Ragione
Comunemente significa la facoltà
conoscitiva propria dell’uomo e di cui lui solo è dotato. Il termine latino
"ratio" connesso
probabilmente con la stessa radice di ratus ( pensato, stabilito, fissato), aveva in origine soprattutto il significato,
conservato anche in seguito, di calcolo" (presente ancor oggi nel termine
ragioniere, colui che fa i calcoli). Nel linguaggio
filosofico latino entrò con Lucrezio e Cicerone a tradurre logos e dianoia ,
un po’ alla volta, ha assunto un triplice significato: la facoltà umana di
conoscere discorsivamente, la razionalità generale dell’universo. il fondamento per cui è o si fa una cosa. Questi tre
significati si ritrovano anche nel linguaggio degli scrittori cristiani latini,
i quali, però, identificano la razionalità universale con la ratio
divina e fanno della ratio il tratto distintivo dell'essere umano: il potere
che lo distingue dai bruti. "Ciò per cui l’uomo
supera in eccellenza gli animali irragionevoli è la ragione, ovvero la mente o l’intelligenza o comunque la si
chiami" (Agostino, De genesi ad litteram III,
20, 30). Nell’uomo S. Agostino distingue due livelli di razionalità: quello
superiore della ratio superior che
ha per oggetto l’eterno e l’immutabile. quello
inferiore della ratio inferior
che riguarda la ragione contingente soggetta al tempo e al divenire.
In S. Tommaso il raggio semantico del termine ragione
è vastissimo: oltre a! significato più comune di
facoltà conoscitiva propria e specifica dell’uomo, altri significati frequenti
sono: concetto, nozione, essenza, definizione, procedimento speculativo,
principio ecc.
S. Tommaso pone una
netta distinzione tra ratio e intellectus: "Intelletto e ragione, sebbene
non siano potenze diverse, ricevono tuttavia il loro nome dalla diversità degli
atti: il nome intelletto deriva infatti dall’intima
penetrazione della verità, il nome ragione dalla ricerca e dal discorso"
(II-II, q.
S. Tommaso riprende da Agostino la distinzione tra
ratio superior e inferior, la
prima, rivolta a contemplare le cose eterne, da cui trae anche norme d’azione;
la seconda, rivolta alle cose temporali, e nega che debbano intendersi come due potenze
diverse, dato che la via per conoscere le cose eterne, per noi, passa
attraverso la conoscenza delle cose temporali: "Questi due gruppi di cose,
le temporali e le eterne, rispetto alla nostra
conoscenza si presentano in questo rapporto, che l’uno di essi è il mezzo per
conoscere l’altro. Infatti seguendo la via
dell’indagine (viam
inventionis) mediante le cose temporali arriviamo alla conoscenza delle cose eterne,
secondo il detto dell’Apostolo: “Le perfezioni invisibili di Dio,
comprendendosi dalle cose fatte, si rendono visibili” (Rom 1, 20); seguendo invece la via del giudizio (in via iudicii),
mediante le verità eterne già conosciute giudichiamo delle cose
temporali e alla luce delle ragioni eterne disponiamo le cose temporali (secundum
rationes aeternorum temporalia disponimus)" (I, q.
Ai due grandi settori
della realtà corrispondono anche due modalità distinte della ragione: il
settore dell’essere è oggetto della ragione speculativa, che si esprime attraverso la scienza (studia la
fisica) e la sapienza (studia la metafisica); mentre
il settore dell’agire è oggetto della ragion pratica (ratio practica). L’ambito della ragione
pratica viene ulteriormente suddiviso in due grandi
aree: quello della produzione di cose o di strumenti e quello della formazione
di se stessi.
La prima è
l’area dei factibilia
e
appartiene all’arte; la seconda è l’area degli agibilia e appartiene alla morale. In un
testo esemplare del Commento alle Sentenze, S. Tommaso chiarisce egregiamente questi
concetti. Scrive l’Angelico: "Il conoscere è duplice: uno speculativo che ha per
fine la verità come scrive il Filosofo (Metaf. IL, 3). L’altro ha per fine
l’operazione, che è causa e regola di quanto viene
fatto dall’uomo. Ora di quanto avviene per opera dell’uomo, alcune cose si
dicono fattibili (factibilia):
sono quelle che accadono mediante la trasformazione di qualche materiale
esterno, come avviene nelle opere dell’arte meccanica. Invece
in altri casi non si ha nessuna trasformazione di materiale esterno, ma la
moderazione delle proprie passioni e operazioni. In entrambi i casi chi
presiede è la ragion pratica (practica cognitio).
Per la vita
attiva non si esige qualsiasi forma di conoscenza pratica, ma solamente quella
che nelle cose agibili (in agibilibus) dirige le opere proprie della virtù morale. Siffatta
conoscenza è necessaria per la scelta, che è ciò di cui tratta la virtù
morale" (III Sent., d. 35, q.
In conclusione la ragione pratica guida l’uomo in tutti
i campi dell’agire, ma in modo particolare in quello della morale, la quale ha
per fine non la
conoscenza ma l'azione: "in scientiis ,moralibus finis non
est cognitio sed opus" (ibid.).
La ragione speculativa ha come
virtù regina la sapienza, invece la ragione pratica ha come regina la prudenza.
(Vedi: PRUDENZA, SAPIENZA, INTELLETTO)
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Battista Mondin.
Dizionario enciclopedico del pensiero di S. Tommaso D'Aquino,
Edizioni Studio Domenicano, Bologna.