Concetto presente in tutte
le culture sia tradizionali sia progredite e che
qualifica qualsiasi cosa o azione che sia ritenuta dannosa all’uomo. Nel mondo
classico l'unico filosofo che si pose seriamente il problema del male fu Plotino, al quale va il
merito di avere formulato un concetto preciso dì tale fenomeno, definendolo
come “privazione”, mancanza dì bene». Causa della carenza
di bene, secondo Plotino, è la materia. Di qui
l'impostazione dell'ascetica plotinìana, la quale
mira soprattutto al distacco dell'anima dalla materia e perciò dal corpo.
S. Agostino, che trai
pensatoti d'ogni tempo è colui che si è arrovellato
maggiormente intorno al problema del male, fece suo il concetto plotiniano del male, inteso come privatio
bonì; ma ricusò dì identificare il male con la
materia, poiché anche questa è creata da Dio, c pertanto è necessariamente, intrinsecamente
buona, perché Dio, sommo bene, non può creare che cose buone. Così,
approfondendo la natura del male, Agostino rileva che non può essere una
sostanza. perché «l'essere, per quanto in piccolo
grado, è un bene per sé„. Il male consiste essenzialmente nel disordine, ossia
nell'allontanamento da Dio, nella aversio
a Deo e nella conversio ad creaturas:
allontanamento dal sommo bene per attaccarsi a beni inferiori. Di tale
disordine causa esclusiva è il libero arbitrio. A monte
di ogni male, secondo S. Agostino, sta il disordine morale della volontà: dal
disordine morale discende anche il disordine materiale, il male fisico.
S. Tommaso ha vissuto meno
angosciosamente del grande convertito di Tagaste l'oscuro e assillante problema del male, malo ha
scrutato attentamente in tutti i suoi aspetti, proponendo soluzioni che
riecheggiano fortemente le tesi di Agostino. S. T.
si cimenta col problema del in. in tre contesti
principali: esistenza di Dio, provvidenza divina. libertà
umana. In tutti tre i casi egli spiega il male subordinandolo al bene, e
interpretandolo alla stregua di altri fenomeni
"metafisici" analoghi i fenomeni dell'errore (che non è una realtà
in sé ma è privazione della verità), della bruttezza (che non ha una propria
realtà ma è privazione di bellezza), del nulla (che non ha nessuna consistenza
ontologica, ma è semplicemente e radicalmente assenza di essere). Pertanto il
male, come aveva insegnato Agostino, non è una realtà positiva:
è una privazione, è la mancanza di qualcosa che dovrebbe esserci, come la
cecità è la mancanza di qualcosa nell'occhio e la sordità è la mancanza di
qualcosa nell'orecchio.
Il male ‑insegna S.
Tommaso al seguìto di Agostino ‑ si può presentare sotto due forme: come
mancanza
di un elemento naturale (fisico) oppure come
mancanza dì ordine al fine proprio, liberamente voluta da una creatura
razionale. Nel secondo caso si ha la colpa (malum
culpae), il male morale ‑ che è il male più
grave (I, q.
Secondo l'Angelico
il male non può essere preso seriamente come argomento contro
l'esistenza di Dio, come pretende il primo argomento addotto per suffragare il Videtur quod Deus non sit. L'argomento suona così: «Se
uno di due contrari è infinito, l'altro sarà totalmente distrutto. Ma col
termine Dio si intende un bene infinito; dunque se Dio
ci fosse non ci sarebbe il male; e invece il male nel mondo c'è; dunque Dio non
esiste, (I, q.
2. IL MALE E
Per S. Tommaso è conveniente
che esistano gradi inferiori di creature, nei quali
le perfezioni create sono contenute più lmitatamente
solo per un periodo di tempo o con la possibilità di non giungere alla loro
debita pienezza. È errato pensare che Dio dovrebbe aver fatto solo i gradi più
perfetti di essere, dando, per es.,
ai mortali l’immortalità, agli imperfetti la perfezione, ai mobili l'immobilità.
“Nulla vincola
Questa prospettiva in cui il
piano universale, di cui fanno parte sia il bene sia il male, è voluto da Dio, non implica l'idea che Dio stesso sia la
causa del male. Infatti, spiega l'Angelico, una causa può dare origine al male
o perché è causa a sua volta difettosa (il malato
cammina male, ossia zoppica, perché ha un difetto, una mancanza), o perché
dispone di una materia difettosa (come quando una casa crolla per difetto di
materiale), o perché è capace di trarre da un difetto (male) parziale un bene
maggiore. La causa prima, Dio, sì può dire causa del male soltanto nel terzo
senso, perché nel suo operare non presuppone nessuna materia né ha in sé
difetto alcuno, poiché è la pienezza dell'essere (I, q.
49, aa. 1‑2).
3. IL MALE E
È prerogativa della libertà
finita essere fallibile: proprio perché è finita può decadere dall'orizzonte
del bene assoluto e infinito e può lasciarsi catturare e rinchiudere dentro i
confini di beni finiti (del proprio essere o di altre
cose). E precisamente in questo consiste il male
morale: nel preferire beni particolari al Bene universale. Per quanto riguarda
la provvidenza divina e l'ordine universale, la spiegazione che S. Tommaso
fornisce di questo male ricalca da vicino quella che ha già dato per il male
fisico. Neppure il male morale, per quanto grave, scompagina e infrange l'ordine
universale. Infatti, nell'atto moralmente cattivo, anche nei casi in cui si
agisce formalmente contro il bene divino, non si arriva mai a
un'opposizione frontale all'ordo universalis. poiché in questo
caso la volontà sarebbe cattiva per natura e tenderebbe al male in se stesso, e
così si trasformerebbe nel contrario di Dio e nel MALE per essenza: il che è
assolutamente impossibile. Infatti “in quanto la volontà tende naturalmente al
bene conosciuto come al proprio oggetto e al proprio
fine, è impossibile che una qualche sostanza intellettuale abbia una volontà
malvagia secondo natura a meno che il suo intelletto non erri circa il
giudizio sul bene (...). È impossibile però che vi sia un intelletto che venga
meno per sua natura nel giudizio del vero. Perciò è
impossibile che vi sia una qualche sostanza intellettuale che abbia una volontà
naturalmente malvagia (neque igitur possibile est quod sit aliqua substantia
intellectualis habens naturaliter malam voluntatem)” (C. G., III, c. 107).
II male morale si
costituisce dunque non nella natura della volontà che è naturalmente buona,
bensì nell'atto della scelta, cioè nel libero arbitrio
(v. ARBITRIO). Il peccato, ossia il male morale, altro non è
che riporre la propria felicità (beatitudine) in qualche cosa che non
può dare la vera felicità; è una forma di “idolatria”, un mettere qualche bene
finito al posto di Dio, come se fosse Dio. Una tale deficienza della volontà,
impossibile in universali è purtroppo possibile in particulari, come sottolinea
S. Tommaso: “Ogni mente razionale naturalmente desidera la felicità in modo
indeterminato e universale, e riguardo a questo non può venir meno; ma nel
particolare non c'è un determinato movimento della volontà della creatura a
cercare la felicità in questo o in quello. E così nel desiderare la felicità
qualcuno può peccare, se la cerca dove non deve cercarla, come colui che cerca nei piaceri la felicità; e lo stesso è
rispetto a tutti gli altri beni finiti” (De Ver.,
q.
Quando la creatura pecca perde la beatitudine (v.
BEATITUDINE) che consiste nell'uniune con Dio, e fallisce così la piena realizzazione
della sua capacità infinita, ma non perde né il proprio essere né una parziale
realizzazione di sé. Perdendo l'unione elettiva col
fine ultimo, sminuisce la pienezza della sua bontà e resta unita a Dio solo
come una cosa naturale, senza che la sua volontà partecipi attivamente a questa
relazione. Ogni male è un indebito rimpìcciolìmento
del bene, come una restrizione di un bene che avrebbe dovuto
essere più totale. Nel peccato (v. PECCATO) la
restrizione costituisce un passaggio dall'unione finita al Bene infinito, che
la creatura razionale doveva operare elettivamente. all'unione con un bene finito che non può colmare la volontà.
Ma la ragione ultima a cui S. Tommaso si appella per fare rientrare il male
nell'ordo universalis
non è tanto quella che il male non è mai totalmente male ma piuttosto un bene
rimpicciolito, bensì il principio per cui “tutto
quello che succede nel inondo, anche se è male, ricade in bene dell'universo” (In
Ep. ad Rom., VIII, lect. 6,
n. 696). Il male resta così non soppresso. ma
reintegrato nell'armonia dell'universo. Seguendo gli
alvei stabiliti nell'ordine cosmico, i mali finiscono per confluire nel bene
della totalità dell'universo e nel bene personale delle creature spirituali.
“La provvidenza di Dio fa buon uso dei mali, a volte per utilità degli stessi
che li patiscono, come quando per opera di Dio le infermità corporali o persino
spirituali ricadono a vantaggio di coloro che le soffrono; altre volte a
vantaggio dì altri, in un duplice modo: o per il vantaggio particolare di
qualcuno, come quando, per la penalizzazione di uno, un
altro si emenda, o per l'utilità dì tutti, come la punizione dei delinquenti è
ordinata alla pace sociale” (In Div. Nom., IV, lect. 23).
Secondo S. Tommaso tutto
ciò che succede nell’universo finisce sempre per contribuire al bene dei
giusti, di coloro cioè che lottano per salvaguardare
l'ordine morale in ogni loro azione, poiché tutti e ciascuno di essi costituiscono
le parti più essenziali dell'universo (cfr.
De Ver., q.
Del problema del male, S.
Tommaso si è occupato occasionalmente nei seguenti scritti: il Comm. Alle Sentenze (I, d.46, q. 3; 11, d. 34, qq. 1‑2);
(V. ORDINE, PROVVIDENZA, BEATITUDINE, PECCATO, ARBITRIO)
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Battista Mondin.
Dizionario
enciclopedico del pensiero di S.Tommaso D'Aquino,
Edizioni
Studio Domenicano, Bologna.