni vogliono invece correggere la prospettiva che considera gli
uomini come nemici da vincere. La relazione uomo-donna non può pretendere di
trovare la sua condizione giusta in una specie di contrapposizione,
diffidente e difensiva. Occorre che tale relazione sia vissuta nella pace e
nella felicità dell'amore condiviso. Ad un livello più concreto, le politiche sociali —educative,
familiari, lavorative, di accesso ai servizi, di partecipazione civica — se,
da una parte, devono combattere ogni ingiusta discriminazione sessuale,
dall'altra, devono sapere ascoltare le aspirazioni e individuare i bisogni di
ognuno. La difesa e la promozione dell'uguale dignità e dei comuni valori
personali devono essere armonizzate con l'attento riconoscimento della
differenza e della reciprocità laddove ciò è richiesto dalla realizzazione
della propria umanità maschile o femminile. IV. L'ATTUALITÀ 15. Per quanto riguarda Fin dalle prime generazioni cristiane, L'esistenza di Maria è un invito fatto
alla Chiesa a radicare il suo essere nell'ascolto e nell'accoglienza della
Parola di Dio, perché la fede non è tanto la ricerca di Dio da parte
dell'essere umano, ma piuttosto il riconoscimento da parte dell'uomo che Dio
viene a lui, lo visita e gli parla. Questa fede, per la quale «nulla è
impossibile a Dio» (cfr Gn 18,14; Lc 1,37), vive e si approfondisce nell'ubbidienza
umile e amante con cui Sempre da Maria 16. Guardare Maria ed imitarla,
tuttavia, non significa votare Ben lungi dal conferire alla Chiesa un'identità fondata su un
modello contingente di femminilità, il riferimento a Maria
con le sue disposizioni di ascolto, di accoglienza, di umiltà, di fedeltà, di
lode e di attesa, colloca In questa prospettiva si comprende anche come il fatto che
l'ordinazione sacerdotale sia esclusivamente riservata agli uomini22
non impedisca affatto alle donne di accedere al cuore della vita cristiana.
Esse sono chiamate ad essere modelli e testimoni insostituibili per tutti i
cristiani di come la Sposa deve rispondere con l'amore all'amore dello Sposo. CONCLUSIONE In tal modo la relazione dell'uomo con la donna si trasforma e
la triplice concupiscenza di cui parla la prima Lettera di Giovanni (cfr 1Gv
2,16) cessa di avere il sopravvento. Si deve accogliere la testimonianza resa
dalla vita delle donne come rivelazione di valori senza i quali l'umanità si
chiuderebbe nell'autosufficienza, nei sogni di potere e nel dramma della
violenza. Anche la donna, da parte sua, deve lasciarsi convertire e riconoscere
i valori singolari e di grande efficacia di amore per l'altro, di cui la sua
femminilità è portatrice. In entrambi i casi si tratta della conversione
dell'umanità a Dio, di modo che sia l'uomo che la donna conoscano Dio come il
loro «aiuto», come il Creatore pieno di tenerezza, come il Redentore che «ha
tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito» (Gv 3,16). Una tale conversione non può compiersi senza l'umile preghiera
per ricevere da Dio quella trasparenza di sguardo che riconosce il proprio
peccato e al tempo stesso la grazia che lo guarisce. In modo particolare si
deve implorare Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II,
nel corso dell'Udienza concessa al sottoscritto Cardinale Prefetto, ha
approvato la presente Lettera, decisa nella riunione ordinaria di questa
Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione. Roma, dalla Sede della Congregazione per la Dottrina della Fede,
il 31 maggio 2004, Festa della Visitazione della Beata Vergine Maria. + Joseph Card. Ratzinger + Angelo Amato, SDB 1Cfr Giovanni Paolo II, Esort.
ap. post-sinodale Familiaris
consortio (22 novembre 1981): AAS 74
(1982), 81-191; Lett. ap.
Mulieris dignitatem
(15 agosto 1988): AAS 80 (1988), 1653-1729; Lettera alle famiglie
(2 febbraio 1994): AAS 86 (1994), 868-925; Lettera alle donne
(29 giugno 1995): AAS 87 (1995), 803-812; Catechesi sull'amore
umano (1979-1984): Insegnamenti II (1979) - VII (1984);
Congregazione per l'Educazione Cattolica, Orientamenti educativi
sull'amore umano. Lineamenti di educazione sessuale (1o
novembre 1983): Ench. Vat. 9,
420-456; Pontificio Consiglio per la Famiglia, Sessualità umana: verità e
significato. Orientamenti educativi in famiglia (8 dicembre 1995): Ench. Vat. 14, 2008-2077. 2Sulla complessa questione del gender, cfr anche Pontificio Consiglio per 3Cfr Giovanni Paolo II, Lett.
enc. Fides et ratio
(14 settembre 1998), 21: AAS 91 (1999), 22: «Questa apertura al
mistero, che gli veniva dalla Rivelazione, è stata alla fine per lui [l'uomo
biblico] la fonte di una vera conoscenza, che ha permesso alla sua ragione di
immettersi in spazi di infinito, ricevendone possibilità di comprensione fino
allora insperate». 4Giovanni Paolo II, Lett.
ap. Mulieris dignitatem (15 agosto 1988), 6: AAS 80 (1988),
1662; cfr S. Ireneo, Adversus
haereses, 5, 6, 1; 5, 16, 2-3: SC 153,
72-81; 216-221; S. Gregorio di Nissa, De hominis opificio, 16: PG 44, 180; In Canticum homilia, 2: PG
44, 805-808; S. Agostino, Enarratio in Psalmum, 4, 8: CCL 38,17. 5La parola ebraica ezer,
tradotta con aiuto, indica il soccorso che solo una persona porta ad
un'altra persona. Il termine non comporta alcuna connotazione di inferiorità
o strumentalizzazione, se si pensa che anche Dio è talora detto ezer nei confronti dell'uomo (cfr
Es 18,4; Sal
9-10, 35). 6Giovanni Paolo II, Lett.
ap. Mulieris dignitatem (15 agosto 1988), 6: AAS 80 (1988),
1664. 7Giovanni Paolo II, Catechesi L'uomo-persona
diventa dono nella libertà dell'amore (16 gennaio 1980), 1:
Insegnamenti III, 1 (1980), 148. 8Giovanni Paolo II, Catechesi La
concupiscenza del corpo deforma i rapporti uomo-donna (23 luglio 1980),
1: Insegnamenti III, 2 (1980), 288. 9Giovanni Paolo II, Lett.
ap. Mulieris dignitatem (15 agosto 1988), 7: AAS 80 (1988),
1666. 10Ibid., 11Congregazione per l'Educazione Cattolica,
Orientamenti educativi sull'amore umano. Lineamenti di educazione sessuale
(1o novembre 1983), 4: Ench.
Vat. 9, 423. 12Ibid. 13Adversus haereses, 4, 34, 1: SC
100, 846: «Omnem novitatem
attulit semetipsum afferens». 14La Tradizione esegetica antica vede in Maria a Cana la «figura Synagogae» e la «inchoatio Ecclesiae». 15Il quarto Vangelo approfondisce qui un dato
presente già nei Sinottici (cfr Mt
9,15 e par.). Sul tema di Gesù Sposo, cfr Giovanni Paolo II, Lettera alle famiglie (2
febbraio 1994), 18: AAS 86 (1994), 906- 910. 16Giovanni Paolo II, Lettera alle famiglie
(2 febbraio 1994), 19: AAS 86 (1994), 911; cfr
Lett. ap. Mulieris dignitatem
(15 agosto 1988), 23- 25: AAS 80 (1988), 1708-1715. 17Cfr Giovanni Paolo II, Esort.
ap. post-sinodale Familiaris
consortio (22 novembre 1981), 16: AAS 74
(1982), 98-99. 18Ibid., 19Cfr Giovanni Paolo II, Lettera alle donne
(29 giugno 1995), 9- 10: AAS 87 (1995), 809-810. 20Giovanni Paolo II, Lettera alle famiglie (2
febbraio 1994), 17: AAS 86 (1994), 906. 21Lett. enc. Laborem exercens
(14 settembre 1981), 19: AAS 73 (1981), 627. 22Cfr Giovanni Paolo II, Lett.
ap. Ordinatio sacerdotalis (22 maggio 1994): AAS 86 (1994),
545-548; Congregazione per la Dottrina della Fede, Risposta al dubbio circa
la dottrina della Lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis (28 ottobre 1995): AAS 87 (1995),
1114. |