L'OSSERVATORE ROMANO, Giovedì 24 Giugno 1999
ENRICO DAL COVOLO
Nella
Lettera apostolica Tertio Millennio
adveniente, pubblicata il 10 novembre 1994, Giovanni Paolo II indica tra i compiti
dei cristiani incamminati verso il Duemila un serio esame di coscienza: «
Si tratta
di un libro che interpella vivacemente l'ecclesiologo non meno che il
patrologo, e che stimola in modo originale la ricerca. Ritengo perciò che non
sia inutile proporre alcune riflessioni in margine al piccolo libro di Biffi.
Tanto più che esso si conclude con un auspicio: «Questa esplorazione - scrive
il Cardinale - si prefiggeva un primo accostamento a un pensiero meritevole di
attenzione, nella speranza di invogliare qualcuno a proseguire nella ricerca»
(p. 55).
L'auspicio
di Biffi si riferiva evidentemente al tema complessivo dell'ecclesiologia
ambrosiana, ma non è questo l'argomento che qui ci interessa. Il problema che
vorremmo affrontare è assai più limitato, e potremmo proporlo così: in che
senso Ambrogio definisce
Consideriamo
prima di tutto il contesto del celebre ossimoro. Ambrogio nel suo Commento al Vangelo di Luca confronta la
genealogia di Gesù fornita da Luca con quella di Matteo, e indugia su questa
espressione matteana: «Giuda generò Fares e Zara da Tamar» (Mt 1, 3). Ma perché - si domanda Ambrogio - in questo caso vengono
nominati tutti e due i figli di Giuda, quando sarebbe stato sufficiente
nominarne uno solo? Evidentemente è racchiusa qui una realtà misteriosa, e per
spiegarla il Vescovo di Milano esorta i fedeli a trascorrere dal senso storico
a quello morale, fino a quello mistico.
Per
cogliere il senso storico, Ambrogio si riferisce al racconto della Genesi, dove
si legge che Tamar «aveva nel grembo due gemelli. Durante il parto, uno di essi
mise fuori una mano e la levatrice prese un filo scarlatto e lo legò attorno a
quella mano, dicendo: “Questo è uscito per primo”. Ma, quando questi ritirò la
mano, ecco che uscì suo fratello. Allora essa disse: “Come ti sei aperto una
breccia?”, e lo chiamò Perez. Poi uscì suo fratello, che aveva il filo
scarlatto alla mano, e lo si chiamò Zara» Gen
38, 27-30. Zara, in ebraico Zerah, significa
«bagliore» dell'aurora che precede il giorno; Fares, in greco e latino Phares, in ebraico Peres, significa «breccia»). «Vedi - commenta a questo riguardo
Ambrogio - quanti enigmi fanno intravedere il mistero: la mano che sporge, il
filo scarlatto allacciato, la mano ritratta, la voce ripetuta della levatrice,
che l'uno doveva uscire per primo, l'altro doveva aprirsi una breccia. Ma
perché - prosegue - l'uno fece sporgere prima la mano dall'utero, l'altro fu
primo ad essere partorito? Non forse perché nel mistero dei due gemelli si
descrive la vita dei due popoli, l'una secondo
Come si
vede chiaramente da questo esempio, nel leggere
Salvo
miglior giudizio, risponde prudentemente Biffi, nessun altro Padre. «Nessuno ha
parlato di “casta meretrix” prima di lui, e nessuno dopo di lui, tra i Padri,
l'ha imitato». E prosegue in nota:
«L'annotazione
per i Padri latini è garantita dalle moderne tecniche informatiche. Quanto ai
Padri greci, possiamo solo dire di non aver notizia che ci sia nelle loro
pagine un'espressione come questa riferita alla Chiesa». Infine Ambrogio stesso
«ha usato questa espressione una sola volta», precisamente nella sua
meditazione su Rahab (p. 7). Perché le affermazioni di Biffi non sembrino
troppo perentorie, conviene forse aggiungere qualche spiegazione. «Le moderne
tecniche informatiche», di cui si parla, consentono di affermare con sicurezza:
a) che la
locuzione casta meretrix, o altre
espressioni in qualche modo equivalenti (come castum meretricium, meretrices virgines...), si trovano usate molto
raramente nei Padri, e comunque Ambrogio è il primo ad usarle;
b) che
nessun altro Padre - oltre ad Ambrogio nel passo dell'Expositio sopra citato - riferisce alla Chiesa l'ossimoro in
oggetto.
Per rispondere
a questa domanda è molto utile il «commento ravvicinato» di G. Biffi. In
particolare - alla luce anche delle osservazioni svolte più sopra sull'esegesi
alessandrina - è importante la distinzione ambrosiana, per cui Rahab appare typo meretrix, mysterio ecclesia. Come
si vede, il meretricio è collocato sul versante del typos, cioè della figura, non del mysterion, cioè della misteriosa realtà figurata. A questo punto,
però, occorre chiarire entro quale misura il typos valga per il mysterion,
Ambrogio lo fa immediatamente, spiegando che
Occorre
riconoscere dunque che nell'intenzione di Ambrogio anche il sostantivo (oltre
che l'aggettivo) è titolo di merito per
Resta
confermata così - più nella prospettiva alquanto limitata del nostro studio -
l'originalità di Ambrogio esegeta e teologo, ardito forgiatore di figure
retoriche e di forme linguistiche.
4.
Conclusione
È altresì
evidente il fraintendimento dell'espressione ambrosiana, allorché la si adduce
per affermare che
L'impressione
è che Alberigo voglia addurre testi ambrosiani che smentiscano le conclusioni
di Biffi, in ispecie là dove egli afferma che Ambrogio «utilizza l'immagine
della Chiesa morente:
A noi
basta questo piccolo risultato: essere giunti a togliere un punto di domanda
dal nostro titolo. Molte volte casta
meretrix è veramente un'espressione fraintesa.