SULLO SVILUPPO DEI POPOLI
(26 marzo
1967)
1.
Lo sviluppo dei popoli, in modo
particolare di quelli che lottano per liberarsi dal giogo della fame della
miseria, delle malattie endemiche, dell'ignoranza; che cercano una
partecipazione più larga ai frutti della civiltà, una più attiva valorizzazione
delle loro qualità umane; che si muovono con decisione verso la meta di un loro
pieno rigoglio, è oggetto di attenta osservazione da
parte della Chiesa. All'indomani del Concilio Ecumenico Vaticano Secondo, una
rinnovata presa di coscienza delle esigenze del messaggio evangelico le impone
di mettersi al servizio degli uomini, onde aiutarli a cogliere tutte le
dimensioni di tale grave problema e convincerli dell'urgenza di una azione solidale in questa svolta della storia
dell'umanità.
2. Insegnamento sociale dei Papi.
Nelle loro grandi encicliche,
Rerum Novarum di Leone XIII, Quadragesimo Anno di Pio
XI, Mater et Magistra
e Pacem in Terris di Giovanni XXIII -- senza contare i messaggi
al mondo di Pio XII --, i Nostri predecessori non mancarono al dovere, proprio
del loro ufficio, di proiettare sulle questioni sociali del loro tempo la luce
del Vangelo.
3. Il fatto maggiore: la dimensione mondiale del
problema.
Oggi, il fatto di maggior
rilievo, del quale ognuno deve prender coscienza, è che la questione sociale ha
acquistato dimensione mondiale. Giovanni XXIII l'ha affermato nettamente, e il
Concilio gli ha fatto eco con la sua Costituzione pastorale su
4. Nei viaggi del Papa verificate le gravi difficoltà dei
popoli poveri.
Prima della nostra chiamata al
supremo Pontificato, due viaggi nell'America Latina (1960) e in Africa (1962),
Ci avevano messo a contatto immediato con i laceranti problemi che attanagliano
continenti pieni di vita e di speranza. Rivestiti della paternità universale,
abbiamo potuto, nel corso di nuovi viaggi in Terra Santa e in India, vedere coi Nostri occhi e quasi toccar con mano le gravissime
difficoltà che assalgono popoli di antica civiltà alle prese con il problema
dello sviluppo. Mentre ancora si stava svolgendo a Roma il Concilio Ecumenico
Vaticano Secondo, circostanze provvidenziali Ci portarono a rivolgerCi direttamente all'Assemblea generale delle
Nazioni Unite. E davanti a quel vasto areopago Ci
facemmo l'avvocato dei popoli poveri. .
5.
Infine, recentemente, nel
desiderio di rispondere al voto del Concilio e di volgere in forma concreta
l'apporto della Santa Sede a questa grande causa dei
popoli in via di sviluppo, abbiamo ritenuto che facesse parte del nostro dovere
il creare presso gli organismi centrali della Chiesa una Commissione pontificia
che avesse il compito di «suscitare in tutto il Popolo di Dio la piena
conoscenza del ruolo che i tempi attuali reclamano da lui, in modo da
promuovere il progresso dei popoli più poveri, da favorire la giustizia sociale
tra le nazioni, da offrire a quelle che sono meno sviluppate un aiuto tale che
le metta in grado di provvedere esse stesse e per se stesse al loro progresso»:
Giustizia e Pace è il suo nome e il suo programma. Noi pensiamo che su tale
programma possano e debbano convenire, assieme ai Nostri figli cattolici e ai
fratelli cristiani, gli uomini di buona volontà. É dunque a tutti che Noi oggi
rivolgiamo questo appello solenne a una azione
concertata per lo sviluppo integrale dell'uomo e lo sviluppo solidale
dell'umanità.
PER UNO SVILUPPO INTEGRALE DELL'UOMO
6. Aspirazioni degli uomini di oggi.
Essere affrancati dalla miseria, garantire in maniera più sicura la
propria sussistenza, la salute, una occupazione
stabile; una partecipazione più piena alle responsabilità, al di fuori da ogni
oppressione, al riparo da situazioni che offendano la loro dignità di uomini;
godere di una maggiore istruzione; in una parola, fare conoscere e avere di
più, per essere di più: ecco l'aspirazione degli uomini di oggi, mentre un gran
numero d'essi è condannato a vivere in condizioni che rendono illusorio tale
legittimo desiderio. D'altra parte, i popoli da poco approdati all'indipendenza
nazionale sperimentano la necessità di far seguire a questa libertà politica
una crescita autonoma e degna, sociale non meno che economica,
onde assicurare ai propri cittadini la loro piena espansione umana, e
prendere il posto che loro spetta nel concerto delle nazioni.
7. Colonialismo: misfatti e meriti.
Di fronte alla vastità e
all'urgenza dell'opera da compiere, gli strumenti ereditati dal passato, per
quanto inadeguati, non fanno tuttavia difetto. Bisogna certo riconoscere che le
potenze colonizzatrici hanno spesso avuto di mira soltanto il loro interesse,
la loro potenza o il loro prestigio e che il loro
ritiro ha lasciato talvolta una situazione economica vulnerabile, legata per esempio
al rendimento di un'unica cultura, i cui corsi sono soggetti a brusche e ampie
variazioni. Ma, pur riconoscendo i misfatti di un certo colonialismo e le sue
conseguenze negative, bisogna nel contempo rendere
omaggio alle qualità e alle realizzazioni dei colonizzatori che, in tante
regioni abbandonate, hanno portato la loro scienza e la loro tecnica, lasciando
testimonianze preziose della loro presenza. Per quanto incomplete, restano
tuttavia in piedi certe strutture che hanno avuto una loro funzione, per
esempio sul piano della lotta contro l'ignoranza e la malattia, su quello, non
meno benefico delle comunicazioni o del miglioramento delle condizioni di vita.
8. Squilibrio crescente tra popoli ricchi e popoli poveri.
Fatto questo riconoscimento, resta
fin troppo vero che tale attrezzatura è notoriamente insufficiente per
affrontare la dura realtà dell'economia moderna. Lasciato a se stesso, il suo
meccanismo è tale da portare il mondo verso un aggravamento, e non una attenuazione, della disparità dei livelli di vita: i
popoli ricchi godono di una crescita rapida, mentre lento e il ritmo di
sviluppo di quelli poveri. Aumenta lo squilibrio: certuni producono in
eccedenza beni alimentari, di cui altri soffrono atrocemente la mancanza, e
questi ultimi vedono rese incerte le loro esportazioni.
9. Presa di coscienza delle
classi diseredate.
Nello stesso tempo i conflitti
sociali si sono dilatati fino a raggiungere le dimensioni del mondo. La viva
inquietudine, che si è impadronita delle classi povere nei paesi in fase di industrializzazione, raggiunge ora quelli che hanno
un'economia quasi esclusivamente agricola: i contadini prendono coscienza,
anch'essi, della loro «miseria immeritata». A ciò s'aggiunga lo scandalo di
disuguaglianze clamorose, non solo nel godimento dei beni, ma più ancora
nell'esercizio del potere. Mentre una oligarchia gode,
in certe regioni, di una civiltà raffinata, il resto della popolazione, povera
e dispersa, è «privata pressoché di ogni possibilità di iniziativa personale e
di responsabilità, e spesso anche costretta a condizioni di vita e di lavoro
indegne della persona umana».
10. Urti di civiltà.
Inoltre l'urto tra le civiltà
tradizionali e le novità portate dalla civiltà industriale ha
un effetto dirompente sulle strutture che non si adattano alle nuove
condizioni. Dentro l'ambito, spesso rigido, di tali strutture s'inquadrava la
vita personale e familiare che trovava in esse il suo
indispensabile sostegno, e i vecchi vi rimangono attaccati, mentre i giovani
tendono a liberarsene, come d'un ostacolo inutile, per volgersi avidamente
verso nuove forme di vita sociale. Accade così che il conflitto delle
generazioni si carica di un tragico dilemma: o conservare istituzioni e
credenze ancestrali, ma rinunciare al progresso, o
aprirsi alle tecniche e ai modi di vita venuti da fuori, ma rigettare in una
con le tradizioni del passato tutta la ricchezza di valori umani che
contenevano. Di fatto, avviene troppo spesso che i sostegni morali, spirituali
e religiosi del passato vengono meno, senza che l'inserzione nel mondo nuovo
sia per altro assicurata.
11. Tentazioni di messianismi carichi
di illusioni.
In questo stato di marasma si
fa più violenta la tentazione di lasciarsi
pericolosamente trascinare verso messianismi carichi di promesse, ma
fabbricatori di illusioni. Chi non vede i pericoli che ne derivano, di reazioni
popolari violente, di agitazioni insurrezionali, e di
scivolamenti verso le ideologie totalitarie? Questi sono i dati del problema,
la cui gravità non può sfuggire a nessuno.
II -
Fedele all'insegnamento e
all'esempio del suo divino Fondatore, che poneva l'annuncio della Buona novella
ai poveri quale segno della sua missione,
13. Rapporti tra Chiesa e mondo.
Ma ormai le iniziative locali e individuali non bastano
più. La situazione attuale del mondo esige una azione
d'insieme sulla base di una visione chiara di tutti gli aspetti economici,
sociali, culturali e spirituali. Esperta in umanità,
14. Visione cristiana dello sviluppo.
Lo sviluppo non si riduce alla
semplice crescita economica. Per essere autentico sviluppo, deve essere
integrale, il che vuol dire volto alla promozione di
ogni uomo e di tutto l'uomo. Com'è stato giustamente sottolineato
da un eminente esperto, «noi non accettiamo di separare l'economia dall'umano,
lo sviluppo dalla civiltà dove si inserisce. Ciò che conta
per noi è l'uomo, ogni uomo, ogni gruppo d'uomini, fino a comprendere l'umanità
intera».
15. Vocazione e crescita.
Nel disegno di Dio, ogni uomo
è chiamato a uno sviluppo, perché ogni vita è
vocazione. Fin dalla nascita, è dato a tutti in germe un insieme di attitudini e di qualità da far fruttificare: il loro
pieno svolgimento, frutto a un tempo dell'educazione ricevuta dall'ambiente e
dello sforzo personale, permetterà a ciascuno di orientarsi verso il destino
propostogli dal suo Creatore. Dotato d'intelligenza e di libertà, egli è
responsabile della sua crescita, così come della sua
salvezza. Aiutato, e talvolta impedito, da coloro che lo educano e lo
circondano, ciascuno rimane, quali che siano le influenze che si esercitano su
di lui, l'artefice della sua riuscita o del suo
fallimento: col solo sforzo della sua intelligenza e della sua volontà, ogni
uomo può crescere in umanità, valere di più, essere di più.
16. Dovere di una crescita umana personale.
Tale crescita non è d'altronde
facoltativa. Come tutta intera la creazione è ordinata al suo
Creatore, la creatura spirituale è tenuta ad orientare spontaneamente la
sua vita verso Dio, verità prima e supremo bene. Cosi la
crescita umana costituisce come una sintesi dei nostri doveri. Ma c'è di più:
tale armonia di natura, arricchita dal lavoro personale e responsabile, è
chiamata a un superamento. Mediante la sua inserzione
nel Cristo vivificatore, l'uomo accede a una
dimensione nuova, a un umanesimo trascendente, che gli conferisce la sua più
grande pienezza: questa è la finalità suprema dello sviluppo personale.
17. Dovere di crescita comunitaria.
Ma ogni uomo è membro della società: appartiene all'umanità
intera. Non è soltanto questo o quell'uomo,
ma tutti gli uomini sono chiamati a tale sviluppo plenario. Le civiltà nascono,
crescono e muoiono. Ma come le ondate dell'alta marea penetrano ciascuna un po, più a fondo nell'arenile, cosi
l'umanità avanza sul cammino della storia. Eredi delle generazioni passate e
beneficiari del lavoro dei nostri contemporanei, noi abbiamo
degli obblighi verso tutti, e non possiamo disinteressarci di coloro che
verranno dopo di noi ad ingrandire la cerchia della famiglia umana. La
solidarietà universale, che è un fatto e per noi un beneficio, è altresì un
dovere.
18. Scala dei valori.
Siffatta crescita personale e
comunitaria verrebbe compromessa ove si deteriorasse
la vera scala dei valori. Legittimo è il desiderio del necessario, e il lavoro
per arrivarci è un dovere: «Se qualcuno si rifiuta di
lavorare, non deve neanche mangiare». Ma
l'acquisizione dei beni temporali può condurre alla cupidigia, al desiderio di
avere sempre di più e alla tentazione di accrescere la propria potenza.
L'avarizia delle persone, delle famiglie e delle nazioni può
contagiare i meno abbienti come i più ricchi, e suscitare negli uni e negli
altri un materialismo soffocatore.
19. Crescita ambivalente.
Avere di più, per i popoli
come per le persone, non è dunque lo scopo ultimo. Ogni crescita è ambivalente.
Necessaria onde permettere all'uomo di essere più
uomo, essa lo rinserra come in una prigione, quando diventa il bene supremo che
impedisce di guardare oltre. Allora i cuori s'induriscono e gli spiriti si
chiudono, gli uomini non s'incontrano più per amicizia, ma spinti
dall'interesse, il quale ha buon gioco nel metterli gli uni contro gli altri e
nel disunirli. La ricerca esclusiva dell'avere diventa così un ostacolo alla
crescita dell'essere e si oppone alla sua vera grandezza: per le nazioni come
per le persone, l'avarizia è la forma più evidente del sottosviluppo morale.
20. Verso una condizione più umana.
Se il perseguimento dello
sviluppo richiede un numero sempre più grande di tecnici, esige ancor di più
uomini di pensiero capaci di riflessione profonda, votati alla ricerca di un
umanesimo nuovo, che permetta all'uomo moderno di
ritrovare se stesso, assumendo i valori superiori d'amore, d'amicizia, di
preghiera e di contemplazione. In tal modo potrà compiersi in pienezza il vero
sviluppo, che è il passaggio, per ciascuno e per tutti, da condizioni meno
umane a condizioni più umane.
Meno umane: le carenze materiali di coloro che sono privati del minimo
vitale, e le carenze morali di coloro che sono mutilati dall'egoismo. Meno
umane: le strutture oppressive, sia che provengano
dagli abusi del possesso che da quelli del potere, dallo sfruttamento dei
lavoratori che dall'ingiustizia delle transazioni. Più umane:
l'ascesa dalla miseria verso il possesso del necessario, la vittoria sui
flagelli sociali, l'ampliamento delle conoscenze, l'acquisizione della
cultura. Più umane, altresì: l'accresciuta considerazione della
dignità degli altri, l'orientarsi verso lo spirito di povertà, la cooperazione
al bene comune, la volontà di pace. Più umane, ancora: il riconoscimento
da parte dell'uomo dei valori supremi, e di Dio che ne è
la sorgente e il termine. Più umane, infine e soprattutto: la fede, dono di Dio
accolto dalla buona volontà dell'uomo e l'unità nella carità del Cristo che ci
chiama tutti a partecipare in qualità di figli alla
vita del Dio vivente, Padre di tutti gli uomini.
22. La destinazione universale dei beni.
«Riempite la terra e
assoggettatela»:
23. La proprietà: suo giusto uso.
«Se qualcuno, in possesso
delle ricchezze che offre il mondo, vede il suo
fratello nella necessità e chiude a lui le sue viscere, come potrebbe l'amore
di Dio abitare in lui?». Si sa con quale fermezza i Padri della Chiesa hanno
precisato quale debba essere l'atteggiamento di coloro che
posseggono nei confronti di coloro che sono nel bisogno: «Non è del tuo
avere, afferma sant'Ambrogio, che tu fai dono al
povero; tu non fai che rendergli ciò che gli
appartiene. Poiché è quel che è dato in comune per l'uso di
tutti, ciò che tu ti annetti. La terra è data a tutti, e non solamente
ai ricchi». É come dire che la proprietà privata non
costituisce per alcuno un diritto incondizionato e assoluto. Nessuno è
autorizzato a riservare a suo uso esclusivo ciò che supera il suo bisogno,
quando gli altri mancano del necessario. In una parola, «il diritto di
proprietà non deve mai esercitarsi a detrimento della utilità
comune, secondo la dottrina tradizionale dei Padri della Chiesa e dei grandi
teologi». Ove intervenga un conflitto «tra diritti
privati acquisiti ed esigenze comunitarie primordiali», spetta ai poteri
pubblici «adoperarsi a risolverlo, con l'attiva partecipazione delle persone e
dei gruppi sociali».
Il bene comune esige dunque talvolta l'espropriazione se, per via
della loro estensione, del loro sfruttamento esiguo o nullo, della miseria per
le popolazioni, del danno considerevole arrecato agli interessi del paese,
certi possedimenti sono di ostacolo alla prosperità
collettiva. Affermandolo in maniera inequivocabile, il Concilio ha anche
ricordato non meno chiaramente che il reddito disponibile non è lasciato al
libero capriccio degli uomini, e che le speculazioni egoiste devono essere
bandite. Non è di conseguenza ammissibile che dei cittadini provvisti di
redditi abbondanti, provenienti dalle risorse e dalla attività
nazionale, ne trasferiscano una parte considerevole all'estero, a esclusivo
vantaggio personale, senza alcuna considerazione del torto evidente ch'essi
infliggono con ciò alla loro patria.
Necessaria all'accrescimento
economico e al progresso umano, l'introduzione dell'industria è insieme segno e
fattore di sviluppo. Mediante l'applicazione tenace della sua intelligenza e
del suo lavoro, l'uomo strappa a poco a poco i suoi
segreti alla natura, favorendo un miglior uso delle sue ricchezze. Mentre imprime una disciplina alle sue abitudini, egli
sviluppa del pari in se stesso il gusto della ricerca e dell'invenzione,
l'accettazione del rischio calcolato, l'audacia nell'intraprendere,
l'iniziativa generosa, il senso delle responsabilità.
26. Rinnovata condanna di un capitalismo senza alcun
freno.
Ma su queste condizioni nuove
della società si è malauguratamente instaurato un sistema che considerava il
profitto come motore essenziale del progresso economico, la concorrenza come
legge suprema dell'economia, la proprietà privata dei mezzi di produzione come
un diritto assoluto, senza limiti ne obblighi sociali
corrispondenti. Tale liberalismo senza freno conduceva alla dittatura, a buon
diritto denunciata da Pio XI come generatrice dell'«imperialismo internazionale
del denaro». Non si condanneranno mai abbastanza simili abusi, ricordando
ancora una volta solennemente che l'economia è al servizio dell'uomo. Ma se è
vero che un certo capitalismo è stato la fonte di tante sofferenze, di tante ingiustizie
e lotte fratricide, di cui perdurano gli effetti, errato sarebbe attribuire alla industrializzazione stessa dei mali che sono dovuti al
nefasto sistema che l'accompagnava. Bisogna, al contrario, e per debito di
giustizia, riconoscere l'apporto insostituibile dell'organizzazione del lavoro
e del progresso industriale all'opera dello sviluppo.
27. Dignità del lavoro.
Così pure, se è vero che
talvolta può imporsi una mistica esagerata del lavoro, non e meno vero che questo è voluto e benedetto da Dio. Creato a sua
immagine, «l'uomo deve cooperare col Creatore al compimento della creazione, e
segnare a sua volta la terra dell'impronta spirituale che egli stesso ha
ricevuto». Dio, che ha dotato l'uomo d'intelligenza, d'immaginazione e di
sensibilità, gli ha in tal modo fornito il mezzo onde
portare in certo modo a compimento la sua opera: sia egli artista o artigiano,
imprenditore, operaio o contadino, ogni lavoratore è un creatore. Chino su una
materia che gli resiste, l'operaio le imprime il suo segno, sviluppando nel contempo la sua tenacia, la sua ingegnosità e il suo
spirito inventivo. Diremo di più: vissuto in comune,
condividendo speranze, sofferenze, ambizioni e gioie, il lavoro unisce le
volontà, ravvicina gli spiriti e fonde i cuori: nel compierlo, gli uomini si
scoprono fratelli.
28. Ambivalenza del lavoro.
Senza dubbio ambivalente,
dacché promette il denaro, il godimento e la potenza, invitando gli uni
all'egoismo e gli altri alla rivolta, il lavoro sviluppa
anche la coscienza professionale, il senso del dovere e la carità verso il
prossimo. Più scientifico e meglio organizzato, esso rischia di disumanizzare il suo esecutore, divenuto suo
schiavo, perché il lavoro è umano solo se resta intelligente e libero. Giovanni
XXIII ha ricordato l'urgenza di rendere al lavoratore la sua dignità, facendolo
realmente partecipare all'opera comune: «Bisogna tendere a far sì che l'impresa
diventi una comunità di persone, nelle relazioni, nelle funzioni e nella
situazione di tutti i suoi componenti». La fatica
degli uomini ha poi per il cristiano un significato
ben maggiore, avendo essa anche la missione di collaborare alla creazione del
mondo soprannaturale, che resta incompiuto fino a che non saremo pervenuti
tutti insieme a costituire quell'Uomo perfetto di cui
parla san Paolo, «che realizza la pienezza del Cristo».
Bisogna affrettarsi: troppi
uomini soffrono, e aumenta la distanza che separa il progresso degli uni e la
stagnazione, se non pur anche la regressione, degli altri. Bisogna altresì che
l'opera da svolgere progredisca armoniosamente, pena la rottura di equilibri indispensabili. Una riforma agraria
improvvisata può fallire al suo scopo. Una industrializzazione
precipitosa può dissestare delle strutture ancora necessarie, e generare delle
miserie sociali che costituirebbero un passo indietro dal punto di vista dei
valori umani.
30. Tentazione della violenza.
Si danno certo delle
situazioni la cui ingiustizia grida verso il cielo. Quando
popolazioni intere, sprovviste del necessario, vivono in uno stato di
dipendenza tale da impedir loro qualsiasi iniziativa e responsabilità, e
anche ogni possibilità di promozione culturale e di partecipazione alla vita
sociale e politica, grande è la tentazione di respingere con la violenza simili
ingiurie alla dignità umana.
31. La rivoluzione, fonte di nuove ingiustizie.
E tuttavia lo sappiamo: l'insurrezione rivoluzionaria --
salvo nel caso di una tirannia evidente e prolungata che attenti gravemente ai
diritti fondamentali della persona e nuoccia in modo pericoloso al bene comune
del paese -- è fonte di nuove ingiustizie, introduce nuovi squilibri, e provoca
nuove rovine. Non si può combattere un male reale a prezzo di un male più grande.
32. Lo sviluppo attuale esige delle riforme urgenti.
Ci si intenda
bene: la situazione presente deve essere affrontata coraggiosamente e le
ingiustizie che essa comporta combattute e vinte. Lo sviluppo esige delle
trasformazioni audaci, profondamente innovatrici. Riforme urgenti devono essere
intraprese senza indugio. A ciascuno di assumervi generosamente la sua parte,
soprattutto a quelli che per la loro educazione, la loro
situazione, il loro potere, si trovano ad avere delle grandi possibilità
d'azione. Che, pagando esemplarmente di persona, essi non esitino a incidere su quello che è loro, come hanno fatto diversi
dei Nostri fratelli nell'episcopato. Risponderanno così all'attesa degli uomini
e saranno fedeli allo Spirito di Dio: giacché è «il fermento evangelico che ha
suscitato e suscita nel cuore umano una esigenza
incoercibile di dignità».
33. Necessità di programmi e pianificazione globali.
La sola iniziativa individuale
e il semplice giuoco della concorrenza non potrebbero
assicurare il successo dello sviluppo. Non bisogna correre il rischio di
accrescere ulteriormente la ricchezza dei ricchi e la potenza dei forti, ribadendo la miseria dei poveri e rendendo più pesante la
servitù degli oppressi. Sono dunque necessari dei programmi per «incoraggiare,
stimolare, coordinare, supplire e integrare» l'azione degli individui e dei
corpi intermedi. Spetta ai poteri pubblici di scegliere, o anche di imporre,
gli obiettivi da perseguire, i traguardi da raggiungere, i mezzi onde pervenirvi, tocca ad essi stimolare tutte le forze
organizzate in questa azione comune. Certo, devono aver cura di associare a quest'opera le iniziative private e i corpi intermedi,
evitando in tal modo il pericolo di una collettivizzazione
integrale o d'una pianificazione arbitraria che, negatrici di libertà come sono,
escluderebbero l'esercizio dei diritti fondamentali della persona umana.
34. I programmi debbono essere a
servizio dell'uomo.
Giacché ogni
programma, elaborato per aumentare la produzione, non ha in definitiva altra
ragione d'essere che il servizio della persona. La sua funzione è di ridurre le disuguaglianze,
combattere le discriminazioni, liberare l'uomo dalle sue servitù, renderlo
capace di divenire lui stesso attore responsabile del suo miglioramento
materiale, del suo progresso morale, dello svolgimento
pieno del suo destino spirituale. Dire sviluppo è in effetti
dire qualcosa che investe tanto il progresso sociale che la crescita economica.
Non basta accrescere la ricchezza comune perché sia equamente ripartita, non
basta promuovere la tecnica perché la terra diventi più umana da abitare.
Coloro che sono sulla via dello sviluppo devono
imparare dagli errori di coloro che hanno sperimentato prima tale strada quali
sono i pericoli da evitare in questo campo. La tecnocrazia di domani può essere
fonte di mali non meno temibili che il liberalismo di
ieri. Economia e tecnica non hanno senso che in rapporto all'uomo ch'esse devono servire. E l'uomo
non è veramente uomo che nella misura in cui, padrone delle proprie azioni e
giudice del loro valore, diventa egli stesso autore del proprio progresso, in
conformità con la natura che gli ha dato il suo Creatore e di cui egli assume
liberamente le possibilità e le esigenze.
Si può affermare che la
crescita economica è legata innanzitutto al progresso
sociale ch'essa è in grado di suscitare, e che l'educazione di base è il primo
obiettivo d'un piano di sviluppo. La fame di istruzione
non è in realtà meno deprimente della fame di alimenti: un analfabeta è uno
spirito sottoalimentato. Saper leggere e scrivere, acquistare una formazione
professionale, è riprendere fiducia in se stessi e scoprire che si può
progredire insieme con gli altri. Come dicevamo nel Nostro messaggio al Congresso
dell'UNESCO, del
36. Ancora oggi la famiglia ha un ruolo fondamentale.
Ma l'uomo non è se stesso che nel suo ambiente sociale, nel
quale la famiglia giuoca un ruolo primordiale. Ruolo che, secondo i tempi e i luoghi, ha potuto anche essere
eccessivo, quando si è esercitato a scapito di libertà fondamentali della
persona. Spesso troppo rigide e male
organizzate, le vecchie strutture sociali dei paesi in via di sviluppo sono
tuttavia necessarie ancora per un certo tempo, pur in un processo di
progressivo allentamento del loro dominio esagerato. Ma la famiglia naturale,
monogamica e stabile, quale è stata concepita nel
disegno divino e santificata dal cristianesimo, deve restare «luogo d'incontro
di più generazioni che si aiutano vicendevolmente ad acquistare una saggezza
più grande e ad armonizzare i diritti delle persone con le altre esigenze della
vita sociale».
37. Sviluppare una procreazione responsabile.
É vero che
troppo spesso una crescita demografica accelerata aggiunge nuove difficoltà ai
problemi dello sviluppo: il volume della popolazione aumenta più rapidamente
delle risorse disponibili e ci si trova apparentemente chiusi in un vicolo
cieco. Per cui, la tentazione è
grande di frenare l'aumento demografico per mezzo di misure radicali. É certo
che i poteri pubblici, nell'ambito della loro competenza, possono intervenire,
mediante la diffusione di una appropriata informazione
e l'adozione di misure opportune, purché siano conformi alle esigenze della
legge morale e rispettose della giusta libertà della coppia: perché il diritto
al matrimonio e alla procreazione è un diritto inalienabile, senza del quale
non si dà dignità umana. Spetta in ultima istanza ai
genitori di decidere, con piena cognizione di causa, sul numero dei loro figli,
prendendo le loro responsabilità davanti a Dio, davanti a se stessi, davanti ai
figli che già hanno messo al mondo, e davanti alla comunità alla quale
appartengono, seguendo i dettami della loro coscienza illuminata dalla legge di
Dio, autenticamente interpretata, e sorretta dalla fiducia in Lui.
38. Compiti delle organizzazioni professionali.
Nell'opera dello sviluppo
l'uomo, che trova nella famiglia il suo ambiente di vita primordiale, è spesso
aiutato da organizzazioni professionali. Se la loro ragion d'essere è di
promuovere gli interessi dei loro associati, la loro responsabilità è grande in
rapporto alla funzione educativa ch'esse possono e
debbono nel contempo svolgere. Attraverso l'informazione che forniscono, la
formazione che offrono, esse possono molto per dare a tutti
il sentimento del bene comune e delle obbligazioni che esso comporta per
ciascuno.
39. Utile un pluralismo di organizzazioni
sindacali.
Ogni azione sociale implica
una dottrina. Il cristiano non può ammettere quella che suppone una filosofia
materialistica e atea, che non rispetta né l'orientamento religioso della vita
verso il suo fine ultimo, né la libertà e la dignità umana. Ma purché siano
salvaguardati questi valori, un pluralismo di organizzazioni
professionali e sindacali è ammissibile, e, da certi punti di vista, utile se
serve a proteggere la libertà e a provocare l'emulazione. E di gran cuore Noi
rendiamo omaggio a tutti coloro che vi lavorano al
servizio disinteressato dei loro fratelli.
40. Salvaguardare le tradizioni culturali di ogni paese.
Oltre le
organizzazioni professionali sono altresì all'opera le istituzioni culturali,
il cui ruolo non è di minor peso per la riuscita dello sviluppo. «L'avvenire del mondo sarebbe in pericolo, afferma
gravemente il Concilio, se la nostra epoca non sapesse far emergere dal suo
seno uomini dotati di sapienza». E aggiunge: «Numerosi
paesi economicamente poveri, ma ricchi di sapienza,
potranno dare un potente aiuto agli altri su questo punto». Ricco o povero,
ogni paese possiede una sua civiltà ricevuta dalle generazioni passate:
istituzioni richieste per lo svolgimento della vita terrena e manifestazioni superiori--artistiche, intellettuali e religiose--della vita
dello spirito. Quando queste contengono dei veri
valori umani, sarebbe grave errore sacrificarle a quelle. Un popolo che
consentisse a tanto perderebbe con ciò stesso il meglio di se: sacrificherebbe,
per vivere, le sue ragioni di vita. L'ammonimento del Cristo vale anche per i
popoli: «Che cosa servirebbe all'uomo guadagnare l'universo,
se poi perde l'anima?».
41. Tentazione materialista.
I popoli poveri non staranno
mai troppo in guardia contro questa tentazione che viene loro dai popoli
ricchi, i quali offrono troppo spesso, insieme con l'esempio del loro successo
nel campo della cultura e della civiltà tecnica, un modello di
attività tesa prevalentemente alla conquista della prosperità materiale.
Non che quest'ultima costituisca per se stessa un
ostacolo all'attività dello spirito, il quale anzi,
reso così «meno schiavo delle cose, può facilmente elevarsi all'adorazione e
alla contemplazione del Creatore». Tuttavia «la civiltà moderna, non certo per
la sua natura intrinseca, ma perché si trova soverchiamente irretita nelle
realtà terrestri, può rendere spesso più difficile l'accesso a Dio». In quanto viene loro proposto, i popoli in via di sviluppo devono
dunque saper fare una scelta: criticare ed eliminare i falsi beni che
porterebbero con se un abbassamento dell'ideale umano, accettare i valori sani
e benefici per svilupparli, congiuntamente ai loro, secondo il proprio genio
particolare.
42. Conclusione: verso un umanesimo plenario.
É un umanesimo plenario che occorre
promuovere. Che
vuol dire ciò, se non lo sviluppo di tutto l'uomo e di tutti gli uomini? Un
umanesimo chiuso, insensibile ai valori dello spirito e a Dio che ne è la fonte, potrebbe apparentemente avere maggiori
possibilità di trionfare. Senza dubbio l'uomo può organizzare la terra senza
Dio, ma «senza Dio egli non può alla fine che
organizzarla contro l'uomo. L'umanesimo esclusivo è un umanesimo
inumano». Non v'è dunque umanesimo vero se non aperto verso l'Assoluto, nel
riconoscimento di una vocazione, che offre l'idea vera della vita umana. Lungi
dall'essere la norma ultima dei valori, l'uomo non realizza se stesso che
trascendendosi. Secondo l'espressione così giusta di Pascal:
«L'uomo supera infinitamente l'uomo».
VERSO LO SVILUPPO SOLIDALE DELL' UMANITÀ
43. Realizzare una vera comunità di popoli.
Lo sviluppo integrale dell'uomo non può aver luogo
senza lo sviluppo solidale dell'umanità. Come dicevamo a Bombay: «L'uomo deve incontrare l'uomo, le nazioni devono incontrarsi come
fratelli e sorelle, come i figli di Dio. In questa comprensione e amicizia
vicendevoli, in questa comunione sacra, noi dobbiamo
parimente cominciare a lavorare assieme per edificare l'avvenire comune
dell'umanità».
E suggerivamo altresì la
ricerca di mezzi concreti e pratici di organizzazione
e di cooperazione, onde mettere in comune le risorse disponibili e così realizzare
una vera comunione fra tutte le nazioni.
44. Fraternità dei popoli.
Questo dovere riguarda in
primo luogo i più favoriti. I loro obblighi sono radicati nella fraternità
umana e soprannaturale e si presentano sotto un triplice aspetto: dovere di solidarietà,
cioè l'aiuto che le nazioni ricche devono prestare ai
Paesi in via di sviluppo; dovere di giustizia sociale, cioè il ricomponimento
in termini più corretti delle relazioni commerciali difettose tra popoli forti
e popoli deboli; dovere di carità universale, cioè la promozione di un mondo
più umano per tutti, un mondo nel quale tutti abbiano qualcosa da dare e da
ricevere, senza che il progresso degli uni costituisca un ostacolo allo
sviluppo degli altri. Il problema e grave, perché dalla sua soluzione dipende
l'avvenire della civiltà mondiale.
45. Lotta contro la fame....
«Se un fratello o una sorella sono nudi, dice
San Giacomo, se mancano del sostentamento quotidiano, e uno di voi dice loro:
"Andate in pace, riscaldatevi, sfamatevi", senza dar loro quel che è
necessario al loro corpo, a che servirebbe?». Oggi, nessuno lo può ignorare,
sopra interi continenti innumerevoli sono gli uomini e le donne tormentati
dalla fame, innumerevoli i bambini sottonutriti, al punto che molti di loro
muoiono in tenera età, che la crescita fisica e lo sviluppo mentale di parecchi
altri ne restano compromessi, che regioni intere sono per
questo condannate al più cupo avvilimento.
46. ....oggi.
Appelli angosciati sono già risonati. Quello di Giovanni XXIII è stato calorosamente
accolto. Noi stessi l'abbiamo reiterato nel Nostro messaggio
del Natale 1963, e poi di nuovo in favore dell'India nel 1966. La campagna contro la fame, lanciata dall'Organizzazione
Internazionale per l'alimentazione e l'agricoltura (FAO) e incoraggiata dalla
Santa Sede, e stata generosamente accolta. La nostra Caritas
Internationalis e dappertutto all'opera e numerosi
cattolici, sotto l'impulso dei Nostri fratelli nell'Episcopato, danno, e si
prodigano anche personalmente senza riserva, per aiutare quelli che sono nel bisogno, allargando progressivamente la cerchia di
quanti riconoscono come loro prossimo.
47. .....domani.
Ma tutto ciò non può bastare, come non possono bastare gli
investimenti privati e pubblici realizzati, i doni e i prestiti concessi. Non
si tratta soltanto di vincere la fame e neppure di ricacciare indietro la
povertà. La lotta contro la miseria, pur urgente e necessaria, è insufficiente.
Si tratta di costruire un mondo, in cui ogni uomo, senza esclusioni di razza,
di religione di nazionalità, possa vivere una vita
pienamente umana affrancata dalle servitù che gli vengono dagli uomini e da una
natura non sufficientemente padroneggiata; un mondo dove la libertà non sia una
parola vana e dove il povero Lazzaro possa assidersi alla stessa mensa del
ricco. Ciò esige da quest'ultimo
molta generosità, numerosi sacrifici e uno sforzo incessante. Ciascuno esamini la sua coscienza, che ha una voce nuova per
la nostra epoca. É egli pronto a sostenere col suo denaro le opere e le
missioni organizzate in favore dei più poveri? a
sopportare maggiori imposizioni affinché i poteri pubblici siano messi in grado
di intensificare il loro sforzo per lo sviluppo? a
pagare più cari i prodotti importati, onde permettere una più giusta
remunerazione per il produttore? a lasciare, ove fosse
necessario, il proprio paese, se è giovane, per aiutare questa crescita delle
giovani nazioni?
48. Dovere di solidarietà tra i popoli.
Il dovere di solidarietà che
vige per le persone vale anche per i popoli: «Le nazioni sviluppate hanno
l'urgentissimo dovere di aiutare le nazioni in via di sviluppo». Bisogna
mettere in pratica questo insegnamento conciliare. Se e normale che una popolazione sia la prima beneficiaria dei doni
che le ha fatto
49. Il superfluo dei paesi ricchi a quelli poveri.
Una cosa va ribadita
di nuovo: il superfluo dei paesi ricchi deve servire ai paesi poveri. La regola
che valeva un tempo in favore dei più vicini deve
essere applicata oggi alla totalità dei bisognosi del mondo. I ricchi saranno
del resto i primi ad esserne avvantaggiati. Diversamente, ostinandosi nella
loro avarizia, non potranno che suscitare il giudizio di Dio e la collera dei
poveri, con conseguenze imprevedibili. Chiudendosi dentro la corazza del
proprio egoismo, le civiltà attualmente fiorenti
finirebbero coll'attentare ai loro valori più alti,
sacrificando la volontà di essere di più alla bramosia di avere di più. E
sarebbe da applicare ad essi la parabola dell'uomo
ricco, le cui terre avevano dato frutti copiosi e che non sapeva dove mettere
al sicuro il suo raccolto: «Dio gli disse: insensato, questa
notte stessa la tua anima ti sarà ritolta».
50. Necessità di programmare seriamente gli aiuti.
Questi sforzi, per raggiungere
la loro piena efficacia, non possono rimanere dispersi e isolati, tanto meno
opposti gli uni agli altri per motivi di prestigio o di potenza: la situazione
esige dei programmi concertati. Un programma è in realtà qualcosa di più e di
meglio che un aiuto occasionale lasciato alla buona volontà di ciascuno. Esso suppone
come abbiamo detto più sopra, studi approfonditi, individuazione degli
obiettivi, determinazione dei mezzi, organizzazione degli sforzi onde rispondere ai bisogni presenti e alle prevedibili
esigenze future. Ma è anche molto di più in quanto
trascende le prospettive della semplice crescita economica e del progresso
sociale e conferisce senso e valore all'opera da realizzare. Nell'atto stesso
in cui lavora alla migliore sistemazione del mondo, esso valorizza l'uomo.
51. Necessità di un fondo mondiale per combattere la
miseria.
Occorre spingersi ancora più
innanzi. Noi domandavamo a Bombay la costituzione di un grande Fondo mondiale,
alimentato da una parte delle spese militari, onde venire in aiuto ai più
diseredati. Ciò che vale per la lotta immediata contro
la miseria vale altresì per il livello dello sviluppo. Solo una collaborazione
mondiale, della quale un fondo comune sarebbe insieme l'espressione e lo
strumento, permetterebbe di superare le rivalità sterili e di suscitare un
dialogo fecondo e pacifico tra tutti i popoli.
52. I vantaggi di questo fondo mondiale.....
Senza dubbio, degli accordi bilaterali o multilaterali
possono utilmente essere mantenuti, in quanto permettono di sostituire ai
rapporti di dipendenza e ai rancori derivati dall'era coloniale proficue
relazioni d'amicizia, sviluppate su un piano di uguaglianza
giuridica e politica. Ma incorporati in un programma
di collaborazione mondiale essi sarebbero immuni da ogni sospetto. Le
diffidenze di coloro che ne sono i beneficiari ne uscirebbero
attenuate, poiché essi avrebbero meno ragioni di temere, dissimulate sotto
l'aiuto finanziario o l'assistenza tecnica, certe manifestazioni di quello che
è stato chiamato il neocolonialismo: fenomeno che si configura in termini di
pressioni politiche e di potere economico esercitati allo scopo di difendere o
di conquistare una egemonia dominatrice.
53. .... la sua urgenza.
Chi non vede d'altronde come
un tale fondo faciliterebbe la riconversione di certi
sperperi, che sono frutto della paura o dell'orgoglio? Quando tanti popoli
hanno fame, quando tante famiglie soffrono la miseria, quando tanti uomini
vivono immersi nell'ignoranza, quando restano da
costruire tante scuole, tanti ospedali, tante abitazioni degne di questo nome,
ogni sperpero pubblico o privato, ogni spesa fatta per ostentazione nazionale o
personale, ogni estenuante corsa agli armamenti diviene uno scandalo
intollerabile. Noi abbiamo il dovere di denunciarlo. Vogliano i responsabili ascoltarCi prima che sia troppo
tardi.
54. Indicazioni concrete per la costruzione di un mondo
più umano.
Ciò significa essere
indispensabile che si stabilisca fra tutti quel dialogo
già da Noi invocato nella Nostra prima Enciclica Ecclesiam
suam . Tale dialogo tra coloro che
forniscono i mezzi e coloro cui sono destinati consentirà di commisurare
gli apporti, non soltanto secondo la generosità e disponibilità degli uni, ma
anche in funzione dei bisogni reali e delle possibilità di impiego degli altri.
I Paesi in via di sviluppo non correranno più in tal modo il rischio di vedersi
sopraffatti di debiti, il cui soddisfacimento finisce coll'assorbire
il meglio dei loro guadagni. Tassi di interesse e
durata dei prestiti potranno essere distribuiti in maniera sopportabile per gli
uni e per gli altri, equilibrando i doni gratuiti, i prestiti senza interesse o
a interesse minimo, e la durata degli ammortamenti. Garanzie potranno essere
offerte a coloro che forniscono i mezzi finanziari,
sull'impiego che ne verrà fatto in base al piano convenuto e con una ragionevole
preoccupazione di efficacia, giacché non si tratta di favorire la pigrizia o il
parassitismo. E i destinatari potranno a loro volta
esigere che non vi siano ingerenze nella loro politica, né che si provochino
sconvolgimenti nelle strutture sociali del Paese. Stati sovrani, a loro solo
spetta di condurre in maniera autonoma le loro faccende, di determinare la loro politica, di orientarsi liberamente verso il tipo di
società preferito. É dunque una collaborazione volontaria che occorre
instaurare, una compartecipazione efficace degli uni con gli altri, in un clima
di eguale dignità, per la costruzione di un mondo più
umano.
55. É in gioco la vita stessa e la pace
civile dei popoli poveri.
É un impegno
che potrebbe apparire inattuabile in regioni dove la preoccupazione della
sussistenza quotidiana è tale da assorbire tutta l'esistenza di famiglie
incapaci di concepire un lavoro atto a preparare un avvenire meno miserabile. Tuttavia sono questi gli
uomini e le donne che bisogna aiutare, che bisogna convincere della necessità
di por mano essi stessi al loro sviluppo, acquisendone progressivamente i
mezzi. Quest'opera comune sarà certamente impossibile
senza uno sforzo concertato, costante e coraggioso. Ma deve essere ben chiaro
ad ognuno che ciò che è in giuoco è la vita stessa dei
popoli poveri, è la pace civile nei Paesi in via di sviluppo, ed è la pace del
mondo.
L'EQUITÀ
NELLE RELAZIONI COMMERCIALI
56. Gli sforzi,
anche considerevoli, che vengono dispiegati per
aiutare sul piano finanziario e tecnico i paesi in via di sviluppo, sarebbero
illusori, se il loro risultato fosse parzialmente annullato dal giuoco delle
relazioni commerciali tra paesi ricchi e paesi poveri. La fiducia di questi
ultimi verrebbe profondamente scossa se avessero
l'impressione che si toglie loro con una mano quel che si porge con l'altra.
57. Crescente divario di prezzi tra materie prime e
prodotti finiti.
Le nazioni altamente
industrializzate esportano in realtà soprattutto manufatti, mentre le economie
poco sviluppate non hanno da vendere che prodotti agricoli e materie prime.
Grazie al progresso tecnico, i primi aumentano rapidamente di valore e trovano
sufficienti sbocchi sui mercati, mentre, per contro, i prodotti primari
provenienti dai paesi in via di sviluppo subiscono ampie e brusche variazioni
di prezzo, che li mantengono ben lontani dal plusvalore progressivo dei primi. Di qui le grandi difficoltà che si trovano di fronte le nazioni da
poco industrializzate, quando devono contare sulle esportazioni per equilibrare
le loro economie e realizzare i loro piani di sviluppo. Così finisce che
i poveri restano ognora poveri, mentre i ricchi diventano sempre più ricchi.
58. Il solo principio del «libero scambio» commerciale dà
risultati iniqui.
Ciò significa che la legge del
libero scambio non è più in grado di reggere da sola le relazioni
internazionali. I suoi vantaggi sono certo evidenti quando
i contraenti si trovino in condizioni di potenza economica non troppo
disparate: allora e uno stimolo al progresso e una ricompensa agli sforzi
compiuti. Si spiega quindi come i paesi industrialmente
sviluppati siano portati a vedervi una legge di giustizia. La cosa
cambia, però, quando le condizioni sono divenute troppo disuguali da paese a
paese: i prezzi che si formano «liberamente» sul mercato possono, allora,
condurre a risultati iniqui. Giova riconoscerlo: è il principio fondamentale
del liberalismo come regola degli scambi commerciali che viene
qui messo in causa.
59. Giustizia dei contratti a livello dei popoli.
L'insegnamento di Leone XIII
nella Rerum Novarum mantiene la sua validità: il
consenso delle parti, se esse versano in una situazione di eccessiva
disuguaglianza, non basta a garantire la giustizia del contratto, e la legge
del libero consenso rimane subordinata alle esigenze del diritto naturale. Ciò
che era vero rispetto al giusto salario individuale lo
è anche rispetto ai contratti internazionali: una economia di scambio non può
più poggiare esclusivamente sulla legge della libera concorrenza, anch'essa troppo
spesso generatrice di dittatura economica. La libertà degli scambi non è equa
se non subordinatamente alle esigenze della giustizia sociale.
60. Misure da prendere.
Del resto, i paesi
sottosviluppati l'hanno pur essi ben compreso, dal momento
che s'adoperano a ristabilire con delle misure adeguate, all'interno
delle rispettive economie, un equilibrio che la concorrenza abbandonata a se
stessa tende a compromettere. Per cui li vediamo spesso
sostenere la loro agricoltura mediante sacrifici imposti ai settori economici
più favoriti. Vediamo pure come, per sostenere le relazioni commerciali
che si sviluppano tra loro, particolarmente all'interno di un mercato comune,
la loro politica finanziaria, fiscale e sociale si sforzi
di ridare a delle industrie concorrenti, disugualmente
prospere, condizioni di ristabilita competitività.
61. Convenzioni internazionali.
Non è lecito usare in questo
campo due pesi e due misure. Ciò che vale nell'ambito
di una economia nazionale, ciò che è ammesso tra paesi
sviluppati, vale altresì nelle relazioni commerciali tra paesi ricchi e paesi
poveri. Non che si debba o voglia prospettare l'abolizione del mercato basato
sulla concorrenza: si vuol soltanto dire che occorre
però mantenerlo dentro limiti che lo rendano giusto e morale e dunque umano.
Nel commercio tra economie sviluppate e in via di sviluppo, le situazioni di
partenza sono troppo squilibrate e le libertà reali troppo inegualmente
distribuite. La giustizia sociale impone che il commercio internazionale, se ha
da essere cosa umana e morale, ristabilisca tra le
parti almeno una relativa eguaglianza di possibilità. Quest'ultima
non può essere che un traguardo a lungo termine. Ma
per raggiungerlo occorre fin d'ora creare una reale eguaglianza nelle
discussioni e nelle trattative. Anche questo è un
campo nel quale delle convenzioni internazionali a raggio sufficientemente
vasto sarebbero utili, in quanto capaci di introdurre norme generali in vista
di regolarizzare certi prezzi, di garantire certe produzioni, di sostenere
certe industrie nascenti. Ognuno vede come un siffatto sforzo comune verso una
maggiore giustizia nelle relazioni internazionali tra i popoli arrecherebbe ai
paesi in via di sviluppo un aiuto positivo, con
effetti non solo immediati, ma duraturi.
62. Ostacoli da superare: il nazionalismo....
Altri ostacoli ancora si
oppongono alla edificazione di un mondo più giusto e
più strutturato secondo una solidarietà universale: intendiamo parlare del
nazionalismo e del razzismo. É naturale che delle comunità da poco pervenute alla indipendenza politica siano gelose di una unità
nazionale ancora fragile, e si preoccupino di proteggerla. É
pure normale che nazioni di vecchia cultura siano fiere del patrimonio, che
hanno avuto in retaggio dalla loro storia. Ma
tali sentimenti legittimi devono essere sublimati dalla carità universale che
abbraccia tutti i membri della famiglia umana. Il nazionalismo isola i popoli
contro il loro vero bene; e risulterebbe
particolarmente dannoso là dove la fragilità delle economie nazionali esige
invece la messa in comune degli sforzi, delle conoscenze e dei mezzi
finanziari, onde realizzare i programmi di sviluppo e intensificare gli scambi
commerciali e culturali.
63. .... il razzismo.
Il razzismo non è appannaggio
esclusivo delle nazioni giovani, dove esso si dissimula talvolta sotto il velo
delle rivalità di clan e di partiti politici, con grande
pregiudizio della giustizia e mettendo a repentaglio la pace civile. Durante
l'era coloniale ha spesso imperversato tra coloni e indigeni, creando ostacoli a una feconda comprensione reciproca e provocando rancori
che sono la conseguenza di reali ingiustizie. Esso costituisce altresì un
ostacolo alla collaborazione tra nazioni sfavorite e un fenomeno generatore di
divisione e di odio nel seno stesso degli Stati,
quando in spregio dei diritti imprescrittibili della persona umana, individui e
famiglie si vedono ingiustamente sottoposti a un regime d'eccezione, a causa
della loro razza o del loro colore .
64. Verso un mondo solidale.
Una tale situazione così
gravida di minacce per l'avvenire, Ci affligge profondamente. Conserviamo
tuttavia la speranza che un bisogno più sentito di collaborazione, un
sentimento più acuto della solidarietà finiranno coll'avere la meglio sulle incomprensioni e sugli egoismi.
Speriamo che i paesi a meno elevato livello di sviluppo sappiano trar profitto da buoni rapporti di vicinanza coi paesi confinanti, allo scopo di organizzare tra di loro,
sopra aree territoriali più vaste, zone di sviluppo concertato: stabilendo
programmi comuni, coordinando gli investimenti, distribuendo le possibilità di
produzione, organizzando gli scambi. Speriamo anche che le organizzazioni
multilaterali e internazionali trovino, attraverso una necessaria riorganizzazione, le vie che permetteranno ai popoli tuttora
in via di sviluppo di uscire dal punto morto in cui paiono dibattersi come
prigionieri e di rinvenire da se stessi, nella fedeltà al genio di ciascuno, i
mezzi del loro progresso sociale e umano.
65. Tutti i popoli artefici del loro destino.
Perché è
proprio a questo che bisogna arrivare.
La solidarietà mondiale, sempre più efficiente, deve consentire a tutti i
popoli di divenire essi stessi gli artefici del loro destino. Il passato è
stato troppo spesso contrassegnato da rapporti di forza tra nazione e nazione: venga finalmente il giorno in cui le relazioni
internazionali portino il segno del rispetto vicendevole e dell'amicizia,
dell'interdipendenza nella collaborazione, e della promozione comune sotto la
responsabilità di ciascuno. I popoli più giovani e più deboli reclamano la
parte attiva che loro spetta nella costruzione d'un
mondo migliore, più rispettoso dei diritti e della vocazione di ciascuno. Il
loro appello è legittimo: a ognuno d'intenderlo e di
rispondervi.
66. Il mondo è
malato. Il suo male risiede meno nella dilapidazione delle risorse o nel loro
accaparramento da parte di alcuni, che nella mancanza di fraternità tra gli
uomini e tra i popoli.
67. Doveri connessi con l'ospitalità.
Noi non insisteremo mai
abbastanza sul dovere della accoglienza--dovere di
solidarietà umana e di carità cristiana che incombe sia alle famiglie, sia alle
organizzazioni culturali dei paesi ospitanti. Occorre, soprattutto per i
giovani, moltiplicare le famiglie e i luoghi atti ad accoglierli. Ciò innanzitutto allo scopo di proteggerli contro la solitudine,
il sentimento d'abbandono, la disperazione, che minano ogni capacità di risorsa
morale, ma anche per difenderli contro la situazione malsana in cui si trovano,
che li forza a paragonare l'estrema povertà della loro patria col lusso e lo
spreco donde sono spesso circondati. E ancora: per
salvaguardarli dal contagio delle dottrine eversive e dalle tentazioni
aggressive cui li espone il ricordo di tanta «miseria immeritata».
Infine soprattutto per dare a loro, insieme con il calore d'una
accoglienza fraterna, l'esempio d'una vita sana, il gusto della carità
cristiana autentica e fattiva, lo stimolo ad apprezzare i valori spirituali.
68. Dramma dei giovani studenti.
É doloroso il pensarlo:
numerosi giovani, venuti in paesi più progrediti per apprendervi la scienza, la
competenza e la cultura che li renderanno più atti a servire la loro patria, vi
acquistano certo una formazione di alta qualità, ma
finiscono in non rari casi col perdervi il senso dei valori spirituali che
spesso erano presenti, come un prezioso patrimonio, nelle civiltà che li
avevano visti crescere.
69. Lavoratori emigrati.
La stessa accoglienza è dovuta ai lavoratori emigrati che vivono in condizioni
spesso disumane, costretti a spremere il proprio salario per alleviare un po, le famiglie rimaste nella miseria sul suolo natale.
70. Senso sociale verso i paesi poveri.
Il loro stesso senso
dell'organizzazione dovrà ad essi suggerire il modo
migliore per valorizzare il lavoro indigeno, formare operai qualificati,
preparare ingegneri e dirigenti, lasciare spazio alla loro iniziativa,
introdurli progressivamente nei posti più elevati, preparandoli così a
condividere in un avvenire meno lontano, le responsabilità della direzione. Che la giustizia, almeno, regoli sempre le relazioni tra capi e
subordinati. Che esse siano rette da contratti
regolari, con obblighi reciproci. Infine, che nessuno,
qualunque sia la sua condizione, resti ingiustamente in balìa
dell'arbitrio.
71. Funzioni degli esperti in missione di sviluppo nei
paesi poveri.
Sempre più numerosi, e Ce ne
rallegriamo, sono gli esperti inviati in missione di sviluppo ad opera di istituzioni internazionali o bilaterali o di
organismi privati: «Essi non devono comportarsi da padroni, ma da assistenti e
da collaboratori». Una popolazione intuisce subito se l'aiuto che vengono a portare è dato con passione oppure no, se sono lì
semplicemente per applicare delle tecniche o non anche per dare all'uomo tutto
il suo valore. Il loro messaggio rischia di non essere accolto, se non è
accompagnato da uno spirito di amore fraterno.
72. Qualità degli esperti.
Alla competenza tecnica
indispensabile, bisogna dunque accoppiare i segni autentici d'un
amore disinteressato. Spogli d'ogni superbia nazionalistica come d'ogni parvenza di razzismo, gli esperti devono imparare a
lavorare in stretta collaborazione con tutti. Essi devono sapere che la loro
competenza non conferisce loro una superiorità in tutti i campi. La civiltà
nella quale si sono formati contiene indubbiamente degli elementi di umanesimo universale, ma non è né unica né esclusiva, e
non può essere importata senza adattamenti. I responsabili di queste missioni
devono preoccuparsi di scoprire, insieme con la sua storia, le caratteristiche
e le ricchezze culturali del paese che li accoglie. Si
stabilirà così un avvicinamento che risulterà fecondo
per ambedue le civiltà.
73. Dialoghi di civiltà.
Tra le civiltà, come tra le
persone, un dialogo sincero è di fatto creatore di fraternità. L'impresa dello
sviluppo ravvicinerà i popoli, nelle realizzazioni portate avanti con uno
sforzo comune, se tutti, a cominciare dai governi e dai loro rappresentanti, e
fino al più umile esperto, saranno animati da uno spirito di amore
fraterno e mossi dal desiderio sincero di costruire una civiltà fondata sulla
solidarietà mondiale. Un dialogo centrato sull'uomo, e non sui prodotti e sulle
tecniche, potrà allora aprirsi. Un dialogo che sarà fecondo, se arrecherà ai
popoli che ne fruiscono i mezzi di elevarsi e di raggiungere un più alto grado
di vita spirituale; se i tecnici sapranno farsi educatori e se l'insegnamento
trasmesso porterà il segno d'una qualità spirituale e morale così elevata da
garantire uno sviluppo che non sia soltanto economico, ma
umano. Passata la fase dell'assistenza, le relazioni in tal modo instaurate perdureranno, e non v'è chi non scorga di quale
importanza esse saranno per la pace del mondo.
74. Appello ai giovani.
Molti giovani hanno già
risposto con ardore e sollecitudine all'appello di Pio XII per un laicato
missionario. Numerosi sono anche quelli che si sono spontaneamente messi a
disposizione di organismi, ufficiali o privati, di
collaborazione con i popoli in via di sviluppo. Ci rallegriamo nell'apprendere
che in talune nazioni il «servizio militare» può essere scambiato in parte con
un «servizio civile», un «servizio puro e semplice», e
benediciamo tali iniziative e le buone volontà, che vi rispondono. Possano
tutti quelli che si richiamano a Cristo intendere il suo appello: «Ho avuto
fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi
avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito,
malato e mi avete visitato, prigioniero e siete venuti a trovarmi». Nessuno può
rimanere indifferente alla sorte dei suoi fratelli tuttora immersi nella
miseria, in preda all'ignoranza, vittime della insicurezza.
Come il Cuore di Cristo, il cuore del cristiano deve
muoversi a compassione di questa miseria: «Ho compassione di questa folla».
75. Preghiera e azione.
La preghiera di tutti deve salire con fervore verso l'Onnipotente, perché l'umanità, dopo
aver preso coscienza di così grandi mali, si dedichi con intelligenza e
fermezza ad abolirli. A questa preghiera deve corrispondere l'impegno risoluto
di ciascuno, nella misura delle sue forze e delle sue
possibilità, nella lotta contro il sottosviluppo. Possano le persone, i gruppi
sociali e le nazioni darsi fraternamente la mano, il forte aiutando il debole a
crescere, mettendo in questo tutta la sua competenza, il suo
entusiasmo e il suo amore disinteressato. Più che chiunque altro, colui ch'è animato da una vera carità è ingegnoso nello scoprire
le cause della miseria, nel trovare i mezzi per combatterla, nel vincerla
risolutamente. Operatore di pace, «egli percorrerà la sua strada, accendendo la
gioia e versando la luce la grazia nel cuore degli uomini su tutta la
superficie della terra, facendo loro scoprire, al di là di
tutte le frontiere, volti di fratelli, volti di amici».
LO SVILUPPO É IL NUOVO NOME DELLA PACE
76. Costruire la pace giorno per giorno.
Le disuguaglianze economiche,
sociali e culturali troppo grandi tra popolo e popolo
provocano tensioni e discordie, e mettono in pericolo la pace. Come dicevamo ai
Padri Conciliari al ritorno dal Nostro viaggio di pace all'ONU: «La condizione
delle popolazioni in via di sviluppo deve formare l'oggetto della nostra
considerazione, diciamo meglio, la nostra carità per i
poveri che si trovano nel mondo--e sono legione infinita--deve divenire più
attenta, più attiva, più generosa». Combattere la miseria e lottare contro
l'ingiustizia è promuovere, insieme con il miglioramento delle condizioni di
vita, il progresso umano e spirituale di tutti, e dunque il bene comune
dell'umanità. La pace non si riduce a un'assenza di
guerra, frutto dell'equilibrio sempre precario delle forze. Essa si costruisce
giorno per giorno, nel perseguimento di un ordine
voluto da Dio, che comporta una giustizia più perfetta tra gli uomini.
77. Uscire dall'isolamento.
Artefici del loro proprio
sviluppo, i popoli ne sono i primi responsabili. Ma
non potranno realizzarlo nell'isolamento. Accordi regionali tra popoli deboli
per sostenersi vicendevolmente, intese più ampie per venir loro in aiuto,
convenzioni più ambiziose tra gli uni e gli altri volte
a stabilire programmi concertati: sono le tappe di questo cammino dello
sviluppo che conduce alla pace.
78. Verso un'autorità mondiale efficace.
Questa collaborazione
internazionale a vocazione mondiale postula delle istituzioni che la preparino, la coordinino e la reggano, fino a costituire un
ordine giuridico universalmente riconosciuto. Di tutto cuore Noi incoraggiamo
le organizzazioni che hanno preso in mano questa collaborazione allo sviluppo,
e auspichiamo che la loro autorità s'accresca. «La
vostra vocazione --dicevamo ai rappresentanti delle
Nazioni Unite a New York --è di far fraternizzare, non già alcuni popoli, ma
tutti i popoli... Chi non vede la necessità di arrivare in tal modo
progressivamente a instaurare una autorità mondiale in grado d'agire
efficacemente sul piano giuridico e politico?».
79. Fondate speranze in un mondo migliore.
Certuni giudicheranno
utopistiche siffatte speranze. Potrebbe darsi che il loro realismo pecchi per
difetto, e ch'essi non abbiano percepito il dinamismo
d'un mondo che vuol vivere più fraternamente, e che, malgrado le sue ignoranze,
i suoi errori, e anche i suoi peccati, le sue ricadute nella barbarie e le sue
lunghe divagazioni fuori della via della salvezza, si avvicina lentamente,
anche senza rendersene conto, al suo Creatore. Questo cammino verso una
crescita di umanità richiede sforzo e sacrificio: ma
la stessa sofferenza, accettata per amore dei fratelli è portatrice di
progresso per tutta la famiglia umana. I cristiani sanno che l'unione al
sacrificio del Salvatore contribuisce all'edificazione del Corpo di Cristo nella sua pienezza: il Popolo di Dio coadunato.
80. Tutti solidali.
In questo cammino siamo tutti
solidali. A tutti perciò abbiamo voluto ricordare la vastità del dramma e
l'urgenza dell'opera da compiere. L'ora dell'azione è già sonata: la
sopravvivenza di tanti bambini innocenti, l'accesso a
una condizione umana di tante famiglie sventurate, la pace del mondo,
l'avvenire della civiltà sono in giuoco. A tutti gli uomini e
a tutti i popoli di assumersi le loro responsabilità.
81. Ai cattolici.
Noi scongiuriamo per primi
tutti i Nostri figli. Nei paesi in via di sviluppo non meno che altrove, i
laici devono assumere come loro compito specifico il rinnovamento dell'ordine
temporale. Se l'ufficio della Gerarchia è quello di insegnare
e interpretare in modo autentico i principi morali da seguire in questo campo,
spetta a loro, attraverso la loro libera iniziativa e senza attendere
passivamente consegne o direttive, di penetrare di spirito cristiano la
mentalità e i costumi, le leggi e le strutture della loro comunità di vita.
Sono necessari dei cambiamenti, indispensabili delle riforme profonde: essi
devono impegnarsi risolutamente a infonder loro il
soffio dello spirito evangelico. Ai Nostri figli cattolici appartenenti ai paesi
più favoriti Noi domandiamo l'apporto della loro competenza e della loro attiva partecipazione alle organizzazioni ufficiali o
private, civili o religiose, che si dedicano a vincere le difficoltà delle
nazioni in via di sviluppo. Essi avranno senza alcun dubbio
a cuore di essere in prima linea tra coloro che lavorano a tradurre nei fatti
una morale internazionale di giustizia e di equità.
82. Ai cristiani credenti.
Tutti i cristiani, nostri fratelli, vorranno, non ne dubitiamo, ampliare il
loro sforzo comune e concertato allo scopo di aiutare il mondo a trionfare
dell'egoismo, dell'orgoglio e della rivalità, a superare le ambizioni e le
ingiustizie, ad aprire a tutte le vie di una vita più umana, in cui ciascuno
sia amato e aiutato come il prossimo del suo fratello. E, ancora commossi al
ricordo dell'indimenticabile incontro di Bombay con i nostri fratelli non
cristiani, di nuovo Noi li invitiamo a operare con
tutto il loro cuore e la loro intelligenza, affinché tutti i figli degli uomini
possano condurre una vita degna dei figli di Dio.
83. Agli uomini di buona volontà.
Infine, Ci volgiamo verso tutti gli uomini di buona volontà consapevoli
che il cammino della pace passa attraverso lo sviluppo. Delegati presso le
istituzioni internazionali, uomini di Stato, pubblicisti, educatori, tutti,
ciascuno al vostro posto, voi siete i costruttori di un mondo nuovo.
Supplichiamo Dio Onnipotente di illuminare la vostra intelligenza e di
fortificare il vostro coraggio nel risvegliare
l'opinione pubblica e trascinare i popoli. Educatori, tocca
a voi di suscitare sino dall'infanzia l'amore per i popoli in preda
all'abbandono. Pubblicisti, vostro è il compito di
mettere sotto i nostri occhi gli sforzi compiuti per promuovere il reciproco
aiuto tra i popoli, così come lo spettacolo delle miserie che gli uomini hanno
tendenza a dimenticare per tranquillizzare la loro coscienza: che i ricchi
sappiano almeno che i poveri sono alla loro porta e fanno la posta agli avanzi
dei loro festini.
84. Agli uomini di Stato.
Uomini di Stato, su voi
incombe l'obbligo di mobilitare le vostre comunità ai fini di una solidarietà
mondiale più efficace e anzitutto di far loro accettare i necessari
prelevamenti sul loro lusso e i loro sprechi per promuovere
lo sviluppo e salvare la pace. Delegati presso le organizzazioni
internazionali, da voi dipende che il pericoloso e sterile fronteggiarsi delle
forze ceda il posto alla collaborazione amichevole,
pacifica e disinteressata per uno sviluppo solidale dell'umanità: un'umanità
nella quale sia dato a tutti gli uomini di raggiungere la loro piena fioritura.
85. Agli uomini di pensiero.
E se è vero che il mondo
soffre per mancanza di pensiero, Noi convochiamo gli uomini di riflessione e di
pensiero, cattolici, cristiani, quelli che onorano Dio, che sono
assetati di assoluto, di giustizia e di verità: tutti gli uomini di buona
volontà. Sull'esempio di Cristo, Noi osiamo pregarvi pressantemente: «Cercate e
troverete», aprite le vie che conducono, attraverso l'aiuto vicendevole,
l'approfondimento del sapere, l'allargamento del cuore, a
una vita più fraterna in una comunità umana veramente universale.
86. Tutti all'opera.
Voi tutti che avete inteso
l'appello dei popoli sofferenti, voi tutti che lavorate per rispondervi, voi
siete gli apostoli del buono e vero sviluppo, che non è la ricchezza egoista e
amata per se stessa, ma l'economia al servizio dell'uomo, il pane quotidiano,
distribuito a tutti quale sorgente di fraternità è segno della Provvidenza.
87. Benedizione.
Di gran cuore vi benediciamo,
e chiamiamo tutti gli uomini di buona volontà ad unirsi fraternamente a voi. Perché, se lo sviluppo è il nuovo nome della pace, chi non
vorrebbe cooperarvi con tutte le sue forze?
Sì, tutti: Noi vi invitiamo a rispondere al Nostro grido di angoscia, nel
Nome del Signore.
l temi principali del documento.
La rivoluzione evangelica dell'amore.
Documento profetico.
INTRODUZIONE
1.
2. Insegnamento sociale dei Papi.
3. Il fatto maggiore: la dimensione mondiale del
problema.
4. Nei viaggi del Papa verificate le gravi difficoltà dei
popoli
poveri.
5.
parte prima
PER UNO SVILUPPO INTEGRALE DELL'UOMO
I - I DATI DEL PROBLEMA
6. Aspirazioni degli uomini di oggi.
7. Colonialismo: misfatti e meriti.
8. Squilibrio crescente tra popoli
ricchi e popoli poveri.
9. Presa di coscienza delle
classi diseredate.
10. Urti di civiltà.
11. Tentazioni di messianismi carichi
di illusioni.
II -
13. Rapporti tra Chiesa e mondo.
14. Visione cristiana dello sviluppo.
15. Vocazione e crescita.
16. Dovere di una crescita umana personale.
17. Dovere di crescita comunitaria.
18. Scala dei valori.
19. Crescita ambivalente.
20. Verso una condizione più umana.
III - L' OPERA DA COMPIERE
22. La destinazione universale dei beni.
23. La proprietà: suo giusto uso.
26. Rinnovata condanna di un capitalismo senza alcun
freno.
27. Dignità del lavoro.
28. Ambivalenza del lavoro.
30. Tentazione della violenza.
31. La rivoluzione, fonte di nuove ingiustizie.
32. Lo sviluppo attuale esige delle riforme urgenti.
33. Necessità di programmi e pianificazione globali.
34. I programmi debbono essere a
servizio dell'uomo.
36. Ancora oggi la famiglia ha un ruolo fondamentale.
37. Sviluppare una procreazione responsabile.
38. Compiti delle organizzazioni professionali.
39. Utile un pluralismo di organizzazioni
sindacali.
40. Salvaguardare le tradizioni culturali di ogni paese.
41. Tentazione materialista.
42. Conclusione: verso un umanesimo plenario.
parte seconda
VERSO LO SVILUPPO SOLIDALE DELL' UMANITÀ
43. Realizzare una vera comunità di popoli.
44. Fraternità dei popoli.
L'ASSISTENZA AI DEBOLI
45. Lotta contro la fame....
46. ....oggi.
47. .....domani.
48. Dovere di solidarietà tra i popoli.
49. Il superfluo dei paesi ricchi a
quelli poveri.
50. Necessità di programmare seriamente gli aiuti.
51. Necessità di un fondo mondiale per
combattere la miseria.
52. I vantaggi di questo fondo mondiale.....
53. .... la sua urgenza.
54. Indicazioni concrete per la costruzione di un mondo
più
umano.
55. É in gioco la vita stessa e la pace
civile dei popoli poveri.
L'EQUITÀ NELLE RELAZIONI COMMERCIALI
57. Crescente divario di prezzi tra materie prime e
prodotti finiti.
58. Il solo principio del «libero scambio» commerciale dà
risultati iniqui.
59. Giustizia dei contratti a livello dei popoli.
60. Misure da prendere.
61. Convenzioni internazionali.
62. Ostacoli da superare: il nazionalismo....
63. .... il razzismo.
64. Verso un mondo solidale.
65. Tutti i popoli artefici del loro
destino.
67. Doveri connessi con l'ospitalità.
68. Dramma dei giovani studenti.
69. Lavoratori emigrati.
70. Senso sociale verso i paesi poveri.
71. Funzioni degli esperti in missione di sviluppo nei
paesi poveri.
72. Qualità degli esperti.
73. Dialoghi di civiltà.
74. Appello ai giovani.
75. Preghiera e azione.
LO SVILUPPO É IL NUOVO NOME DELLA PACE
76. Costruire la pace giorno per giorno.
77. Uscire dall'isolamento.
78. Verso un'autorità mondiale efficace.
79. Fondate speranze in un mondo migliore.
80. Tutti solidali.
APPELLO FINALE
81. Ai cattolici.
82. Ai cristiani credenti.
83. Agli uomini di buona volontà.
84. Agli uomini di Stato.
85. Agli uomini di pensiero.
86. Tutti all'opera.
87. Benedizione.
Concluso il Concilio l'8 dicembre 1965,
Paolo VI (Giovanni Battista Montini, cardinale
arcivescovo di Milano, eletto papa il 21.6.1963), che nei precedenti due anni e
mezzo del suo pontificato era già intervenuto più volte con discorsi e lettere,
proseguì con un magistero che anche in materia sociale mirava a continuare,
applicare e aggiornare l'insegnamento del Concilio Vaticano II, come questo
aveva chiesto, data la rapida trasformazione della società che fa nascere nuovi
problemi e richiede opportuni adeguamenti nella dottrina e nell'azione. Così il
26 marzo 1967 egli emanò l'enciclica Populorum progressio, che, come dice il
titolo, era dedicata allo sviluppo dei popoli sul piano economico e culturale,
considerato alla luce dei postulati cristiani di un «umanesimo plenario», nel
quale vengano collocati al primo posto i valori spirituali.