CAPITALISMO, ECONOMIA
DI MERCATO E IDEOLOGIA
IL PENSIERO DI GIOVANNI
PAOLO II
SUL CAPITALISMO
José Luis Illanes
Università di Navarra
Pamplona (Spagna)
(Traduzione dallo spagnolo di Aurelio Ferraro)
Che giudizio dà
Giovanni Paolo II sul capitalismo? O anche, se si vuol dare maggior precisione
alla domanda, c’è un’evoluzione nel modo di pensare di Giovanni Paolo II
riguardo al capitalismo, oppure la sua posizione è rimasta immutata dall’inizio
del suo pontificato fino ai nostri giorni? In ogni caso, e anche nell’ipotesi
che il pensiero di Giovanni Paolo II di per se stesso non abbia avuto alcuna
evoluzione, l’ha avuta nel magistero pontificio, considerato nel suo
complesso? In altre parole, Giovanni Paulo II rappresenta un cambiamento radicale
dell’atteggiamento nel riguardi del capitalismo rispetto ai suoi predecessori?
Diversi
commentatori rispondono in modo affermativo a questi interrogativi,
specialmente a quello formulato per ultimo, sostenendo che l'enciclica Centesimus annus, pubblicata da Giovanni
Paolo II il1° maggio 1991, introduce un’impostazione
nuova, passando da una diffidenza nei confronti del capitalismo, che avrebbe dominato nel precedente magistero, ad una sincera accettazione
dell'economia occidentale e, di conseguenza, del Capitalismo al quale questa
economia s’ ispira.
Una via percorribile per approfondire
questa nuova impostazione e per proporre una nostra interpretazione delta
questione, sarebbe quella di presentare i testi di Giovanni Paolo II per
poterli analizzare e, in questo modo, confermare, modificare o respingere le
valutazioni di cui si è detto. Tuttavia non seguiremo questa
metodologia, poiché riteniamo sia preferibile riprendere il tema da più
indietro, interrogandoci in generate sulle relazioni fra cristianesimo,
capitalismo ed economia di mercato, per poter rispondere, partendo da qui, atte
domande che ci siamo poste.
LA CONCEZIONE CRISTIANA DELLA VITA E L’ESSENZA DEL
CAPITALISMO.
La questione che ci accingiamo ad affrontare ricorda, per
ogni buon conoscitore del pensiero filosofico-economico, il saggio che Max Weber
pubblicò nel 1904 su “L’etica protestante e lo spirito del
capitalismo”. In quell’opera, Weber sosteneva che l’etica protestante, e più
esattamente la calvinista-puritana, nel mettere in evidenza la dottrina della
predestinazione e, ancor più, nel considerare la dedizione al lavoro è il successo nella vita professionale come segni della predilezione divina, aveva
costituito un fattore determinante, se non per l’origine del capitalismo,
almeno per la sua configurazione definitiva (1).
Nel 1993, un anno
prima che si compissero i novant’anni dalla pubblicazione
dell’opera di Weber, il saggista nord-americano Michael Novak pubblicò un libro
cui diede il titolo “L'etica
cattolica e lo spinto del capitalismo”, con l’evidente intenzione di confrontarsi
con il pensiero weberiano allo scopo di esporre una tesi diversa (2). A
giudizio di Novak l’atteggiamento etico più coerente con lo spirito del
capitalismo e perciò quello che, quali che siano stati i fattori storici che
determinarono la comparsa di questa realtà socio-economica, può contribuire
più efficacemente at suo sviluppo futuro, non è l’etica protestante-puritana,
ma la cattolica. Intendendo qui l’espressione “cattolica” sia net senso
etimologico, l’etica universale, sia nel senso confessionale, l’etica che
viene divulgata dalla Chiesa cattolica, poiché quest’ultima costituisce l’espressione
storicamente più completa dell’etica universale (3).
L’esistenza di due
giudizi cosI diversi induce a interrogarsi sui presupposti dai quali parte
l’uno o l'altro autore e, più concretamente, sul concetto che essi hanno del
capitalismo, poiché sta qui, a nostro giudizio, il nocciolo della questione.
Nel 1902, due anni prima della comparsa del saggio di Weber, un altro grande
pensatore tedesco Werner Sombart iniziò la pubblicazione del suo monumentale
saggio su “Il capitalismo moderno”, opera fondamentale per l’affermazione e
la diffusione del termine capitalismo (4). Marx, ne “Il capitale”, aveva parlato
infatti con frequenza non solo del capitale ma anche di coloro che lo
possiedono, cioè dei capitalisti, però non aveva usato il sostantivo astratto
capitalismo, benché questo fosse già stato usato da qualche autore precedente.
Sombart invece lo usa e con piena cognizione di causa, poiché intende definire
con precisione un sistema o atteggiamento, che è proprio quello che i sostantivi
astratti indicano.
Net suo proposito
di determinare le caratteristiche del capitalismo, Sombart tiene conto delle
analisi e delle idee di Marx, alle quali ampiamente si riferisce, sia pure modificandole
e collocandole in un contesto intellettuale diverso, molto più attento alla
dimensione spirituale della realtà. Per Marx ciò che definisce l’economia
capitalista e soprattutto il fatto di essere un’economia basata sull’esistenza
di una distinzione-separazione tra i possessori del beni di produzione e coloro
che fanno rendere questi beni, cioè tra i capitalisti e i lavoratori. Sombart
accetta questa caratterizzazione, ma ritiene che sia necessario completarla,
includendo fattori di altra natura. Seguendo .Marx, egli concepisce il
capitalismo come un’organizzazione d’interscambio economico, nella quale collaborano
due gruppi distinti: da un lato i possessori dei mezzi di produzione, che
reggono insieme la direzione e la gestione delle imprese e, dall’altro, quelli
che sono solo lavoratori e non influiscono sulle decisioni che vengono prese.
Sombart però dopo aver detto questo, aggiunge, arrivando così al punto che riteniamo
determinante, che ciò che veramente è caratteristico del capitalismo
non è tanto la divisione sociale sopra accennata, quanto il
fatto che il sistema di interscambi è improntato ad un atteggiamento e ad una
disposizione di spirito di cui sono fattori determinanti l’ansia per il
guadagno e il razionalismo economico, cioè l’organizzazione razionale del
lavoro.
Per Sombart il
capitalismo non è solo una struttura economico-lavorativa, ma anche, è in un
certo senso soprattutto, un modo di vivere, un modo d’intendere la vita
economica ed anche, almeno in una certa misura, la vita intera. Questo modo
d’intendere la vita, questa disposizione d’animo, nata come frutto della
concordanza tra il desiderio di guadagno, come motore dell’azione, e la
convinzione che l'attività economica può essere razionalizzata, ricondotta
cioè a schemi razionati e quindi dominabili, è, secondo Somhart, ciò che
costituisce l’essenziale. Weber concorda, pressoché interamente, con l’impostazione
del suo contemporaneo, mettendo in evidenza, in polemica con Marx, l’influenza
che i fattori spirituali hanno nella formazione della vita sociale e delle
istituzioni e strutture che da questa vita derivano.
Aspettativa del guadagno e razionalità
costituiscono, secondo Weber, gli elementi che configurano l’atteggiamento
capitalista, con prevalenza del secondo: l'economia capitalista si basa
infatti, a suo parere, sulla ricerca di un guadagno che si spera di ottenere
non per caso, ma come frutto di un lavoro intenso e ordinato, che consente di
aspi-rare al successo, nei e attraverso i processi economici, industriali e
commerciali. Il protestantesimo e, in particolare, il protestantesimo puritano,
con la sua concezione della rettitudine e del successo professionale, quali
segni della predestinazione, danno luogo, e questo è l’aspetto più personale e
più approfondito del suo saggio, ad una concezione della vita che, secolarizzata,
finirebbe per sfociare in questa valorizzazione del lavoro e questa attenzione alle aspettative di successo commerciale e di guadagno che
attengono a! capitalismo e, più particolarmente, al capitalismo industriale,
che è quello che, almeno implicitamente, gli è sempre davanti agli occhi.
Se facciamo ora attenzione agli scritti di
Novak, sia al saggio già citato, come a quello che scrisse die-ci anni prima
sul capitalismo democratico e l’etica cristiana, che costituisce il suo
logico precedente (5), noteremo subito che il capitalismo risulta definito da
coordinate molto diverse. Secondo il pensatore americano il sistema
capitalista si riferisce effettivamente ad una società caratterizzata da tre
elementi fondamentali: la libertà d’iniziativa economica, l’esistenza di un quadro
politico democratico, la validità di un sistema culturale di valori nel quale
primeggiano l'apprezzamento dell’onestà e della virtù, il rispetto della
libertà e la valorizzazione della responsabilità individuale. Perciò, a
proposito di un capitalismo cosI inteso, egli sostiene che per un suo sviluppo
adeguato è necessaria l’efficace influenza dell’etica cattolica, la quale,
nell’affermare la libertà, rafforza l’iniziativa e la responsabilità della
persona.
Non è nostra intenzione intervenire nella discussione sull'influenza che
l'una o l'altra etica, starei per dire, con un’espressione forse più precisa,
l’uno o l'altro atteggiamento esistenziale abbiano potuto avere in passato o
possano avere in futuro, sullo sviluppo della vita economica, e neppure intendiamo
analizzare fino a che pun-to letica calvinista abbia dato luogo ad una
valorizzazione del successo negli affari, oppure l’etica cattolica abbia dato
un impulso alla libertà d’iniziativa. ciò che ci interessa sottolineare in
modo particolare e la diversità esistente nel modo di definire i caratteri del
capitalismo e, più concretamente, la diversa importanza che gli uni e gli
altri danno alla nozione di razionalità economica, di nazionalizzazione della
vita economica.
Certamente questa non è l'unica
differenza che, riguardo alla caratterizzazione del capitalismo, si può
rilevare nei testi e negli autori ai quali ci stiamo riferendo. L'opera di
Novak presuppone in effetti un contesto storico, culturale, economico e
sociale molto diverso da quello a cui si riferivano sia Sombart che Weber: non
solo è già stata in parte superata la netta distinzione tra possessori di
beni e lavoratori dipendenti, ma anche un ampio complesso di fattori, dalla
crescente internazionalizzazione delle relazioni economiche fino allo sviluppo
dell’informatica, hanno profondamente modificato il panorama. E questo fatto
ha numerose e svaniate ripercussioni sulle loro analisi e sui loro scritti.
Ma, lo ripetiamo, non sta qui il punto cruciale di una discussione
filosofico-teologica sul capitalismo e sull'economia di mercato. A nostro
parere il punto chiave sta piuttosto nel posto e nell'importanza che vengono
assegnati all’affermazione della razionalità, di un ritorno alla ragione,
della vita economica. Novak prescinde completamente da ogni considerazione a
questo riguardo e proprio qui sta, a nostro parere, il punto più debole della
sua impostazione poiché, sempre secondo il nostro parere, non si può
prescindere dal riferimento alla razionalizzazione, se si vuole entrare nel
merito del dibattito intorno al capitalismo e, più concretamente, se si vuole
analizzane l'atteggiamento adottato a questo riguardo da Giovanni Paolo II.
Da ciò, dall’importanza che si riconosce e dall’interpretazione che si dà alla
razionalità economica dipende infatti la comprensione del rapporto tra
economia ed etica, che è senza dubbio la questione fondamentale.
LEGGI ECONOMICHE E RESPONSABILITA' ETICA
Si è detto più di
una volta, con la semplificazione e, allo stesso tempo, con la capacità
simbolica che possiedono sempre i giudizi di questo tipo, che la scienza
economica nacque il giorno in cui un medico francese, nato alla fine del secolo
XVII, Francois Quesnay, lanciò un grido di gioia, un eureka, quando, nelle sue riflessioni sulla situazione economica
della Francia del suo tempo, arrivò al concetto di ciclo economico; in altre
parole, quando nacque nella sua mente la convinzione che i processi economici
sono retti da leggi analoghe a quelle che governano la fisiologia, cioè da leggi che trascendono le intenzioni degli
operatori economici, ciò che questi operatori desiderano e cercano in modo
volontario, cosciente e riflessivo: le intenzioni di quanti operano nel campo
economico non sono determinanti, perché il ciclo economico ubbidisce
piuttosto ad una forza o legge che, superando desideri e intenzioni, governa
di fatto il funzionamento dell’economia e ne determina i risultati (6).
L'impostazione e le idee di Quesnay già presagiscono il grande movimento
intellettuale che caratterizza la formazione della scienza moderna, con la
sua ansia di analizzare come funziona la natura e di stabilire con precisione
le sue leggi, per dare all’uomo una maggiore capacità di controllarla e
predisporla al conseguimento dei suoi propri fini. Questo impegno, che
rappresenta di per sé un progresso storico, sfociò tuttavia in più di
un’occasione, e questo certo non si può considerare positivo, in impostazioni
deterministe, che, più o meno vincolate a una metafisica di tipo deista,
postulavano un distacco o una rottura tra scienza (tecnica) ed etica.
La manifestazione più chiara di questa impostazione, con riferimento alla
tematica economica, è quella che viene rappresentata da Bernard de Mandeville e
dalla sua Favola delle api, nella quale il comportamento
immorale è presentato come origine e stimolo per la promozione della ricchezza:
“vizi privati, pubbliche virtù” (7). In questa stessa direzione
puntano, benché in maniera molto più attenuata, le considerazioni che, con
riferimento alla ma-no invisibile, propone Adam Smith, tanto nella Teoria sopra i sentimenti morali (1759),
come nella Indagine sulla natura e sulle
cause della ricchezza delle nazioni (1776). Adam Smith non condivide in
alcun modo il cinismo etico di Bernard de Mandeville, che disapprova, poiché
ritiene che assolutamente mai e in alcun modo il vizio possa essere uno stimolo
necessario per il progresso economico, perô la sua riflessione sulla mano
invisibile, come il suo apologo del macellaio, tendono molto chiaramente a
presentare i risultati dell’azione economica come del tutto indipendenti da
finalità etiche. L'insieme dell’opera e delle riflessioni di Smith presuppone
certamente l’esistenza di un’impostazione etico-giuridica - onestà negli affari, rispetto dei contratti….,però le due considerazioni
ricordate, valutate con obiettività, presuppongono un’irrilevanza economica
dei fini e quindi dell'etica in quanto tale (8). Condizione per la quale, lo
dico fra parentesi, non esistono leggi o altre teorie economiche, come, per
citare un esempio rilevante, la Teoria
delle crisi, così come la espone e la intende Hayek (9).
Se vogliamo chiarire il dibattito sul rapporto tra economia ed etica, e
quindi sulla valorizzazione etico-morale del capitalismo e delle diverse
teorie sull’economia di mercato, è necessario domandarsi: c'è o no una mano
invisibile che regge l’economia? Più esattamente e specificatamente e dando per
scontato, come è ovvio, che esistono leggi economiche, qual è la portata o, se
si preferisce, l’ambito e la natura di queste leggi? Sono l’espressione di un
mondo chiuso in se stesso e quindi che può esprimersi interamente solo attraverso
delle leggi che lo reggono, oppure al contrario si riferiscono ad un mondo in
cui incide in modo determinante il concetto che l’uomo ha di sé stesso e dei
suoi propri fini? Detto in altre parole: si può confidare completamente nel
gioco del mercato, considerando che questo gioco porta sempre e in ogni caso
oltre le intenzioni degli operatori a un risultato economicamente ottimo? O
meglio, si può affermare che l’etica condiziona intrinsecamente l’economia?
APPUNTI PER UNA STORIA DELLO SVILUPPO DEL MAGISTERO
PONTIFICIO
INTORNO AI SISTEMI ECONOMICI.
Gli interrogativi che abbiamo appena formulati ci pongono davanti alla
questione decisiva. Prima di affrontarla e di mettere in rilievo quanto sia
importante il modo con cui Giovanni Paolo II affronta la riflessione sul
capitalismo, e per mostrare al tempo stesso ciò che il suo magistero
porta rispetto al magistero precedente, converrà abbozzare, sia pure in forma
approssimativa e a grandi linee, un panorama storico che aiuti a collocare nel
loro contesto i vari interventi magistrali.
Quando Leone XIII pubblicò nel 1891 la Rerum
novarum, la rivoluzione industriale si trovava al suo apice, rivelando
insieme i suoi pregi e i suoi problemi. Furono proprio questi problemi, cioè
le profonde implicazioni sociali che questa rivoluzione aveva portato con sé e
le ingiustizie che spesso l'avevano accompagnata, che indussero il Pontefice
ad elaborare e a pubblicare la sua enciclica. Questa situazione del resto aveva
già provocato decenni prima il nascere di movimenti anarchici e socialisti, e,
al loro interno, proposte di una collettivizzazione dell’economia. Queste proposte,
tuttavia, erano rimaste solo un progetto: un’ impostazione ideale o teoretica
che era arrivata fino ad influire in diversi settori, ma che però non era stata
ancora applicata in nessun paese. Perciò Leone XIII, subito dopo aver
segnalato l’importanza e la gravità del problema sociale, diresse il suo
sguardo al progetto socialista per indicare che il collettivismo, negando la
libertà, non era la via più adatta per risolvere i problemi. Partendo da questo
punto ed avendo escluso quella che sarebbe stata solo in apparenza una soluzione
radicale, ma in realtà falsa, concentrò la sua attenzione sulla vita economica
concreta, sulla realtà dell'economia del suo tempo, per lanciare un messaggio
che può essere così sintetizzato: il processo industriale ed economico, in
quanto processo che si addice all’uomo e che deve restare al suo servizio, non
può essere considerato come un processo impersonale, retto con criterio e
leggi contrarie a impostazioni etico-morali, ma, a! contrario, come una realtà
che deve essere sempre valutata e orientata secondo l’ideale morale di promozione
e di servizio all’uomo. C'è poi una responsabilità sociale alla quale nessun
essere umano può sottrarsi (10).
La situazione economico-sociale era cambiata radica!mente quando,
quarantanni dopo, nel 1931, Pio XI promulgò l’enciclica Quadragesimo anno. La guerra del 1914-18 e !a crisi del 1929
avevano distrutto, in vasti settori dell’intellighenzia europea, la fiducia
ne!le teorie liberali. La vittoria della rivoluzione sovietica aveva portato all’instaurazione
in tutto il vasto territorio russo dell’ideologia socialista e, più
precisamente, dell’ideologia socialista secondo l'interpretazione e le idee di
Marx. La proposta di un’economia centralizzata, pianificata, non era più un
semplice progetto ma una realtà. Davanti al mondo di quell'epoca e quindi
davanti anche a Pio XI, si presentavano allora due sistemi economici
contrapposti, quello liberale o capitalista e quello socialista: l‘economia
del libero mercato e l'economia pianificata, entrambe in piena attività. Perciò
i! Pontefice, dopo aver riaffermato il legame irrinunciabile tra morale ed
economia, pur riconoscendo l’esistenza di leggi economiche (11), continuò a
valutare, dal punto di vista etico, l’uno e l'altro sistema, esprimendo in
entrambi i casi un giudizio negativo (12), e contrapponendo a quei sistemi il
proprio messaggio.
Quel contesto storico e, con esso, quella metodologia espositiva rimasero
d’attualità per un lungo periodo. con la tendenza in diversi autori, con qualche
riflesso, anche se di solito lieve, nei documenti magistrali, ad auspicare una
terza via che, evitando i mali e i difetti dei due sistemi in vigore, consentisse
di pensare ad un’economia veramente umana.
Questa realtà e questo substrato intellettuale erano ancora presenti
quando Giovanni Paolo II pubblicò il primo dei suoi documenti sociali,
l‘enciclica Laborem exercens del
1981, in cui segue la metodologia menzionata, benché con significative
variazioni. L’attuale Pontefice infatti pone subito la massima attenzione
alla necessità di distinguere tra il piano economico-strutturale e quello
ideologico. E sebbene contrapponga l’economia pianificata
all'economia di libero mercato, non concentra qui Ia sua riflessione ma,
passando decisamente su un altro piano, dirige l'attenzione verso ciò che
indica col vocabolo “economismo” o “economicismo”, cioè la tendenza a valutare
o considerare il lavoro umano “esclusivamente secondo il fine economico”,
ignorando !a dignità e la trascendenza dell’uomo, soggetto del lavoro che,
avverte, può opprimere, come di fatto opprime, sia in uno come in un altro
sistema (13). Il messaggio cristiano, con l'affermazione del valore dell'uomo
che questo messaggio contiene, è quindi contrapposto non solo all'uno o
all’altro dei sistemi economici citati o ad altri possibili o immaginabili, ma
alla ideologia economicistica. Da ciò l’invito che il Pontefice rivolge ai
responsabili della vita economica di entrambi i sistemi, non tanto o non
principalmente a mettere in discussione il sistema economico adottato, ma a
riconoscere la verità sulla dignità dell’uomo, facendo di questa un principio
ispiratore che, operando dall’interno, provochi un'evoluzione e quindi !a
correzione dei loro sistemi (14).
Quando scriveva la Laborem exercens
Giovanni Paolo II non ignorava i profondi cambiamenti e l’autentica
rivoluzione che un’apertura verso il concetto cristiano dell’uomo avrebbe
provocato inevitabilmente nel mondo sovietico e nel suo modo di concepire
l’economia. Neppure la sua conoscenza del marxismo e le sue esperienze in Polonia
dopo la seconda guerra mondiale lasciavano intendere chiaramente la crisi che
insidiava tutti i regimi comunisti. Ma non poteva prevedere quando e come
questa crisi sarebbe esplosa. Comunque, g!i avvenimenti del 1989, ai quali non
furono estranei la sua figura e la sua predicazione della libertà, diedero
origine ad una nuova situazione, anche sotto il profilo espositivo e
metodologico già accennato, con le conseguenze, anche intellettuali, che ne
derivarono.
Il crollo del cosiddetto “socialismo reale” e dell’economia pianificata,
cioè il fallimento pratico e, ancora più radicalmente, teorico di uno dei due
sistemi, che per decenni si erano confrontati offrendosi come possibilità
reali, nel 1989 lasciò libero campo al suo avversario. All’orizzonte
socio-economico si delineò, a partire d’allora, una sola possibilità:
l’economia del libero mercato, che può essere intesa e configurata con
molteplici sfumature, ma sempre riconoscendo l’importanza della libertà
economica, della pluralità delle iniziative, dell’efficacia della concorrenza.
In questa situazione Giovanni Paolo II decise di ritornare sul!a problematica
socio-economica, dando alla luce nel 1991 una delle sue encicliche più
importanti, la Centesimus annus,
della quale ora ci dobbiamo occupare per analizzarla e per rispondere anche
agli interrogativi riguardo alla sua portata innovativa, a cui ci eravamo
riferiti in precedenza.
LA CENTESIMUS ANNUS
E IL GIUDIZIO SUL CAPITALISMO.
L'enciclica Centesimus annus
presuppone chiaramente, come già abbiamo accennato, la situazione storica
posteriore al 1989, uno dei suoi capitoli porta proprio questo titolo, anche
per ciò che riguarda la metodologia espositiva: il confronto tra i due sistemi
economici, capitalismo e collettivismo, è scomparso del tutto dal suo testo.
Giovanni Paolo II ha davanti a sé solo l’economia di mercato e parla solo di
quella. Inoltre dà per scontato che l’economia di mercato costituisce
l’orizzonte più adatto alla società contemporanea e accetta questa realtà in
pieno: non solo prendendo atto di una realtà concreta, ma riconoscendone i
valori: affermazione della libertà, potenziamento della creatività e dell'iniziativa,
capacità di moltiplicare la ricchezza tutti valori che questa economia
contiene.
Le implicazioni di questo modo di procedere e di
quest'atteggiamento sono senza dubbio notevoli. Un confronto tra la Centesimus annus e le encicliche pontificie
di periodi precedenti le pone facilmente in rilievo. C'è stato infatti lungo
tutto questo processo, non solo un superamento di schemi espositivi ma anche
un perfezionamento di concetti e un’intuizione talvolta più acuta della natura
propria dell’attività economica, delle sue esigenze e delle sue leggi. In
vari punti Giovanni Paolo II porta a compimento riflessioni già accennate in
precedenza, in altri punti procede con un suo preciso cammino. In ogni caso ci
sono dei passaggi che ci autorizzano ad affermare che la Centesimus annus contiene un’accettazione dell'economia di mercato
più netta di quella attestata in precedenti documenti.
Nello stesso tempo, in una questione cosI essenziale come la relazione
tra economia di mercato ed etica. rivela una piena continuità, anzi una totale
identificazione con il magistero precedente. Dalla Rerum novarum fino alla Centesimus
annus, passando per la Mater et magistra,
la Gaudium et spes e la Populorum progressio, tutti i documenti
che sviluppano il citato magistero sociale riaffermano infatti, in un modo o
nell'altro, ma sempre con chiarezza, un principio fondamentale: la
inseparabilità tra etica ed economia o, più precisamente, la subordinazione
dell’economia all’etica, la necessità di analizzare e giudicare l’attività
economica in funzione del suo effettivo contributo alla promozione della
dignità dell’uomo, di ogni uomo.
Se su questo tema, analizzando la storia del magistero sociale fino a
Giovanni Paolo II, non si riscontra alcun progresso, come noi riteniamo, non è perché l’attuale Romano Pontefice
sia meno netto dei suoi predecessori nei riguardi di questo principio, ma
perché egli lo completa con un’analisi più accurata dei presupposti teorici e
ideologici che influiscono sulla configurazione concreta della vita economica.
Ne deriva che il principio citato dà luogo nel suo testo a due considerazioni:
a) in primo luogo e a livello etico-morale ad una decisa riaffermazione del
legame stretto fra etica ed economia: l’azione economica, come ogni azione
umana, è un’azione etica e deve quindi essere ispirata a principi e
atteggiamenti etici, con la consapevolezza della responsabilità che ne deriva
per ogni operatore economico; b) in secondo luogo, non già a livello etico ma
epistemologico, benché con ovvie implicazioni etiche, ad una proclamazione
ugualmente netta dell’ irrinunciabilità dell’analisi antropologica dei
sistemi e delle teorie economiche: i sistemi e le teorie sociali non sono
realtà neutre, ma implicano sempre, in un modo o nell’altro, una visione
dell’uomo e di conseguenza devono essere analizzate e valorizzate anche sotto
questo profilo.
Questa
impostazione, nella Laborem exercens,
portava alla distinzione tra piano economico-strutturale e piano ideologico,
alla quale ci siamo riferiti, con la conseguenza che ne derivava: concentrare
la riflessione non tanto sulla contrapposizione tra economia di mercato ed
economia pianificata, quanto sugli atteggiamenti esistenziali e spirituali
basilari: economismo o economicismo da una parte, riconoscimento effettivo
della dignità spirituale della persona dall’altro. Nella Centesimus annus questa stessa impostazione, essendo ormai
scomparsa dall’orizzonte intellettuale l’immagine di un’economia pianificata,
conduce ad un’analisi critica dell’economia capitalista che ci fa capire che
all’interno di questo sistema economico s’intrecciano e interferiscono due
piani, quello economico-strutturale e quello ideologico, per cui è necessario
compiere un’opera di discernimento.
Due passaggi dell’enciclica devono essere ricordati in particolare:
|
a)
in
primo luogo il testo in cui Giovanni Paolo il distingue il "sistema
economico" e il "sistema socio-culturale", attribuendo a
quest'ultimo un'importanza decisiva poiché tutta la società, e quindi tutta
l'economia storico-concreta, riflette sempre una certa immagine e conoscenza
dell'uomo. Da qui nascono l'errore e la crisi in cui si vede intrappolata ogni
società che si strutturi partendo da una concezione riduttiva e unidimensionale
dell'essere umano e da ogni assolutismo dell'economia, nonché dalla
considerazione dell'uomo come homo oeconomicus, come già il Papa aveva
affermato nella Laborem exercens a
proposito dell’economismo e dell'economicismo. “In realtà, commenta,
l’economia è solo un aspetto e una dimensione della complessa attività umana.
Se essa è assolutizzata, se la produzione e il consumo delle merci occupano il
centro della vita sociale e diventano l’unico valore della società, non
subordinato ad alcun altro, la causa va ricercata non solo e non tanto nel sistema
economico stesso, quanto nel fatto che l'intero sistema socio-culturale,
ignorando la dimensione etica e religiosa, si è indebolito e ormai si limita
solo alla produzione dei beni e dei servizi” (15).
b) In secondo luogo devono essere ricordati i paragrafi in cui Giovanni
Paolo II distingue diversi significati della parola “capitalismo”. Questa
distinzione nasce nel testo dell’enciclica come risposta a una domanda che
evoca la situazione storica già più volte ricordata, cioè il crollo del regimi
comunisti e del sistema economico collettivista, cosicché nella battaglia
storica, iniziata decenni addietro, il capitalismo si presenta come sistema
vincitore. In questo contesto, si domanda il Pontefice, si deve concludere
che il capitalismo è l’unica soluzione ai problemi economici, per cui si deve
raccomandare di applicarlo in tutti i paesi? anche in quelli le cui economie
hanno bisogno di sviluppo?
“La risposta, avverte subito, è complessa” e a questo punto comincia ad
abbozzare la già annunciata distinzione di significati nell’uso del vocabolo
“capitalismo”. “Se con capitalismo, comincia infatti a dire il Papa, si intende
un sistema economico che riconosce il ruolo fondamentale e positivo dell’impresa,
del mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità per i
mezzi di produzione, della libera creatività umana nel campo economico, la
risposta è certamente positiva”. Ed aggiunge, con una preoccupazione terminologica
assai significativa “benché forse sarebbe più appropriato parlare di
"economia d’impresa" o di "economia di mercato", o semplicemente
di "economia libera". Però, prosegue passando così al secondo
significato del vocabolo capitalismo, se con "capitalismo" s’intende
un sistema in cui la libertà economica non è inquadrata in un solido contesto
giuridico che la ponga al servizio della libertà integrale dell’uomo e la
consideri come una particolare dimensione della stessa, il cui centro è etico
e religioso, allora la risposta è decisamente negativa” (16).
Quello che sostiene in questo punto l’insegnamento di Giovanni Paolo II,
come abbiamo già notato, è la certezza che l'uomo, dotato di ragione e
d’intelligenza, è un essere che vive coscientemente la sua vita e più ancora
che la vive con il concetto che ha di sé stesso e del mondo. L’uomo non è un
essere solamente istintivo che riceve impulsi e reagisce di conseguenza, ma
un essere che è padrone delle sue azioni, che non solo riceve l'influsso della
realtà circostante ma che penetra in essa e la giudica e che, di conseguenza,
regola la sua attività secondo il concetto che ha della realtà, di sé stesso e
del suo destino: l’agire umano è un agire che ha un orizzonte, un agire che si
struttura e si definisce a partire da questo orizzonte (17).
Tutto questo si applica, com’è ovvio, al campo economico. Il mercato e
senza dubbio una realtà naturale, poiché l’uomo tende spontaneamente alla
socievolezza e all’interscambio. Ma è anche allo stesso tempo una realtà
sulla quale l’uomo riflette. Sorgono e si susseguono così, nella storia della
cultura e del pensiero umano, vane teorie sul mercato, nelle quali si mescolano
osservazioni empiriche e analisi sociali. con presupposti filosofici. teologici
o antropologici. E queste teorie si riflettono, e si chiude così il
ciclo, su coloro che operano nel mercato, contribuendo a determinarne e
configurarne il concreto funzionamento e, di conseguenza, lo sviluppo della
società in cui il mercato s’inserisce. Porsi dinanzi ai sistemi e alle teorie
economiche e anche all’economia in generale, con l’atteggiamento di chi si
pone davanti a ciò che è già definito, che è così, perché non può essere in altro
modo, sarebbe dar prova d’ingenuità, come negare le diversità delle varie
interpretazioni e dei fattori che incidono sulla vitalità concreta delle
realtà sociali.
Da ciò nasce la necessità di distinguere, se si vuole capire l'essenza
dell’attuale congiuntura socio-economica, fra i due significati già ricordati
della parola “capitalismo”, cioè tra il capitalismo inteso come economia di
mercato e il capitalismo inteso come ideologia: tra il capitalismo come sistema
economico basato sulla proprietà privata, sulla capacità d’iniziativa, sulla
libertà creativa delle imprese, e il capitalismo come impostazione teoretica e
dottrinale, che non solo afferma le realtà giuridico-economiche appena
ricordate, ma aggiunge che queste realtà e il loro libero gioco attuano
completamente e senza limiti l’economia, in modo che le interpretazioni
soggettive, le impostazioni etiche, gli atteggiamenti religiosi sono, in fin
dei conti, irrilevanti sotto il profilo economico, poiché il gioco del
mercato completa l'opera portandola al miglior risultato economico possibile
in quel momento, quali che siano stati,
egoistici o altruistici, gli impulsi che l’hanno originata.
Arrivato a questo punto, stabilita questa
distinzione, Giovanni Paolo II pronuncia un SI deciso al capitalismo, inteso come libertà d'iniziativa
economica e un NO altrettanto deciso
al capitalismo inteso come assolutizzazione o ipostatizzazione
del mercato. Se il Pontefice esprime obiezioni e obiezioni gravi rispetto al
capitalismo inteso come ideologia, è perché egli percepisce chiaramente che la
ideologizzazione del mercato, cioè, in termini più concreti, la presentazione
del mercato come una realtà che si autoregola indipendentemente dagli obiettivi
o finalità etiche del soggetti che vi intervengono, implica, malgrado la sua
apparente proclamazione di libertà, un determinismo, diverso senza dubbio dal
determinismo marxista, ma a dire il vero non meno ferreo e non meno carico di
conseguenze negative.
Il determinismo è in Marx esplicito e
radicale, conseguenza logica di aver postulato, in linea con Hegel, una piena
identificazione tra il reale e il razionale, fra l'uomo e la natura; per cui
l’etica si riduce ad artificio, a un adeguamento alla necessità. alla legge
immanente dell’avvenimento, negando ogni trascendenza dell’uomo sui processi
storici e aprendo le porte al totalitarismo. Adam Smith e la tradizione
economica che a lui s'ispira ha dei presupposti e delle connotazioni molto
diverse. E’ un fatto tuttavia che le idee di Smith sulla mano invisibile
portano alle volte molto oltre di quanto intenda lo stesso pensatore
scozzese, ma in ogni caso per merito della sua passione per la metafora,
portano ad un determinismo di segno non razionalista ma agnostico e con chiare
implicazioni esistenziali: la mano che dirige ciò che accade è appunto
invisibile, quindi non si può né scoprirla né dominarla. Benché questa mano
sia inafferrabile e imprendibile bisogna in essa confidare e confidare pienamente,
affidando alla sua azione la responsabilità di avviare a risultati positivi i
processi che gli uomini scatenano.
Dal punto di vista di Smith è possibile
senza dubbio parlare di etica, e proprio Adam Smith lo fece ampiamente e, in
vari punti, con acutezza e intelligenza; ma è certo che alcune sue idee fanno
pensare che, quali che siano i sentimenti e gli atteggiamenti etici relativi
alla dignità della persona, sotto il profilo economico l’eticità dei comportamenti
sia irrilevante: è una questione privata che non influisce sul risultato
finale a cui conduce l'economia, in virtù della capacità armonizzatrice del
mercato. Si introduce così una profonda tensione, più ancora una rottura
all'interno della coscienza umana o, detto con altre parole, tra l'uomo in
quanto essere umano e l'uomo in quanto operatore o soggetto dell’economia.
E’ proprio contro questa rottura, contro la scarsa conoscenza dell’uomo e
contro le gravi conseguenze che provoca, che Giovanni Paolo II reagisce,
reclamando, in piena continuità con il magistero precedente, la
subordinazione dell’economia all’etica e denunciando quindi ogni impostazione
ideologica che metta in dubbio questa realtà. L’uomo è un essere unitario e
l’etica si riferisce alla totalità delle sue azioni; in ogni momento l'uomo è
posto davanti alla propria coscienza, ed è chiamato ad affrontare e ad assumere
la propria insostituibile responsabilità. La realtà, anche quella economica,
ha le sue leggi che fanno riferimento a un settore dell’attività umana, quindi
presuppongono la verità sull’uomo, come essere dotato di libertà, di dominio
delle sue azioni, di finalità, di destino.
Marx sbaglia quando, ritenendo che la ragione umana possa scoprire la
legge immanente degli eventi, ammette come postulato la possibilità di
anticipare il futuro e da questo pianificare il presente: il futuro non si può
anticipare. Il pensarlo è un’illusione e un tentativo di ridurre la storia a
idea, con la conseguente distruzione dell’individuo umano e della sua capacità
d’iniziativa: le critiche di Hayek al costruttivismo sono in questo senso
azzeccate. Ma è vero tuttavia che l’uomo trascende il tempo, non già perché
possa accedere al futuro, ma, ciò che è ben diverso, perché il tempo capta il
bene e i valori, ciò che vale non già perché sia utile, ma perché è buono in sé
stesso. E questi beni e questi valori costituiscono, devono costituire, il
criterio fondamentale e finale dell’attività umana, anche di quella economica,
che, così e solo così. potrà raggiungere la sua meta. Il NO che Giovanni Paolo II pronuncia nella Centesimus annus nei riguardi del capitalismo come ideologia
è uguale a quel NO ugualmente
deciso che in altri capitoli dell’enciclica pronuncia rispetto al collettivismo.
E’ quindi un SI all’economia e alla
scienza economica, alle quali lancia una sfida affinché, aprendosi a un pieno
riconoscimento dell’inalienabile dignità della natura umana, possano
contribuire veramente ed efficacemente al bene dell’uomo e della società.
_____________________________________________________________________________________
NOTE
(1)
DieprotestantiscbeEthic und der Geist der Kapitalismus, che apparve per
la prima volta in due dispense, in due fascicoli di "Archiv fur Sozialwissenschaft
und Sozialpolitik” nel 1904-1905, venne poi raccolto in Gesammelte Aufsaize zur
Religionssoziologie, Tubinga 1922.
(2)
M. Novak, The catbolic ethic and the spirit of capitalism, New York 1993
(ed. it., L’etica cattolica e lo spirito del capitalismo, ed. di Comunità,
Milano 1994).
(3) Novak ha riassunto le sue idee
in un’intervista pubblicata in Spagna per la rivista “Palabra”, 362 (1955), pp.
91-95. Un’analisi della sua impostazione in R. Termes, El papel del
cristianismo en las economias de mercado, conferenza pronunciata all'Università
di Deusto il 5 maggio 1994 e pubblicata a Madrid lo stesso anno (vedere pp. 17
e ss.), ed anche, sotto un profilo più critico, nella recensione all’edizione
italiana pubblicata sulla rivista romana “Annales Theologici”.
(4) La pubblicazione di Der moderne
Kapitalismus, che comprende 6 volumi, venne iniziata net 1902 e poi completata
negli anni venti, ristampata pure in 6 volumi a Berlino net 1969-1986.
(5) M.
Novak, The spirit of democratic capitalism, New York 1982.
(6) Sulla figura di Francois
Quesnay, che pubblicò la sua opera più caratteristica, Le tableau économique, nel
1758, e sul movimento fisiocratico nel quale s'inserisce il suo pensiero economico
vedere fra gli altri M.A. Martinéz-Echevarria, Evolucion del pensamiento
economico, Madrid 1983, pp. 39-49; J. Schumpeter. Sintesis de la evolucion de
las ciencias economicas y sus métodos, Barcelona 1963, pp. 53-75; V. Rodriguez
Casado, Origenes del capitalismo y el socialismo contemporaneos, Piura (Perù)
1979, pp. 207 e ss.
(7) La fabula de las abejas fu pubblicata
per la prima volta anonimamente nel 1705, e fu ristampata varie volte negli
anni successivi.
(8) Su questo confronto tra Bernardo
de Mandeville e Adam Smith, vedere quanto già abbiamo scritto in El mercado:
ética y eficiencia, in AA.VV., Etica, mercado y negocios, Pamplona 1994,
332-394 (Cf. “La Società” III (1993) 2, pp. 265-280).
(9) Per un’analisi critica
dell’impostazione etica di Hayek, vedere P. Molero, La justicia sociale en
F.A. Hayek, in “Excerpta et dissertationibus in Sacra Theologia”, vol. XXIII,
Pamplona 1993, 332-394. Cf. anche V. Possenti, Il bene comune e la giustizia
sociale. Spunti di critica
alle posizioni neoliberali, in “La Società” 1(1991) 4, pp.
467-471.
(10) Leone XILI non dedica alcun
documento a trattare tematicamente questa questione, ma il principio indicato
sottostà a tutta la seconda parte dell’enciclica. Acta Leonis XIII P.M. vol
XI, 1892, pp. 107 e ss.
(11) Il testo più esplicito e
significativo è senza dubbio il seguente: “Anche quando l’economia e la
disciplina morale, ciascuna nel proprio ambito, hanno princìpi propri, ciò
malgrado è un errore che l’ordine economico e quello morale siano cosI lontani
ed estranei fra loro, che sotto nessun aspetto quello dipenda da questo” (AAS
23, 1931, 190-191; Nueves grandes mensajes, n. 42). Un’analoga impostazione,
cioè una riaffermazione della possibilità e della necessità di un giudizio
etico anche lasciando stare la prova dell’esistenza di una razionalità e di
una legge economica, si trova in diversi documenti magisteriali successivi,
come ad esempio l’enciclica Pacem in terris di Giovanni XXIII (AAS55, 1963,
297; Nueves grandes mensajes, n. 150), e la Costituzione Gaudium et spes del
Concilio Vaticano II, per rimandare tanto al passo in cui precisa it concetto
di autonomia delIc reattã terrene (n. 36), come a quello che applica questo
concetto generate al campo economico (n. 64, prolungato nei numeni 65-66 e
concluso, con alcuni temi più specifici, in quelli successivi).
(12) Questo giudizio negativo non è
tuttavia strettamente corrispondente o equivalente: la Quadragesimo anno
pronunzia infatti una generale condanna del sistema socialista o comunista, in
quanto intrinsecamente ateo e negatore della dignità e trascendenza della
persona umana, mentre, quanto al sistema capitalista, più esattamente, secondo
la terminologia dell’enciclica, “l’attuale regime economico”, lo descrive non
come “intrinsecamente perverso”, ma come "viziato”, anzi “profondamente
viziato”, giudizio che s’indugia a descrivere minuziosamente e a commentare
ampiamente (AAS 23, 1931, 212-216; Nueve grandes mensajes, nn. 111-120, sul
socialismo, e nn. 53-54, 64- 69, 103, 105 e ss.). Da queste differenze di tono
dell’uno e dell’altro giudizio, che rimangono nei documenti successivi del
magistero, deriva, tra le altre cose un fatto fondamentale: il sistema comunista
è l’espressione di una filosofia, quella di Marx, e di conseguenza procede
tutto secondo i principi teoretici sui quali è costruito, mentre il sistema
capitalista è piuttosto una realtà complessa, nella quale si mescolano esperienze
storico-concrete e influssi filosofici e ideologici, che si possono ravvisare
in diversi aspetti, ma che si richiamano sempre a un complesso storico che in
parte li trascende.
(13). Giovanni Paolo II, enc. Laborem exercens, n. 13.
(14). Si veda, sullo stesso argomento, l’affermazione
nella della Sollicitudo rei socialis del 30-12-1987, nella quale il Papa fa
notare che la Dottrina sociale della Chiesa “non è una terza via” tra il
capitalismo liberale e il collettivismo marxista e nemmeno una possibile
alternativa ad altre soluzioni meno contrapposte radicalmente, ma che ha una
propria categoria; questa categoria - prosegue, è quella che corrisponde
all’obbligo di confrontare le diverse situazioni e i diversi sistemi con “ciò
che il Vangelo insegna riguardo all’uomo e alla sua vocazione terrena e allo
stesso tempo trascendente”, perciò, egli conclude, appartiene “non all’ambito
dell’ideologia, ma a quello della teologia e specialmente a quello della
teologia morale” (n. 41. La distinzione tra i sistemi economici o politici e
le ideologie che li ispirano è già presente, sia pure in forma meno netta e
meno elaborata, in alcuni documenti magisteriali precedenti. Come ad esempio
il testo in cui Giovanni XXIII distingue tra il substrato ideologico originario
dei partiti, correnti o sistemi, e ciò che questi partiti, correnti o sistemi
finiscono per diventare come risultato della loro successiva evoluzione (Pacem
in terris, AAS 55, 163, 257: .Nueve grandes mensajes, n. 159); oppure, più
vicino al tema di cui ora ci occupiamo, il passaggio in cui Paolo VI distingue
fra "un certo Captialismo" che "è stato causa di molte
sofferenze, di ingiustizie e di lotte fratricide”, e “l’industrializzazione”
che non è in alcun modo responsabile di per sé dei “mali che sono dovuti al nefasto
sistema che l’accompagna” (Populorum progressio, n. 26).
(15) Centesimus annus, n. 39.
(16) Centesimus
annus, n. 42.
(17) Della relazione tra
attività umana e cultura tratta
espressamente il capitolo V della Centesimus annus (nn. 44-52: Si veda
specialmente il n. 51).
(18) Per definire il capitalismo
come ideologia, il professore italiano Ignazio Musu ha proposto di ricorrere a!
vocabolo “liberismo’, rilevando così che implica non già l’affermazione della
libertà di mercato ma la sua assolutizzazione ideologica (Per il mercato contro
il liberismo. in “Il Regno” 741, 1995. 1-4); per la stessa ragione si potrebbe parlare anche
di “mercadismo”, in quanto l’impostazione menzionata si caratterizza non già
per una valorizzazione del mercato, ma per la sua ipostatizzazione. Ne l’uno né !‘altro vocabolo hanno
ottenuto finora una particolare diffusione.