GIOVANNI
PAOLO II
SOLLECITUDO
REI SOCIALIS
NEL
20° ANNIVERSARIO DELLA «POPULORUM PROGRESSIO»
30.12.1987
1. Continuità e
novità nel magistero sociale dei papi da Leone XIII ad oggi.
La sollecitudine sociale della Chiesa, finalizzata ad un
autentico sviluppo dell'uomo e della società, che rispetti e promuova la
persona umana in tutte le sue dimensioni, si è sempre espressa nei modi più
svariati. Uno dei mezzi privilegiati di intervento è stato nei tempi recenti il
Magistero dei Romani Pontefici, che, partendo dall'Enciclica Rerum Novarum di
Leone XIII come da un punto di riferimento,
ha trattato di frequente la questione facendo alcune volte coincidere le
date di pubblicazione dei vari documenti sociali con gli anniversari di quel
primo documento. Né i Sommi Pontefici
hanno trascurato di illuminare con tali interventi anche aspetti nuovi della
dottrina sociale della Chiesa. Pertanto, cominciando dal validissimo apporto di
Leone XIII, arricchito dai successivi contributi magisteriali, si è ormai
costituito un aggiornato «corpus» dottrinale, che si articola man mano che
2. Una nuova
Enciclica per celebrare l'attualità della «Populorum Progressio» di Paolo VI.
In tale cospicuo corpo di insegnamento sociale si
inserisce e distingue l'Enciclica Populorum Progressio, che il mio venerato predecessore Paolo VI
pubblicò il 26 marzo 1967. La perdurante attualità di questa Enciclica si
riconosce agevolmente registrando la serie di commemorazioni che si sono tenute
durante questo anno, in varie forme e in molti ambienti del mondo ecclesiastico
e civile. A questo medesimo scopo la Pontificia Commissione Iustitia et Pax
inviò l'anno scorso una lettera circolare ai Sinodi delle Chiese cattoliche
Orientali e alle Conferenze Episcopali, sollecitando opinioni e proposte circa
il modo migliore di celebrare l'anniversario dell'Enciclica, arricchirne gli
insegnamenti ed all'occorrenza attualizzarli. La stessa Commissione promosse,
alla scadenza del ventesimo anniversario, una solenne commemorazione, alla
quale volli prender parte tenendo l'allocuzione conclusiva. Ed ora, prendendo anche in considerazione i
contenuti delle risposte alla citata circolare credo opportuno, a chiusura
dell'anno 1987, dedicare un'Enciclica alla tematica della Populorum Progressio.
3. I due principali obiettivi dell'Enciclica: omaggio al
documento di Paolo VI e riaffermazione del rinnovamento nella continuità della
dottrina sociale della Chiesa. Con ciò intendo raggiungere principalmente due
obiettivi di non piccola importanza: da una parte, rendere omaggio a questo
storico documento di Paolo VI e al suo insegnamento; dall'altra, nella linea
tracciata dai miei venerati predecessori sulla Cattedra di Pietro, riaffermare
la continuità della dottrina sociale ed insieme il suo costante rinnovamento.
In effetti, continuità e rinnovamento sono una riprova del perenne valore
dell'insegnamento della Chiesa. Questa doppia connotazione e tipica del suo
insegnamento nella sfera sociale. Esso, da un lato, è costante perché si
mantiene identico nella sua ispirazione di fondo, nei suoi «principi di
riflessione», nei suoi «criteri di giudizio», nelle sue basilari «direttrici di
azione» e, soprattutto, nel suo vitale
collegamento col Vangelo del Signore; dall'altro lato, è sempre nuovo, perché è
soggetto ai necessari e opportuni adattamenti suggeriti dal variare delle
condizioni storiche e dall'incessante fluire degli avvenimenti, in cui si muove
la vita degli uomini e delle società.
4. Prolungare gli insegnamenti della «Populorum
Progressio» in relazione alle condizioni del presente momento storico. Nella
convinzione che gli insegnamenti dell'Enciclica Populorum Progressio,
indirizzata agli uomini ed alla società degli anni Sessanta, conservano tutta
la loro forza di richiamo alla coscienza oggi, sullo scorcio degli anni
Ottanta, nello sforzo di indicare le linee portanti del mondo odierno--sempre nell'ottica
del motivo ispiratore, lo «sviluppo dei popoli», ancora ben lontano dall'essere
raggiunto--, mi propongo di prolungarne l'eco, collegandoli con le possibili
applicazioni al presente momento storico, non meno drammatico di quello di
venti anni fa. Il tempo--lo sappiamo bene--scorre sempre secondo il medesimo
ritmo; oggi, tuttavia, si ha l'impressione che sia sottoposto a un moto di
continua accelerazione, in ragione soprattutto della moltiplicazione e
complessità dei fenomeni in mezzo ai quali viviamo. Di conseguenza, la
configurazione del mondo, nel corso degli ultimi venti anni, pur conservando
alcune costanti fondamentali, ha subito notevoli cambiamenti e presenta aspetti
del tutto nuovi. Questo periodo di tempo, caratterizzato alla vigilia del terzo
Millennio cristiano da una diffusa attesa, quasi di un nuovo «avvento», che in qualche modo tocca tutti gli uomini,
offre l'occasione di approfondire l'insegnamento dell'Enciclica, per vederne
anche le prospettive. La presente riflessione ha lo scopo di sottolineare, con
l'aiuto dell'indagine teologica sulla realtà contemporanea, la necessità di una
concezione più ricca e differenziata dello sviluppo, secondo le proposte
dell'Enciclica, e di indicare alcune forme di attuazione.
5. Novità nella
continuità dell'Enciclica sociale di Paolo VI in relazione al Concilio Vaticano
II.
Già al suo apparire, il documento di Papa Paolo VI
richiamò l'attenzione dell'opinione pubblica per la sua novità. Si ebbe modo di
verificare, in concreto e con grande chiarezza, dette caratteristiche della
continuità e del rinnovamento all'interno della dottrina sociale della Chiesa.
Perciò, l'intento di riscoprire numerosi aspetti di questo insegnamento,
mediante una rilettura attenta dell'Enciclica, costituirà il filo conduttore
delle presenti riflessioni. Ma prima desidero soffermarmi sulla data di
pubblicazione: l'anno 1967. Il fatto stesso che il Papa Paolo VI prese la
decisione di pubblicare una sua Enciclica sociale in quell'anno, invita a
considerare il documento in relazione al Concilio Ecumenico Vaticano II, che si
era chiuso l'8 dicembre 1965.
6. La
«Populorum Progressio» documento per l'applicazione degli insegnamenti
conciliari in merito alla miseria e al sottosviluppo.
In tale fatto dobbiamo vedere qualcosa di più che una
semplice vicinanza cronologica. L'Enciclica Populorum Progressio si pone, in
certo modo, quale documento di applicazione degli insegnamenti del Concilio. E
ciò non tanto perché essa fa continui riferimenti ai testi conciliari, quanto perché scaturisce dalla preoccupazione
della Chiesa, che ispirò tutto il lavoro conciliare--in particolar modo la
Costituzione pastorale Gaudium et spes--nel coordinare e sviluppare non pochi
temi del suo insegnamento sociale. Possiamo affermare, pertanto, che
l'Enciclica Populorum Progressio è come la risposta all'appello conciliare, col
quale ha inizio la Costituzione Gaudium et spes: «Le gioie e le speranze, le
tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti
coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le
angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è più genuinamente umano che non
trovi eco nel loro cuore». Queste parole
esprimono il motivo fondamentale che ispirò il grande documento del Concilio,
il quale parte dalla constatazione dello stato di miseria e di sottosviluppo,
in cui vivono milioni e milioni di esseri umani. Questa miseria e sottosviluppo
sono, sotto altro nome, «le tristezze e le angosce» di oggi, «dei poveri
soprattutto»: di fronte a questo vasto panorama di dolore e di sofferenza, il
Concilio vuole prospettare orizzonti di gioia e di speranza. Al medesimo
obiettivo punta l'Enciclica di Paolo VI, in piena fedeltà all'ispirazione
conciliare.
7. Relazione
dell'Enciclica con la Costituzione conciliare «Gaudium et spes».
Ma anche
nell'ordine tematico l'Enciclica, attenendosi alla grande tradizione
dell'insegnamento sociale della Chiesa, riprende in maniera diretta la nuova esposizione
e la ricca sintesi, che il Concilio ha elaborato segnatamente nella
Costituzione Gaudium et spes. Quanto ai contenuti e temi, riproposti
dall'Enciclica, sono da sottolineare: la coscienza del dovere che ha la Chiesa,
«esperta in umanità», di «scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla
luce del Vangelo»; la coscienza,
egualmente profonda, della sua missione di «servizio», distinta dalla funzione
dello Stato, anche quando essa si preoccupa della sorte delle persone in
concreto; il riferimento alle differenze
clamorose nelle situazioni di queste stesse persone; la conferma dell'insegnamento conciliare, eco
fedele della tradizione secolare della Chiesa, circa la «destinazione
universale dei beni»; l'apprezzamento
della cultura e della civiltà tecnica che contribuiscono alla liberazione
dell'uomo, senza trascurare di
riconoscere i loro limiti; infine, sul
tema dello sviluppo, che è proprio dell'Enciclica, l'insistenza sul «dovere
gravissimo», che incombe sulle Nazioni più sviluppate, di «aiutare i Paesi in
via di sviluppo». Lo stesso concetto di
sviluppo, proposto dall'Enciclica, scaturisce direttamente dall'impostazione
che la Costituzione pastorale dà a questo problema. Questi ed altri espliciti riferimenti alla
Costituzione pastorale portano alla conclusione che l'Enciclica si presenta
come applicazione dell'insegnamento conciliare in materia sociale al problema
specifico dello sviluppo e del sottosviluppo dei popoli.
8. Prima novità
della «Populorum Progressio»: la sua destinazione sia alla Chiesa che a tutti
gli uomini di buona volontà.
a) La breve analisi, ora fatta, ci aiuta a valutar meglio
la novità dell'Enciclica, che si può precisare in tre punti.
Il primo è costituito dal fatto stesso di un documento,
emanato dalla massima autorità della Chiesa cattolica e destinato, a un tempo,
alla stessa Chiesa e «a tutti gli uomini di buona volontà», sopra una materia che a prima vista è solo
economica e sociale: lo sviluppo dei popoli. Qui il termine «sviluppo» è
desunto dal vocabolario delle scienze sociali ed economiche. Sotto tale profilo
l'Enciclica Populorum Progressio si colloca direttamente nel solco
dell'Enciclica Rerum Novarum, che tratta della «condizione degli operai». Considerati superficialmente, entrambi i temi
potrebbero sembrare estranei alla legittima preoccupazione della Chiesa vista
come istituzione religiosa; anzi, lo «sviluppo» ancor più della «condizione
operaia».
b) La Chiesa affronta legittimamente la questione sullo
sviluppo, dato il carattere etico e culturale del problema.
In continuità con l'Enciclica di Leone XIII, al documento
di Paolo VI bisogna riconoscere il merito di aver sottolineato il carattere
etico e culturale della problematica relativa allo sviluppo e, parimenti, la
legittimità e la necessità dell'intervento in tale campo da parte della Chiesa.
Con ciò la dottrina sociale cristiana ha rivendicato ancora una volta il suo
carattere di applicazione della Parola di Dio alla vita degli uomini e della
società così come alle realtà terrene, che ad esse si connettono, offrendo
«principi di riflessione», «criteri di giudizio» e «direttrici di azione». Ora, nel documento di Paolo VI si ritrovano
tutti i tre elementi con un orientamento prevalentemente pratico, ordinato cioè
alla condotta morale. Di conseguenza, quando la Chiesa si occupa dello
«sviluppo dei popoli», non può essere accusata di oltrepassare il suo campo
specifico di competenza e, tanto meno, il mandato ricevuto dal Signore.
9. Ampiezza di
orizzonti sulla discussione della «questione sociale».
a) La «questione sociale», oggi di dimensione mondiale,
resta anche problema di ogni Paese.
Il secondo punto è la novità della Populorum Progressio,
quale si rivela dall'ampiezza di orizzonte aperto a quella che comunemente è
conosciuta come la «questione sociale». In verità, l'Enciclica Mater et
Magistra di Papa Giovanni XXIII era già entrata in questo più ampio
orizzonte ed il Concilio se ne era fatto
eco nella Costituzione Gaudium et spes.
Tuttavia, il magistero sociale della Chiesa non era ancora giunto ad
affermare in tutta chiarezza che la questione sociale ha acquistato dimensione
mondiale, né aveva fatto di questa
affermazione, e dell'analisi che l'accompagna, una «direttrice di azione», come
fa Papa Paolo VI nella sua Enciclica. Una simile presa di posizione così
esplicita offre una grande ricchezza di contenuti, che è opportuno indicare.
b) Tutti debbono prendere coscienza della dimensione
mondiale della questione sociale.
Anzitutto, occorre eliminare un possibile equivoco.
Riconoscere che la «questione sociale» abbia assunto una dimensione mondiale,
non significa affatto che sia venuta meno la sua forza d ,incidenza, o che
abbia perduto la sua importanza nell'ambito nazionale e locale. Significa, al
contrario, che le problematiche nelle imprese di lavoro o nel movimento operaio
e sindacale di un determinato Paese o regione non sono da considerare isole
sparse senza collegamenti, ma che dipendono in misura crescente dall'influsso
di fattori esistenti al di là dei confini regionali e delle frontiere
nazionali. Purtroppo, sotto il profilo economico, i Paesi in via di sviluppo
sono molti di più di quelli sviluppati: le moltitudini umane prive dei beni e
dei servizi, offerti dallo sviluppo, sono assai più numerose di quelle che ne
dispongono. Siamo, dunque, di fronte a un grave problema di diseguale
distribuzione dei mezzi di sussistenza, destinati in origine a tutti gli
uomini, e così pure dei benefici da essi derivanti. E ciò avviene non per
responsabilità delle popolazioni disagiate, né tanto meno per una specie di
fatalità dipendente dalle condizioni naturali o dall'insieme delle circostanze.
L'Enciclica di Paolo VI, nel dichiarare che la questione sociale ha acquistato
dimensione mondiale, si propone prima di tutto di segnalare un fatto morale,
avente il suo fondamento nell'analisi oggettiva della realtà. Secondo le parole
stesse dell'Enciclica, «ognuno deve prendere coscienza» di questo fatto, appunto perché tocca direttamente la coscienza,
ch'è fonte delle decisioni morali. In tale quadro, la novità dell'Enciclica non
consiste tanto nell'affermazione, di carattere storico circa l'universalità
della questione sociale quanto nella valutazione morale di questa realtà.
Perciò, i responsabili della cosa pubblica, i cittadini dei Paesi ricchi
personalmente considerati, specie se cristiani, hanno l'obbligo morale--
secondo il rispettivo grado di responsabilità--di tenere in considerazione,
nelle decisioni personali e di governo, questo rapporto di universalità, questa
interdipendenza che sussiste tra i loro comportamenti e la miseria e il
sottosviluppo di tanti milioni di uomini. Con maggior precisione l'Enciclica
paolina traduce l'obbligo morale come «dovere di solidarietà», ed una tale affermazione, anche se nel mondo
molte situazioni sono cambiate, ha oggi la stessa forza e validità di quando fu
scritta.
c) Il problema dello sviluppo va risolto nella
prospettiva dell'interdipendenza universale.
D'altra parte, senza uscire dalle linee di questa visione
morale, la novità dell'Enciclica consiste anche nell'impostazione di fondo,
secondo cui la concezione stessa dello sviluppo, se lo si considera nella
prospettiva dell'interdipendenza universale, cambia notevolmente. Il vero
sviluppo non può consistere nella semplice accumulazione di ricchezza e nella
maggiore disponibilità dei beni e servizi, se ciò si ottiene a prezzo del
sottosviluppo delle moltitudini, e senza la dovuta considerazione per le
dimensioni sociali, culturali e spirituali dell'essere umano.
10. Lo
sviluppo dei popoli e il nuovo nome della pace.
a) Come terzo punto l'Enciclica fornisce un considerevole
apporto di novità alla dottrina sociale della Chiesa nel suo complesso ed alla
concezione stessa di sviluppo.
Questa novità è ravvisabile in una frase, che si legge
nel paragrafo conclusivo del documento e che può esser considerata come la sua
formula riassuntiva, oltre che la sua qualifica storica: «Lo sviluppo è il
nuovo nome della pace». In realtà, se la
questione sociale ha acquistato dimensione mondiale, è perché l'esigenza di
giustizia può essere soddisfatta solo su questo stesso piano. Disattendere tale
esigenza potrebbe favorire l'insorgere di una tentazione di risposta violenta
da parte delle vittime dell'ingiustizia, come avviene all'origine di molte
guerre. Le popolazioni escluse dalla equa distribuzione dei beni destinati
originariamente a tutti, potrebbero domandarsi: perché non rispondere con la
violenza a quanti ci trattano per primi con la violenza? E se si esamina la
situazione alla luce della divisione del mondo in blocchi ideologici--già
esistente nel 1967--e delle conseguenti ripercussioni e dipendenze economiche e
politiche, il pericolo risulta ben maggiore.
b) Ingenti mezzi economici sono male utilizzati, mentre
dovrebbero essere destinati allo sviluppo
dei popoli.
A questa prima considerazione sul drammatico contenuto
della formula dell'Enciclica se ne aggiunge un'altra, a cui lo stesso documento
fa allusione: come giustificare il fatto
che ingenti somme di danaro che potrebbero e dovrebbero essere destinate a
incrementare lo sviluppo dei popoli, sono invece utilizzate per l'arricchimento
di individui o di gruppi, ovvero assegnate all'ampliamento degli arsenali di
armi, sia nei Paesi sviluppati sia in quelli in via di sviluppo, sconvolgendo
così le vere priorità? Ciò è ancor più grave attese le difficoltà che non di
rado ostacolano il passaggio diretto dei capitali destinati a portare aiuto ai
Paesi in condizione di bisogno. Se «lo sviluppo è il nuovo nome della pace», la
guerra e i preparativi militari sono il maggior nemico dello sviluppo integrale
dei popoli.
c) Occorre rivedere il concetto di sviluppo e
preoccuparsi del «bene comune» di tutta l'umanità.
In tal modo, alla luce dell'espressione di Papa Paolo VI,
siamo invitati a rivedere il concetto di sviluppo, che non coincide certamente
con quello che si limita a soddisfare le necessità materiali mediante la
crescita dei beni, senza prestare attenzione alle sofferenze dei più e facendo
dell'egoismo delle persone e delle Nazioni la principale motivazione. Come
acutamente ci ricorda la Lettera di san Giacomo, è da qui che «derivano le
guerre e le liti. [...] Non vengono forse dalle vostre passioni che combattono
nelle vostre membra? Bramate e non riuscite a possedere» (Gc4,1). Al contrario,
in un mondo diverso, dominato dalla sollecitudine per il bene comune di tutta
l'umanità, ossia dalla preoccupazione per lo «sviluppo spirituale e umano di
tutti», anziché dalla ricerca del profitto particolare, la pace sarebbe
possibile come frutto di una «giustizia più perfetta tra gli uomini».
Anche questa novità dell'Enciclica ha un valore
permanente ed attuale, considerata la mentalità di oggi che è così sensibile
all'intimo legame esistente tra il rispetto della giustizia e l'instaurazione
della vera pace.
11. Diversità
del contesto sociale rispetto all'epoca della «Populorum Progressio».
L'insegnamento fondamentale dell'Enciclica Populorum
Progressio ebbe a suo tempo grande risonanza per il suo carattere di novità. Il
contesto sociale, nel quale viviamo oggi, non si può dire del tutto identico a
quello di venti anni fa. E perciò vorrei ora soffermarmi, con una breve
esposizione, su alcune caratteristiche del mondo odierno al fine di
approfondire l'insegnamento dell'Enciclica di Paolo VI, sempre sotto il punto
di vista dello «sviluppo dei popoli».
12. Le
speranze di sviluppo, vive venti anni or sono, appaiono ancora ben lontane dalla realizzazione.
Il primo fatto da rilevare è che le speranze di sviluppo,
allora così vive, appaiono oggi molto lontane dalla realizzazione. In
proposito, l'Enciclica non si faceva illusioni. Il suo linguaggio grave, a
volte drammatico, si limitava a sottolineare la pesantezza della situazione ed
a proporre alla coscienza di tutti l'obbligo urgente di contribuire a
risolverla. In quegli anni era diffuso un certo ottimismo circa la possibilità
di colmare, senza sforzi eccessivi, il ritardo economico dei popoli poveri, di
dotarli di infrastrutture ed assisterli nel processo di industrializzazione. In
quel contesto storico, al di là degli sforzi di ogni Paese, l'Organizzazione
delle Nazioni Unite promosse consecutivamente due decenni di sviluppo. Furono prese, infatti, alcune misure, bilaterali
e multilaterali, per venire in aiuto a molte Nazioni, alcune indipendenti da
tempo, altre--per la maggior parte--nate appena come Stati dal processo di
decolonizzazione. Da parte sua, la Chiesa sentì il dovere di approfondire i
problemi posti dalla nuova situazione, pensando di sostenere con la sua
ispirazione religiosa ed umana questi sforzi, per dar loro un'«anima» ed un
impulso efficace.
13.
L'intollerabile miseria di una moltitudine di uomini offre un'impressione
negativa della situazione del mondo.
Non si può dire che queste diverse iniziative religiose,
umane, economiche e tecniche siano state vane, dato che hanno potuto
raggiungere alcuni risultati. Ma in linea generale, tenendo conto dei diversi
fattori, non si può negare che la presente situazione del mondo, sotto questo
profilo dello sviluppo, offra un'impressione piuttosto negativa. Per questo
desidero richiamare l'attenzione su alcuni indici generici, senza escluderne
altri specifici. Tralasciando l'analisi di cifre o statistiche, è sufficiente
guardare la realtà di una moltitudine innumerevole di uomini e donne, bambini,
adulti e anziani, vale a dire di concrete ed irripetibili persone umane, che
soffrono sotto il peso intollerabile della miseria. Sono molti milioni coloro
che son privi di speranza per il fatto che, in molte parti della terra, la loro
situazione si è sensibilmente aggravata. Di fronte a questi drammi di totale
indigenza e bisogno, in cui vivono tanti nostri fratelli e sorelle, è lo stesso
Signore Gesù che viene a interpellarci (Mt25,31).
14. Prima
costatazione negativa: persistenza ed allargamento del fossato tra il Nord ed
il Sud del mondo.
a) Diversità di accelerazione, differenti culture e
sistemi di valore tra i Paesi sviluppati ed il resto del mondo.
La prima costatazione negativa da fare e la persistenza,
e spesso l'allargamento del fossato tra l'area del cosiddetto Nord sviluppato e
quella del Sud in via di sviluppo. Questa terminologia geografica è soltanto
indicativa, perché non si può ignorare che le frontiere della ricchezza e della
povertà attraversano al loro interno le stesse società sia sviluppate che in
via di sviluppo. Difatti, come esistono diseguaglianze sociali fino a livelli
di miseria nei Paesi ricchi, così, parallelamente, nei Paesi meno sviluppati si
vedono non di rado manifestazioni di egoismo e ostentazioni di ricchezza, tanto
sconcertanti quanto scandalose. All'abbondanza di beni e di servizi disponibili
in alcune parti del mondo, soprattutto nel Nord sviluppato, corrisponde nel Sud
un inammissibile ritardo, ed è proprio in questa fascia geo-politica che vive
la maggior parte del genere umano. A guardare la gamma dei vari
settori--produzione e distribuzione dei viveri, igiene, salute e abitazione,
disponibilità di acqua potabile, condizioni di lavoro, specie femminile, durata
della vita ed altri indici economici e sociali--, il quadro generale risulta
deludente, a considerarlo sia in se stesso sia in relazione ai dati
corrispondenti dei Paesi più sviluppati. La parola «fossato» ritorna spontanea sulle
labbra. Forse non è questo il vocabolo appropriato per indicare la vera realtà,
in quanto può dare l'impressione di un fenomeno stazionario. Non è così. Nel
cammino dei Paesi sviluppati e in via di sviluppo si è verificata in questi
anni una diversa velocità di accelerazione, che porta ad allargare le distanze.
Così, i Paesi in via di sviluppo, specie i più poveri, vengono a trovarsi in
una situazione di gravissimo ritardo. Occorre aggiungere ancora le differenze
di cultura e dei sistemi di valori tra i vari gruppi di popolazione, che non
sempre coincidono col grado di sviluppo economico, ma che contribuiscono a
creare distanze. Sono questi gli elementi e gli aspetti che rendono molto più
complessa la questione sociale, appunto perché ha assunto dimensione
universale.
b) Parlare di Primo, Secondo, Terzo ed anche Quarto Mondo
è una fraseologia che contrasta moralmente con il concetto dell'unità del
genere umano.
Osservando le varie parti del mondo separate dalla
crescente distanza di un tale fossato, notando come ognuna di esse sembra
seguire una propria rotta con proprie realizzazioni, si comprende perché nel
linguaggio corrente si parli di mondi diversi all'interno del nostro unico
mondo: Primo Mondo, Secondo Mondo, Terzo Mondo, e talvolta Quarto Mondo. Simili espressioni, che non pretendono certo
di classificare in modo esauriente tutti i Paesi, appaiono significative: esse
sono il segno della diffusa sensazione che l'unità del mondo, in altri termini
l'unità del genere umano sia seriamente compromessa. Tale fraseologia, al di là
del suo valore più o meno obiettivo, nasconde senza dubbio un contenuto morale,
di fronte al quale la Chiesa, che è «sacramento o segno e strumento [...]
dell'unità di tutto il genere umano»,
non può rimanere indifferente.
15. Esistono
altri indici negativi del sottosviluppo, oltre a quelli economici e sociali.
a) Mancanza d'istruzione, sfruttamento economico,
discriminazioni razziali e di altri tipi.
Il quadro precedentemente tracciato sarebbe, però,
incompleto, se agli «indici economici e sociali» del sottosviluppo non si
aggiungessero altri indici egualmente negativi, anzi ancor più preoccupanti, a
cominciare dal piano culturale. Essi sono: l'analfabetismo, la difficoltà o
impossibilità di accedere ai livelli superiori di istruzione, l'incapacità di
partecipare alla costruzione della propria Nazione, le diverse forme di
sfruttamento e di oppressione economica, sociale, politica ed anche religiosa
della persona umana e dei suoi diritti, le discriminazioni di ogni tipo, specialmente
quella più odiosa fondata sulla differenza razziale. Se qualcuna di queste
piaghe si lamenta in aree del Nord più sviluppato senza dubbio esse sono più
frequenti, più durature e difficili da estirpare nei Paesi in via di sviluppo e
meno avanzati.
b) Privazione del diritto di iniziativa economica e
totalitarismo politico.
Occorre rilevare che nel mondo d'oggi, tra gli altri
diritti, viene spesso soffocato il diritto di iniziativa economica. Eppure si
tratta di un diritto importante non solo per il singolo individuo, ma anche per
il bene comune. L'esperienza ci dimostra che la negazione di un tale diritto, o
la sua limitazione in nome di una pretesa «eguaglianza» di tutti nella società
riduce, o addirittura distrugge di fatto lo spirito d'iniziativa, cioè la
soggettività creativa del cittadino. Di conseguenza sorge, in questo modo, non
tanto una vera eguaglianza, quanto un «livellamento in basso». Al posto
dell'iniziativa creativa nasce la passività, la dipendenza e la sottomissione
all'apparato burocratico che, come unico organo «disponente» e
«decisionale»--se non addirittura «possessore»--della totalità dei beni e mezzi
di produzione, mette tutti in una posizione di dipendenza quasi assoluta, che è
simile alla tradizionale dipendenza dell'operaio-proletario dal capitalismo.
Ciò provoca un senso di frustrazione o disperazione e predispone al disimpegno
dalla vita nazionale, spingendo molti all'emigrazione e favorendo, altresì, una
forma di emigrazione «psicologica». Una tale situazione ha le sue conseguenze
anche dal punto di vista dei «diritti delle singole Nazioni». Infatti, accade
spesso che una Nazione viene privata della sua soggettività, cioè della
«sovranità» che le compete nel significato economico ed anche politico-sociale
e in certo qual modo culturale, perché in una comunità nazionale tutte queste
dimensioni della vita sono collegate tra di loro. Bisogna ribadire, inoltre,
che nessun gruppo sociale, per esempio un partito, ha diritto di usurpare il
ruolo di guida unica perché ciò comporta la distruzione della vera soggettività
della società e delle persone-cittadini, come avviene in ogni totalitarismo. In
questa situazione l'uomo e il popolo diventano «oggetto», nonostante tutte le
dichiarazioni in contrario e le assicurazioni verbali.
c) Debbono essere rimosse altre forme di povertà, oltre a
quella economica.
A questo punto conviene aggiungere che nel mondo d'oggi
ci sono molte altre forme di povertà. In effetti, certe carenze o privazioni
non meritano forse questa qualifica? La negazione o la limitazione dei diritti
umani--quali, ad esempio, il diritto alla libertà religiosa, il diritto di
partecipare alla costruzione della società, la libertà di associarsi, o di
costituire sindacati, o di prendere iniziative in materia economica-- non impoveriscono
forse la persona umana altrettanto, se non maggiormente della privazione dei
beni materiali? E uno sviluppo, che non tenga conto della piena affermazione di
questi diritti, è davvero sviluppo a dimensione umana? In breve, il
sottosviluppo dei nostri giorni non è soltanto economico, ma anche culturale,
politico e semplicemente umano, come già rilevava venti anni fa l'Enciclica
Populorum Progressio. Sicché, a questo punto, occorre domandarsi se la realtà
così triste di oggi non sia, almeno in parte, il risultato di una concezione
troppo limitata, ossia prevalentemente economica, dello sviluppo.
16. Parziali
successi di alcune iniziative, ma sostanziale aggravamento del sottosviluppo,
dipeso da meccanismi perversi. É da rilevare che,
nonostante i lodevoli sforzi fatti negli ultimi due decenni da parte delle
Nazioni più sviluppate o in via di sviluppo e delle Organizzazioni
internazionali, allo scopo di trovare una via d'uscita alla situazione, o
almeno di rimediare a qualcuno dei suoi sintomi, le condizioni si sono
notevolmente aggravate. Le responsabilità di un simile peggioramento risalgono
a cause diverse. Sono da segnalare le indubbie, gravi omissioni da parte delle
stesse Nazioni in via di sviluppo e, specialmente, da parte di quanti ne detengono
il potere economico e politico. Né tanto meno si può fingere di non vedere le
responsabilità delle Nazioni sviluppate, che non sempre, almeno non nella
debita misura, hanno sentito il dovere di portare aiuto ai Paesi separati dal
mondo del benessere, al quale esse appartengono. Tuttavia, è necessario
denunciare l'esistenza di meccanismi economici, finanziari e sociali, i quali,
benché manovrati dalla volontà degli uomini, funzionano spesso in maniera quasi
automatica, rendendo più rigide le situazioni di ricchezza degli uni e di
povertà degli altri. Tali meccanismi, azionati--in modo diretto o indiretto
--dai Paesi più sviluppati, favoriscono per il loro stesso funzionamento gli
interessi di chi li manovra, ma finiscono per soffocare o condizionare le economie
dei Paesi meno sviluppati. Sarà necessario sottoporre più avanti questi
meccanismi a un'attenta analisi sotto l'aspetto etico-morale. Già la Populorum
Progressio prevedeva che con tali sistemi potesse aumentare la ricchezza dei
ricchi, rimanendo confermata la miseria dei poveri. Una riprova di questa previsione si è avuta
con l'apparizione del cosiddetto Quarto Mondo.
17. Questi meccanismi perversi provocano effetti negativi
anche nei Paesi ricchi, come la crisi degli alloggi. Quantunque la società mondiale
offra aspetti di frammentazione, espressa con i nomi convenzionali di Primo,
Secondo, Terzo ed anche Quarto Mondo, rimane sempre molto stretta la loro
interdipendenza che, quando sia disgiunta dalle esigenze etiche, porta a
conseguenze funeste per i più deboli. Anzi, questa interdipendenza, per una
specie di dinamica interna e sotto la spinta di meccanismi che non si possono
non qualificare come perversi, provoca effetti negativi perfino nei Paesi
ricchi. Proprio all'interno di questi Paesi si riscontrano, seppure in misura
minore, le manifestazioni specifiche del sottosviluppo. Sicché dovrebbe esser
pacifico che lo sviluppo o diventa comune a tutte le parti del mondo, o subisce
un processo di retrocessione anche nelle zone segnate da un costante progresso.
Fenomeno, questo, particolarmente indicativo della natura dell'autentico
sviluppo: o vi partecipano tutte le Nazioni del mondo, o non sarà veramente
tale. Tra gli indici specifici del sottosviluppo, che colpiscono in maniera
crescente anche i Paesi sviluppati, ve ne sono due particolarmente rivelatori
di una situazione drammatica. In primo luogo, la crisi degli alloggi. In questo
Anno internazionale dei senzatetto, voluto dall'Organizzazione delle Nazioni
Unite, l'attenzione si rivolge ai milioni di esseri umani privi di
un'abitazione adeguata o addirittura senza abitazione alcuna, al fine di
risvegliare la coscienza di tutti e trovare una soluzione a questo grave
problema che ha conseguenze negative sul piano individuale, familiare e
sociale. La carenza di abitazioni si
verifica su un piano universale ed è dovuta, in gran parte, al fenomeno sempre
crescente dell'urbanizzazione. Perfino
gli stessi popoli più sviluppati presentano il triste spettacolo di individui e
famiglie che si sforzano letteralmente di sopravvivere, senza un tetto o con
uno così precario che è come se non ci fosse. La mancanza di abitazioni, che è
un problema di per se stesso assai grave, è da considerare segno e sintesi di
tutta una serie di insufficienze economiche, sociali, culturali o semplicemente
umane e, tenuto conto dell'estensione del fenomeno, non dovrebbe essere
difficile convincersi di quanto siamo lontani dall'autentico sviluppo dei
popoli.
18. Altri
indici negativi comuni: la disoccupazione e la sottoccupazione.
a) Altro indice, comune alla stragrande maggioranza delle
Nazioni, è il fenomeno della disoccupazione e della sottoccupazione. Non c'è
chi non si renda conto dell'attualità e della crescente gravità di un simile
fenomeno nei Paesi industrializzati. Se esso appare allarmante nei Paesi in via
di sviluppo, con il loro alto tasso di crescita demografica e la massa della
popolazione giovanile, nei Paesi di grande sviluppo economico sembra che si
contraggano le fonti di lavoro, e così le possibilità di occupazione, invece di
crescere, diminuiscono.
b) Richiamo all'Enciclica «Laborem exercens» sulla
rivalutazione del lavoro umano come
segno dell'autenticità dello sviluppo.
Anche questo fenomeno, con la sua serie di effetti
negativi a livello individuale e sociale, dalla degradazione alla perdita del
rispetto che ogni uomo o donna deve a se stesso, ci spinge a interrogarci
seriamente sul tipo di sviluppo, che si è perseguito nel corso di questi venti
anni. A tale proposito torna quanto mai opportuna la considerazione
dell'Enciclica Laborem exercens: «Bisogna sottolineare che l'elemento
costitutivo e, al tempo stesso, la più adeguata verifica di questo progresso
nello spirito di giustizia e di pace, che la Chiesa proclama e per il quale non
cessa di pregare [...], è proprio la continua rivalutazione del lavoro umano,
sia sotto l'aspetto della sua finalità oggettiva, sia sotto l'aspetto della
dignità del soggetto di ogni lavoro, che è l'uomo». Al contrario, «non si può
non rimanere colpiti da un fatto sconcertante di proporzioni immense», e cioè
che «esistono schiere di disoccupati o di sotto-occupati [...]: un fatto che,
senza dubbio, sta ad attestare che sia all'interno delle singole comunità
politiche, sia nei rapporti tra esse su piano continentale e mondiale--per quanto
concerne l'organizzazione del lavoro e dell'occupazione--c'è qualcosa che non
funziona, e proprio nei punti critici e di maggiore rilevanza sociale». Come il precedente, anche quest'altro
fenomeno, per il suo carattere universale e in certo senso moltiplicatore,
rappresenta un segno sommamente indicativo, per la sua incidenza negativa,
dello stato e della qualità dello sviluppo dei popoli, di fronte al quale ci
troviamo oggi.
19. Un altro
grave fenomeno è lo smisurato e intollerabile debito pubblico dei Paesi
sottosviluppati.
a) Un altro fenomeno, anch'esso tipico del più recente
periodo --pur se non si riscontra dappertutto--, è senza dubbio egualmente
indicativo dell'interdipendenza esistente tra Paesi sviluppati e meno. É la
questione del debito internazionale, a cui la Pontificia Commissione Iustitia
et Pax ha dedicato un suo Documento. Non
si può qui passare sotto silenzio lo stretto collegamento tra simile problema,
la cui crescente gravità era stata già prevista dalla Populorum
Progressio, e la questione dello
sviluppo dei popoli. La ragione che spinse i popoli in via di sviluppo ad
accogliere l'offerta di abbondanti capitali disponibili fu la speranza di
poterli investire in attività di sviluppo. Di conseguenza, la disponibilità dei
capitali e il fatto di accettarli a titolo di prestito possono considerarsi un
contributo allo sviluppo stesso, cosa desiderabile e in sé legittima, anche se
forse imprudente e, in qualche occasione, affrettata. Cambiate le circostanze,
tanto nei Paesi indebitati quanto nel mercato internazionale finanziatore, lo
strumento prescelto per dare un contributo allo sviluppo si è trasformato in un
congegno controproducente. E ciò sia perché i Paesi debitori, per soddisfare
gli impegni del debito, si vedono obbligati a esportare i capitali che
sarebbero necessari per accrescere o, addirittura, per mantenere il loro
livello di vita, sia perché, per la stessa ragione, non possono ottenere nuovi
finanziamenti del pari indispensabili. Per questo meccanismo il mezzo destinato
allo sviluppo dei popoli si è risolto in un freno, anzi, in certi casi,
addirittura in un'accentuazione del sottosviluppo.
b) Occorre riflettere sul carattere etico
dell'interdipendenza dei popoli e la cooperazione allo sviluppo.
Queste costatazioni debbono spingere a riflettere -- come
dice il recente Documento della Pontificia Commissione Iustitia et Pax -- sul carattere etico dell'interdipendenza
dei popoli; e, per stare nella linea della presente considerazione, sulle
esigenze e condizioni, ispirate egualmente a principi etici, della cooperazione
allo sviluppo.
20. Le cause
politiche del ritardo nel processo di sviluppo dei popoli.
a) L'esistenza di due blocchi politici contrapposti (Est
e Ovest).
Se, a questo punto, esaminiamo le cause di tale grave
ritardo nel processo dello sviluppo, verificatosi in senso opposto alle
indicazioni dell'Enciclica Populorum Progressio, che aveva sollevato tante
speranze, la nostra attenzione si ferma in particolare sulle cause politiche
della situazione odierna. Trovandoci di fronte ad un insieme di fattori
indubbiamente complessi, non è possibile giungere qui a un'analisi completa. Ma
non si può passare sotto silenzio un fatto saliente del quadro politico, che
caratterizza il periodo storico seguito al secondo conflitto mondiale ed è un
fattore non trascurabile nell'andamento dello sviluppo dei popoli. Ci riferiamo
all'esistenza di due blocchi contrapposti, designati comunemente con i nomi
convenzionali di Est e Ovest' oppure di Oriente e Occidente. La ragione di questa
connotazione non è puramente politica, ma anche, come si dice, geo politica.
Ciascuno dei due blocchi tende ad assimilare o ad aggregare intorno a sé, con
diversi gradi di adesione o partecipazione, altri Paesi o gruppi di Paesi.
b) La contrapposizione ideologica dei due blocchi si è
trasformata in contrapposizione militare.
La contrapposizione è innanzitutto politica, in quanto
ogni blocco trova la propria identità in un sistema di organizzazione della
società e di gestione del potere, che tende ad essere alternativo all'altro; a
sua volta, la contrapposizione politica trae origine da una contrapposizione
più profonda, che è di ordine ideologico. In Occidente esiste, infatti, un
sistema che storicamente si ispira ai principi del capitalismo liberista, quale
si sviluppò nel secolo scorso con l'industrializzazione; in Oriente c'è un
sistema ispirato al collettivismo marxista, che nacque dall'interpretazione
della condizione delle classi proletarie, alla luce di una peculiare lettura
della storia. Ciascuna delle due ideologie, facendo riferimento a due visioni
così diverse dell'uomo, della sua libertà e del suo ruolo sociale, ha proposto
e promuove, sul piano economico, forme antitetiche di organizzazione del lavoro
e di strutture della proprietà, specialmente per quanto riguarda i cosiddetti
mezzi di produzione.
c) La tensione tra i due blocchi è giunta alla minaccia
di una «guerra aperta e totale».
Era inevitabile che la contrapposizione ideologica,
sviluppando sistemi e centri antagonisti di potere, con proprie forme di
propaganda e di indottrinamento, evolvesse in una crescente contrapposizione
militare, dando origine a due blocchi di potenze armate, ciascuno diffidente e
timoroso del prevalere dell'altro. A loro volta, le relazioni internazionali
non potevano non risentire gli effetti di questa «logica dei blocchi» e delle
rispettive «sfere di influenza». Nata dalla conclusione della seconda guerra
mondiale, la tensione tra i due blocchi ha dominato tutto il quarantennio
successivo, assumendo ora il carattere di «guerra fredda», ora di «guerre per
procura» mediante la strumentalizzazione di conflitti locali, ora tenendo
sospesi e angosciati gli animi con la minaccia di una guerra aperta e totale.
Se al presente un tale pericolo sembra divenuto più remoto, pur senza essere
del tutto scomparso, e se si è pervenuti ad un primo accordo sulla distruzione
di un tipo di armamenti nucleari, l'esistenza e la contrapposizione dei blocchi
non cessano di essere tuttora un fatto reale e preoccupante, che continua a condizionare
il quadro mondiale.
21. La Chiesa
è critica sia nei confronti del capitalismo liberista che del collettivismo
marxista.
a) La tensione tra Oriente e Occidente ha contribuito ad
allargare il fossato economico tra Nord e Sud.
Ciò si verifica con effetto particolarmente negativo
nelle relazioni internazionali, che riguardano i Paesi in via di sviluppo.
Infatti, com'è noto, la tensione tra Oriente ed Occidente non riguarda di per
sé un'opposizione tra due diversi gradi di sviluppo, ma piuttosto tra due
concezioni dello sviluppo stesso degli uomini e dei popoli, entrambe imperfette
e tali da esigere una radicale correzione. Detta opposizione viene trasferita
in seno a quei Paesi, contribuendo così ad allargare il fossato, che già esiste
sul piano economico tra Nord e Sud ed e conseguenza della distanza tra i due
mondi più sviluppati e quelli meno sviluppati. É, questa, una delle ragioni per
cui la dottrina sociale della Chiesa assume un atteggiamento critico nei
confronti sia del capitalismo liberista sia del collettivismo marxista.
Infatti, dal punto di vista dello sviluppo viene spontanea la domanda: in qual
modo o in che misura questi due sistemi sono suscettibili di trasformazioni e
di aggiornamenti, tali da favorire o promuovere un vero ed integrale sviluppo
dell'uomo e dei popoli nella società contemporanea? Di fatto, queste
trasformazioni e aggiornamenti sono urgenti e indispensabili per la causa di
uno sviluppo comune a tutti.
b) I Paesi ricchi debbono aiutare disinteressatamente i
Paesi di recente indipendenza, spesso coinvolti nella contrapposizione dei due blocchi.
I Paesi di recente indipendenza, che, sforzandosi di
conseguire una propria identità culturale e politica, avrebbero bisogno del
contributo efficace e disinteressato dei Paesi più ricchi e sviluppati, si
trovano coinvolti--e talora anche travolti --nei conflitti ideologici, che
generano inevitabili divisioni al loro interno, fino a provocare in certi casi
vere guerre civili. Ciò anche perché gli investimenti e gli aiuti allo sviluppo
sono spesso distolti dal proprio fine e strumentalizzati per alimentare i
contrasti, al di fuori e contro gli interessi dei Paesi che dovrebbero
beneficiarne. Molti di questi diventano sempre più consapevoli del pericolo di
cadere vittime di un neo-colonialismo e tentano di sottrarvisi. É tale
consapevolezza che ha dato origine, pur tra difficoltà, oscillazioni e talvolta
contraddizioni, al Movimento internazionale dei Paesi non allineati, il quale,
in ciò che ne forma la parte positiva, vorrebbe effettivamente affermare il
diritto di ogni popolo alla propria identità, alla propria indipendenza e
sicurezza, nonché alla partecipazione, sulla base dell'eguaglianza e della
solidarietà, al godimento dei beni che sono destinati a tutti gli uomini.
22. Le nuove
forme di colonialismo ritardano lo sviluppo dei Paesi più poveri.
a) Fatte queste considerazioni, riesce agevole avere una
visione più chiara del quadro degli ultimi venti anni e comprender meglio i
contrasti esistenti nella parte Nord del mondo, cioè tra Oriente e Occidente,
quale causa non ultima del ritardo o del ristagno del Sud. I Paesi in via di
sviluppo, più che trasformarsi in Nazioni autonome, preoccupate del proprio
cammino verso la giusta partecipazione ai beni ed ai servizi destinati a tutti,
diventano pezzi di un meccanismo, parti di un ingranaggio gigantesco. Ciò si
verifica spesso anche nel campo dei mezzi di comunicazione sociale, i quali,
essendo per lo più gestiti da centri nella parte Nord del mondo, non tengono
sempre nella dovuta considerazione le priorità ed i problemi propri di questi
Paesi né rispettano la loro fisionomia culturale, ma non di rado impongono una
visione distorta della vita e dell'uomo e cosi non rispondono alle esigenze del
vero sviluppo.
b) Contro l'imperialismo dei due blocchi c'è un risveglio
nella coscienza dei popoli.
Ognuno dei due blocchi nasconde dentro di sé, a suo modo,
la tendenza all'imperialismo, come si dice comunemente, o a forme di
neo-colonialismo: tentazione facile, nella quale non di rado si cade, come
insegna la storia anche recente. É questa situazione anormale--conseguenza di
una guerra e di una preoccupazione ingigantita, oltre il lecito, da motivi
della propria sicurezza--che mortifica lo slancio di cooperazione solidale di
tutti per il bene comune del genere umano, a danno soprattutto di popoli
pacifici, bloccati nel loro diritto di accesso ai beni destinati a tutti gli
uomini. Vista così, la presente divisione del mondo è di diretto ostacolo alla
vera trasformazione delle condizioni di sottosviluppo nei Paesi in via di
sviluppo o in quelli meno avanzati. I popoli, però, non sempre si rassegnano
alla loro sorte. Inoltre, gli stessi bisogni di un'economia soffocata dalle
spese militari, come dal burocratismo e dall'intrinseca inefficienza, sembrano
adesso favorire dei processi che potrebbero rendere meno rigida la
contrapposizione e più facile l'avvio di un proficuo dialogo e di una vera
collaborazione per la pace.
23. Una
funzione di guida tra le nazioni si può giustificare solo con la volontà di
contribuire al bene comune di tutti i popoli.
L'affermazione dell'Enciclica Populorum Progressio,
secondo cui le risorse e gli investimenti destinati alla produzione delle armi
debbono essere impiegati per alleviare la miseria delle popolazioni
indigenti, rende più urgente l'appello a
superare la contrapposizione tra i due blocchi. Oggi, in pratica tali risorse
servono a mettere ciascuno dei due blocchi in condizione di potersi
avvantaggiare sull'altro, e garantire così la propria sicurezza. Questa
distorsione, che è un vizio d'origine, rende difficile a quelle Nazioni, che
sotto l'aspetto storico, economico e politico hanno la possibilità di svolgere
un ruolo di guida, l'adempiere adeguatamente il loro dovere di solidarietà in
favore dei popoli che aspirano al pieno sviluppo. É qui opportuno affermare, e
non sembri un'esagerazione, che una funzione di guida tra le Nazioni si può
giustificare solo con la possibilità e la volontà di contribuire, in maniera
ampia e generosa, al bene comune. Una Nazione che cedesse, più o meno
consapevolmente, alla tentazione di chiudersi in se stessa, venendo meno alle
responsabilità conseguenti ad una superiorità nel concerto delle Nazioni,
mancherebbe gravemente ad un suo preciso dovere etico. E questo e facilmente
ravvisabile nella contingenza storica, nella quale i credenti intravedono le
disposizioni della divina Provvidenza, pronta a servirsi delle Nazioni per la
realizzazione dei suoi progetti, così come a rendere «vani i disegni dei
popoli» (Sal32,10). Quando l'Occidente dà l'impressione di abbandonarsi a forme
di crescente ed egoistico isolamento, e l'Oriente a sua volta, sembra ignorare
per discutibili motivi il dovere di cooperazione nell'impegno di alleviare la
miseria dei popoli, non ci si trova soltanto di fronte ad un tradimento delle
legittime attese dell'umanità, foriero di imprevedibili conseguenze ma ad una
vera e propria defezione rispetto ad un obbligo morale.
24. Tre piaghe
del mondo d'oggi: il commercio indiscriminato delle armi, i milioni di profughi
e il terrorismo.
a) Condanna morale del commercio delle armi e degli
smisurati arsenali atomici.
Se la produzione delle armi è un grave disordine che
regna nel mondo odierno rispetto alle vere necessità degli uomini e all'impiego
dei mezzi adatti a soddisfarle, non lo è meno il commercio delle stesse armi.
Anzi, a proposito di questo, è necessario aggiungere che il giudizio morale è
ancora più severo. Come si sa, si tratta di un commercio senza frontiere capace
di oltrepassare perfino le barriere dei blocchi. Esso sa superare la divisione
tra Oriente e Occidente e, soprattutto, quella tra Nord e Sud sino a
inserirsi--e questo è più grave--tra le diverse componenti della zona
meridionale del mondo. Ci troviamo così di fronte a uno strano fenomeno: mentre
gli aiuti economici e i piani di sviluppo si imbattono nell'ostacolo di
barriere ideologiche insuperabili, di barriere tariffarie e di mercato, le armi
di qualsiasi provenienza circolano con quasi assoluta libertà nelle varie parti
del mondo. E nessuno ignora--come rileva il recente Documento della Pontificia
Commissione Iustitia et Pax sul debito internazionale -- che in certi casi i capitali, dati in
prestito dal mondo dello sviluppo, son serviti ad acquistare armamenti nel
mondo non sviluppato. Se a tutto questo si aggiunge il pericolo tremendo,
universalmente conosciuto, rappresentato dalle armi atomiche accumulate fino
all'incredibile, la conclusione logica appare questa: il panorama del mondo
odierno, compreso quello economico, anziché rivelare preoccupazione per un vero
sviluppo che conduca tutti verso una vita «più umana» -- come auspicava
l'Enciclica Populorum Progressio --,
sembra destinato ad avviarci più rapidamente verso la morte. Le conseguenze di
tale stato di cose si manifestano nell'acuirsi di una piaga tipica e
rivelatrice degli squilibri e dei conflitti del mondo contemporaneo: i milioni
di rifugiati, a cui guerre, calamità naturali, persecuzioni e discriminazioni
di ogni tipo hanno sottratto la casa, il lavoro, la famiglia e la patria. La
tragedia di queste moltitudini si riflette nel volto disfatto di uomini, donne
e bambini, che, in un mondo diviso e divenuto inospitale, non riescono a
trovare più un focolare.
b) Condanna di ogni tipo di terrorismo, che colpisce in
modo sempre più indiscriminato.
Né si possono chiudere gli occhi su un'altra dolorosa
piaga del mondo odierno: il fenomeno del terrorismo, inteso come proposito di
uccidere e distruggere indistintamente uomini e beni e di creare appunto un
clima di terrore e di insicurezza, spesso anche con la cattura di ostaggi.
Anche quando si adduce come motivazione di questa pratica inumana una qualsiasi
ideologia o la creazione di una società migliore, gli atti di terrorismo non
sono mai giustificabili. Ma tanto meno lo sono quando, come accade oggi, tali
decisioni e gesti, che diventano a volte vere stragi, certi rapimenti di
persone innocenti ed estranee ai conflitti si prefiggono un fine
propagandistico a vantaggio della propria causa; ovvero, peggio ancora, sono
fine a se stessi, sicché si uccide soltanto per uccidere. Di fronte a tanto
orrore e a tanta sofferenza mantengono sempre il loro valore le parole che ho
pronunciato alcuni anni fa e che vorrei ripetere ancora: «Il Cristianesimo
proibisce [...] il ricorso alle vie dell'odio, all'assassinio di persone
indifese, ai metodi del terrorismo».
25. Concetto
errato e perverso di sviluppo umano nelle campagne sistematiche contro la
natalità.
a) A questo punto occorre fare un riferimento al problema
demografico ed al modo di parlarne oggi, seguendo quanto Paolo VI ha indicato
nell'Enciclica ed io stesso ho esposto
diffusamente nell'Esortazione Apostolica Familiaris Consorzio. Non si può negare l'esistenza, specie nella
zona Sud del nostro pianeta, di un problema demografico tale da creare
difficoltà allo sviluppo. É bene aggiungere subito che nella zona Nord questo
problema si pone con connotazioni inverse: qui, a preoccupare, è la caduta del
tasso di natalità, con ripercussioni sull'invecchiamento della popolazione,
incapace perfino di rinnovarsi biologicamente. Fenomeno, questo, in grado di
ostacolare di per sé lo sviluppo. Come non è esatto affermare che tali
difficoltà provengono soltanto dalla crescita demografica, così non è neppure
dimostrato che ogni crescita demografica sia incompatibile con uno sviluppo
ordinato.
b) Queste campagne ledono la libertà di decisione delle
singole persone e spesso non sono giustificate.
D'altra parte, appare molto allarmante costatare in molti
Paesi il lancio di campagne sistematiche contro la natalità per iniziativa dei
loro governi, in contrasto non solo con l'identità culturale e religiosa degli
stessi Paesi, ma anche con la natura del vero sviluppo. Avviene spesso che tali
campagne sono dovute a pressioni e sono finanziate da capitali provenienti
dall'estero e, in qualche caso, ad esse sono addirittura subordinati gli aiuti
e l'assistenza economico-finanziaria. In ogni caso, si tratta di assoluta
mancanza di rispetto per la libertà di decisione delle persone interessate,
uomini e donne, sottoposte non di rado a intolleranti pressioni, comprese
quelle economiche, per piegarle a questa forma nuova di oppressione. Sono le
popolazioni più povere a subirne i maltrattamenti: e ciò finisce con
l'ingenerare, a volte, la tendenza a un certo razzismo, o col favorire
l'applicazione di certe forme, egualmente razzistiche, di eugenismo. Anche
questo fatto, che reclama la condanna più energica, è indizio di un concetto
errato e perverso del vero sviluppo umano.
26. Alcuni
aspetti positivi nel quadro prevalentemente negativo della situazione del
mondo.
a) Nuove associazioni private operanti per una maggiore
consapevolezza della dignità della persona.
Simile panorama prevalentemente negativo, della reale
situazione dello sviluppo del mondo contemporaneo, non sarebbe completo se non
si segnalasse la coesistenza di aspetti positivi.
La prima nota positiva è la piena consapevolezza, in
moltissimi uomini e donne, della dignità propria e di ciascun essere umano.
Tale consapevolezza si esprime, per esempio, con la preoccupazione dappertutto
più viva per il rispetto dei diritti umani e col più deciso rigetto delle loro
violazioni. Ne è segno rivelatore il numero delle associazioni private, alcune
di portata mondiale, di recente istituzione, e quasi tutte impegnate a seguire
con grande cura e lodevole obiettività gli avvenimenti internazionali in un
campo così delicato. Su questo piano bisogna riconoscere l'influsso esercitato
dalla Dichiarazione dei Diritti Umani, promulgata circa quaranta anni fa
dall'Organizzazione delle Nazioni Unite. La sua stessa esistenza e la sua
progressiva accettazione da parte della comunità internazionale sono già segno
di una consapevolezza che si va affermando. Lo stesso bisogna dire, sempre nel
campo dei diritti umani, per gli altri strumenti giuridici della medesima
Organizzazione delle Nazioni Unite o di altri Organismi internazionali. La consapevolezza, di cui parliamo, non va
riferita soltanto agli individui, ma anche alle Nazioni e ai popoli, che, quali
entità aventi una determinata identità culturale, sono particolarmente
sensibili alla conservazione, alla libera gestione e alla promozione del loro
prezioso patrimonio.
b) Convincimento della necessità della solidarietà a
livello mondiale perché si è tutti legati ad un «destino comune».
Contemporaneamente, nel mondo diviso e sconvolto da ogni
tipo di conflitti, si fa strada la convinzione di una radicale interdipendenza
e, per conseguenza, la necessità di una solidarietà che la assuma e traduca sul
piano morale. Oggi forse più che in passato, gli uomini si rendono conto di
essere legati da un comune destino, da costruire insieme, se si vuole evitare
la catastrofe per tutti. Dal profondo dell'angoscia, della paura e dei fenomeni
di evasione come la droga, tipici del mondo contemporaneo, emerge via via
l'idea che il bene, al quale siamo tutti chiamati, e la felicità, a cui
aspiriamo, non si possono conseguire senza lo sforzo e l'impegno di tutti,
nessuno escluso, e con la conseguente rinuncia al proprio egoismo.
c) Tentativi di operare per una pace vera che esige vera
giustizia ed equa distribuzione dei frutti del vero sviluppo.
Qui s'inserisce anche, come segno del rispetto per la
vita--nonostante tutte le tentazioni di distruggerla, dall'aborto
all'eutanasia--, la preoccupazione concomitante per la pace; e, di nuovo, la
coscienza che questa è indivisibile: o è di tutti, o non è di nessuno. Una pace
che esige sempre più il rispetto rigoroso della giustizia e, conseguentemente,
l'equa distribuzione dei frutti del vero sviluppo.
d) Sviluppo di una coscienza ecologica e serio impegno di
organismi internazionali e regionali a rendere autosufficienti alcuni Paesi del
Terzo Mondo.
Tra i segnali positivi del presente occorre registrare
ancora la maggiore consapevolezza dei limiti delle risorse disponibili, la
necessità di rispettare l'integrità e i ritmi della natura e di tenerne conto
nella programmazione dello sviluppo, invece di sacrificarlo a certe concezioni
demagogiche dello stesso. É quella che oggi va sotto il nome di preoccupazione
ecologica. É giusto riconoscere pure l'impegno di uomini di governo, politici,
economisti, sindacalisti, personalità della scienza e funzionari internazionali
--molti dei quali ispirati dalla fede religiosa-- a risolvere generosamente,
con non pochi sacrifici personali, i mali del mondo e ad adoperarsi con ogni
mezzo, perché un sempre maggior numero di uomini e donne possa godere del
beneficio della pace e di una qualità di vita degna di questo nome. A ciò
contribuiscono in non piccola misura le grandi Organizzazioni internazionali ed
alcune Organizzazioni regionali, i cui sforzi congiunti consentono interventi
di maggiore efficacia. É stato anche per questi contributi che alcuni Paesi del
Terzo Mondo, nonostante il peso di numerosi condizionamenti negativi, sono
riusciti a raggiungere una certa autosufficienza alimentare, o un grado di
industrializzazione che consente di sopravvivere degnamente e di garantire
fonti di lavoro alla popolazione attiva. Pertanto, non tutto è negativo nel mondo
contemporaneo, e non potrebbe essere altrimenti, perché la Provvidenza del
Padre celeste vigila con amore perfino sulle nostre preoccupazioni quotidiane
(Mt6,25); (Mt10,23); (Lc12,6); (Lc22,1); anzi i valori positivi, che abbiamo
rilevato, attestano una nuova preoccupazione morale soprattutto in ordine ai
grandi problemi umani, quali sono lo sviluppo e la pace. Questa realtà mi
spinge a portare la riflessione sulla vera natura dello sviluppo dei popoli, in
linea con l'Enciclica di cui celebriamo l'anniversario, e come omaggio al suo
insegnamento.
27. Contro un
falso ottimismo meccanicistico, bisogna riconoscere che lo sviluppo non è un
processo rettilineo, qua si automatico e illimitato.
Lo sguardo che l'Enciclica ci invita a rivolgere al mondo
contemporaneo ci fa costatare, anzitutto, che lo sviluppo non è un processo
rettilineo, quasi automatico e di per sé illimitato, come se, a certe
condizioni, il genere umano debba camminare spedito verso una specie di
perfezione indefinita. Simile
concezione, legata ad una nozione di «progresso» dalle connotazioni filosofiche
di tipo illuministico, piuttosto che a quella di «sviluppo», adoperata in senso specificamente
economico-sociale, sembra posta ora seriamente in dubbio, specie dopo la
tragica esperienza delle due guerre mondiali, della distruzione pianificata e
in parte attuata di intere popolazioni e dell'incombente pericolo atomico. Ad
un ingenuo ottimismo meccanicistico è subentrata una fondata inquietudine per
il destino dell'umanità.
28. La piaga
del consumismo e dominata dal desiderio dell"«avere» piuttosto che da
quello di «essere».
a) Crisi della concezione «economicista» dello sviluppo
privo di intendimento morale.
Al tempo stesso, però, è entrata in crisi la stessa
concezione «economica» o «economicista», legata al vocabolo sviluppo.
Effettivamente oggi si comprende meglio che la pura accumulazione di beni e dl
servizi, anche a favore della maggioranza, non basta a realizzare la felicità
umana. Né, di conseguenza, la disponibilità dei molteplici benefici reali,
apportati negli ultimi tempi dalla scienza e dalla tecnica, compresa
l'informatica, comporta la liberazione da ogni forma di schiavitù. Al
contrario, l'esperienza degli anni più recenti dimostra che, se tutta la massa
delle risorse e delle potenzialità, messe a disposizione dell'uomo, non è retta
da un intendimento morale e da un orientamento verso il vero bene del genere
umano, si ritorce facilmente contro di lui per opprimerlo. Dovrebbe essere altamente
istruttiva una sconcertante costatazione del più recente periodo: accanto alle
miserie del sottosviluppo, che non possono essere tollerate, ci troviamo di
fronte a una sorta di supersviluppo, egualmente inammissibile, perché, come il
primo, è contrario al bene e alla felicità autentica. Tale supersviluppo,
infatti, consistente nell'eccessiva disponibilità di ogni tipo di beni
materiali in favore di alcune fasce sociali, rende facilmente gli uomini
schiavi del «possesso» e del godimento immediato, senza altro orizzonte che la
moltiplicazione o la continua sostituzione delle cose, che già si posseggono,
con altre ancora più perfette. É la cosiddetta civiltà dei «consumi», o
consumismo, che comporta tanti «scarti» e «rifiuti». Un oggetto posseduto, e già
superato da un altro più perfetto, è messo da parte, senza tener conto del suo
possibile valore permanente per sé o in favore di un altro essere umano più
povero. Tutti noi tocchiamo con mano i tristi effetti di questa cieca
sottomissione al puro consumo: prima di tutto, una forma di materialismo
crasso, e al tempo stesso una radicale insoddisfazione, perché si comprende
subito che --se non si è premuniti contro il dilagare dei messaggi pubblicitari
e l'offerta incessante e tentatrice dei prodotti --quanto più si possiede tanto
più si desidera mentre le aspirazioni più profonde restano insoddisfatte e
forse anche soffocate.
b) Chi possiede molto non riesce ad «essere» perché
troppo attaccato all'«avere», mentre i poveri, essendo mancanti quasi di tutto,
non possono realizzarsi come esseri umani.
L'Enciclica di Papa Paolo VI segnalò la differenza, al
giorno d'oggi così frequentemente accentuata, tra l'«avere» e l'«essere», in precedenza espressa con parole precise dal
Concilio Vaticano II. L'«avere» oggetti
e beni non perfeziona di per sé il soggetto umano, se non contribuisce alla
maturazione e all'arricchimento del suo «essere», cioè alla realizzazione della
vocazione umana in quanto tale. Certo, la differenza tra «essere» e «avere», il
pericolo inerente a una mera moltiplicazione o sostituzione di cose possedute
rispetto al valore dell'«essere» non deve trasformarsi necessariamente in
un'antinomia. Una delle più grandi ingiustizie del mondo contemporaneo consiste
proprio in questo: che sono relativamente pochi quelli che possiedono molto, e
molti quelli che non possiedono quasi nulla. É l'ingiustizia della cattiva
distribuzione dei beni e dei servizi destinati originariamente a tutti . Ecco
allora il quadro: ci sono quelli -- i pochi che possiedono molto -- che non
riescono veramente ad «essere», perché, per un capovolgimento della gerarchia
dei valori, ne sono impediti dal culto dell'«avere»; e ci sono quelli -- i
molti che possiedono poco o nulla --, i quali non riescono a realizzare la loro
vocazione umana fondamentale, essendo privi dei beni indispensabili. Il male
non consiste nell'«avere» in quanto tale, ma nel possedere in modo irrispettoso
della qualità e dell'ordinata gerarchia dei beni che si hanno. Qualità e
gerarchia che scaturiscono dalla subordinazione dei beni e dalla loro
disponibilità all'«essere» dell'uomo ed alla sua vera vocazione. Con ciò resta
dimostrato che, se lo sviluppo ha una necessaria dimensione economica, poiché
deve fornire al maggior numero possibile degli abitanti del mondo la
disponibilità di beni indispensabili per «essere», tuttavia non si esaurisce in
tale dimensione. Se viene limitato a questa, esso si ritorce contro quelli che
si vorrebbero favorire. Le caratteristiche di uno sviluppo pieno, «più umano»,
che--senza negare le esigenze economiche--sia in grado di mantenersi
all'altezza dell'autentica vocazione dell'uomo e della donna, sono state
descritte da Paolo VI.
29. Un vero
sviluppo deve tener conto del «parametro interiore» dell'uomo.
a) Uno sviluppo non soltanto economico si misura e si
orienta secondo questa realtà e vocazione dell'uomo visto nella sua globalità,
ossia secondo un suo parametro interiore. Egli ha senza dubbio bisogno dei beni
creati e dei prodotti dell'industria, arricchita di continuo dal progresso
scientifico e tecnologico. E la disponibilità sempre nuova dei beni materiali,
mentre viene incontro alle necessità, apre nuovi orizzonti. Il pericolo
dell'abuso consumistico e l'apparizione delle necessità artificiali non debbono
affatto impedire la stima e l'utilizzazione dei nuovi beni e risorse posti a
nostra disposizione; in ciò dobbiamo, anzi, vedere un dono di Dio e una
risposta alla vocazione dell'uomo, che si realizza pienamente in Cristo. Ma per
conseguire il vero sviluppo e necessario non perder mai di vista detto
parametro, che è nella natura specifica dell'uomo, creato da Dio a sua immagine
e somiglianza (Gen1,26). Natura corporale e spirituale, simboleggiata nel
secondo racconto della creazione dai due elementi: la terra, con cui Dio plasma
il fisico dell'uomo, e l'alito di vita, soffiato nelle sue narici (Gen2,7).
L'uomo così viene ad avere una certa affinità con le altre creature: è chiamato
a utilizzarle a occuparsi di esse e sempre secondo la narrazione della Genesi (Gen2,15)
è posto nel giardino col compito di coltivarlo e custodirlo, al di sopra di
tutti gli altri esseri collocati da Dio sotto il suo dominio (Gen1,25). Ma
nello stesso tempo l'uomo deve rimanere sottomesso alla volontà di Dio, che gli
prescrive limiti nell'uso e nel dominio delle cose (Gen2,16), così come gli
promette l'immortalità (Gen2,9); (Sap2,23). L'uomo, pertanto, essendo immagine
di Dio, ha una vera affinità anche con lui.
b) Il vero sviluppo non consiste nell'uso e nel possesso
indiscriminato delle cose.
Sulla base di questo insegnamento, lo sviluppo non può
consistere soltanto nell'uso, nel dominio e nel possesso indiscriminato delle
cose create e dei prodotti dell'industria umana, ma piuttosto nel subordinare
il possesso, il dominio e l'uso alla somiglianza divina dell'uomo e alla sua
vocazione all'immortalità. Ecco la realtà trascendente dell'essere umano, la
quale appare partecipata fin dall'origine ad una coppia di uomo e donna
(Gen1,27) ed è quindi fondamentalmente sociale.
30. Tutti gli
uomini hanno il dovere di collaborare allo sviluppo.
a) Il comandamento divino di «dominare» il creato va
assolto nell'obbedienza alla legge divina.
Secondo la Sacra Scrittura, dunque, la nozione di
sviluppo non è soltanto «laica» o «profana», ma appare anche, pur con una sua
accentuazione socio-economica, come l'espressione moderna di un'essenziale
dimensione della vocazione dell'uomo. L'uomo, infatti, non è stato creato, per
così dire, immobile e statico. La prima raffigurazione, che di lui offre la Bibbia,
lo presenta senz'altro come creatura e immagine, definita nella sua profonda
realtà dall'origine e dall'affinità, che lo costituiscono. Ma tutto questo
immette nell'essere umano, uomo e donna, il germe e l'esigenza di un compito
originario da svolgere, sia ciascuno individualmente sia come coppia. Il
compito è di «dominare» sulle altre creature, «coltivare il giardino», ed è da
assolvere nel quadro dell'ubbidienza alla legge divina e, quindi, nel rispetto
dell'immagine ricevuta, fondamento chiaro del potere di dominio,
riconosciutogli in ordine al suo perfezionamento (Gen1,26); (Gen2,12);
(Sap9,2). Quando l'uomo disobbedisce a Dio e rifiuta di sottomettersi alla sua
potestà, allora la natura gli si ribella e non lo riconosce più come «signore»,
perché egli ha appannato in sé l'immagine divina. L'appello al possesso e
all'uso dei mezzi creati rimane sempre valido, ma dopo il peccato l'esercizio
ne diviene arduo e carico di sofferenze (Gen3,17). Infatti, il successivo
capitolo della Genesi ci mostra la discendenza di Caino, la quale costruisce
«una città», si dedica alla pastorizia, si dà alle arti (la musica) e alla
tecnica (la metallurgia), mentre al tempo stesso si comincia «ad invocare il
nome del Signore» (Gen4,17). La storia del genere umano, delineata dalla Sacra
Scrittura, anche dopo la caduta nel peccato è una storia di realizzazioni
continue, che, sempre rimesse in questione e in pericolo dal peccato, si
ripetono, si arricchiscono e si diffondono come risposta alla vocazione divina,
assegnata sin dal principio all'uomo e alla donna (Gen1,26) e impressa
nell'immagine, da loro ricevuta.
b) Non impegnarsi ad operare per l'elevazione
dell'umanità significa andare contro il comandamento divino.
É logico concludere, almeno da parte di quanti credono nella
Parola di Dio, che lo «sviluppo» di oggi deve essere visto come un momento
della storia iniziata con la creazione e di continuo messa in pericolo a motivo
dell'infedeltà alla volontà del Creatore, soprattutto per la tentazione
dell'idolatria; ma esso corrisponde fondamentalmente alle premesse iniziali.
Chi volesse rinunciare al compito, difficile ma esaltante, di elevare la sorte
di tutto l'uomo e di tutti gli uomini, sotto il pretesto del peso della lotta e
dello sforzo incessante di superamento, o addirittura per l'esperienza della
sconfitta e del ritorno al punto di partenza, verrebbe meno alla volontà di Dio
creatore. Sotto questo aspetto nell'Enciclica Laborem exercens ho fatto
riferimento alla vocazione dell'uomo al lavoro, per sottolineare il concetto
che e sempre lui il protagonista dello sviluppo. Anzi, lo stesso Signore Gesù, nella parabola
dei talenti, mette in rilievo il severo trattamento riservato a chi osò
nascondere il dono ricevuto: «Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto
dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso [...]. Toglietegli, dunque,
il talento e datelo a chi ha dieci talenti» (Mt25,26). A noi, che riceviamo i
doni di Dio per farli fruttificare, tocca «seminare» e «raccogliere». Se non lo
faremo, ci sarà tolto anche quello che abbiamo. L'approfondimento di queste
severe parole potrà spingerci a impegnarci con più decisione nel dovere, oggi
per tutti urgente di collaborare allo sviluppo pieno degli altri: «Sviluppo di
tutto l'uomo e di tutti gli uomini».
31. Le ragioni
che spingono la Chiesa a preoccuparsi della problematica dello sviluppo.
a) La fede in Cristo ci illumina sulla natura dello
sviluppo e ci guida nello sforzo di elevare la condizione umana.
La fede in Cristo Redentore, mentre illumina dal di
dentro la natura dello sviluppo, guida anche nel compito della collaborazione.
Nella Lettera di san Paolo ai Colossesi leggiamo che Cristo è «il primogenito
di tutta la creazione» e che «tutte le cose sono state create per mezzo di lui
ed in vista di lui» (Col1,15). Infatti, ogni cosa «ha consistenza in lui»,
perché «piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui
riconciliare a sé tutte le cose» (Col1,20). In questo piano divino, che
comincia dall'eternità in Cristo, «immagine» perfetta del Padre, e che culmina
in lui, «primogenito di coloro che risuscitano dai morti» (Col1,15),
s'inserisce la nostra storia, segnata dal nostro sforzo personale e collettivo
di elevare la condizione umana, superare gli ostacoli sempre risorgenti lungo
il nostro cammino, disponendoci così a partecipare alla pienezza che «risiede
nel Signore» e che egli comunica «al suo corpo, che è la Chiesa» (Col1,18);
(Ef1,22), mentre il peccato, che sempre ci insidia e compromette le nostre
realizzazioni umane è vinto e riscattato dalla «riconciliazione» operata da
Cristo (Col1, 20).
b) Dio vuole la continuità del progresso umano per
rendere l'umanità partecipe della sua gloria.
Qui le prospettive si allargano. Il sogno di un
«progresso indefinito» si ritrova trasformato radicalmente dall'ottica nuova
aperta dalla fede cristiana, assicurandoci che tale progresso è possibile solo
perché Dio Padre ha deciso fin dal principio di rendere l'uomo partecipe della
sua gloria in Gesù Cristo risorto, «nel quale abbiamo la redenzione mediante il
suo sangue, la remissione dei peccati» (Ef1,7), e in lui ha voluto vincere il
peccato e farlo servire per il nostro bene più grande, che supera infinitamente quanto il progresso
potrebbe realizzare. Possiamo dire allora--mentre ci dibattiamo in mezzo alle
oscurità e alle carenze del sottosviluppo e del supersviluppo--che un giorno
«questo corpo corruttibile si vestirà di incorruttibilità e questo corpo
mortale di immortalità» (1Cor15,54), quando il Signore «consegnerà il Regno a
Dio Padre» (1Cor15,24) e tutte le opere e azioni, degne dell'uomo, saranno
riscattate.
c) Per la Chiesa l'impegno per lo sviluppo è un dovere
del suo ministero pastorale.
La concezione della fede inoltre, mette bene in chiaro le
ragioni che spingono la Chiesa a preoccuparsi della problematica dello
sviluppo, a considerarlo un dovere del suo ministero pastorale, a stimolare la
riflessione di tutti circa la natura e le caratteristiche dell'autentico
sviluppo umano. Col suo impegno essa desidera, da una parte, mettersi al servizio
del piano divino inteso a ordinare tutte le cose alla pienezza che abita in
Cristo (Col1,19), e che egli comunicò al suo corpo, e dall'altra, rispondere
alla sua vocazione fondamentale di «sacramento», ossia «segno e strumento
dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano».
d) Sino dai primi secoli la Chiesa ha avuto la vocazione
di aiutare veramente i poveri non solo col superfluo, ma privandosi del
necessario.
Alcuni Padri della Chiesa si sono ispirati a tale visione
per elaborare a loro volta in forme originali, una concezione circa il
significato della storia e il lavoro umano, come indirizzato a un fine che lo
supera e definito sempre dalla relazione con l'opera di Cristo. In altre
parole, è possibile ritrovare nell'insegnamento patristico una visione
ottimistica della storia e del lavoro, ossia del valore perenne delle
autentiche realizzazioni umane, in quanto riscattate dal Cristo e destinate al
Regno promesso. Così fa parte
dell'insegnamento e della pratica più antica della Chiesa la convinzione di
esser tenuta per vocazione--essa stessa, i suoi ministri e ciascuno dei suoi
membri--ad alleviare la miseria dei sofferenti, vicini e lontani, non solo col
«superfluo», ma anche col «necessario». Di fronte ai casi di bisogno, non si
possono preferire gli ornamenti superflui delle chiese e la suppellettile
preziosa del culto divino; al contrario, potrebbe essere obbligatorio alienare
questi beni per dar pane, bevanda, vestito e casa a chi ne è privo. Come si è già notato, ci viene qui indicata
una «gerarchia di valori»-- nel quadro del diritto di proprietà--tra l'«avere»
e l'«essere», specie quando l'«avere» di alcuni può risolversi a danno
dell'«essere» di tanti altri. Nella sua Enciclica Papa Paolo VI sta nella linea
di tale insegnamento, ispirandosi alla Costituzione pastorale Gaudium et spes.
Per parte mia, desidero insistere ancora sulla sua gravità e urgenza,
implorando dal Signore forza a tutti i cristiani per poter passare fedelmente
all'applicazione pratica.
32. L'obbligo
di impegnarsi per lo sviluppo dei popoli non è solo un dovere individuale, ma
di tutti verso tutti.
L'obbligo di impegnarsi per lo sviluppo dei popoli non è
un dovere soltanto individuale, né tanto meno individualistico, come se fosse
possibile conseguirlo con gli sforzi isolati di ciascuno. Esso è un imperativo
per tutti e per ciascuno degli uomini e delle donne, per le società e le
Nazioni, in particolare per la Chiesa cattolica e per le altre Chiese e
Comunità ecclesiali, con le quali siamo pienamente disposti a collaborare in
questo campo. In tal senso, come noi cattolici invitiamo i fratelli cristiani a
partecipare alle nostre iniziative, cosi ci dichiariamo pronti a collaborare
alle loro, accogliendo gli inviti che ci sono rivolti. In questa ricerca dello
sviluppo integrale dell'uomo possiamo fare molto anche con i credenti delle
altre religioni, come del resto si sta facendo in diversi luoghi. La
collaborazione allo sviluppo di tutto l'uomo e di ogni uomo, infatti, è un
dovere di tutti verso tutti e deve, al tempo stesso, essere comune alle quattro
parti del mondo: Est e Ovest, Nord e Sud; o, per adoperare il termine oggi in
uso, ai diversi «mondi». Se, al contrario, si cerca di realizzarlo in una sola
parte, o in un solo mondo, esso è fatto a spese degli altri; e là dove
comincia, proprio perché gli altri sono ignorati, si ipertrofizza e si
perverte. I popoli o le Nazioni hanno anch'essi diritto al proprio pieno
sviluppo, che, se implica--come si è detto--gli aspetti economici e sociali,
deve comprendere pure la rispettiva identità culturale e l'apertura verso il
trascendente. Nemmeno la necessità dello sviluppo può essere assunta come
pretesto per imporre agli altri il proprio modo di vivere o la propria fede
religiosa.
33. Il vero
sviluppo si fonda sul rispetto dei diritti umani.
a) Per essere degno dell'uomo lo sviluppo deve promuovere
tutti i diritti degli uomini, delle Nazioni e dei popoli.
Né sarebbe veramente degno dell'uomo un tipo di sviluppo
che non rispettasse e non promuovesse i diritti umani, personali e sociali,
economici e politici, inclusi i diritti delle Nazioni e dei popoli. Oggi, forse
più che in passato, si riconosce con maggior chiarezza l'intrinseca
contraddizione di uno sviluppo limitato soltanto al lato economico. Esso
subordina facilmente la persona umana e le sue necessità più profonde alle
esigenze della pianificazione economica o del profitto esclusivo. L'intrinseca
connessione tra sviluppo autentico e rispetto dei diritti dell'uomo ne rivela
ancora una volta il carattere morale: la vera elevazione dell'uomo, conforme
alla vocazione naturale e storica di ciascuno non si raggiunge sfruttando
solamente l'abbondanza dei beni e dei servizi, o disponendo di perfette
infrastrutture. Quando gli individui e le comunità non vedono rispettate
rigorosamente le esigenze morali, culturali e spirituali, fondate sulla dignità
della persona e sull'identità propria di ciascuna comunità, a cominciare dalla
famiglia e dalle società religiose, tutto il resto--disponibilità di beni,
abbondanza di risorse tecniche applicate alla vita quotidiana, un certo livello
di benessere materiale-- risulterà insoddisfacente e, alla lunga,
disprezzabile. Ciò afferma chiaramente il Signore nel Vangelo, richiamando
l'attenzione di tutti sulla vera gerarchia dei valori: «Qual vantaggio avrà
l'uomo, se guadagnerà il mondo intero e poi perderà la propria anima?»
(Mt16,26).
b) Gli operatori dei processi di sviluppo debbono avere
una vera coscienza del «valore» dei diritti umani.
Un vero sviluppo, secondo le esigenze proprie dell'essere
umano, uomo o donna, bambino, adulto o anziano, implica soprattutto da parte di
quanti intervengono attivamente in questo processo e ne sono responsabili una
viva coscienza del valore dei diritti di tutti e di ciascuno nonché della
necessità di rispettare il diritto di ognuno all'utilizzazione piena dei
benefici offerti dalla scienza e dalla tecnica.
c) Diritti umani sono da rispettare all'interno delle
Nazioni e sul piano internazionale.
Sul piano interno di ogni Nazione, assume grande
importanza il rispetto di tutti i diritti: specialmente il diritto alla vita in
ogni stadio dell'esistenza; i diritti della famiglia, in quanto comunità
sociale di base, o «cellula della società»; la giustizia nei rapporti di lavoro;
i diritti inerenti alla vita della comunità politica in quanto tale; i diritti
basati sulla vocazione trascendente dell'essere umano, a cominciare dal diritto
alla libertà di professare e di praticare il proprio credo religioso. Sul piano
internazionale, ossia dei rapporti tra gli Stati o, secondo il linguaggio
corrente, tra i vari «mondi», è necessario il pieno rispetto dell'identità di
ciascun popolo con le sue caratteristiche storiche e culturali. É
indispensabile, altresì, come già auspicava l'Enciclica Populorum Progressio,
riconoscere a ogni popolo l'eguale diritto «ad assidersi alla mensa del
banchetto comune»», invece di giacere
come Lazzaro fuori della porta, mentre «i cani vengono a leccare le sue piaghe»
(Lc16,21). Sia i popoli che le persone singole debbono godere dell'eguaglianza
fondamentale, su cui si basa, per
esempio, la Carta dell'Organizzazione delle Nazioni Unite: eguaglianza che è il
fondamento del diritto di tutti alla partecipazione al processo di pieno
sviluppo.
d) Lo sviluppo deve realizzarsi sulla base dei principi
di eguaglianza, di solidarietà, di libertà e nel rispetto della verità.
Per essere tale, lo sviluppo deve realizzarsi nel quadro
della solidarietà e della libertà, senza sacrificare mai l'una e l'altra per
nessun pretesto. Il carattere morale dello sviluppo e la sua necessaria
promozione sono esaltati quando c'è il più rigoroso rispetto di tutte le
esigenze derivanti dall'ordine della verità e del bene, propri della creatura
umana. Il cristiano, inoltre, educato a vedere nell'uomo l'immagine di Dio,
chiamato alla partecipazione della verità e del bene, che è Dio stesso, non
comprende l'impegno per lo sviluppo e la sua attuazione fuori dell'osservanza e
del rispetto della dignità unica di questa «immagine». In altre parole, il vero
sviluppo deve fondarsi sull'amore di Dio e del prossimo, e contribuire a
favorire i rapporti tra individui e società. Ecco la «civiltà dell'amore», di
cui parlava spesso il Papa Paolo VI.
34. Esigenza
morale dello sviluppo che deve rispettare la natura e l'ordine del creato.
a) Non si può abusare impunemente della natura.
Il carattere morale dello sviluppo non può prescindere
neppure dal rispetto per gli esseri che formano la natura visibile e che i
Greci, alludendo appunto all'ordine che la contraddistingue, chiamavano il
«cosmo». Anche tali realtà esigono rispetto, in virtù di una triplice
considerazione, su cui giova attentamente riflettere. La prima consiste nella
convenienza di prendere crescente consapevolezza che non si può fare impunemente
uso delle diverse categorie di esseri viventi o inanimati -- animali, piante,
elementi naturali --come si vuole, a seconda delle proprie esigenze economiche.
Al contrario, occorre tener conto della natura di ciascun essere e della sua
mutua connessione in un sistema ordinato, ch'è appunto il cosmo.
b) Le risorse della natura non sono illimitate.
La seconda considerazione, invece, si fonda sulla
costatazione, si direbbe più pressante, della limitazione delle risorse
naturali, alcune delle quali non sono, come si dice, rinnovabili. Usarle come
se fossero inesauribili, con assoluto dominio, mette seriamente in pericolo la
loro disponibilità non solo per la generazione presente, ma soprattutto per
quelle future.
c) Un certo tipo di sviluppo del mondo industrializzato
contamina l'ambiente.
La terza considerazione si riferisce direttamente alle
conseguenze che un certo tipo di sviluppo ha sulla qualità della vita nelle
zone industrializzate. Sappiamo tutti che risultato diretto o indiretto
dell'industrializzazione e, sempre più di frequente, la contaminazione
dell'ambiente, con gravi conseguenze per la salute della popolazione.
d) Dio non ha dato all'uomo il potere assoluto di usare
ed abusare della natura.
Ancora una volta risulta evidente che lo sviluppo, la
volontà di pianificazione che lo governa, l'uso delle risorse e la maniera di
utilizzarle non possono essere distaccati dal rispetto delle esigenze morali.
Una di queste impone senza dubbio limiti all'uso della natura visibile. Il
dominio accordato dal Creatore all'uomo non è un potere assoluto, né si può
parlare di libertà di «usare e abusare», o di disporre delle cose come meglio
aggrada. La limitazione imposta dallo stesso Creatore fin dal principio, ed
espressa simbolicamente con la proibizione di «mangiare il frutto dell'albero»
(Gen2,16), mostra con sufficiente chiarezza che, nei confronti della natura
visibile, siamo sottomessi a leggi non solo biologiche, ma anche morali, che
non si possono impunemente trasgredire. Una giusta concezione dello sviluppo
non può prescindere da queste considerazioni--relative all'uso degli elementi
della natura, alla rinnovabilità delle risorse e alle conseguenze di una
industrializzazione disordinata --, le quali ripropongono alla nostra coscienza
la dimensione morale, che deve distinguere lo sviluppo.
35. Uno dei
motivi del mancato sviluppo è l'assenza di una efficace volontà politica.
a) Alla luce dello stesso essenziale carattere morale
proprio dello sviluppo, sono da considerare anche gli ostacoli che ad esso si
oppongono. Se durante gli anni trascorsi dalla pubblicazione dell'Enciclica
paolina lo sviluppo non c'è stato--o c'è stato in misura scarsa, irregolare, se
non addirittura contraddittoria--, le ragioni non possono essere di natura
soltanto economica. Come si e già accennato, vi intervengono anche moventi
politici. Le decisioni propulsive o frenanti lo sviluppo dei popoli, infatti,
non sono che fattori di carattere politico. Per superare i meccanismi perversi,
sopra ricordati, e sostituirli con nuovi, più giusti e conformi al bene comune
dell'umanità, è necessaria un'efficace volontà politica. Purtroppo, dopo aver
analizzato la situazione, occorre concludere che essa è stata insufficiente.
b) Necessità di individuare le cause di ordine morale che
hanno frenato l'impegno dei governanti per un vero sviluppo.
In un documento pastorale, come il presente, un'analisi
limitata esclusivamente alle cause economiche e politiche del sottosviluppo (e,
fatti i debiti riferimenti, anche del cosiddetto supersviluppo) sarebbe
incompleta. É necessario, perciò, individuare le cause di ordine morale che,
sul piano del comportamento degli uomini considerati persone responsabili,
interferiscono per frenare il corso dello sviluppo e ne impediscono il pieno
raggiungimento. Parimenti, quando siano disponibili risorse scientifiche e
tecniche, che con le necessarie e concrete decisioni di ordine politico debbono
contribuire finalmente a incamminare i popoli verso un vero sviluppo, il
superamento dei maggiori ostacoli avverrà soltanto in forza di determinazioni
essenzialmente morali, le quali, per i credenti, specie se cristiani,
s'ispireranno ai principi della fede con l'aiuto della grazia divina.
36. La
situazione negativa odierna esige un'analisi di ordine morale delle carenze
riscontrate.
a) Essa deriva dal fatto che il mondo è sottomesso a
«strutture di peccato».
É da rilevare, pertanto, che un mondo diviso in blocchi,
sostenuti da ideologie rigide, dove, invece dell'interdipendenza e della
solidarietà, dominano differenti forme di imperialismo, non può che essere un
mondo sottomesso a «strutture di peccato». La somma dei fattori negativi, che
agiscono in senso contrario a una vera coscienza del bene comune universale e
all'esigenza di favorirlo, dà l'impressione di creare, in persone e
istituzioni, un ostacolo difficile da superare.
Se la situazione di oggi è da attribuire a difficoltà di diversa indole,
non è fuori luogo parlare di «strutture di peccato», le quali--come ho
affermato nell'Esortazione Apostolica Reconciliatio et paenitentia--si radicano
nel peccato personale e, quindi, son sempre collegate ad atti concreti delle
persone, che le introducono, le consolidano e le rendono difficili da
rimuovere. E così esse si rafforzano, si
diffondono e diventano sorgente di altri peccati, condizionando la condotta
degli uomini.
b) Il peccato è una chiave per comprendere la difficile
realtà dei nostri giorni e dei mali sociali che ci affliggono.
«Peccato» e «strutture di peccato» sono categorie che non
sono spesso applicate alla situazione del mondo contemporaneo. Non si arriva,
però, facilmente alla comprensione profonda della realtà quale si presenta ai
nostri occhi, senza dare un nome alla radice dei mali che ci affliggono. Si può
parlare certo di «egoismo» e di «corta veduta»; si può fare riferimento a
«calcoli politici sbagliati», a «decisioni economiche imprudenti». E in
ciascuna di tali valutazioni si nota un'eco di natura etico-morale. La
condizione dell'uomo è tale da rendere difficile un'analisi più profonda delle
azioni e delle omissioni delle persone senza implicare, in una maniera o
nell'altra, giudizi o riferimenti di ordine etico. Questa valutazione è di per
sé positiva, specie se diventa coerente fino in fondo e se si basa sulla fede
in Dio e sulla sua legge, che ordina il bene e proibisce il male.
c) Esigenza del comandamento di Dio di amare il prossimo.
In ciò consiste la differenza tra il tipo di analisi
socio-politica e il riferimento formale al «peccato» e alle «strutture di
peccato». Secondo quest'ultima visione si inseriscono la volontà di Dio tre
volte Santo, il suo progetto sugli uomini, la sua giustizia e la sua
misericordia. Il Dio ricco in misericordia, redentore dell'uomo, Signore e
datore della vita, esige dagli uomini atteggiamenti precisi che si esprimano
anche in azioni o omissioni nei riguardi del prossimo. Si ha qui un riferimento
alla «seconda tavola» dei dieci Comandamenti (Es20,12); (Dt5,16): con
l'inosservanza di questi si offende Dio e si danneggia il prossimo,
introducendo nel mondo condizionamenti e ostacoli, che vanno molto più in là
delle azioni e del breve arco della vita di un individuo. S'interferisce anche
nel processo dello sviluppo dei popoli, il cui ritardo o la cui lentezza deve
essere giudicata anche sotto tale luce.
37. La brama
esclusiva del profitto e la sete del potere sono oggi ad ogni livello gli
aspetti negativi più caratteristici.
A questa analisi generale di ordine religioso si possono
aggiungere alcune considerazioni particolari, per notare che tra le azioni e
gli atteggiamenti opposti alla volontà di Dio e al bene del prossimo e le
«strutture» che essi inducono, i più caratteristici sembrano oggi soprattutto
due: da una parte, la brama esclusiva del profitto e dall'altra, la sete del
potere col proposito di imporre agli altri la propria volontà. A ciascuno di
questi atteggiamenti si può aggiungere, per caratterizzarli meglio,
l'espressione: «a qualsiasi prezzo». In altre parole, siamo di fronte
all'assolutizzazione di atteggiamenti umani con tutte le possibili conseguenze.
Anche se di per sé sono separabili, sicché l'uno potrebbe stare senza l'altro,
entrambi gli atteggiamenti si ritrovano--nel panorama aperto davanti ai nostri
occhi--indissolubilmente uniti, sia che predomini l'uno o l'altro. Ovviamente,
a cader vittime di questo duplice atteggiamento di peccato non sono solo gli
individui. possono essere anche le Nazioni e i blocchi. E ciò favorisce di più
l'introduzione delle «strutture di peccato», di cui ho parlato. Se certe forme
di «imperialismo» moderno si considerassero alla luce di questi criteri morali,
si scoprirebbe che sotto certe decisioni, apparentemente ispirate solo
dall'economia o dalla politica si nascondono vere forme di idolatria: del
denaro, dell'ideologia, della classe, della tecnologia. Ho voluto introdurre
questo tipo di analisi soprattutto per indicare quale sia la vera natura del
male a cui ci si trova di fronte nella questione dello «sviluppo dei popoli»:
si tratta di un male morale, frutto di molti peccati, che portano a «strutture
di peccato». Diagnosticare così il male significa identificare esattamente, a
livello della condotta umana, il cammino da seguire per superarlo.
38. Per
superare gli ostacoli allo sviluppo bisogna essere consapevoli
dell'interdipendenza esistente sia tra gli uomini che tra le Nazioni.
a) Operare con coraggio e perseveranza per superare i
mali sociali.
É un cammino lungo e complesso e, per di più, tenuto
sotto costante minaccia sia per l'intrinseca fragilità dei propositi e delle
realizzazioni umane, sia per la mutabilità delle circostanze esterne tanto
imprevedibili. Bisogna, tuttavia, avere il coraggio d'intraprenderlo e, dove
sono stati fatti alcuni passi o percorsa una parte del tragitto, andare fino in
fondo. Nel quadro di tali riflessioni, la decisione di mettersi sulla strada o
di continuare la marcia comporta, innanzitutto, un valore morale che gli uomini
e le donne credenti riconoscono come richiesto dalla volontà di Dio, unico vero
fondamento di un'etica assolutamente vincolante.
b) I maggiori ostacoli allo sviluppo dipendono dalla
mancanza di valori assoluti, per cui è urgente per tutti un cambiamento
spirituale.
É da auspicare che anche gli uomini e donne privi di una
fede esplicita siano convinti che gli ostacoli frapposti al pieno sviluppo non
sono soltanto di ordine economico, ma dipendono da atteggiamenti più profondi
configurabili, per l'essere umano, in valori assoluti. Perciò, è sperabile che
quanti, in una misura o l'altra, sono responsabili di una «vita più umana»
verso i propri simili, ispirati o no da una fede religiosa, si rendano
pienamente conto dell'urgente necessità di un cambiamento degli atteggiamenti
spirituali, che definiscono I rapporti di ogni uomo con se stesso, col
prossimo, con le comunità umane, anche le più lontane, e con la natura. in
virtù di valori superiori, come il bene comune, o, per riprendere la felice
espressione dell'Enciclica Populorum Progressio, il pieno sviluppo «di tutto
l'uomo e di tutti gli uomini».
c) Questo cambiamento spirituale è la conversione del
cuore.
Per i cristiani, come per tutti coloro che riconoscono il
preciso significato teologico della parola «peccato», il cambiamento di
condotta o di mentalità o del modo di essere si chiama, con linguaggio biblico,
«conversione» (Mc1,15); (Lc13,3); (Is30,15). Questa conversione indica
specificamente relazione a Dio, alla colpa commessa, alle sue conseguenze e,
pertanto, al prossimo, individuo o comunità. É Dio, nelle «cui mani sono i
cuori dei potenti», e quelli di tutti,
che può, secondo la sua stessa promessa, trasformare ad opera del suo Spirito i
«cuori di pietra» in «cuori di carne» (Ez36,26). Nel cammino della desiderata
conversione verso il superamento degli ostacoli morali per lo sviluppo, si può
già segnalare, come valore positivo e morale, la crescente consapevolezza
dell'interdipendenza tra gli uomini e le Nazioni. Il fatto che uomini e donne,
in varie parti del mondo, sentano come proprie le ingiustizie e le violazioni
dei diritti umani commesse in Paesi lontani, che forse non visiteranno mai, è
un segno ulteriore di una realtà trasformata in coscienza, acquistando così
connotazione morale.
d) La coscienza dell'interdipendenza tra uomini e Nazioni
deve tradursi in «solidarietà».
Si tratta, innanzitutto, dell'interdipendenza, sentita
come sistema determinante di relazioni nel mondo contemporaneo, nelle sue componenti
economica, culturale, politica e religiosa, e assunta come categoria morale.
Quando l'interdipendenza viene così riconosciuta, la correlativa risposta, come
atteggiamento morale e sociale, come «virtù»», è la solidarietà. Questa,
dunque, non è un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento
per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la
determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per
il bene di tutti e di ciascuno perché tutti siamo veramente responsabili di
tutti. Tale determinazione è fondata sulla salda convinzione che le cause che
frenano il pieno sviluppo siano quella brama del profitto e quella sete del
potere, di cui si è parlato. Questi atteggiamenti e «strutture di peccato» si
vincono solo--presupposto l'aiuto della grazia divina--con un atteggiamento
diametralmente opposto: l'impegno per il bene del prossimo con la
disponibilità, in senso evangelico, a «perdersi» a favore dell'altro invece di
sfruttarlo e a «servirlo» invece di opprimerlo per il proprio tornaconto
(Mt10,40); (Mt20,25); (Mc10,42); (Lc22, 25).
39. I valori
della solidarietà tra persone, popoli o Nazioni.
a) La solidarietà è reale quando tutti gli uomini si
riconoscono come persone e operano a vantaggio gli uni per gli altri.
L'esercizio della solidarietà all'interno di ogni società
è valido, quando i suoi componenti si riconoscono tra di loro come persone.
Coloro che contano di più, disponendo di una porzione più grande di beni e di
servizi comuni, si sentano responsabili dei più deboli e siano disposti a
condividere quanto possiedono. I più deboli, da parte loro, nella stessa linea
di solidarietà, non adottino un atteggiamento puramente passivo o distruttivo
del tessuto sociale, ma, pur rivendicando i loro legittimi diritti, facciano
quanto loro spetta per il bene di tutti. I gruppi intermedi, a loro volta, non
insistano egoisticamente nel loro particolare interesse, ma rispettino gli
interessi degli altri. Segni positivi nel mondo contemporaneo sono la crescente
coscienza di solidarietà dei poveri tra di loro, i loro interventi di appoggio
reciproco, le manifestazioni pubbliche nella scena sociale, senza far ricorso
alla violenza, ma prospettando i propri bisogni e i propri diritti di fronte
all'inefficienza o alla corruzione dei pubblici poteri. In virtù del suo
impegno evangelico, la Chiesa si sente chiamata a restare accanto alle folle
povere, a discernere la giustizia delle loro richieste, a contribuire a
soddisfarle, senza perdere di vista il bene dei gruppi nel quadro del bene
comune. Lo stesso criterio si applica, per analogia, nelle relazioni
internazionali. L'interdipendenza deve trasformarsi in solidarietà, fondata sul
principio che i beni della creazione sono destinati a tutti: ciò che
l'industria umana produce con la lavorazione delle materie prime, col
contributo del lavoro, deve servire egualmente al bene di tutti.
b) La solidarietà deve essere applicata superando le
tendenze all'imperialismo e le brame di egemonia.
Superando gli imperialismi di ogni tipo e i propositi di
conservare la propria egemonia, le Nazioni più forti e più dotate debbono
sentirsi moralmente responsabili delle altre, affinché sia instaurato un vero
sistema internazionale, che si regga sul fondamento dell'eguaglianza di tutti i
popoli e sul necessario rispetto delle loro legittime differenze. I Paesi
economicamente più deboli, o rimasti al limite della sopravvivenza, con
l'assistenza degli altri popoli e della comunità internazionale, debbono essere
messi in grado di dare anch'essi un contributo al bene comune con i loro tesori
di umanità e di cultura, che altrimenti andrebbero perduti per sempre. La
solidarietà ci aiuta a vedere l'«altro»--persona, popolo o Nazione--non come
uno strumento qualsiasi, per sfruttarne a basso costo la capacità di lavoro e
la resistenza fisica, abbandonandolo poi quando non serve più ma come un nostro
«simile», un «aiuto» (Gen2,18), da rendere partecipe, al pari di noi, del
banchetto della vita, a cui tutti gli uomini sono egualmente invitati da Dio. Di
qui l'importanza di risvegliare la coscienza religiosa degli uomini e dei
popoli. Sono così esclusi lo sfruttamento, l'oppressione, l'annientamento degli
altri. Questi fatti, nella presente divisione del mondo in blocchi
contrapposti, vanno a confluire nel pericolo di guerra e nell'eccessiva
preoccupazione per la propria sicurezza a spese non di rado dell'autonomia,
della libera decisione della stessa integrità territoriale delle Nazioni più
deboli, che son comprese nelle cosiddette «zone d'influenza» o nelle «cinture
di sicurezza ». Le «strutture di peccato» e i peccati, che in esse sfociano, si
oppongono con altrettanta radicalità alla pace e allo sviluppo, perché lo
sviluppo, secondo la nota espressione dell'Enciclica paolina, è «il nuovo nome
della pace».
c) La solidarietà cosi operante diventa una via alla pace
e allo sviluppo.
In tal modo la solidarietà da noi proposta è via alla
pace e insieme allo sviluppo. Infatti, la pace del mondo è inconcepibile se non
si giunge, da parte dei responsabili, a riconoscere che l'interdipendenza esige
di per sé il superamento della politica dei blocchi, la rinuncia a ogni forma
di imperialismo economico, militare o politico, e la trasformazione della
reciproca diffidenza in collaborazione. Questo è, appunto, l'atto proprio della
solidarietà tra individui e Nazioni. Il motto del pontificato del mio venerato
predecessore Pio XII era Opus iustitiae pax, la pace come frutto della
giustizia. Oggi si potrebbe dire, con la stessa esattezza e la stessa forza di
ispirazione biblica (Is32,17); (Gc3,18). Opus solidaritatis pax, la pace come
frutto della solidarietà. Il traguardo della pace, tanto desiderata da tutti,
sarà certamente raggiunto con l'attuazione della giustizia sociale e
internazionale, ma anche con la pratica delle virtù che favoriscono la
convivenza e ci insegnano a vivere uniti, per costruirne uniti, dando e
ricevendo, una società nuova e un mondo migliore.
40. Solo la
solidarietà umana e cristiana può vincere i «meccanismi perversi» e le
«strutture di peccato»
La solidarietà è indubbiamente una virtù cristiana. Già
nella precedente esposizione era possibile intravedere numerosi punti di
contatto tra essa e la carità, che è il segno distintivo dei discepoli di
Cristo (Gv13,35). Alla luce della fede, la solidarietà tende a superare se
stessa, a rivestire le dimensioni specificamente cristiane della gratuità
totale, del perdono e della riconciliazione. Allora il prossimo non è soltanto
un essere umano con i suoi diritti e la sua fondamentale eguaglianza davanti a
tutti, ma diviene la viva immagine di Dio Padre, riscattata dal sangue di Gesù
Cristo e posta sotto l'azione permanente dello Spirito Santo. Egli, pertanto,
deve essere amato, anche se nemico, con lo stesso amore con cui lo ama il
Signore, e per lui bisogna essere disposti al sacrificio, anche supremo: «Dare
la vita per i propri fratelli» (1Gv3,16). Allora la coscienza della paternità
comune di Dio, della fratellanza di tutti gli uomini in Cristo, «figli nel
Figlio», della presenza e dell'azione vivificante dello Spirito Santo,
conferirà al nostro sguardo sul mondo come un nuovo criterio per interpretarlo.
Al di là dei vincoli umani e naturali, già così forti e stretti, si prospetta
alla luce della fede un nuovo modello di unità del genere umano, al quale deve
ispirarsi, in ultima istanza, la solidarietà. Questo supremo modello di unità,
riflesso della vita intima di Dio, uno in tre Persone, è ciò che noi cristiani
designiamo con la parola «comunione». Tale comunione, specificamente cristiana,
gelosamente custodita, estesa e arricchita, con l'aiuto del Signore, è l'anima
della vocazione della Chiesa ad essere «sacramento», nel senso già indicato. La
solidarietà, perciò, deve contribuire all'attuazione di questo disegno divino
tanto sul piano individuale, quanto su quello della società nazionale e
internazionale. I «meccanismi perversi» e le «strutture di peccato», di cui
abbiamo parlato, potranno essere vinte solo mediante l'esercizio della
solidarietà umana e cristiana, a cui la Chiesa invita e che promuove instancabilmente.
Solo così tante energie positive potranno pienamente sprigionarsi a vantaggio
dello sviluppo e della pace. Molti Santi canonizzati dalla Chiesa offrono
mirabili testimonianze di tale solidarietà e possono servire di esempio nelle
difficili circostanze presenti. Fra tutti desidero ricordare san Pietro Claver,
col suo servizio agli schiavi di Cartagena de Indias, e san Massimiliano Maria
Kolbe, con l'offerta della sua vita in favore di un prigioniero a lui
sconosciuto nel campo di concentramento di Auschwitz-Oswiecim.
CAPITOLO
VI - ALCUNI ORIENTAMENTI PARTICOLARI
a) La Chiesa, per la sua missione evangelizzatrice deve
intervenire perché si realizzi uno sviluppo autentico.
La Chiesa non ha soluzioni
tecniche da offrire al problema del sottosviluppo in quanto tale, come affermò
già Papa Paolo VI nella sua Enciclica.
Essa, infatti, non propone sistemi o programmi economici e politici, né
manifesta preferenze per gli uni o per gli altri, purché la dignità dell'uomo
sia debitamente rispettata e promossa ed a lei stessa sia lasciato lo spazio
necessario per esercitare il suo ministero nel mondo. Ma la Chiesa è «esperta
in umanità», e ciò la spinge a estendere
necessariamente la sua missione religiosa ai diversi campi in cui uomini e donne
dispiegano le loro attività, in cerca della felicità, pur sempre relativa, che
è possibile in questo mondo, in linea con la loro dignità di persone.
Sull'esempio dei miei predecessori, debbo ripetere che non può ridursi a
problema «tecnico» ciò che, come lo sviluppo autentico, tocca la dignità
dell'uomo e dei popoli. Così ridotto, lo sviluppo sarebbe svuotato del suo vero
contenuto e si compirebbe un atto di tradimento verso l'uomo e i popoli, al cui
servizio esso deve essere messo. Ecco perché la Chiesa ha una parola da dire
oggi, come venti anni fa, ed anche in futuro, intorno alla natura, alle
condizioni, esigenze e finalità dell'autentico sviluppo ed agli ostacoli,
altresì, che vi si oppongono. Così facendo, la Chiesa adempie la missione di
evangelizzare, poiché dà il suo primo contributo alla soluzione dell'urgente
problema dello sviluppo, quando proclama la verità su Cristo, su se stessa e
sull'uomo, applicandola a una situazione concreta.
b) La dottrina sociale della Chiesa non è una «terza
via», ma si colloca al di là e al di sopra della contrapposizione tra
capitalismo e collettivismo.
Quale strumento per raggiungere lo scopo, la Chiesa
adopera la sua dottrina sociale. Nell'odierna difficile congiuntura, per
favorire sia la corretta impostazione dei problemi che la loro migliore
soluzione, potrà essere di grande aiuto una conoscenza più esatta e una
diffusione più ampia dell'«insieme dei principi di riflessione, dei criteri di
giudizio e delle direttrici di azione» proposti dal suo insegnamento. Si avvertirà così immediatamente che le
questioni che ci stanno di fronte sono innanzitutto morali. e che né l'analisi
del problema dello sviluppo in quanto tale, ne i mezzi per superare le presenti
difficoltà possono prescindere da tale essenziale dimensione. La dottrina
sociale della Chiesa non è una «terza via» tra capitalismo liberista e
collettivismo marxista, e neppure una possibile alternativa per altre soluzioni
meno radicalmente contrapposte: essa costituisce una categoria a sé. Non è
neppure un'ideologia, ma l'accurata formulazione dei risultati di un'attenta
riflessione sulle complesse realtà dell'esistenza dell'uomo, nella società e
nel contesto internazionale, alla luce della fede e della tradizione
ecclesiale. Suo scopo principale è di interpretare tali realtà, esaminandone la
conformità o difformità con le linee dell'insegnamento del Vangelo sull'uomo e
sulla sua vocazione terrena e insieme trascendente; per orientare, quindi, il
comportamento cristiano. Essa appartiene, perciò, non al campo dell'ideologia,
ma della teologia e specialmente della teologia morale.
c) La dottrina sociale è lo strumento della Chiesa per
guidare la condotta delle persone verso un impegno per la giustizia.
L'insegnamento e la diffusione della dottrina sociale
fanno parte della missione evangelizzatrice della Chiesa. E, trattandosi di una
dottrina indirizzata a guidare la condotta delle persone, ne deriva di
conseguenza l'«impegno per la giustizia» secondo il ruolo, la vocazione, le
condizioni di ciascuno. All'esercizio del ministero dell'evangelizzazione in
campo sociale, che è un aspetto della funzione profetica della Chiesa,
appartiene pure la denuncia dei mali e delle ingiustizie. Ma conviene chiarire
che l'annuncio è sempre più importante della denuncia, e questa non può
prescindere da quello, che le offre la vera solidità e la forza della
motivazione più alta.
42. I temi e
gli orientamenti più recenti della dottrina sociale della Chiesa aperta ad una
prospettiva internazionale.
a) L'opzione o amore preferenziale per i poveri va
applicato alle responsabilità sociali di ognuno.
La dottrina sociale della Chiesa, oggi più di prima, ha
il dovere di aprirsi a una prospettiva internazionale in linea col Concilio
Vaticano II, con le più recenti
Encicliche e, in particolare, con quella
che stiamo ricordando. Non sarà,
pertanto, superfluo riesaminarne e approfondirne sotto questa luce i temi e gli
orientamenti caratteristici, ripresi dal Magistero in questi anni. Desidero qui
segnalarne uno: l'opzione, o amore preferenziale per i poveri. É, questa, una
opzione, o una forma speciale di primato nell'esercizio della carità cristiana,
testimoniata da tutta la Tradizione della Chiesa. Essa si riferisce alla vita
di ciascun cristiano, in quanto imitatore della vita di Cristo, ma si applica
egualmente alle nostre responsabilità sociali e, perciò, al nostro vivere, alle
decisioni da prendere coerentemente circa la proprietà e l'uso dei beni. Oggi
poi, attesa la dimensione mondiale che la questione sociale ha assunto, questo amore preferenziale, con le decisioni
che esso ci ispira, non può non abbracciare le immense moltitudini di affamati,
di mendicanti, di senzatetto, senza assistenza medica e, soprattutto, senza
speranza di un futuro migliore: non si può non prendere atto dell'esistenza di
queste realtà. L'ignorarle significherebbe assimilarci al «ricco epulone», che
fingeva di non conoscere Lazzaro il mendico, giacente fuori della sua
porta (Lc16,19).
b) I governanti e i dirigenti degli organismi
internazionali debbono dare la precedenza al fenomeno del continuo aumento
della povertà.
La nostra vita quotidiana deve essere segnata da queste
realtà, come pure le nostre decisioni in campo politico ed economico. Parimenti
i responsabili delle Nazioni e degli stessi Organismi internazionali, mentre
hanno l'obbligo di tener sempre presente come prioritaria nei loro piani la
vera dimensione umana, non devono dimenticare di dare la precedenza al fenomeno
della crescente povertà. Purtroppo, invece di diminuire, i poveri si moltiplicano
non solo nei Paesi meno sviluppati, ma, ciò che appare non meno scandaloso,
anche in quelli maggiormente sviluppati.
c) Riaffermazione della funzione sociale del diritto alla
proprietà privata in forza del principio della destinazione universale dei beni.
Bisogna ricordare ancora una volta il principio tipico
della dottrina sociale cristiana: i beni di questo mondo sono originariamente
destinati a tutti. Il diritto alla
proprietà privata è valido e necessario, ma non annulla il valore di tale
principio: su di essa, infatti, grava «un'ipoteca sociale», cioè vi si riconosce, come qualità
intrinseca, una funzione sociale, fondata e giustificata precisamente sul
principio della destinazione universale dei beni. Né sarà da trascurare, in
questo impegno per i poveri, quella speciale forma di povertà che è la
privazione dei diritti fondamentali della persona, in particolare del diritto
alla libertà religiosa e del diritto, altresì, all'iniziativa economica.
43. Le riforme
più urgenti da attuare sul piano internazionale: il sistema del commercio e
quello monetario e finanziario.
La preoccupazione stimolante verso i poveri -- i quali,
secondo la significativa formula, sono «i poveri del Signore» -- deve tradursi, a tutti i livelli, in atti
concreti fino a giungere con decisione a una serie di necessarie riforme.
Dipende dalle singole situazioni locali individuare le più urgenti ed i modi
per realizzarle; ma non bisogna dimenticare quelle richieste dalla situazione
di squilibrio internazionale, sopra descritto. Al riguardo, desidero ricordare
in particolare: la riforma del sistema internazionale di commercio, ipotecato
dal protezionismo e dal crescente bilateralismo; la riforma del sistema
monetario e finanziario mondiale, oggi riconosciuto insufficiente; la questione
degli scambi delle tecnologie e del loro uso appropriato; la necessità di una
revisione della struttura delle Organizzazioni internazionali esistenti, nella
cornice di un ordine giuridico internazionale. Il sistema internazionale di
commercio oggi discrimina frequentemente i prodotti delle industrie incipienti
dei Paesi in via di sviluppo, mentre scoraggia i produttori di materie prime.
Esiste, peraltro, una sorta di divisione internazionale del lavoro, per cui i
prodotti a basso costo di alcuni Paesi, privi di leggi efficaci sul lavoro o
troppo deboli per applicarle, sono venduti in altre parti del mondo con
considerevoli guadagni per le imprese dedite a questo tipo di produzione, che
non conosce frontiere. Il sistema monetario e finanziario mondiale si
caratterizza per l'eccessiva fluttuazione dei metodi di scambio e di interesse,
a detrimento della bilancia dei pagamenti e della situazione di indebitamento
dei Paesi poveri. Le tecnologie e i loro trasferimenti costituiscono oggi uno
dei principali problemi dell'interscambio internazionale e dei gravi danni, che
ne derivano. Non sono rari i casi di Paesi in via di sviluppo, a cui si negano
le tecnologie necessarie o si inviano quelle inutili. Le Organizzazioni
internazionali, secondo l'opinione di molti, sembrano trovarsi a un momento
della loro esistenza, in cui i meccanismi di funzionamento, i costi operativi e
la loro efficacia richiedono un attento riesame ed eventuali correzioni.
Evidentemente, un processo così delicato non si potrà ottenere senza la
collaborazione di tutti. Esso suppone il superamento delle rivalità politiche e
la rinuncia ad ogni volontà di strumentalizzare le stesse Organizzazioni, che
hanno per unica ragion d'essere il bene comune.
Le Istituzioni e le Organizzazioni esistenti hanno operato bene a favore
dei popoli. Tuttavia l'umanità, di fronte a una fase nuova e più difficile dei
suo autentico sviluppo, ha oggi bisogno di un grado superiore di ordinamento
internazionale, a servizio delle società, delle economie e delle culture del
mondo intero.
44. Alcuni
compiti primari delle Nazioni in via di sviluppo.
a) Favorire lo spirito di iniziativa e l'autoaffermazione
di ogni cittadino sviluppando l'istruzione di base.
Lo sviluppo richiede soprattutto spirito d'iniziativa da
parte degli stessi Paesi che ne hanno bisogno.
Ciascuno di essi deve agire secondo le proprie responsabilità, senza
sperare tutto dai Paesi più favoriti ed operando in collaborazione con gli
altri che sono nella stessa situazione. Ciascuno deve scoprire e utilizzare il
più possibile lo spazio della propria libertà. Ciascuno dovrà rendersi capace
di iniziative rispondenti alle proprie esigenze di società. Ciascuno dovrà pure
rendersi conto delle reali necessità, nonché dei diritti e dei doveri che gli
impongono di risolverle. Lo sviluppo dei popoli inizia e trova l'attuazione più
adeguata nell'impegno di ciascun popolo per il proprio sviluppo, in
collaborazione con gli altri. É importante allora che le stesse Nazioni in via
di sviluppo favoriscano l'autoaffermazione di ogni cittadino mediante l'accesso
a una maggiore cultura ed a una libera circolazione delle informazioni. Tutto
quanto potrà favorire l'alfabetizzazione e l'educazione di base che
l'approfondisce e completa, come proponeva l'Enciclica Populorum Progressio -- mete ancora lontane dall'attuazione in
tante parti del mondo -- è un diretto contributo al vero sviluppo.
b) Saper individuare le priorità del proprio Paese.
Per incamminarsi su questa via, le stesse Nazioni
dovranno individuare le proprie priorità e riconoscer bene i propri bisogni
secondo le particolari condizioni della popolazione, dell'ambiente geografico e
delle tradizioni culturali. Alcune Nazioni dovranno incrementare la produzione
alimentare, per aver sempre a disposizione il necessario al nutrimento e alla
vita. Nel mondo contemporaneo-- in cui la fame miete tante vittime, specie in
mezzo all'infanzia--ci sono esempi di Nazioni non particolarmente sviluppate,
che pure sono riuscite a conseguire l'obiettivo dell'autosufficienza alimentare
e a divenire perfino esportatrici di generi alimentari.
c) Riformare strutture ingiuste, specie le istituzioni
politiche non democratiche e partecipative.
Altre Nazioni hanno bisogno di riformare alcune ingiuste
strutture e, in particolare, le proprie istituzioni politiche, per sostituire
regimi corrotti, dittatoriali o autoritari con quelli democratici e
partecipativi. É un processo che ci auguriamo si estenda e si consolidi, perché
la «salute» di una comunità politica--in quanto si esprime mediante la libera
partecipazione e responsabilità di tutti i cittadini alla cosa pubblica, la
sicurezza del diritto, il rispetto e la promozione dei diritti umani--è
condizione necessaria e garanzia sicura di sviluppo di «tutto l'uomo e di tutti
gli uomini».
45. Necessarie
la solidarietà e la collaborazione della comunità mondiale per le Nazioni in
via di sviluppo e anche tra queste per la loro interdipendenza.
Quanto si è detto non si potrà realizzare senza la
collaborazione di tutti specialmente della comunità internazionale, nel quadro
di una solidarietà che abbracci tutti, a cominciare dai più emarginati. Ma le
stesse Nazioni in via di sviluppo hanno il dovere di praticare la solidarietà
fra se stesse e con i Paesi più emarginati del mondo. É desiderabile, per
esempio, che Nazioni di una stessa area geografica stabiliscano forme di
cooperazione che le rendano meno dipendenti da produttori più potenti. aprano
le frontiere ai prodotti della zona. esaminino le eventuali complementarità dei
prodotti. si associno per dotarsi dei servizi, che ciascuna da sola non è in
grado di provvedere. estendano la cooperazione al settore monetario e
finanziario. L'interdipendenza è già una realtà in molti di questi Paesi.
Riconoscerla, in maniera da renderla più attiva, rappresenta un'alternativa
all'eccessiva dipendenza da Paesi più ricchi e potenti, nell'ordine stesso
dell'auspicato sviluppo, senza contrapporsi a nessuno, ma scoprendo e
valorizzando al massimo le proprie possibilità. I Paesi in via di sviluppo di
una stessa area geografica, anzitutto quelli compresi nella denominazione
«Sud», possono e debbono costituire--come già si comincia a fare con
promettenti risultati--nuove organizzazioni regionali, ispirate a criteri di
eguaglianza, libertà e partecipazione nel concerto delle Nazioni. La
solidarietà universale richiede, come condizione indispensabile, autonomia e
libera disponibilità di se stessi, anche all'interno di associazioni come
quelle indicate. Ma, nello stesso tempo, richiede disponibilità ad accettare i
sacrifici necessari per il bene della comunità mondiale.
46. Il
processo dello sviluppo e della liberazione deve concretarsi in esercizio di
solidarietà.
a) La teologia della liberazione come tentativo di un
nuovo modo di affrontare i problemi della miseria e del sottosviluppo.
Popoli e individui aspirano alla propria liberazione: la
ricerca del pieno sviluppo è il segno del loro desiderio di superare i
molteplici ostacoli che impediscono di fruire di una «vita più umana».
Recentemente, nel periodo seguito alla pubblicazione dell'Enciclica Populorum
Progressio, in alcune aree della Chiesa cattolica, in particolare nell'America
Latina, si è diffuso un nuovo modo di affrontare i problemi della miseria e del
sottosviluppo, che fa della liberazione la categoria fondamentale e il primo
principio di azione. I valori positivi, ma anche le deviazioni e i pericoli di
deviazione, connessi a questa forma di riflessione e di elaborazione teologica,
sono stati convenientemente segnalati dal Magistero ecclesiastico. É bene aggiungere che l'aspirazione alla
liberazione da ogni forma di schiavitù, relativa all'uomo e alla società, è
qualcosa di nobile e valido. A questo mira propriamente lo sviluppo, o piuttosto
la liberazione e lo sviluppo, tenuto conto dell'intima connessione esistente
tra queste due realtà. Uno sviluppo soltanto economico non è in grado di
liberare l'uomo, anzi, al contrario, finisce con l'asservirlo ancora di più.
Uno sviluppo, che non comprenda le dimensioni culturali, trascendenti e
religiose dell'uomo e della società nella misura in cui non riconosce
l'esistenza di tali dimensioni e non orienta ad esse i propri traguardi e
priorità, ancor meno contribuisce alla vera liberazione. L'essere umano è
totalmente libero solo quando e se stesso, nella pienezza dei suoi diritti e
doveri: la stessa cosa si deve dire dell'intera società.
b) Il peccato e le strutture da esso indotte sono gli
ostacoli ad una vera liberazione.
L'ostacolo principale da superare per una vera
liberazione è il peccato e le strutture da esso indotte, man mano che si
moltiplica e si estende. La libertà, con
la quale Cristo ci ha liberati (Gal5,1), stimola a convertirci in servi di
tutti. Così il processo dello sviluppo e della liberazione si concreta in
esercizio di solidarietà, ossia di amore e servizio al prossimo,
particolarmente ai più poveri: «Là dove vengono meno la verità e l'amore, il
processo di liberazione porta alla morte di una libertà, che non ha più
sostegno».
47 La Chiesa
invita tutti ad impegnarsi responsabilmente nella solidarietà e nell'amore preferenziale per i poveri.
a) Non sono giustificati pessimismo e passività perché
gli intralci ad un vero sviluppo possono essere superati.
Nel quadro delle tristi esperienze degli anni recenti e
del panorama prevalentemente negativo del momento presente la Chiesa deve
affermare con forza la possibilità del superamento degli intralci che, per
eccesso o per difetto, si frappongono allo sviluppo, e la fiducia per una vera
liberazione. Fiducia e possibilità fondate, in ultima istanza sulla
consapevolezza che ha la Chiesa della promessa divina, volta a garantire che la
storia presente non resta chiusa in se stessa, ma è aperta al Regno di Dio. La
Chiesa ha fiducia anche nell'uomo, pur conoscendo la malvagità di cui è capace,
perché sa bene che--nonostante il peccato ereditato e quello che ciascuno può
commettere--ci sono nella persona umana sufficienti qualità ed energie, c'è una
fondamentale «bontà» (Gen1,31), perché è immagine del Creatore, posta sotto
l'influsso redentore di Cristo, «che si è unito in certo modo a ogni
uomo», e perché l'azione efficace dello
Spirito Santo «riempie la terra» (Sap1,7). Non sono, pertanto, giustificabili
né la disperazione né il pessimismo, né la passività. Anche se con amarezza
occorre dire che, come si può peccare per egoismo, per brama di guadagno
esagerato e di potere, si può anche mancare, di fronte alle urgenti necessità
di moltitudini umane immerse nel sottosviluppo, per timore, indecisione e, in
fondo, per codardia. Siamo tutti chiamati, anzi obbligati, ad affrontare la
tremenda sfida dell'ultima decade del secondo Millennio. Anche perché i
pericoli incombenti minacciano tutti: una crisi economica mondiale, una guerra
senza frontiere, senza vincitori né vinti. Di fronte a simile minaccia, la
distinzione tra persone e Paesi ricchi, tra persone e Paesi poveri, avrà poco
valore, salvo la maggiore responsabilità gravante su chi ha di più e può di
più.
b) Un impegno di tutti è operare per la difesa della
dignità umana.
Ma tale motivazione non è né l'unica né la principale. É
in gioco la dignità della persona umana la cui difesa e promozione ci sono
state affidate dal Creatore, e di cui sono rigorosamente e responsabilmente
debitori gli uomini e le donne in ogni congiuntura della storia. Il panorama
odierno--come già molti più o meno chiaramente avvertono--non sembra
rispondente a questa dignità. Ciascuno è chiamato a occupare il proprio posto
in questa campagna pacifica, da condurre con mezzi pacifici, per conseguire lo
sviluppo nella pace, per salvaguardare la stessa natura e il mondo che ci
circonda. Anche la Chiesa si sente profondamente implicata in questo cammino,
nel cui felice esito finale spera Perciò, sull'esempio di Papa Paolo VI con
l'Enciclica Populorum Progressio, desidero
rivolgermi con semplicità e umiltà a tutti, uomini e donne senza eccezione,
perché, convinti della gravità del momento presente e della rispettiva,
individuale responsabilità, mettano in opera--con lo stile personale e
familiare della vita, con l'uso dei beni, con la partecipazione come cittadini,
col contributo alle decisioni economiche e politiche e col proprio impegno nei
piani nazionali e internazionali--le misure ispirate alla solidarietà e
all'amore preferenziale per i poveri. Così richiede il momento, così richiede
soprattutto la dignità della persona umana, immagine indistruttibile di Dio
creatore, ch'è identica in ciascuno di noi.
c) I cristiani debbono essere esempio e guida
nell'impegno di solidarietà.
In questo impegno debbono essere di esempio e di guida i
figli della Chiesa, chiamati, secondo il programma enunciato da Gesù stesso
nella sinagoga di Nazareth, ad «annunciare ai poveri un lieto messaggio [...],
a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, a rimettere in
libertà gli oppressi e predicare un anno di grazia del Signore» (Lc4,18).
Conviene sottolineare il ruolo preponderante, che spetta ai laici, uomini e
donne, come è stato ripetuto nella recente Assemblea sinodale. A loro compete animare,
con impegno cristiano, le realtà temporali e, in esse, mostrare di essere
testimoni e operatori di pace e di giustizia. Desidero rivolgermi specialmente
a quanti, per il sacramento del Battesimo e la professione dello stesso Credo,
sono compartecipi di una vera comunione, sia pure imperfetta, con noi. Sono
sicuro che sia la sollecitudine che questa Lettera esprime, sia le motivazioni
chela animano saranno loro familiari, perché ispirate dal Vangelo di Cristo
Gesù. Possiamo trovare qui un nuovo invito a dare testimonianza unanime delle
nostre comuni convinzioni sulla dignità dell'uomo, creato da Dio, redento da
Cristo, santificato dallo Spirito, e chiamato in questo mondo a vivere una vita
conforme a questa dignità. A coloro che condividono con noi l'eredità di Abramo
«nostro padre nella fede» (Rm4,11), e la
tradizione dell'Antico Testamento, ossia gli Ebrei, a coloro che, come noi,
credono in Dio giusto e misericordioso, ossia i Mussulmani, rivolgo parimenti
questo appello, che si estende, altresì, a tutti i seguaci delle grandi
religioni del mondo. L'incontro del 27 ottobre dell'anno passato ad Assisi, la
città di san Francesco, per pregare ed impegnarci per la pace--ognuno in
fedeltà alla propria professione religiosa--ha rivelato a tutti fino a che punto
la pace e, quale sua necessaria condizione, lo sviluppo di «tutto l'uomo e di
tutti gli uomini» siano una questione anche religiosa, e come la piena
attuazione dell'una e dell'altro dipenda dalla fedeltà alla nostra vocazione di
uomini e di donne credenti. Perché dipende, innanzitutto, da Dio.
48. Per i
cristiani non è giustificabile un disimpegno dalla realtà sociale con il
pretesto dell'attesa del Regno di Dio, che è già presente nel mondo soprattutto
con il sacramento dell'Eucaristia.
a) La Chiesa sa bene che nessuna realizzazione temporale
s'identifica col Regno di Dio, ma che tutte le realizzazioni non fanno che
riflettere e, in un certo senso, anticipare la gloria del Regno, che attendiamo
alla fine della storia, quando il Signore ritornerà. Ma l'attesa non potrà
esser mai una scusa per disinteressarsi degli uomini nella loro concreta
situazione personale e nella loro vita sociale, nazionale e internazionale, in
quanto questa--ora soprattutto--condiziona quella.
b) Nessuna realizzazione risultante dallo sforzo solidale
di tutti, anche se imperfetta, sarà vana.
Nulla, anche se imperfetto e provvisorio, di tutto ciò
che si può e si deve realizzare mediante lo sforzo solidale di tutti e la
grazia divina in un certo momento della storia, per rendere «più umana» la vita
degli uomini, sarà perduto né sarà stato vano. Questo insegna il Concilio
Vaticano II in un testo luminoso della Costituzione Gaudium et spes: «I beni
della dignità umana, l'unione fraterna e la libertà, in una parola tutti i frutti
eccellenti della natura e del nostro sforzo, dopo averli diffusi per la terra
nello Spirito del Signore e in accordo al suo mandato, torneremo a ritrovarli,
purificati da ogni macchia, illuminati e trasfigurati, quando Cristo consegnerà
al Padre il Regno eterno e universale [...], già misteriosamente presente sulla
nostra terra». Il Regno di Dio si fa
presente, ora, soprattutto con la celebrazione del Sacramento dell'Eucaristia,
che è il Sacrificio del Signore. In tale celebrazione i frutti della terra e del
lavoro umano--il pane e il vino--sono trasformati misteriosamente, ma realmente
e sostanzialmente per opera dello Spirito Santo e delle parole del ministro nel
Corpo e nel Sangue del Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio e Figlio di Maria,
per il quale il Regno del Padre si è fatto presente in mezzo a noi. I beni di
questo mondo e l'opera delle nostre mani--il pane e il vino--servono per la
venuta del Regno definitivo, giacché il Signore mediante il suo Spirito li
assume in se, per offrirsi al Padre e offrire noi con lui nel rinnovamento del
suo unico sacrificio, che anticipa il Regno di Dio e ne annuncia la venuta
finale. Così il Signore mediante l'Eucaristia, sacramento e sacrificio, ci
unisce con sé e ci unisce tra di noi con un vincolo più forte di ogni unione
naturale; e uniti ci invia al mondo intero per dare testimonianza, con la fede
e con le opere, dell'amore di Dio, preparando la venuta del suo Regno e
anticipandolo pur nelle ombre del tempo presente. Quanti partecipiamo
dell'Eucaristia, siamo chiamati a scoprire, mediante questo Sacramento, il
senso profondo della nostra azione nel mondo in favore dello sviluppo e della
pace; ed a ricevere da esso le energie per impegnarci sempre più generosamente,
sull'esempio di Cristo che in tale Sacramento dà la vita per i suoi amici
(Gv15,13). Come quello di Cristo e in quanto unito al suo, il nostro personale
impegno non sarà inutile, ma certamente fecondo.
49.
Affidamento a Maria della difficile congiuntura del mondo.
In quest'Anno Mariano, che ho indetto perché i fedeli
cattolici guardino sempre di più a Maria, che ci precede nel pellegrinaggio
della fede e con materna premura
intercede per noi davanti al suo Figlio, nostro Redentore, desidero affidare a
lei e alla sua intercessione la difficile congiuntura del mondo contemporaneo,
gli sforzi che si fanno e si faranno, spesso con grandi sofferenze, per
contribuire al vero sviluppo dei popoli, proposto e annunciato dal mio
predecessore Paolo VI. Come sempre ha fatto la pietà cristiana, noi presentiamo
alla Santissima Vergine le difficili situazioni individuali, perché,
esponendole a suo Figlio, ottenga da lui che siano alleviate e cambiate. Ma le
presentiamo, altresì, le situazioni sociali e la stessa crisi internazionale
nei loro aspetti preoccupanti di miseria, disoccupazione, carenza di vitto,
corsa agli armamenti, disprezzo dei diritti umani, stati o pericoli di
conflitto, parziale o totale. Tutto ciò vogliamo filialmente deporre davanti ai
suoi «occhi misericordiosi», ripetendo ancora una volta con fede e speranza
l'antica antifona: «Santa Madre di Dio non disprezzare le suppliche di noi che
siamo nella prova, ma liberaci sempre da tutti i pericoli, o Vergine gloriosa e
benedetta». Madre Santissima nostra Madre e Regina, è colei che volgendosi a
suo Figlio, dice: «Non hanno più vino» (Gv2,3), ed è anche colei che loda Dio
Padre, perché: «Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili. ha
ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote» (Lc1,52).
La sua materna sollecitudine si interessa degli aspetti personali e sociali
della vita degli uomini sulla terra.
Davanti alla Santissima Trinità, io affido a Maria quanto in questa
Lettera ho esposto invitando tutti a riflettere e ad impegnarsi attivamente nel
promuovere il vero sviluppo dei popoli, come efficacemente afferma l'orazione
della Messa omonima: «O Dio, che hai dato a tutte le genti una unica origine e
vuoi riunirle in una sola famiglia, fa, che gli uomini si riconoscano fratelli
e promuovano nella solidarietà lo sviluppo di ogni popolo, perché [...] si
affermino i diritti di ogni persona e la comunità umana conosca un'era di
eguaglianza e di pace».
Questo concludendo, io chiedo a nome di tutti i fratelli
e sorelle, ai quali, in segno di saluto e di augurio invio una speciale
Benedizione.
CAPITOLO I –
INTRODUZIONE
1. Continuità e
novità nel magistero sociale dei papi da Leone XIII ad oggi.
2. Una nuova
Enciclica per celebrare l'attualità della «Populorum Progressio» di Paolo VI.
CAPITOLO II –
NOVITA’ DELL’ENCICLICA POPULORUM PROGRESSIO
CAPITOLO III -
PANORAMA DEL MONDO CONTEMPORANEO
11. Diversità
del contesto sociale rispetto all'epoca della «Populorum Progressio».
12. Le speranze
di sviluppo, vive venti anni or sono, appaiono ancora ben lontane dalla realizzazione.
13.
L'intollerabile miseria di una moltitudine di uomini offre un'impressione
negativa
della
situazione del mondo.
14. Prima
costatazione negativa: persistenza ed allargamento del fossato tra il Nord ed
il Sud del mondo.
15. Esistono
altri indici negativi del sottosviluppo, oltre a quelli economici e sociali.
16. Parziali
successi di alcune iniziative, ma sostanziale aggravamento del sottosviluppo,
18. Altri
indici negativi comuni: la disoccupazione e la sottoccupazione.
19. Un altro
grave fenomeno è lo smisurato e intollerabile debito pubblico dei Paesi
sottosviluppati.
20. Le cause
politiche del ritardo nel processo di sviluppo dei popoli.
21. La Chiesa è
critica sia nei confronti del capitalismo liberista che del collettivismo
marxista.
22. Le nuove
forme di colonialismo ritardano lo sviluppo dei Paesi più poveri.
23. Una
funzione di guida tra le nazioni si può giustificare solo con la volontà
di contribuire
al bene comune di tutti i popoli.
24. Tre piaghe
del mondo d'oggi: il commercio indiscriminato delle armi, i milioni
di profughi e
il terrorismo.
25. Concetto
errato e perverso di sviluppo umano nelle campagne sistematiche contro la
natalità.
26. Alcuni aspetti positivi nel quadro prevalentemente
negativo della situazione del mondo.
CAPITOLO IV -
L’AUTENTICO SVILUPPO UMANO
27. Contro un
falso ottimismo meccanicistico, bisogna riconoscere che lo sviluppo
non è un
processo rettilineo,
28. La piaga
del consumismo e dominata dal desiderio dell"«avere» piuttosto che da
quello di «essere».
29. Un vero
sviluppo deve tener conto del «parametro interiore» dell'uomo.
30. Tutti gli
uomini hanno il dovere di collaborare allo sviluppo.
31. Le ragioni
che spingono la Chiesa a preoccuparsi della problematica dello sviluppo.
32. L'obbligo
di impegnarsi per lo sviluppo dei popoli non è solo un dovere individuale,
ma di tutti
verso tutti.
33. Il vero
sviluppo si fonda sul rispetto dei diritti umani.
34. Esigenza
morale dello sviluppo che deve rispettare la natura e l'ordine del creato.
CAPITOLO V -
UNA LETTURA TEOLOGICA DEI PROBLEMI MODERNI
35. Uno dei
motivi del mancato sviluppo è l'assenza di una efficace volontà politica.
36. La situazione negativa odierna esige un'analisi di
ordine morale delle carenze riscontrate.
37. La brama
esclusiva del profitto e la sete del potere sono oggi ad ogni livello
gli aspetti
negativi più caratteristici.
38. Per
superare gli ostacoli allo sviluppo bisogna essere consapevoli
dell'interdipendenza
esistente sia
tra gli uomini che tra le Nazioni.
39. I valori
della solidarietà tra persone, popoli o Nazioni.
40. Solo la
solidarietà umana e cristiana può vincere i «meccanismi perversi» e le
«strutture di peccato»
CAPITOLO VI -
ALCUNI ORIENTAMENTI PARTICOLARI
42. I temi e
gli orientamenti più recenti della dottrina sociale della Chiesa aperta ad
una prospettiva
internazionale.
43. Le riforme
più urgenti da attuare sul piano internazionale: il sistema del commercio
e quello
monetario e finanziario.
44. Alcuni
compiti primari delle Nazioni in via di sviluppo.
45. Necessarie
la solidarietà e la collaborazione della comunità mondiale per le Nazioni
in via di
sviluppo e anche tra queste per la loro interdipendenza.
CAPITOLO VII –
CONCLUSIONE
46. Il processo
dello sviluppo e della liberazione deve concretarsi in esercizio di
solidarietà.
47 La Chiesa
invita tutti ad impegnarsi responsabilmente nella solidarietà e nell'amore
preferenziale
per i poveri.
48. Per i cristiani non è giustificabile un disimpegno
dalla realtà sociale con il pretesto dell'attesa
del Regno di Dio, che è già presente
nel mondo soprattutto con il sacramento dell'Eucaristia.
49. Affidamento
a Maria della difficile congiuntura del mondo.