"MIT BRENNENDER SORGE"
"CON VIVA ANSIA"
LETTERA ENCICLICA AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI
PRIMATI ARCIVESCOVI VESCOVI E AGLI ALTRI ORDINARI AVENTI CON L'APOSTOLICA SEDE
PACE E COMUNIONE.
"Sulla
situazione della Chiesa nel Reich germanico".
PIO
PP. XI
VENERABILI
FRATELLI
SALUTE
E APOSTOLICA BENEDIZIONE
Introduzione.
Con
viva ansia e con stupore sempre crescente veniamo
osservando da lungo tempo la via dolorosa della Chiesa e il progressivo acuirsi
dell'oppressione dei fedeli ad essa rimasti devoti nello spirito e nell'opera;
e tutto ciò in quella terra e in mezzo a quel popolo, a cui San Bonifacio portò un giorno il luminoso e lieto messaggio di
Cristo e del Regno di Dio.
Tale
Nostra ansia non è stata alleviata dalle relazioni che i Reverendissimi Rappresentanti
dell'Episcopato, conforme al loro dovere, Ci fecero
secondo verità, visitandoCi durante
I.
Quando
Noi, Venerabili Fratelli, nell'estate del
Nonostante
molte e gravi preoccupazioni, pervenimmo, allora, non
senza sforzo, alla determinazione di non negare il Nostro consenso. Volevamo
risparmiare ai Nostri fedeli, ai Nostri figli e alle Nostre figlie della Germania, secondo le umane possibilità, le tensioni e
le tribolazioni che in caso contrario si sarebbero dovute con certezza
aspettare, date le condizioni dei tempi. E volevamo
dimostrare col fatto a tutti che Noi, cercando solo Cristo e ciò che appartiene
a Cristo, non rifiutiamo ad alcuno, se egli stesso non la respinge, la mano
pacifica della Madre Chiesa.
Se
l'albero di pace da Noi piantato in terra tedesca con puro intento, non ha
prodotto i frutti da Noi bramati nell'interesse del vostro popolo, non ci sarà
alcuno nel mondo intero, che abbia occhi per vedere e orecchie per sentire, il
quale potrà dire ancor oggi la colpa essere della
Chiesa e del suo Capo Supremo. L'esperienza degli anni trascorsi mette in luce
le responsabilità e svela macchinazioni, che già dal principio non si proposero
altro se non una lotta fino all'annientamento. Nei solchi, in cui Ci eravamo sforzati di gettare la semenza della vera pace,
altri sparsero - come l'"inimicus homo"
della Sacra Scrittura (Matth. XIII, 25) - la zizzania
della sfiducia, della discordia, dell'odio, della diffamazione, di
un'avversione profonda, occulta e palese, contro Cristo e la sua Chiesa,
scatenando una lotta che si alimentò a mille fonti diverse e si servì di tutti
i mezzi. Su di essi e solamente su di essi e sui loro
protettori, occulti o palesi, ricade la responsabilità, se sull'orizzonte della
Germania appare non l'arcobaleno della pace, ma il nembo minaccioso delle dissolvitrici lotte religiose.
Venerabili
Fratelli, Noi non Ci siamo stancati di far presente ai reggitori, responsabili
delle sorti della vostra Nazione, le conseguenze che sarebbero necessariamente
derivate dalla tolleranza, o peggio ancora dal favoreggiamento di quelle
correnti. Abbiamo fatto di tutto per difendere la santità della parola
solennemente data, la inviolabilità degli obblighi
volontariamente contratti, contro teorie e pratiche, le quali, se ufficialmente
ammesse, avrebbero dovuto spegnere ogni fiducia e svalutare intrinsecamente
ogni parola data anche per l'avvenire. Se verrà il
momento di esporre agli occhi del mondo questi Nostri sforzi, tutti i ben
pensanti sapranno dove son da cercarsi i tutori della
pace e dove i suoi perturbatori. Chiunque abbia conservato nel suo animo un
residuo di amore per la verità, e nel suo cuore anche
un'ombra del senso di giustizia, dovrà ammettere che negli anni difficili e
gravi di vicende susseguitisi al Concordato, ciascuna delle Nostre parole e
delle Nostre azioni ebbe per norma la fedeltà agli accordi sanciti. Ma dovrà
anche riconoscere, con stupore e con intima ripulsa, come dall'altra parte si sia eretto a norma ordinaria lo svisare arbitrariamente i
patti, l'eluderli, lo svuotarli e finalmente il violarli più o meno
apertamente.
La
moderazione da Noi finora mostrata, nonostante tutto ciò, non Ci è stata suggerita da calcoli di interessi terreni né
tanto meno da debolezza, ma semplicemente dalla volontà di non strappare,
insieme con la zizzania, anche qualche buona pianta; dalla decisione di non
pronunziare pubblicamente un giudizio, prima che gli animi fossero maturi per
riconoscerne l'ineluttabilità; dalla determinazione di non negare
definitivamente la fedeltà di altri alla parola data, prima che il duro
linguaggio della realtà avesse strappato i veli con i quali si è saputo e si
cerca anche adesso di mascherare, secondo un piano prestabilito, l'attacco
contro
Seguendo
le preghiere dei Reverendissimi Membri dell'Episcopato non Ci stancheremo anche
nel futuro di difendere il diritto leso presso i reggitori del vostro popolo,
incuranti del successo o dell'insuccesso del momento, ubbidienti solo alla
Nostra coscienza e al Nostro Ministero pastorale, e non cesseremo di opporCi ad una mentalità, che
cerca, con aperta o occulta violenza, di soffocare il diritto, autenticato da
documenti.
Lo
scopo però della presente Lettera, o Venerabili Fratelli, è un altro. Come voi
Ci avete visitato amabilmente durante
II.
E
anzitutto, Venerabili Fratelli, abbiate cura che la fede in Dio, primo e
insostituibile fondamento di ogni religione, rimanga
pura e integra nelle regioni tedesche. Non si può considerare come credente in
Dio colui che usa il nome di Dio retoricamente,
ma solo colui che unisce a questa venerata parola una vera e degna nozione di
Dio.
Chi,
con indeterminatezza panteistica, identifica Dio con l'universo,
materializzando Dio nel mondo e deificando il mondo in
Dio, non appartiene ai veri credenti.
Né è tale chi,
seguendo una sedicente concezione precristiana
dell'antico germanismo, pone in luogo del Dio personale il fato tetro e
impersonale, rinnegando la sapienza divina e la sua provvidenza, la quale
"con forza e dolcezza domina da un'estremità all'altra del mondo" (Sap. VIII, 1), e tutto dirige a buon fine. Un simile uomo
non può pretendere di essere annoverato fra i veri credenti.
Se la
razza o il popolo, se lo Stato o una sua determinata forma, se i rappresentanti
del potere statale o altri elementi fondamentali della società umana hanno
nell'ordine naturale un posto essenziale e degno di rispetto; chi peraltro li
distacca da questa scala di valori terreni, elevandoli a suprema norma di
tutto, anche dei valori religiosi, e divinizzandoli con culto idolatrico perverte e falsifica l'ordine da Dio creato e
imposto, è lontano dalla vera fede in Dio e da una concezione della vita ad essa conforme.
Rivolgete,
o Venerabili Fratelli, l'attenzione all'abuso crescente, che si manifesta in
parole e per iscritto, di adoperare il tre volte santo
nome di Dio quale etichetta vuota di senso per un prodotto più o meno
arbitrario di ricerca o aspirazione umana, e adoperatevi affinché tale aberrazione
incontri tra i vostri fedeli la vigile ripulsa che merita. Il nostro Dio è il
Dio personale, trascendente, onnipotente, infinitamente perfetto, Uno nella
Trinità delle Persone e Trino nell'Unità della Essenza
Divina, Creatore dell'universo, Signore, Re e ultimo fine della storia del
mondo, il quale non ammette né può ammettere altre divinità accanto a Sé.
Questo
Dio ha dato i Suoi comandamenti in maniera sovrana: comandamenti
indipendenti da tempo e spazio, da regione e razza. Come il sole di Dio splende indistintamente su tutto il genere umano, così
Solamente
spiriti superficiali possono cadere nell'errore di parlare di un Dio nazionale,
di una religione nazionale, e intraprendere il folle
tentativo di imprigionare nei limiti di un solo popolo, nella ristrettezza
etnica di una sola razza, Dio, Creatore del mondo, Re e Legislatore dei popoli,
davanti alla grandezza del quale le nazioni sono piccole come gocce in un
catino d'acqua (Is. XL, 15).
I
Vescovi della Chiesa di Cristo "preposti a quelle cose che riguardano
Dio" (Hebr. V, 1) devono vigilare perché non si
affermino tra i fedeli tali perniciosi errori, ai quali sogliono tener dietro
pratiche ancora più perniciose. Spetta al loro sacro ministero far tutto il
possibile, affinché i comandamenti di Dio siano considerati e praticati quali
obbligazioni inconcusse di una vita morale e ordinata, sia privata sia
pubblica; i diritti della Maestà Divina, il nome e la parola di Dio non vengano profanati (Tit. II, 5); le
bestemmie contro Dio in parole, scritti e immagini, numerose talvolta come la
rena del mare, vengano ridotte al silenzio, e di fronte allo spirito caparbio e
insidioso di coloro che negano, oltraggiano e odiano Dio, non si illanguidisca
mai la preghiera espiatrice dei fedeli, la quale sale
ad ogni ora come incenso all'Altissimo, trattenendone la mano punitrice.
Noi
ringraziamo, Venerabili Fratelli, voi, i vostri sacerdoti e tutti i fedeli che,
nella difesa dei diritti della Divina Maestà contro un provocante neopaganesimo,
appoggiato purtroppo spesso da personalità influenti, avete
adempiuto e adempite il vostro dovere di cristiani. Questo ringraziamento è
particolarmente intimo e unito ad una riconoscente ammirazione per coloro i quali nel compimento di questo loro dovere si sono resi
degni di sopportare per la causa di Dio sacrifici e dolori.
III.
La
fede di Dio non si manterrà a lungo andare pura e
incontaminata, se non si appoggerà nella fede in Gesù,
Cristo. "Nessuno conosce il Figlio se non il Padre e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui a cui il Figlio lo vuole
rivelare" (Matth. II, 27). "Questa è la
vita eterna che essi riconoscano, Te, unico vero Dio, e colui
che hai mandato, Gesù Cristo" (Ioan. XVII, 3). A nessuno dunque è lecito dire: io credo in
Dio e ciò è sufficiente per la mia religione. La parola del Salvatore non
lascia posto a scappatoie di simil genere: "Chi
rinnega il Figlio non ha neanche il Padre; chi riconosce il Figlio ha anche il
Padre" (Ioan. II, 23).
In Gesù Cristo, incarnato Figlio di Dio, è apparsa la pienezza
della Rivelazione divina. "In varie maniere e in diverse forme Dio un
giorno parlò ai padri per mezzo dei profeti. Nella pienezza dei tempi ha
parlato a noi per mezzo del Figlio" (Hebr. I, 1 e segg.). I Libri Santi dell'Antico Testamento sono
tutti parole di Dio, parte organica della Sua Rivelazione. Conforme allo
sviluppo graduale della Rivelazione, su di essi si
posa il crepuscolo del tempo che doveva preparare il pieno meriggio della
Redenzione. In alcune parti si narra dell'imperfezione umana, della sua
debolezza e del peccato, come non può accadere diversamente, quando si tratta
di libri di storia e di legislazione. Oltre a
innumerevoli cose alte e nobili, essi parlano della tendenza superficiale e
materiale, che appariva a varie riprese nel popolo dell'antico patto,
depositario della Rivelazione e delle promesse di Dio. Ma
per ogni occhio, non accecato dal pregiudizio o dalla passione, risplende
ancora più luminosamente, nonostante la debolezza umana di cui parla la storia
biblica, la luce divina del cammino della salvezza, che trionfa alla fine su
tutte le debolezze e i peccati.
E proprio su
questo sfondo, spesso cupo, la pedagogia della salute eterna si allarga in
prospettive, le quali nello stesso tempo dirigono, ammoniscono, scuotono,
sollevano e rendono felici. Solo cecità e caparbietà
possono far chiudere gli occhi davanti ai tesori di salutari insegnamenti,
nascosti nell'Antico Testamento. Chi quindi vuole banditi
dalla Chiesa e dalla scuola la storia biblica e i saggi insegnamenti
dell'Antico Testamento, bestemmia la parola di Dio, bestemmia il piano della
salute dell'Onnipotente ed erige a giudice dei piani divini un angusto e
ristretto pensiero umano. Egli rinnega la fede in Gesù
Cristo, apparso nella realtà della Sua carne, il quale prese natura umana da un
popolo, che doveva poi configgerlo in croce. Non comprende nulla del dramma
mondiale del Figlio di Dio, il quale oppose al
misfatto dei Suoi crocifissori, qual sommo sacerdote,
l'azione divina della morte redentrice e fece così trovare all'Antico
Testamento il suo compimento, la sua fine e la sua sublimazione nel Nuovo
Testamento.
La
rivelazione culminata nell'Evangelo di Gesù Cristo è
definitiva e obbligatoria per sempre, non ammette appendici di
origine umana e, ancora meno, succedanei o sostituzioni di
"rivelazioni" arbitrarie, che alcuni banditori moderni vorrebbero far
derivare dal così detto mito del sangue e della razza. Da quando Cristo,l'Unto del Signore, ha compiuto l'opera di Redenzione,
infrangendo il dominio del peccato e meritandoci la grazia di diventare figli
di Dio, da allora non è stato dato agli uomini alcun altro nome sotto il cielo,
per diventare beati, se non il nome di Gesù (Act. IV, 12). Anche se un uomo
identifichi in sé ogni sapere, ogni potere e tutta la possanza materiale della
terra, non può gettare fondamento diverso, da quello che Cristo ha gettato (I
Cor. III, 11). Colui quindi che con sacrilego disconoscimento della diversità
essenziale tra Dio e la creatura, tra l'Uomo-Dio e il semplice uomo, osasse
porre accanto a Cristo e ancora peggio, sopra di Lui o contro di Lui, un
semplice mortale, fosse anche il più grande di tutti i tempi, sappia che è un
profeta di chimere, al quale si applica spaventosamente la parola della
Scrittura: "Colui che abita nel Cielo, ride di
loro" (Psal. II, 4).
IV.
La
fede in Gesù Cristo non resterà pura e incontaminata
se non sarà sostenuta e difesa dalla fede nella Chiesa, colonna e fondamento
della verità (I Tim. III, 15). Cristo stesso, Dio
benedetto in eterno, ha innalzato questa colonna della fede; il Suo
comandamento di ascoltare
La
divina missione, che
Ogni
riforma genuina e duratura ha avuto propriamente origine dal santuario, da
uomini infiammati e mossi dall'amore di Dio e del prossimo; i quali per la loro
grande generosità nel rispondere ad ogni appello di
Dio e nel metterlo in pratica anzitutto in se stessi, cresciuti in umiltà e con
la sicurezza di chi è chiamato da Dio, hanno illuminato e rinnovato i loro
tempi. Dove lo zelo di riforma non scaturì dalla pura sorgente dell'integrità
personale, ma fu effetto dell'esplosione di impulsi
passionali, invece di illuminare ottenebrò, invece di costruire distrusse, e fu
sovente punto di partenza di errori ancora più funesti dei danni, ai quali si
volle o si pretese portare rimedio. Certamente lo spirito di Dio spira dove
vuole (Ioan. III, 8), dalle pietre può suscitare gli
esecutori della Sua volontà secondo i Suoi piani, non
secondo quelli degli uomini. Ma Egli, che ha fondato
Nelle
vostre contrade, Venerabili Fratelli, si elevano voci in coro sempre più forte,
che incitano ad uscire dalla Chiesa, e sorgono banditori, i quali per la loro
posizione ufficiale cercano di risvegliare l'impressione che tale distacco
dalla Chiesa, e conseguentemente l'infedeltà verso Cristo Re, sia una
testimonianza particolarmente persuasiva e meritoria della loro fedeltà al
regime presente. Con pressioni occulte e palesi, con intimidazioni, con
prospettive di vantaggi economici, professionali, civili o d'altra specie,
l'attaccamento alla fede dei Cattolici e specialmente di alcune
classi di funzionari cattolici viene sottoposto ad una violenza tanto illegale
quanto inumana. Con commozione paterna Noi sentiamo e soffriamo profondamente
con coloro che hanno pagato a sì caro prezzo il loro
attaccamento a Cristo e alla Chiesa; ma si è ormai giunti a un tal punto, che è
in giuoco il fine ultimo e più alto, la salvezza o la perdizione, e quindi
unico cammino di salute per il credente resta la via di un generoso eroismo.
Quando il tentatore o l'oppressore gli si accosterà con le traditrici
istigazioni a uscire dalla Chiesa, allora egli non
potrà che contrapporgli, anche a prezzo dei più gravi sacrifici terreni, la
parola del Salvatore: "Allontanati da me, o Satana, perché sta scritto:
adorerai il Signore Dio tuo e a Lui solo servirai" (Matth.
IV, 10; Luc. IV, 8). Alla Chiesa invece rivolgerà
queste parole: O tu, che sei madre mia fin dai giorni
della prima fanciullezza, mio conforto in vita, mia avvocata in morte, si
attacchi la lingua al mio palato, se io, cedendo a terrene lusinghe o minacce,
dovessi tradire il mio voto battesimale. A coloro poi, i quali si lusingassero
di potere conciliare con l'esterno abbandono della Chiesa la fedeltà interiore
ad essa, sia di monito severo la parola del Salvatore:
"Chi mi rinnega davanti agli uomini, lo rinnegherò davanti al Padre mio,
che è nei Cieli" (Luc. XII, 9).
V.
La
fede nella Chiesa non si manterrà pura e incontaminata, se non sarà appoggiata
nella fede al Primato del Vescovo di Roma. Nello stesso
momento in cui Pietro, prevenendo gli altri Apostoli, professò la sua fede in
Cristo, figlio del Dio vivente, l'annunzio della fondazione della Sua Chiesa,
dell'unica Chiesa, su Pietro, la roccia (Matth.
XVI, 18), fu la risposta di Cristo, che lo ricompensò della sua fede e di averla professata. La fede in Cristo, nella Chiesa o nel
Primato stanno perciò in un sacro legame di interdipendenza.
Un'autorità genuina e legale è dappertutto un vincolo di unità
e una sorgente di forza, un presidio contro lo sfaldamento e la disgregazione,
una garanzia dell'avvenire. E ciò si verifica nel
senso più alto e nobile, dove, come nel caso della Chiesa, a tale autorità
venne promessa l'assistenza soprannaturale dello Spirito Santo e il suo
appoggio invincibile. Se persone, che non sono neanche unite nella fede in
Cristo, vi adescano e vi lusingano con il fantasma di una "chiesa tedesca
nazionale", sappiate ciò non essere altro se non
un rinnegamento dell'unica Chiesa di Cristo, un'apostasia manifesta dal mandato
di Cristo di evangelizzare tutto il mondo, che solo una Chiesa universale può
attuare. Lo sviluppo storico di altre Chiese
nazionali, il loro irrigidimento spirituale, il loro soffocamento e
asservimento da parte dei poteri laici mostrano la desolante sterilità, che
colpisce con ineluttabile sicurezza il tralcio separatosi dal ceppo vitale
della Chiesa. Colui che a questi erronei sviluppi fin
da principio oppone il suo vigile e irremovibile no, rende un servizio non solo
alla purezza della sua fede, ma anche alla sanità e forza vitale del suo
popolo.
VI.
Venerabili
Fratelli, abbiate un occhio particolarmente vigile, quando nozioni religiose vengono svuotate del loro contenuto genuino e applicate a
significati profani.
Rivelazione,
in senso cristiano, significa la parola di Dio agli uomini. Usare questo stesso
termine per suggestioni provenienti dal sangue e dalla razza, per le
irradiazioni della storia di un popolo è, in ogni caso, causare
disorientamento. Tali false monete non meritano di passare nel tesoro
linguistico di un fedele cristiano.
La
fede consiste nel tener per vero ciò che Dio ha rivelato e mediante
L'immortalità
in senso cristiano è la sopravvivenza dell'uomo dopo la morte terrena, come
individuo personale, per l'eterna ricompensa o per l'eterno
castigo. Chi con la parola immortalità non vuole indicare altro che una
sopravvivenza collettiva nella continuità del proprio popolo, per un avvenire di indeterminata durata in questo mondo, perverte e
falsifica una delle verità fondamentali della fede cristiana, e scuote le
fondamenta di qualsiasi concezione religiosa, la quale richiede un ordinamento
morale universale. Chi non vuole essere cristiano dovrebbe almeno rinunziare a
volere arricchire il lessico della sua miscredenza con il patrimonio
linguistico cristiano.
Il
peccato originale è la colpa ereditaria, propria, sebbene non personale, di
ciascuno dei figli di Adamo, che in lui hanno peccato
(Rom. V, 12): perdita della grazia e, conseguentemente, della vita eterna, con
la concupiscenza che ciascuno deve soffocare e domare per mezzo della grazia,
della penitenza, della lotta e dello sforzo morale. La passione e la morte del
Figlio di Dio hanno redento il mondo dal maledetto retaggio del peccato e della
morte. La fede in queste verità, fatte oggi bersaglio del basso scherno dei
nemici di Cristo nella vostra patria, appartiene
all'inalienabile deposito della Religione cristiana.
L'umiltà
nello spirito del Vangelo e l'implorazione dell'aiuto di Dio si accordano bene
con la propria dignità, con la fiducia in sé e coll'eroismo.
Grazia,
in senso largo, può chiamarsi ciò che proviene alla creatura dal Creatore. La
grazia, nel senso propriamente cristiano della parola, comprende però le
gratificazioni soprannaturali dell'amore divino, la degnazione e l'opera per
mezzo della quale Dio eleva l'uomo a quell'intima comunione della Sua vita, che il Nuovo
Testamento chiama figliolanza di Dio: "Vedete quale grande amore il Padre
ci ha mostrato: noi ci chiamiamo figliuoli di Dio, e siamo realmente tali"
(I Ioan. III, 1). Il ripudio di questa
elevazione soprannaturale alla grazia a causa di una pretesa peculiarità
del carattere tedesco è un errore, un'aperta dichiarazione di guerra ad una
verità fondamentale del Cristianesimo. L'equiparare la grazia soprannaturale
con i doni della natura, significa violentare il linguaggio creato e
santificato dalla Religione. I pastori e i custodi del popolo di Dio faranno
bene a opporsi a questo furto sacrilego e a questo
lavorio di traviamento degli spiriti.
VII.
Sulla
genuina e pura fede in Dio si fonda la moralità del genere umano. Tutti i
tentativi di staccare la dottrina dell'ordine morale dalla base granitica della
fede, per costruirla sulla sabbia mobile di norme umane, portano, tosto o
tardi, individui e nazioni al decadimento morale. Lo stolto
che dice nel suo cuore: "Non c'è Dio", si avvierà alla corruzione
morale (Psal. XIII, 1, segg.). E questi stolti, che presumono di separare la morale dalla
Religione, sono oggi divenuti legione. Non si accorgono, o non vogliono
accorgersi, che con il bandire l'insegnamento confessionale, ossia chiaro e
determinato dalle scuole e dall'educazione, con l'impedirgli di contribuire
alla formazione della società e della vita pubblica, si percorrono sentieri di impoverimento e di decadenza morale. Nessun potere
coercitivo dello Stato, nessun ideale puramente terreno, per quanto grande e
nobile, potrà sostituire a lungo andare i più profondi
e decisivi stimoli, che provengono dalla fede in Dio e in Gesù
Cristo. Se a chi è chiamato ai più ardui cimenti, al sacrificio del suo piccolo
io in bene della comunità, si toglie il sostegno morale che gli viene
dall'eterno e dal divino, dalla fede elevante e consolatrice in Colui che premia ogni bene e punisce ogni male, allora il
risultato finale per innumerevoli uomini non sarà l'adesione al dovere, ma
piuttosto la diserzione. L'osservanza coscienziosa dei dieci comandamenti di
Dio e dei precetti della Chiesa, i quali ultimi non sono altro che regolamenti
derivati dalle norme del Vangelo, è per ogni individuo una incomparabile
scuola di disciplina organica, di rinvigorimento morale e di formazione di
carattere. È una scuola che esige molto; ma non oltre le forze. Dio misericordioso,
quando ordina come legislatore: "tu devi",
dà con
VIII.
È una
caratteristica nefasta del tempo presente il volere distaccare non solo la
dottrina morale, ma anche le fondamenta del diritto e della sua amministrazione
dalla vera fede in Dio e dalle norme della rivelazione divina. Il Nostro
pensiero si rivolge qui a quello che si suole chiamare diritto naturale, che il
dito dello stesso Creatore impresse nelle tavole del cuore umano (Rom. II, 14 segg.), e che la ragione umana sana e non
ottenebrata da peccati e passioni può in esse leggere.
Alla luce delle norme di questo diritto naturale, ogni diritto positivo, qualunque ne sia il legislatore, può essere
valutato nel suo contenuto etico e conseguentemente nella legittimità del
comando e nella obbligatorietà dell'adempimento. Quelle leggi umane, che sono in contrasto insolubile col diritto naturale, sono
affette da vizio originale, non sanabile né con le costrizioni né con lo
spiegamento di forza esterna. Secondo questo criterio va giudicato il
principio: "diritto è ciò che è utile alla
nazione". Certo a questo principio può darsi un senso giusto, se si intende che ciò che è moralmente illecito non può essere
mai veramente vantaggioso al popolo. Persino l'antico paganesimo ha
riconosciuto che, per essere giusta, questa frase
dovrebbe essere capovolta e suonare: "Non vi è mai alcunché di
vantaggioso, se in pari tempo non sia moralmente buono; e non perché è
vantaggioso è moralmente buono, ma perché moralmente buono è anche
vantaggioso" (Cicerone, De officiis, III, 30).
Quel principio, staccato dalla legge etica, significherebbe, per quanto
riguarda la vita internazionale, un eterno stato di guerra tra le nazioni;
nella vita nazionale poi misconosce, confondendo interesse e diritto, il fatto
fondamentale che l'uomo, in quanto persona, possiede diritti dati da Dio, che devono essere tutelati da ogni attentato della comunità, che
avesse per scopo di negarli, di abolirli e di impedirne l'esercizio.
Disprezzando questa verità si perde di vista che il vero bene comune, in ultima
analisi, viene determinato e conosciuto mediante la
natura dell'uomo con il suo armonioso equilibrio fra diritto personale e legame
sociale, come anche dal fine della società determinato dalla stessa natura
umana. La società è voluta dal Creatore come mezzo per
il pieno sviluppo delle facoltà individuali e sociali di cui l'uomo ha da
valersi, ora dando, ora ricevendo per il bene suo e quello degli altri. Anche quei valori più universali e più alti che possono
essere realizzati non dall'individuo, ma solo dalla società, hanno per volontà
del Creatore come ultimo scopo l'uomo, il suo sviluppo e il suo perfezionamento
naturale e soprannaturale. Chi si allontana da questo ordine
scuote i pilastri sui quali riposa la società, e ne pone in pericolo la
tranquillità, la sicurezza e l'esistenza.
Il
credente ha un diritto inalienabile di professare la sua fede e di praticarla
in quella forma che ad essa conviene. Quelle leggi che
sopprimono o rendono difficile la professione e la pratica di questa fede, sono in contrasto con il diritto naturale.
I
genitori coscienziosi e consapevoli della loro missione educativa hanno prima di ogni altro il diritto essenziale all'educazione dei
figli, loro donati da Dio, secondo lo spirito della vera Fede e in accordo con
i suoi principi e le sue prescrizioni. Leggi, o altre simili disposizioni, le
quali non tengano conto nella questione scolastica
della volontà dei genitori o la rendano inefficace con le minacce e con la
violenza, sono in contraddizione con il diritto naturale e nella loro intima
essenza immorali.
IX.
Rappresentanti
di Colui che nell'Evangelo disse a un giovane:
"Se vuoi entrare nella vita eterna, osserva i comandamenti" (Matth. XIX, 17), Noi indirizziamo una parola
particolarmente paterna alla gioventù.
Da
mille bocche viene oggi ripetuto al vostro orecchio un
evangelo che non è stato rivelato dal Padre Celeste, migliaia di penne scrivono
a servizio di una larva di cristianesimo, che non è il Cristianesimo di Cristo.
Tipografia e radio vi inondano giornalmente con
produzioni di contenuto avverso alla Fede e alla Chiesa e, senza alcun riguardo
e rispetto, assaltano ciò che per voi deve essere sacro e santo. Sappiamo che
moltissimi tra voi, a causa dell'attaccamento alla Fede e alla Chiesa e
dell'appartenenza ad associazioni religiose, tutelate dal Concordato, hanno
dovuto e devono attraversare periodi tenebrosi di
disconoscimento, di molteplici danni nella loro vita professionale e sociale. E
ben sappiamo come molti ignoti soldati di Cristo si trovino
nelle vostre file, che con cuore affranto, ma a testa alta, sopportano la loro
sorte e trovano conforto solo nel pensiero che soffrono contumelie nel nome di Gesù (Act. V, 41).
Ed oggi, che
nuovi pericoli e nuove tensioni incombono, Noi diciamo a questa gioventù:
"Se alcuno vi volesse annunziare un Evangelo diverso da quello che avete
ricevuto sulle ginocchia d'una pia madre, dalle labbra di un padre credente,
dall'insegnamento di un educatore fedele a Dio e alla sua Chiesa, costui sia
anatema" (Gal. I, 9). Se lo Stato organizza la
gioventù in associazione nazionale obbligatoria per tutti, allora, salvi sempre
i diritti delle associazioni religiose, i giovani hanno il diritto ovvio e
inalienabile, e con essi i genitori responsabili di
loro dinanzi a Dio, di esigere che questa associazione sia mondata da ogni
tendenza ostile alla Fede cristiana e alla Chiesa: tendenza che sino al
recentissimo passato, anzi anche presentemente, stringe i genitori credenti in
un insolubile conflitto di coscienza, poiché essi non possono dare allo Stato
ciò che viene loro richiesto in nome dello Stato, senza togliere a Dio ciò che
appartiene a Dio.
Nessuno
pensa di porre alla gioventù tedesca pietre di inciampo,
sul cammino che dovrebbe condurre all'attuazione di una vera unità nazionale e
fomentare un nobile amore per la libertà e un'incrollabile devozione alla
patria. Quello contro cui Noi Ci opponiamo e Ci
dobbiamo opporre è il contrasto voluto e sistematicamente inasprito, mediante
il quale si separano queste finalità educative da quelle religiose. Perciò Noi diciamo a questa gioventù: cantate i vostri inni
di libertà, ma non dimenticate che la vera libertà è la libertà dei figli di
Dio. Non permettete che la nobiltà di questa insostituibile
libertà scompaia nei ceppi servili del peccato e della concupiscenza. A chi
canta l'inno della fedeltà alla patria terrena non è
lecito divenire transfuga e traditore con l'infedeltà al suo Dio, alla sua
Chiesa e alla sua patria eterna. Vi parlano molto di grandezza eroica,
contrapponendola volutamente e falsamente all'umiltà e alla pazienza
evangelica: ma perché vi nascondono che si dà anche un eroismo nella lotta
morale? e che la conservazione della purezza
battesimale rappresenta un'azione eroica, che dovrebbe essere apprezzata
meritevolmente nel campo sia religioso, sia naturale? Vi parlano delle
fragilità umane nella storia della Chiesa: ma perché vi nascondono le grandi
gesta che l'accompagnarono attraverso i secoli, i Santi che essa produsse, il
vantaggio che provenne alla cultura occidentale dall'unione vitale tra questa
Chiesa e il vostro popolo? Vi parlano molto di esercizi
sportivi, i quali, usati secondo una ben intesa misura, danno una gagliardia
fisica che è un beneficio per la gioventù. Ma ad essi
oggi viene assegnata spesso un'estensione che non tiene conto né della
formazione integrale ed armonica del corpo e dello spirito, né della
conveniente cura della vita di famiglia, né del comandamento di santificare il
giorno del Signore. Con un'indifferenza che confina col disprezzo, si toglie al giorno del Signore il suo carattere sacro e raccolto.
Attendiamo fiduciosi dai giovani tedeschi cattolici che essi nel difficile
ambiente delle organizzazioni obbligatorie dello Stato rivendichino
esplicitamente il loro diritto a santificare cristianamente
il giorno del Signore, che la cura di irrobustire il corpo non faccia loro
dimenticare la loro anima immortale, che non si lascino sopraffare dal male e
cerchino piuttosto di vincere il male con il bene (Rom. XII, 21), che quale
loro altissima e nobilissima meta ritengano quella di
conquistare la corona della vittoria nello stadio della vita eterna (I Cor. IX, 24 e segg.).
X.
Una
parola di particolare riconoscimento, di incoraggiamento,
di esortazione rivolgiamo ai sacerdoti della Germania, ai quali, in
sottomissione ai loro Vescovi, spetta il campito, in tempi difficili e
circostanze dure, di mostrare al gregge di Cristo i retti sentieri con la
dottrina e con l'esempio, con la dedizione quotidiana, con la pazienza
apostolica. Non vi stancate, figli diletti e partecipi dei divini misteri, di
seguire l'eterno Sommo Sacerdote Gesù Cristo nel Suo
amore e nel Suo ufficio di buon samaritano. Camminate ognora in condotta immacolata davanti a Dio, in
incessante disciplinatezza e perfezionamento, in amore misericordioso verso
quanti sono a voi affidati, specialmente i pericolanti, i deboli e i vacillanti.
Siate guida ai fedeli, appoggio ai titubanti, maestri
ai dubbiosi, consolatori degli afflitti, disinteressati soccorritori e
consiglieri per tutti. Le prove e le sofferenze per le quali il vostro popolo è passato nel periodo del dopoguerra, non sono trascorse
senza lasciar tracce nella sua anima. Vi hanno lasciato tensioni e amarezze,
che solo lentamente potranno guarirsi ed essere superate nello spirito di un
amore disinteressato e operante. Questo amore, che è l'armatura indispensabile
dell'apostolato, specialmente nel mondo presente, agitato e sconvolto, Noi lo desideriamo
e lo imploriamo per voi da Dio in misura copiosa. L'amore apostolico vi farà,
se non dimenticare, almeno perdonare molte immeritate amarezze, che sul vostro
cammino di sacerdoti e di pastori di anime sono più
numerose che in qualsiasi altro tempo. Quest'amore
intelligente e misericordioso verso gli erranti e gli stessi oltraggiatori non significa peraltro, né può per nulla significare, rinunzia a
proclamare, a far valere e a difendere coraggiosamente la verità e ad
applicarla liberamente alla realtà che vi circonda. Il primo e il più ovvio
dono d'amore del sacerdote al mondo consiste nel
servire la verità, tutta intera la verità, smascherare e confutare l'errore,
qualunque sia la sua forma o il suo travestimento. La rinunzia
a ciò sarebbe non solo un tradimento verso Dio e la vostra santa
vocazione, ma un delitto nei riguardi del vero benessere del vostro popolo e
della vostra patria. A tutti coloro che hanno
mantenuto verso i loro Vescovi la fedeltà promessa nell'ordinazione, a coloro i
quali nell'adempimento del loro ufficio pastorale hanno dovuto e devono
sopportare dolori e persecuzioni - e alcuni sino ad essere incarcerati e
mandati ai campi di concentramento - vada il ringraziamento e l'encomio del
Padre della Cristianità. E il Nostro ringraziamento paterno si estende
ugualmente ai religiosi di ambo i sessi: un
ringraziamento congiunto ad una partecipazione intima per il fatto, che, in
seguito a misure contro gli Ordini e le Congregazioni religiose, molti sono
stati strappati dal campo di un'attività benedetta e a loro cara. Se alcuni
hanno mancato e si sono mostrati indegni della loro vocazione, i loro falli,
condannati anche dalla Chiesa, non diminuiscono i meriti della stragrande
maggioranza di essi, che con disinteresse e povertà
volontaria si sono sforzati di servire con piena dedizione il loro Dio e il
loro popolo. Lo zelo, la fedeltà, lo sforzo di perfezionarsi, l'operosa carità
verso il prossimo e la prontezza soccorritrice di quei religiosi, la cui
attività si svolge nella cura pastorale, negli ospedali e nella scuola, sono e restano un glorioso contributo al benessere privato e
pubblico, a cui un tempo futuro più tranquillo renderà giustizia più che il
turbolento presente. Noi abbiamo fiducia che i superiori delle comunità
religiose trarranno argomento dalle difficoltà e prove presenti per implorare
dall'Onnipotente nuovo rigoglio e nuova fertilità sul
loro duro campo di lavoro, per mezzo di uno zelo raddoppiato, di una vita
spirituale approfondita, di genuina disciplina regolare.
Davanti
ai Nostri occhi sta l'immensa schiera dei Nostri diletti figli e figlie, a cui
le sofferenze della Chiesa in Germania e le proprie nulla
hanno tolto della loro dedizione alla causa di Dio, nulla del loro tenero
affetto verso il Padre della Cristianità, nulla della loro ubbidienza verso
Vescovi e sacerdoti, nulla della gioiosa prontezza a rimanere anche in futuro,
qualunque cosa avvenga, fedeli a ciò che essi hanno creduto e che hanno
ricevuto in prezioso retaggio dagli avi. Con cuore commosso inviamo loro il
Nostro paterno saluto.
E in primo
luogo ai membri delle associazioni cattoliche, che strenuamente e a prezzo di
sacrifici spesso dolorosi si sono mantenuti fedeli a Cristo, e non sono stati
mai disposti a cedere quei diritti, che una solenne Convenzione aveva
autenticamente garantito alla Chiesa e a loro. Un saluto particolarmente
cordiale va anche ai genitori cattolici. I loro diritti e i loro
doveri nell'educazione dei figli, da Dio donati, stanno, al momento presente,
nel punto cruciale di una lotta, della quale appena si può immaginare altra più
grave.
Venerabili
Fratelli! Siamo certi che le parole che rivolgiamo a voi, e per mezzo vostro ai
Cattolici del Reich germanico in quest'ora
decisiva, troveranno nel cuore e nelle azioni dei Nostri fedeli figliuoli un'eco corrispondente alla sollecitudine amorosa
del Padre comune. Se vi è cosa che Noi imploriamo dal Signore con particolare
fervore, essa è che le Nostre parole pervengano anche all'orecchio e al cuore
di coloro che hanno già cominciato a lasciarsi
prendere dalle lusinghe e dalle minacce dei nemici di Cristo e del Suo santo
Vangelo, e li facciano riflettere.
Abbiamo
pesato ogni parola di questa Enciclica sulla bilancia
della verità e insieme dell'amore. Non volevamo con silenzio inopportuno essere
colpevoli di non aver chiarita la situazione, né con rigore eccessivo di aver
indurito il cuore di coloro che, essendo sottoposti alla Nostra responsabilità
pastorale, non sono meno oggetto del Nostro amore, perché ora camminano sulle vie dell'errore e si sono allontanati dalla
Chiesa. Anche se molti di questi, conformatisi alle abitudini del nuovo
ambiente, non hanno se non parole di infedeltà, di
ingratitudine, e persino di ingiuria, per la casa paterna abbandonata e per il
padre stesso, anche se dimenticano quanto prezioso sia ciò di cui essi hanno
fatto getto, verrà il giorno in cui il raccapriccio che sentiranno della
lontananza da Dio e della loro indigenza spirituale graverà su questi figli
oggi perduti, e il rimpianto nostalgico li ricondurrà a Dio, che allietò la
loro giovinezza, e alla Chiesa, la cui mano materna loro insegnò il cammino
verso il Padre Celeste. L'affrettare quest'ora è
l'oggetto delle nostre incessanti preghiere.
Come
altre epoche della Chiesa, anche questa sarà preannunziatrice
di nuovi progressi e di purificazione interiore, quando la fortezza nella
professione della Fede e la prontezza nell'affrontare i sacrifici parte dei
fedeli di Cristo saranno abbastanza grandi da
contrapporre alla forza materiale degli oppressori della Chiesa l'adesione incondizionata
alla Fede, l'inconcussa speranza, ancorata nell'eterno, la forza travolgente di
amore operoso. Il sacro tempo della Quaresima e di Pasqua, che predica
raccoglimento e penitenza e fa rivolgere più che mai lo sguardo del cristiano
alla Croce, ma insieme anche allo splendore del Risorto, sia per tutti e per
ciascuno di voi un'occasione che saluterete con gioia e sfrutterete con ardore,
per riempire tutto l'animo dello spirito eroico, paziente e vittorioso che si irradia dalla croce di Cristo. Allora i nemici di Cristo
- di ciò siamo sicuri - che vaneggiano sulla scomparsa della Chiesa,
riconosceranno che troppo presto hanno giubilato e troppo presto hanno voluto
seppellirla. Allora verrà il giorno, in cui invece dei prematuri inni di
trionfo dei nemici di Cristo, si eleverà al Cielo dai
cuori e dalle labbra dei fedeli il "Te Deum"
della liberazione: un "Te Deum" di
ringraziamento all'Altissimo, un "Te Deum"
di giubilo, perché il popolo tedesco anche nei suoi membri erranti avrà
ritrovato il cammino del ritorno alla Religione, con una fede purificata dal
dolore, piegherà di nuovo il ginocchio dinanzi al Re del tempo e dell'eternità,
Gesù Cristo, e si accingerà, in lotta contro i rinnegatori e i distruttori dell'Occidente cristiano, in
armonia con tutti gli uomini ben pensanti delle altre nazioni, a compiere la
missione che i piani dell'eterno gli hanno assegnato.
Conclusione.
Egli, che scruta i cuori e i petti (Psal. VII, 10), Ci è testimonio che
Noi non abbiamo aspirazione più intima che quella del ristabilimento di una
vera pace tra
Con questa implorazione nel cuore e sulle labbra, Noi
impartiamo, quale pegno del divino aiuto, quale appoggio nelle vostre decisioni
difficili e piene di responsabilità, quale corroboramento
nella lotta, quale conforto nel dolore, a voi Vescovi, pastori del vostro
fedele popolo, ai sacerdoti, ai religiosi, agli apostoli laici dell'Azione
Cattolica e a tutti i vostri diocesani, e non ultimi agli ammalati e ai
prigionieri, con amore paterno
Dato in Vaticano, nella Domenica di Passione, 14 Marzo
1937, anno XVI del Nostro Pontificato.
PIO PP. XI
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(di Eucardio Momigliano)
Per
ben comprendere il senso e la portata di questa enciclica,
gioverà ricordare almeno sommariamente le circostanze storiche che la
determinarono. Se le prime manifestazioni del governo di Hitler
erano parse ispirate in campo religioso a una politica
di netto conservatorismo (il suo partito affermava infatti di volersi attenere
a un "cristianesimo positivo"), non s'era tardato a veder chiaro che
alla fede cristiana la dottrina nazista intendeva sostituire una nuova
"fede tedesca". Fin dal Luglio del 1933 un gruppo di
esponenti del partito, radunato a Eisenach,
dichiarava esplicitamente questa intenzione, delineando programmaticamente
le formulazioni teoriche di una "religione della razza" nella quale
l'eugenetica, la mistica, le scienze naturali, la filosofia, il sentimento
religioso, la politica si fondevano e si confondevano. Era un autentico
paganesimo, che suscitò le immediate proteste dell'episcopato germanico.
Il
governo hitleriano - che pure il 30 Luglio 1933 aveva stipulato un Concordato
con