IL PRESIDENTE DEL SENATO
ECCO
PERCHE' NON ANDRO' A VOTARE
« Dire sì equivale a non toccare più nulla per anni E anche il no rende intangibile l'argomento »
« La
sapienza scientifica corre a un ritmo tremendamente
più veloce della saggezza morale »
In
campo biomedico, viviamo tempi di accelerazione:
la nostra sapienza scientifica corre ad un ritmo tremendamente più veloce della
nostra saggezza morale. Conosciamo e possiamo assai più di quanto le nostre
intuizioni etiche sappiano dominare. In una situazione
come questa, « sì » e « no » sono risposte così approssimative e così
affrettate da essere inevitabilmente inadeguate.
Dire « sì » ai quesiti referendari equivale a non toccare più alcunché per molti anni a venire.
Ugualmente, dire « no » rende intangibile l'argomento. Ma
di qui a poco si potrebbe sentire l'esigenza di tornarci sopra.
Chi
meglio del Parlamento può svolgere questa riflessione, anche in vista di future
revisioni della legge? Dove meglio che in Parlamento
si trovano persone rappresentanti di tutte le opinioni, e consapevoli di tutte
le esigenze da bilanciare, che, discutendo per mesi o anni ( come
è accaduto da noi) alla fine riescono a trovare una soluzione di
equilibrio, la quale, se non accontenta tutti, almeno scontenta il minor numero?
Con i referendum in materia di bioetica — ma sarebbe lo stesso con i referendum
in materia di pena di morte o di norme penali — non è
in gioco un istituto della democrazia diretta; è in gioco la capacità della
democrazia diretta di risolvere con l'accetta del « sì » e del « no » ciò che
la democrazia parlamentare indiretta sa risolvere con gli strumenti più
raffinati del confronto.
Si consideri la sostanza della questione della fecondazione artificiale.
Il desiderio di avere un figlio produce il diritto ad averlo e questo diritto a
sua volta genera la norma corrispondente. La scienza e la
tecnica fanno da cortocircuito fra desiderio avvertito e diritto reclamato: si
vuole, si può, dunque è giusto averlo; e la democrazia fa da cortocircuito fra
diritto reclamato e diritto sancito: lo chiedono in tanti, si devono rispettare
anche le minoranze, dunque è doveroso approvare una legge.
Ma per arrivare alla legge, si consideri quanti
problemi il Parlamento ha dovuto risolvere. Quale desiderio? Di tutte le donne?
Anche di quelle non più fertili per età? Anche delle donne singole? Anche
fuori del matrimonio? Anche contro il consenso del
coniuge o del partner? E poi, quale diritto? Assoluto?
Gratuito? Ad ogni costo? E come bilanciato con altri
diritti? È facile capire la complessità di questi problemi riflettendo
soprattutto sull'ultima domanda. Quando si concede alla donna il diritto ad
avere un figlio con la fecondazione assistita, lo si
deve mettere assieme ad un bel numero di altri diritti.
L'elenco
che segue è lungo ma incompleto: esiste il diritto
alla integrità della vita del nascituro; il diritto alla tutela del la persona;
il diritto alla salute; il diritto all'autodeterminazione della donna; il
diritto alla discendenza; il diritto alla identità del bambino; il diritto alla
professione medica; il diritto alla ricerca scientifica.
Un « sì » o un « no » bastano a trovare un giusto bilanciamento fra tutti
questi diritti? Oppure un « sì » o un « no » da una
parte provocano uno sbilanciamento da un'altra e, alla fine, un insieme
incoerente? Ignoranza a parte di molti cittadini sulla materia, che pure c'è ed
è diffusa, non è saggio che sia il Parlamento a trovare le coerenze migliori?
Alcuni pensano di semplificare i problemi con una sforbiciata all'elenco dei diritti.
Certo, se l'embrione, che con la procreazione assistita viene
soppresso, non fosse né vita né persona, alla fine resterebbero solo il diritto
della donna ad avere un figlio e il diritto della scienza a procurarglielo.
Ma
una sforbiciata così radicale non si può dare.
Il diritto della scienza c'è ma non è moralmente
incondizionato e comunque non può essere usato con il ricatto che, se si
impedisse oggi la sperimentazione sugli embrioni, non si curerebbero domani
malattie gravi. Basta un esperimento mentale per comprenderlo: se uno «
scienziato » dicesse che ( forse) è possibile curare
un terribile morbo ma facendo esperimenti su feti vivi, la scienza avrebbe il
diritto di essere lasciata libera? No, la scienza è libera, ma ha libertà condizionata, allo stesso modo in cui ogni diritto nostro è
condizionato dal rispetto del diritto altrui.
Lo
stesso vale per il diritto ad avere un figlio. Esso urta col diritto
dell'embrione, che è il figlio di domani, a non essere soppresso. Dire che l'embrione questo diritto non ce l'ha perché non è
persona significa mettersi nelle mani del peggiore scientismo. Certo, il
ginecologo con le sue provette non vede persone quando
tratta embrioni, così come non vedono persone il genetista o il biologo con i
loro microscopi puntati su strie cellulari. Ma non le
vedono, le persone, non perché non ci siano, semplicemente perché gli strumenti
non sono adatti. La persona non si vede né si tocca,
perché « persona » non è un termine empirico che denoti qualcosa. « Persona » è
termine morale, filosofico, assiologico, religioso,
culturale che connota qualcuno. Con la fecondazione, naturale o artificiale che
s i a , questo qualcuno c'è subito, fin dal
concepimento. Perciò, fin dal concepimento, ha
diritti.
E se li ha, devono essere rispettati e bilanciati con
altri.
Qui
non è questione di essere laici o credenti. Sul punto,
fra gli uni e gli altri non c'è differenza sensibile. Per un credente un
individuo è persona perché è immagine di Dio, per un laico è persona perché
soggetto di dignità, rispetto, responsabilità.
Ma
persona comunque, cioè qualcuno che vale, sempre anche
come fine, mai soltanto come mezzo.
Al
problema non sfugge nessuno. Pesare i diritti, anziché sforbiciarli, si deve e
si può. Di fatto, il Parlamento lo fa tutti i giorni.
Personalmente,
ritengo che sia bene che continui a farlo anche con la fecondazione assistita. Ecco perché, se « sì » e « no » sono comprensibili, l'astensione
non è un sotterfugio. È invece una pausa di riflessione morale e un
omaggio alla democrazia parlamentare.
Il presidente del Senato, Marcello Pera