Editoriale
(14 febbraio 2005)Editoriale (14 febbraio 2005)
La
sottile tecnica del terrorismo psicologico
di Francesco Agnoli
Ciò
che stupisce nell’odierno dibattito sulla fecondazione in vitro, e le biotecnologie in
genere, è l’assoluta "buona volontà", da parte di molti, nello sfuggire l’approccio razionale. Vi è come un
riflesso condizionato: se dei cattolici esprimono una posizione su un
qualche argomento, occorre schierarsi, immediatamente,
dalla parte opposta. Occorre, ipso facto, ricorrere all’armamentario più bieco della
retorica politica: "cattolici integralisti", "oscurantisti",
"medievali", "retrogradi", e chi più né ha più ne metta.
L’importante
è che siano insulti ed aggettivi qualificativi, senza argomentazioni né sostanza. E’ un fatto
incontestabile, comunque, che molti cattolici si pongano di fronte alle nuove
possibilità della scienza con un atteggiamento
critico, nel senso etimologico della parola. Un atteggiamento, cioè, di giudizio,
che però non è determinato esclusivamente dalla Fede, bensì deriva dalla semplice constatazione che non
tutto ciò che è fattibile è automaticamente
buono; che non tutto ciò che viene dalla cosiddetta scienza, è automaticamente santo e benedetto. La storia ce lo dovrebbe avere insegnato.
Nella
prima guerra mondiale, infatti, l’ottimismo positivista fu rovesciato dalle potenzialità
distruttive messe in campo dalla tecnologia: gas nervini, carri armati, mitragliatori… Nella seconda la
bomba atomica è solo l’esempio più palese
di cosa possa determinare un uso sbagliato delle scoperte scientifiche.
Lo
stesso potrebbe dirsi degli esperimenti dei medici e psichiatri nazionasocialisti,
sulle donne, i feti, gli anziani ed i malati. Eppure nessuno può negare che Enrico Fermi e gli
"stregoni" di Los Alamos abbiano contribuito all’evoluzione delle conoscenze sull’atomo, e
neppure che i medici nazisti abbiano
giovato alla medicina con alcune specifiche scoperte. Però sarebbe stato meglio che certi
esperimenti non fossero mai avvenuti.
Nonostante
dunque vi sia una istruttiva storia alle spalle, oggi
sono in tanti a rivendicare una libertà
assoluta per la scienza. Ne esaltano l’onnipotenza, l’assolutezza, proprio mentre i
giornali ce ne raccontano periodicamente
le sconfitte. Faccio un esempio concreto. Tutti ricordano il caso del Lipobay, del Celebrex, di mille
altri medicinali che vengono periodicamente ritirati dal commercio perché si è scoperto,
dopo anni, che più che curare provocano
dei danni: i cosiddetti effetti collaterali, che possono giungere anche alla morte. Recentissimamente
uno dei più venduti antiinfiammatori al mondo, il Viox, è
stato ritirato dal commercio: in 5 anni aveva causato, solo negli Usa, 27.000 infarti. Il "Corriere
salute" (allegato del "Corriere della Sera") del Gennaio 2005 titolava:
"Farmaci sotto accusa". Nelle pagine interne del dossier si spiegava ad esempio che
la terapia ormonale sostitutiva (Tos) "era (sino a poco fa) considerata una
panacea, mentre oggi viene vista con sospetto":
può addirittura essere responsabile di "tumore al seno",
"rischio di attacchi cardiaci, di
ictus e di episodi tromboembolici". E poi via ad
elencare i
sospetti che gli antidepressivi come il Prozac
possano spingere nientemeno che al
suicidio, ecc. ecc…
Sono evidentemente tutte cose risapute, e razionalmente
comprensibili. Penso che sia capitato a molti, come al
sottoscritto, di aver preso medicinali per qualche anno e poi, un giorno, di
essersi sentiti dire, dal farmacista di turno,
che il medicinale non era più in vendita. Ritirato perché dannoso!
Ebbene
le precauzioni, razionali ed ovvie di fronte a tante realtà della scienza umana,
sembrano assurde e retrograde, quando si parla di biotecnologie, a chi guarda alla realtà con gli occhiali
ideologici. La fecondazione in vitro, per costoro, per i "credenti"
in madre-provetta, è un diritto. Di conseguenza è innocua, senza rischi, efficacissima,
moralmente lecita. Fa bene alla donna e produce bambini sani, belli, biondi e
con gli occhi azzurri. Purtroppo però tutto ciò non è vero. I casi di donne
morte per iperstimolazione ovarica, procedura
preliminare ad ogni ciclo di fecondazione in vitro, sono lì a dimostrarlo. Del resto la iperstimolazione altro non è che una terapia
ormonale massiccia, con tutte le
controindicazioni del caso, analoghe, come è intuibile, a quelle della sopracitata
Tos: morte, nei casi più gravi; possibile tumore alla
mammella o ai genitali, nel lungo
periodo ("Le Scienze", settembre 2004), depressione, problemi alla mucosa dell’endometrio (essenziale nel parto) ecc…
Anche
un esperto di fecondazione in vitro come Carlo Flamigni
non teme di affermarlo,
nel suo "La procreazione assistita" (Il Mulino, 2002).
Complicazioni
forse ancora più gravi sono possibili per gli eventuali bambini nati tramite Fiv. Non sappiamo produrre, spesso, dei semplici medicinali, e
riteniamo di saper fare senza rischi delle piccole creature umane? Anche qui c’è una vastissima letteratura
medica che sottolinea i rischi di deficit fisici e/o mentali connessi alla
fecondazione in vitro. Si parla di un aumento delle malattie degenerative,
del cuore e dei muscoli, di paresi cerebrali,
di handicap, di anomalie cromosomiche, di sterilità ereditaria ecc. Si afferma che, essendo il Dna un orologio a
tempo, non sappiamo bene quali possano
essere le conseguenze di determinate tecniche, nel lungo periodo.
Eppure è difficile che la
grande stampa ne prenda atto. Si limita per lo più a slogans entusiastici, degni
dello scientismo più ottuso, propalati anche da quanti, per ovvi motivi di interesse personale, sono
tranquillamente disposti a mentire. Faccio,
anche qui, un esempio molto concreto. Il dottor Carlo Flamigni,
massimo esperto
in Italia di Fiv, intervistato dal "Corriere
della Sera" il 14/1/99, veniva così
interpellato: "Funziona la tecnica del congelamento degli ovociti che lei sta
attuando nel suo centro?". "Sì", rispondeva il dottore, e col riflesso
condizionato di cui sopra, aggiungeva immediatamente: "ma alla Chiesa non va bene neppure questo". Tre anni
dopo, nel suo libro già citato, Flamigni sosterrà di aver
fatto nascere 34 bambini con la tecnica del congelamento degli ovociti: ma
"per uscire dalla fase sperimentale è necessario dare ai 34 bambini già nati, almeno altri duecento fratelli. Solo
così riusciremo a sapere se il congelamento degli ovociti
è realmente innocuo…". Nessun dubbio, nessuna incertezza, nel 1999! Dubbi,
esperimenti da continuare, innocuità in forse, nel 2002! Oggi, in clima di dibattito
piuttosto acceso, Flamigni si scopre nuovamente in
accordo con le proprie posizioni del ’99, e in disaccordo con quelle del 2002! E
intanto continua a sperimentare.
In
realtà questa strategia della menzogna non è per nulla nuova.
Anche all’epoca
dell’aborto venne ampiamente utilizzata, e dallo stesso fronte. In America ad esempio
l’aborto fu legalizzato grazie a Norma MC Corvey,
detta Roe, una
povera donna cresciuta in riformatorio, devastata dall’uso di stupefacenti e da una vita piena di miserie. Rimasta incinta,
divenne il cavallo di Troia di alcune avvocatesse femministe, ben
decise a servirsi del suo caso estremo e pietoso, per farne una eroina dell’aborto. La
vezzeggiarono, se ne servirono, e poi la abbandonarono. Lo racconta lei stessa, molti anni dopo: "Ero ignorante, bestemmiavo, non sapevo vestire, non potevo
appartenere al mondo delle giovani laureate
di Vassar e di Harvard, che
durante la marcia per l’aborto, a Washington,
mi tennero nascosta tra la folla. Scandivano il nome di Jane
Roe, ma preferivano restassi nella
retroguardia…" ("Il Giornale", 17/1/2005). Facendo leva sul
sentimentalismo, le vicende di Norma, già di per sé assai tristi, vennero fantasiosamente
falsificate: si raccontò che era stata vittima nientemeno che di uno stupro di gruppo, quasi
a voler dire che l’aborto, se fosse stato
legalizzato, sarebbe rimasto limitato solo ai casi estremi. Non era assolutamente vero.
Come
ammette sempre lei, trent’anni dopo: "da quell’infelice giorno del 1973, 45 milioni di famiglie
americane sono state toccate dall’aborto.
Le conseguenze psicologiche per le donne sono sempre devastanti, e poi di questa
pratica, in America, ancora si muore".
In
Italia venne utilizzata una tattica assai simile. A Seveso, un paesino della Brianza,
vi fu nel luglio 1975 una esplosione nella fabbrica chimica Icmesa, che provocò
una fuga di gas tossico, la diossina. Tra i vari timori di conseguenze future c’era quello per la
sorte degli eventuali nascituri. Radicali e movimenti abortisti reclamarono il
"diritto" d’aborto per le donne incinte della zona di Seveso
e di Meda. Qualcuno chiese non solo che l’aborto per quelle donne fosse lecito, ma addirittura
obbligatorio. Contemporaneamente da più parti si tentò di spaventare le partorienti
con il macabro slogan "O aborto o mostro". Le donne della zona, per lo più, non
abortirono: solo 15 su 1000 gravidanze.
Alla
fine nessun bambino risultò malato: si era trattato
solo di terrorismo psicologico, a sfondo
ideologico. Ma la vicenda aprì sicuramente la porta alla legge 194.
Oggi
si cerca di fare la stessa mossa, utilizzando a tale scopo un
malato, Luca Coscioni.
Si afferma che probabilmente potrebbe guarire, se solo si potesse sperimentare sugli embrioni. In
realtà la sperimentazione in questione esiste in alcuni paesi dal 1970, e non
ha mai dato un solo risultato: infatti Coscioni non ha affatto preso in considerazione di andare
in nessuno di questi Paesi. Però la sua
voce metallica, la pena che inevitabilmente provoca in chi lo
ascolta, sono il nuovo caso
pietoso, per aprire la porta, come ha detto autorevolmente il ministro Giovanardi,
al nuovo nazismo: l’eugenetica, gli esperimenti
sugli embrioni, ecc.
L’embrione,
nelle parole di coloro che lo vorrebbero ridurre ad un "ricciolo di materia", a
"un grumo di cellule", con la stessa terminologia fuorviante usata negli anni Settanta per il
feto, diviene una cosa strana, incomprensibile,
che non si riesce o non si vuole definire. Per un politico come Giorgio Tonini non è né una persona né una cosa, per cui è paragonabile,
addirittura, ad un cadavere. Per Edoardo
Boncinelli, scienziato, la vita umana inizia
biologicamente con la fecondazione, cioè con l’embrione monozigote,
ma dovremmo stabilire noi, per
convenzione, a partire da quando occorre tributargli il dovuto rispetto: stabilirlo per
convenzione, cioè con la stessa modalità con cui si decide che alle feste importanti non si
mettono i jeans o che al lavoro non si
va in maglietta corta. Per Peter Singer, molto citato
negli ambienti "fecondazionisti", l’embrione non è proprio degno di
tutela alcuna, dal momento che persino i
neonati non sono persone ed hanno una dignità inferiore a quella degli scimpanzè e delle balene. Per altri
ancora, sempre provenienti dallo stesso ambiente ideologico, l’embrione
diventa persona a 14 giorni, o a 40, o quando
raggiunge l’età di ragione, o quando è capace di relazioni sociali, o quando lo decidono loro… Tutte affermazioni
gratuite, assurde, che non si fondano su
nulla di scientifico e di reale.
La
ragione, in tutto questo cianciare, che fine ha fatto?