Intervista al cardinale Ratzinger,
capo dell' ex Sant'Uffizio:
a volte c'è aggressività contro la visione religiosa.
Il laicismo nuova ideologia
L' Europa non emargini Dio.
Laicità giusta.
Lo Stato non impone una
religione, ma dà alle religioni spazio per costruire la società civile: ecco la
laicità giusta.
Crocifisso in aula.
Se si perdesse la sostanza
cristiana di un popolo, la Croce in pubblico potrebbe essere discussa: per me
sarebbe triste.
Gay e Spagna. I matrimoni gay sono una scelta distruttiva per la società. Sono
un segno di decadenza.
Parlare di Dio in politica
sembra indecente. E lo stesso avviene per l' economia.
La sfida islamica. Ci sono
tanti modi di essere musulmani. E’ comunque una sfida positiva la loro ferma
fede in Dio.
MARCO POLITI
CITTA’
DEL VATICANO
L'Europa, culla e pilastro del
cattolicesimo, sta perdendo la sua connotazione cristiana. Già oggi i non
praticanti, gli indifferenti e gli agnostici sono maggioranza. Per la Chiesa di
Roma è una sfida decisiva. Ed è da qui che partiamo nel colloquio con il
cardinale Joseph Ratzinger nella Sala Rossa del Sant' Uffizio. Congregazione
per la Dottrina della fede si chiama oggi ed il suo capo è stato e continua ad
essere un pilastro del pontificato wojtyliano.
«Viviamo in una situazione di
grande trasformazione. Denatalità e immigrazione - ci confida il porporato -
mutano anche la composizione etnica dell'Europa. Soprattutto siamo passati da una
cultura cristiana ad un secolarismo aggressivo e a tratti persino intollerante.
E ciò nonostante, sebbene le chiese si svuotino e tanti non riescano più a
credere, la fede non è morta. Sono sicuro che anche nel contesto di una società
multiculturale, e fra grandi contrasti, la fede cristiana rimanga un fattore
importante, capace di fornire forza morale e culturale al continente».
Dunque il cardinale Ratzinger
non è pessimista?
«Ottimismo e pessimismo sono
categorie emozionali. Io penso di essere realista. Resto convinto della forza
interiore della fede. Piuttosto il cattolicesimo è diventato sempre più
"cattolico", cioè universale. E mentre altri continenti scoprono il
loro modo di essere cristiani e cattolici, l'Europa non sarà più una voce così
determinante come in passato. Avrà una grande rilevanza, ma sempre all' interno
di un concerto internazionale».
Dopo l'affare Buttiglione
certi gruppi laici e cattolici dipingono un cristianesimo assediato in Europa.
«Esiste un'aggressività
ideologica secolare, che può essere preoccupante. In Svezia un pastore
protestante, che aveva predicato sull'omosessualità in base ad un brano della
Scrittura, è andato in carcere per un mese. Il laicismo non è più
quell'elemento di neutralità, che apre spazi di libertà per tutti. Comincia a
trasformarsi in un'ideologia che si impone tramite la politica e non concede
spazio pubblico alla visione cattolica e cristiana, la quale rischia così di
diventare cosa puramente privata e in fondo mutilata. In questo senso una lotta
esiste e noi dobbiamo difendere la libertà religiosa contro l'imposizione di
un'ideologia che si presenta come fosse l'unica voce della razionalità, mentre
invece è solo l'espressione di un "certo" razionalismo».
Per lei cos'è la laicità?
«La laicità giusta è la
libertà di religione. Lo Stato non impone una religione, ma dà libero spazio
alle religioni con una responsabilità verso la società civile, e quindi
permette a queste religioni di essere fattori nella costruzione della vita
sociale».
Eppure ci sono frontiere
delicate. Prendiamo il crocifisso nelle scuole. C'è la tendenza, che trovo
banalizzante, di dire che è simbolo di amore universale e quindi non può dare
fastidio a nessuno. In realtà è anzitutto il segno di un Dio e di una
religione. Non è comprensibile che ci sia chi afferma che non ci può essere un
solo segno imposto?
«Dipende dalle situazioni
storiche. Possono darsi paesi che non hanno una storia o una presenza cristiana
e quindi non vogliono questo segno perché non esprime un'eredità e un
orientamento morale comune. Io penso che grazie a Dio l'Italia, e anche parte
della Germania, sono ancora così segnate dal loro passato e dal loro presente
cristiano che il crocifisso resta per loro un punto di orientamento. La Croce
ci parla di un Dio che si fa uomo e muore per l'uomo, che ama l'uomo e perdona.
E questa è già una visione di Dio che esclude il terrorismo e le guerre di
religione in nome di Dio. Può darsi che in futuro si perda la sostanza
cristiana in un popolo: allora si potrebbe dire che non c' è più questo
orientamento comune e magari non si potrebbe più offrirlo negli spazi pubblici.
Per me sarebbe un passaggio triste e perciò mi impegno personalmente perché non
vada persa questa sostanza cristiana».
Ma se un ebreo o un musulmano,
senza polemiche, chiedono di trovare nella scuola anche un segno della loro
fede, è giusto negarlo?
«Si può riflettere sulle
condizioni di un simile caso, ponderando bene tutte le differenze che esso
comporta. Ma è una questione aperta, dovrei rifletterci sopra in modo più
approfondito».
Non crede che esiste una
difficoltà della Chiesa a farsi capire dall' uomo di oggi?
«Non facciamone un'immagine
mitica, l'uomo d'oggi è molteplice. E' assai diverso in America latina, in
Africa o in Asia. E anche tra noi ci sono ceti sociali con svariate visioni del
mondo. Ma è vero che il cristianesimo ha difficoltà a farsi capire nel mondo
odierno, specialmente in quello occidentale: americano ed europeo. Sul piano
intellettuale il sistema concettuale del cristianesimo appare molto lontano dal
linguaggio e dal modo di vedere moderno. Basterebbe pensare solo alla parola
"natura": come ha cambiato senso! Dobbiamo, senza dubbio, fare il
possibile per tradurre questo sistema concettuale in modo che emerga la vera
essenza del cristianesimo».
Come descriverla?
«Una storia di amore fra Dio e
gli uomini. Se si capisce questo nel linguaggio del nostro tempo, il resto
seguirà».
Basta questo?
«C'è anche la difficoltà ad accettare
il cristianesimo dal punto di vista esistenziale. Gli attuali modelli di vita
sono molto diversi e quindi l'impegno intellettuale da solo non è sufficiente.
Bisogna offrire spazi di vita, di comunione, di cammino. Solo attraverso
esperienze concrete e l'esempio esistenziale è possibile verificare
l'accessibilità e la realtà del messaggio cristiano».
Torna a diffondersi la
tentazione di rifugiarsi nel sogno di una società organicamente cristiana. Ha
senso?
«Certamente no. Era una
situazione storica determinata con luci ed ombre, come testimonia anche la
storia della Chiesa. Oggi si tende a vedere piuttosto le ombre, ma vi erano
anche luci, come rivela la grande cultura medievale. Adesso, rifugiarsi in una
situazione non più ripetibile sarebbe assurdo. Dobbiamo accettare che la storia
vada avanti, affrontando la difficoltà di credere in un contesto pluralista, ma
sapendo bene che vi sono pure nuove possibilità per una fede libera e adulta.
La fede non è solo il risultato di una tradizione e di una specifica situazione
sociale, ma anzitutto l'esito di un libero sì del cuore a Cristo».
Dove sta Dio nella società
contemporanea?
«E' molto emarginato. Nella
vita politica sembra quasi indecente parlare di Dio, quasi fosse un attacco
alla libertà di chi non crede. Il mondo politico segue le sue norme e le sue
strade, escludendo Dio come cosa che non appartiene a questa terra. Lo stesso
nel mondo del commercio, dell'economia e della vita privata. Dio rimane ai
margini. A me sembra invece necessario riscoprire, e le forze ci sono, che
anche la sfera politica ed economica ha bisogno di una responsabilità morale,
una responsabilità che nasce dal cuore dell'uomo e, in ultima istanza, ha a che
fare con la presenza o l'assenza di Dio. Una società in cui Dio è assolutamente
assente, si autodistrugge. Lo abbiamo visto nei grandi regimi totalitari del
secolo scorso».
Un grosso nodo è l'etica
sessuale. L'enciclica Humanae Vitae ha prodotto un fossato tra magistero e
comportamento pratico dei fedeli. E' ora di rimeditarla?
«Per me è evidente che dobbiamo continuare a
riflettere. Già nei suoi primi anni di pontificato Giovanni Paolo II ha offerto
al problema un nuovo tipo di approccio antropologico, personalistico,
sviluppando una visione molto diversa della relazione fra l'io e il tu
dell'uomo e della donna. Vero è che la pillola ha dato il via ad una
rivoluzione antropologica di grandissime dimensioni. Non si è rivelata essere,
come forse si poteva pensare all'inizio, solo un aiuto per le situazioni
difficili, ma ha cambiato la visione della sessualità, dell'uomo e del corpo
stesso. E' stata sganciata la sessualità dalla fecondità e così è cambiato
profondamente il concetto della stessa vita umana. L'atto sessuale ha perso la
sua intenzionalità e finalità, che prima era sempre stata visibile e
determinante, sicché tutti i tipi di sessualità sono diventati equivalenti.
Soprattutto da questa rivoluzione consegue l'equiparazione tra omosessualità ed
eterosessualità. Ecco perché dico che Paolo VI ha indicato un problema di
grandissima importanza».
Ecco, l'omosessualità. E' un
tema che riguarda l'amore fra due persone e non la mera sessualità. Cosa può
fare la Chiesa per capire questo fenomeno?
«Diciamo due cose. Anzitutto
dobbiamo avere un grande rispetto per queste persone, che soffrono anche e che
vogliono trovare un loro modo di vivere giusto. D'altra parte, creare ora la
forma giuridica di una specie di matrimonio omosessuale, in realtà, non aiuta
queste persone».
Quindi lei giudica
negativamente la scelta fatta in Spagna?
«Sì, perché è distruttiva per
la famiglia e la società. Il diritto crea la morale o una forma di morale,
poiché la gente normale comunemente ritiene che quanto afferma il diritto sia
anche moralmente lecito. E se giudichiamo questa unione più o meno equivalente
al matrimonio, abbiamo una società che non riconosce più la specificità né il
carattere fondamentale della famiglia, cioè l'essere proprio dell'uomo e della
donna che ha lo scopo di dare continuità - non solo in senso biologico - all'umanità.
Ecco perché la scelta fatta in Spagna non reca un vero beneficio a queste
persone: poiché in tal modo distruggiamo elementi fondamentali di un ordine di
diritto».
Eminenza, a volte la Chiesa
dicendo no su tutto, è andata incontro a sconfitte. Non dovrebbe essere almeno
possibile un patto di solidarietà fra due persone, anche omosessuali,
riconosciuto e tutelato dalla legge?
«Ma l'istituzionalizzazione di
una simile intesa - lo voglia o no il legislatore - apparirebbe necessariamente
all'opinione pubblica come un altro tipo di matrimonio e la relativizzazione
sarebbe inevitabile. Non dimentichiamo poi che con queste scelte, verso cui
oggi inclina un'Europa - diciamo così - in decadenza, ci separiamo da tutte le
grandi culture dell'umanità, le quali hanno sempre riconosciuto il significato
proprio della sessualità: cioè che un uomo e una donna sono creati per essere
congiuntamente la garanzia del futuro dell'umanità. Garanzia non solo fisica ma
morale».
In definitiva le visioni
confliggenti nell'etica riflettono la rivoluzione del soggetto in corso nel
mondo occidentale. La nuova soggettività è una sciagura o una sfida per la
Chiesa?
«Di per sé la capacità di
autodeterminazione può essere una cosa buona. Ma dubito che molti soggetti siano
realmente autodeterminati - come oggi si vuol far credere - e non vivano invece
un certo uniformismo prefabbricato, magari pensando di realizzare se stessi.
L'uomo d'oggi è manipolabile dal mercato, dai media, dalle mode. Vero è che la
sfera del soggetto è divenuta molto più grande. Il problema è che oggi la
religione e la morale sembrano appartenere solo alla sfera del soggetto.
L'oggettività si troverebbe unicamente nelle scienze mentre il resto sarebbe
soggettivo. Di conseguenza la religione perde peso nella formazione della
coscienza comune».
E allora?
«Rimane un'acquisizione
positiva che il soggetto sia più consapevole della sua libertà e
responsabilità, ma è giunto il momento di riconoscere che la libertà umana può
vivere solo come libertà condivisa con gli altri. In una responsabilità comune.
Soprattutto va capito che l'uomo non crea se stesso: è una creatura con i suoi
limiti e con la possibilità di deviare o di trovare la via che corrisponde al
suo essere propriamente una persona umana».
In questo scenario tutto
occidentale sta irrompendo l'Islam. Come dovrebbe fronteggiarlo il
cattolicesimo?
«Anzitutto l'Islam è
multiforme, non è riducibile solo all'area terrorista o a quella moderata.
Esistono interpretazioni diverse: sunniti, sciiti, eccetera. Culturalmente c'è
una grande differenza tra Indonesia, Africa o penisola araba e forse si sta
formando anche un Islam con una specificità europea, che accetta elementi della
nostra cultura. In ogni caso è una sfida positiva per noi la ferma fede in Dio
dei musulmani, la coscienza che siamo tutti sotto il giudizio di Dio, insieme
ad un certo patrimonio morale e all'osservanza di alcune norme che dimostrano
come la fede per vivere abbia bisogno di espressioni comuni: cosa che noi
abbiamo un po' perso».
E sul versante critico?
«Si tratta di cogliere anche
le debolezze culturali di una religione troppo legata ad un libro considerato
come verbalmente ispirato, con tutti i pericoli che ne conseguono. Possiamo
offrire il concetto di libertà religiosa ad una religione in cui è determinante
la teocrazia, cioè l'inscindibilità tra potere statale e religione. Potremmo
mostrare loro che un Dio che lascia più libertà all'uomo, offre nuovi spazi
all'uomo e al suo sviluppo culturale».
Si fa strada la tendenza nei
nostri paesi a voler esportare in ogni modo i valori occidentali nel resto del
mondo, perché considerati migliori.
«Non dobbiamo imporre e
dogmatizzare tutte le nostre idee. Dobbiamo essere consapevoli della relatività
di tante nostre forme politiche, religiose, economiche. D'altra parte, dobbiamo
lasciare agli altri popoli la possibilità di contribuire alla molteplicità del
concerto della cultura umana. Noi cerchiamo di convincere gli altri di cose che
ci paiono essenziali, ma ciò deve avvenire nel rispetto, senza imposizioni».