Dal latino rivelare, togliere il velo, manifestare.
Nel linguaggio teologico significa l'insieme di atti
con cui Dio, per mezzo dei profeti, di Gesù Cristo,
degli apostoli, ha manifestato se stesso, la sua volontà, il suo piano di salvezza
agli uomini. “Rivelazione» significa a un tempo la
condizione per la possibilità della fede (in Dio e in Gesù
Cristo) e la totalità della fede cristiana, e può essere inteso a ragione come
“concetto teologico trascendentale„ (H. Fries).
Per i cristiani la rivelazione abbraccia due
grandi fasi: quella dell'antico Patto (Alleanza) e quella del nuovo.
Nell'antico Patto Dio si rivela al popolo eletto, Israele. Il suo nucleo
principale è costituito dalla Legge e dai Profeti:
La prima riflessione teologica intorno al concetto di rivelazione è già in
atto in Ireneo, Clemente Alessandrino e Origene. Nel contesto
antignostico che oppone A. T. e N. T., Ireneo sottolinea l'unità della storia della salvezza. Dì
conseguenza il tema della rivelazione si ricollega al tema più ampio
dell'azione del Verbo di Dio, a un tempo creatore e
salvatore. Lo stesso Dio realizza, nel suo unico Verbo, un solo piano di
salvezza dalla creazione alla visione. Sotto la guida
del Verbo l'umanità nasce, cresce e muore fino alla
pienezza dei tempi (Adversus Haereses IV, 38, 3). Clemente Alessandrino costruisce
il suo imponente sistema di pensiero sul Logos salvatore e rivelatore. “Il
volto del Padre è il Logos in cui Dio è messo in luce e rivelato”, (Pedagogo 1.
57; .Stromati VII, 58, 3‑4). Due sono i canali
che hanno preparato la piena rivelazione del Logos: la filosofia per i gentili
e la legge mosaica per i giudei: .Ciò
che la legge è stato per i giudei, la filosofia lo è stato a sua volta per i
Gentili fino alla venuta di Cristo” (Stremati VI. 17). Con l'avvento del Logos,
in persona tanto la legge quanto la filosofia passano
al servizio della fede. Ora è il Logos incarnato che ci insegna
come l’uomo possa diventare figlio di Dio: è lui il Pedagogo universale che
riunisce legge, profeti e filosofia. Ormai “siamo diventati scolari di Dio: è
il suo stesso Figlio che ci dà un’ìstruzione
davvero santa» (Stromati 1, 98). Origene
elabora anch'egli una riflessione sulla rivelazione a
partire dal Logos, immagine fedele del Padre. “Vediamo
nel Verbo che è Dio e immagine di Dio invisibile, il Padre che l’ha generato”
(Commento a Giovanni 32, 29). La rivelazione si compie perché il Verbo si incarna e, attraverso l'incarnazione, cioè nella carne
del corpo e delle Scritture, ci permette dì vedere il Padre invisibile e
spirituale. L'incarnazione del Logos, inaugura una
nuova forma di conoscenza che oltrepassa il piano delle immagini, delle ombre,
della lettera e raggiunge il piano della realtà, della verità, dello spirito.
In questo passaggio Origene sottolinea l'azione dello Spirito. E’ lo Spirito
che conduce dal vangelo temporale al vangelo eterno.
Il momento interiore della rivelazione già sottolineato da Origene viene sistematicamente teorizzato da S. Agostino. Ciò che conta maggiormente nella rivelazione non è il verbo esteriore
ma il Verbo interiore. Ricevere le parole di Cristo, osserva Agostino,
non vuol dire solo ascoltare esteriormente “con le orecchie del corpo, ma dal profondo del cuore” come gli apostoli (Joan.
tract. 106. 6). Agostino insiste: la parola ascoltata
esteriormente non è niente se lo Spirito di Cristo
non agisce interiormente per farci riconoscere, come parola a noi personalmente
rivolta, la parola ascoltata: “Gesù Cristo è nostro
maestro e la sua unzione ci istruisce. Se questa ispirazione
e questa unzione fanno difetto, invano le parole risuonano alle nostre orecchie»
(In epist. Joan. 3, 13).
Questa grazia è a un tempo attrazione e luce. Attrazione che sollecita le facoltà del desiderio, luce che fa
vedere in Cristo la verità in persona. L'uomo riceve da Dio un duplice
dono: quello del vangelo e quello della grazia per aderirvi nella fede (De gratia Christi I, 10,
Nel suo studio sulla rivelazione. S. Tommaso raccoglie i frutti dì tutta la
speculazione precedente, dei Padri greci e latini, e degli Scolastici, ma situa
la problematica nel nuovo contesto culturale:
l'incontro del cristianesimo con il mondo arabo (islamico) e con la filosofia
aristotelica, che proprio sulla questione della rivelazione andavano
suscitando nuovi e spinosi interrogativi.
1. CONCETTO DI RIVELAZIONE
S. Tommaso dà al termine «revelatio» un significato in cui domina il fattore
conoscitivo: è una nuova luce ‑ gratuita, soprannaturale, donata dallo
Spirito Santo ‑ che tocca immediatamente la ragione (la facoltà conosciti-va,
non i sentimenti, il cuore, la fantasia ecc.), a cui spalanca l'orizzonte di
nuove e insospettate verità, che possono essere di ordine
sia naturale sia soprannaturale. La rivelazione non è una nuova facoltà né un
nuovo habitus che viene ad affiancarsi alle facoltà e agli habitus
che l’uomo già naturalmente possiede: neppure è semplicemente un'operazione divina,
bensì l'effetto di una speciale azione di Dio, che S. Tommaso paragona
continuamente all'azione del sole: come il sole con
la sua luce rende visibili le cose materiali, così Dio facendo dono
all'intelletto di questa luce, gli spalanca la visione di verità che prima gli
erano inaccessibili e invisibili. Al sole materiale ‑ scrive l'Angelico ‑
illumina esternamente; mentre il sole spirituale, che è Dio, illumina
internamente. Perciò anche la luce naturale posta da
Dio nell'anima è una luce divina. mediante la quale
Dio ci illumina nel conoscere le cose che rientrano nella cono scienza naturale.
Però per questo non si richiede una nuova
illuminazione: ma solo per ciò che sorpassa la conoscenza naturale (...).
L'intelletto umano ha una sua luce intellettuale (intelligibile lumen) che è
di per sé sufficiente a conoscere alcuni intelligibìli
(verità): vale a dire quelle realtà di cui possiamo formarci un'idea mediante
le cose sensibili. Ma l'intelletto non può conoscere
le realtà intelligibili superiori, senza una luce più forte (fortiori lumine). come potrebbe essere una luce della fede oppure il lume
profetico (lumine fidei
vel prophetiae), che è
detta anche “luce della grazia” (lumen gratiae)
perché viene ad aggiungersi a quella della natura” (I‑II. q.
Per lumen (luce) S. Tommaso intende “ciò che rende manifesto quanto
prima era occulto e invisibile” (I, q.
Da quanto siamo andati esponendo risulta che la rivelazione ‑ secondo
il concetto tomistico ‑ riguarda anzitutto la
dimensione soggettiva: è il potenziamento della facoltà conoscitiva,
il potenziamento del suo sguardo: è un vedere nuovo che fa vedere oggetti
nuovi. È, come dice bene l'Angelico, non tanto l'offerta di nuovi oggetti o di
nuove verità bensì un aiuto straordinario, una grazia concessa all'intelletto;
“ora per il nostro intelletto questa luce intellettuale non è l'oggetto
conosciuto, ma soltanto il mezzo per conoscere” (ipsum
lumen intelletcus nostri non se habet
ad intellectum nostrum sana quod
intelligitur, sed sicut quo intelligitur) (I, q.
La rivelazione è eminentemente azione di Dio e lo è in modo specialissimo. Infatti pur appartenendo a Dio l'iniziativa (è la causa
principale) di tutto quanto accade in questo mondo e di quanto succede nel
corso della storia, tuttavia la rivelazione gli appartiene in modo singolarissimo
in quanto fa parte di un piano speciale, straordinario, il piano della grazia
che è il piano della storia della salvezza. Pertanto la rivelazione è azione
speciale dello Spirito Santo (I‑II, q.
2. NECESSITA’ DELLA RIVELAZIONE
La rivelazione è ovviamente necessaria per
l'ordine soprannaturale, perché quest'ordine
è, per definizione, quell'ordine che l’uomo può
riconoscere e a cui può accedere soltanto per dono assolutamente e totalmente
gratuito di Dio. Ma secondo S. Tommaso, che su questo punto
riprende l'insegnamento oltre che di S. Agostino anche dell'ebreo Mosè Maimonide, la rivelazione è
necessaria altresì per dare maggiore solidità all'ordine naturale. Su questo argomento S. Tommaso si è espressa chiaramente e
fermamente in numerose occasioni. Qui può bastare una sola citazione che
riprendiamo dalla II‑II, q.
Come s'è detto, questo secondo gruppo di verità rivelate, che di per sé
sono già accessibili alla ragione, non fanno parte del revelatum
ma del revelabile. Nel Commento alle Sentenze
S. Tommaso dice che le prime appartengono alla fede per
se (essenzialmente) le seconde per accidens
(accidentalmente). “La fede si riferisce a qualche cosa in due modi, per se
oppure per accidens. Nel primo caso (per se)
si tratta di verità che appartengono alla fede sempre e ovunque (semper et ubique). Nel secondo caso (per accidens) appartengono alla fede di determinate persone.
Pertanto, verità relative a Dio che superano
assolutamente la capacità dell'intelletto umano e che ci sono state rivelate,
appartengono essenzialmente (per se) alla fede; invece ciò che supera
soltanto l'intelligenza di questa o quella persona ma non di tutti gli uomini,
non appartiene alla fede essenzialmente ma soltanto accidentalmente» (III Sent., d. 24, q.
3. LE GRANDI TAPPE DELLA
STORIA DELLA RIVELAZIONE
La rivelazione divina è avvenuta attraverso successivi interventi di Dio,
mediante i quali è diventata sempre più esplicita sia la dottrina sulla
divinità stessa sia il suo disegno salvifico che doveva raggiungere il momento
conclusivo con l'incarnazione del Verbo di Dio. S. Tommaso prendendo come
punto di riferimento il traguardo finale della rivelazione, l'Incarnazione,
scandisce la storia stessa della rivelazione in tre grandi epoche: l'epoca prima del peccato, l'epoca dell'Antica Alleanza e
l'epoca della Nuova alleanza. “La via per cui gli
uomini possono raggiungere la beatitudine è il mistero della incarnazione e della
passione di Cristo; poiché sta scritto: “Non c'è alcun altro nome dato agli
uomini, dal quale possiamo aspettarci d'essere salvati” (At 4, 12). Perciò era
necessario che il mistero della incarnazione di Cristo
in qualche modo fosse creduto da tutti in tutti i tempi: però diversamente secondo
le diversità dei tempi e delle persone. 1) Infatti
prima del peccato l'uomo ebbe la fede esplicita dell'incarnazione di Cristo in
quanto questa era ordinata alla pienezza della gloria; ma non in quanto era
ordinata a liberare dal peccato con la passione e con la risurrezione; perché
l'uomo non prevedeva il suo peccato (...). 2) Dopo il peccato, poi, il mistero
di Cristo fu creduto esplicitamente non solo per l'incarnazione, ma anche rispetto
alla passione e alla risurrezione, con le quali l'umanità viene
liberata dal peccato e dalla morte. Altrimenti gli antichi non avrebbero
prefigurato la passione di Cristo con dei sacrifici, sia prima sia dopo la promulgazione
della Legge (...). Inoltre, gli antichi conobbero le cose che si riferivano al
mistero di Cristo tanto più distintamente, quanto più
furono vicini al Cristo. 3) Finalmente, dopo la rivelazione della grazia, tanto
i maggiorenti (dotti) quanto i semplici sono tenuti
ad avere la fede esplicita dei misteri di Cristo e specialmente di quelli che
sono oggetto delle solennità della Chiesa e che vengono pubblicamente proposti
come gli articoli sull'Incarnazione» (II‑II, q.
Secondo S. Tommaso, nelle singole epoche la più perfetta manifestazione
divina è stata quella che si è verificata in colui che
l'ha inaugurata: “Nelle singole ere la prima rivelazione fu la più eccellente»
(II‑II, q.
La rivelazione di Cristo è l'ultima, la perfetta nel senso pieno della
parola. Non vi saranno nell'ordine della rivelazione
ulteriori esplicitazioni per mezzo di altri
interventi divini (II‑II, q.
L'insieme delle verità che Dio ci ha rivelato per mezzo dì Cristo e degli
Apostoli è “l’insegnamento secondo la rivelazione”, al
quale si dà anche il nome di “sacra dottrina” (I, q.
4. RIVELAZIONE E TEOLOGIA
Tutto ciò che Dio ha reso noto all'uomo mediante
la rivelazione forma l'oggetto della teologia. Questa non ha altro oggetto che
ciò che è stato svelato all'intelligenza mediante il lumen revelations, Grazie a tale oggetto la teologia sì
distingue non solo specificamente ma genericamente (ossia appartiene a un ramo del sapere totalmente diverso) da qualsiasi
altra scienza compresa la teologia filosofica. Infatti
alla diversità di principi o di punti di vista causa la diversità delle
scienze. Una stessa conclusione scientifica poi dimostrarla
sia un astronomo sia un fisico. Per es. la rotondità della terra; ma
l'astronomo parte da criteri matematici, cioè fa
astrazione dalle qualità stesse della materia; il fisico invece la dimostra
mediante la concretezza stessa della materia. Quindi niente impedisce che
delle stesse cose di cui tratta la filosofia con i
suoi lumi di ragione naturale (cognoscibilia
lumen naturalis rationis),
tratti anche un'altra scienza che proceda alla luce della rivelazione (quae cognoscuntur lumine divinae revelationis). Perciò quella teologia di cui si occupa
la sacra dottrina (theologia quae ad sacram
doctrinam pertinet)
differisce secondo il genere (differt secundum genus) dalla
teologia che rientra nelle discipline filosofiche” (I, q.
La rivelazione non è soltanto l'oggetto e, perciò, la fonte principale,
sostanziale e fondamentale della scienza teologica, ma è anche l'autorità
primaria e suprema a cui fa appello in ogni sua
argomentazione. “Argomentare per autorità è particolarmente proprio di questo insegnamento (doctrina)
per il fatto che esso deriva i suoi principi dalla rivelazione (principia huius doctrinae per revelationem habentur). Né
questo deroga alla dignità della sacra dottrina, perché sebbene l'argomemo di autorità umana sia il
più debole di tutti, l'argomento dì autorità fondato sulla rivelazione divina
è il più forte (locus tamen
ab auctoritate quae fundatur super revelatione divina, est efficacissimus”
(I, q.
R. Latourelle, grande autorità
sul tema specifico della rivelazione, formula il seguente giudizio a proposito
della dottrina di S. Tommaso in questo campo: “Nell'epoca medioevale Tommaso rappresenta il punto di maturità della grande
scolastica nella sua riflessione circa il tema della rivelazione. Dopo di lui
non troviamo in altri teologi prospettive più ampie
dì quelle che egli ha sviluppato, anche se non si può pretendere di trovare in
lui una teologia della rivelazione nell'attuale senso del termine. Nei secoli
successivi, fino ai nostri giorni, la terminologia si farà più precisa, più tecnica, ma la riflessione non guadagnerà granché
in profondità”.
(Vedi: FEDE, TEOLOGIA, PROFEZIA,
SALVEZZA, RELIGIONE)
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Battista
Mondin.
Dizionario
enciclopedico del pensiero di S. Tommaso D'Aquino,
Edizioni
Studio Domenicano, Bologna.