Tristezze e piccoli
orrori.
Tutti i dubbi sulla fecondazione artificiale
del Professor Carlo Flamigni, l'Arcinemico della legge 40
Sebbene sperimentate da parecchi anni, le tecniche
di fecondazione hanno tassi di successo
molto bassi. E comportano rischi elevati
per la donna e il figlio. L'analisi,
dettagliata, viene da un libro di Carlo Flamigni (padre della fecondazione artificiale in
Italia e ora pro-referendum), scritto
appena prima della legge... (e a cui la
legge si ispira) Il professor Carlo
Flamigni, eminente studioso ed esperto di
fecondazione artificiale, docente di Ginecologia e Ostetricia all'Università di Bologna, è
soprattutto una persona solare. Tutto,
ai suoi occhi di scienziato in camice
bianco, è semplice e chiaro. Non
si lascia mai prendere dall'ansia, dal dubbio, da quella che definisce una visione terroristica delle
biotecnologie.
Il suo slogan, in fase di attacco, contro i non
credenti nella provetta, è l'accusa:
"Terroristi, oscurantisti!". In
fase "difensiva", quando gli vengono fatte alcune osservazioni critiche, lo slogan può variare,
al massimo, nell'ordine delle parole.
Insomma, lancia anatemi, pur non essendo
un ecclesiastico né un credente, ma un laico. Se gli si chiede: professore, è mai esistito il far
west della genetica? Mai esistito,
risponde. Vi sono per caso rischi di
eugenetica nella diagnosi pre-impianto? Neppure l'ombra, assicura.
E noi gli vorremmo credere, perché dimostra una sicurezza sempre invidiabile, anche quando spiega che
gli argomenti scientifici non sono
sufficienti e addentra nei ragionamenti filosofici. Anche quando
illustra ai cattolici quello che secondo
lui dovrebbero pensare, se volessero
essere delle persone degne, e non dei cavernicoli un po' rozzi e superstiziosi. La Scienza, Signori,
la Scienza!
Di fecondazione
artificiale Flamigni si intende assai, e
nessuno lo può negare, anche perché è consulente e collaboratore di un importantissimo centro
privato specializzato nei casi di
sterilità, la Tecnobios di Bologna. Per questo occorre leggere bene ciò che ha
scritto in tempi non sospetti, e cioè
nel 2002, quando non esisteva in Italia
alcuna legge sulla Fiv, e non vi era quindi, neppure in embrione, l'idea di un referendum e di un
dibattito pubblico sull'argomento.
Quando, inoltre, la sua attività di
consigliere comunale dei Ds-Ulivo non lo impegnava in continui dibattiti e conferenze, come avviene
oggi, che può finalmente unire l'utile
(la difesa dei centri di Fiv, il suo
lavoro), al dilettevole (la politica e la polemica).
Il libro cui alludo si intitola " La procreazione
assistita ", edito da "Il
Mulino" nel 2002. Flamini inizia
spiegando alcune delle cause che hanno
portato a un certo aumento della sterilità nelle coppie. Cita, tra le varie, l'uso dei contraccettivi
intrauterini e l'aborto. Ma l'analisi
non si addentra sulle possibili
precauzioni, o sulle cure messe in campo dalla medicina per risolvere il problema, per guarire la
sterilità. Si salta, a piè pari, alla
fecondazione artificiale, cioè al rimedio
sicuramente più costoso, ma non necessariamente più efficace. Solo pochi, tra quelli che
ricorrono alla Fiv, infatti, ottengono
il figlio sperato.
Flamigni lo ribadisce più volte: "Le ragioni
degli insuccessi delle tecniche di
procreazione assistita sono
numerose" (p. 57), e questo comporta che la loro
"peggiore complicazione è la
delusione, esperienza altrettanto
frequente quanto sgradevole" (p. 62). Quelle tecniche infatti si caratterizzano "per il fatto
di non essere molto generose in materia
di risultati" (p.36). Infatti Flamigni
espressamente parla del "modesto statuto scientifico che sta alle spalle di molte tecniche proposte per la
procreazione assistita" (p. 60). Ma
il problema, continua in tono un po' più
cupo e pessimista di quello che conosciamo dalla tv e dai giornali, non è certo solo questo.
Comincia così a spiegare i rischi fisici
per la donna: si tratta pur sempre del
soggetto deputato a pagare il servizio, del cliente, insomma.
In circostanze diverse, oggi, quando interviene pubblicamente per criticare la legge
Ebbene, nel suo libro Flamigni afferma che l'iperstimolazione ovarica sulla donna , [che
può essere causata dall'induzione
dell'ovulazione , procedura questa -ndr]
preliminare a qualsiasi operazione di Fiv, è
"una sindrome pericolosa persino per la vita" (p.29),
"una complicanza abbastanza
pericolosa" (p. 36). Infatti "l'ovaio
cresce in modo anomalo fino a raggiungere un volume pari a quello di un grosso melone. Successivamente,
e soprattutto se l'iperstimolazione è
grave, si forma un'ascite e compaiono
raccolte di liquido nelle cavità pleuriche e nel pericardio. Il sangue si ispessisce e perde
proteine e la funzionalità renale
diminuisce pericolosamente. A causa di
grossolane anomalie della coagulazione si possono determinare trombosi e tromboflebiti, talché
esiste addirittura un rischio di vita
nei casi più sfortunati" (p.
63-64).
Qui Flamigni dimentica di rammentare l'esistenza anche di
un rischio tumore, ai genitali o alle
mammelle, magari nel lungo periodo
("Le Scienze", Settembre 2004). Tralascia inoltre di spiegare che l'iperstimolazione
costringe la donna a produrre non un
ovulo, come avverrebbe in natura, ma,
forzatamente, molti di più, cosicché "il 40-50 per cento degli ovociti ottenuti con processo di
iperovulazione presenta un cariotipo
alterato" e può di conseguenza
determinare "malformazioni congenite" nel nascituro (G. Carbone, "La fecondazione
extra-corpo-rea", ESD; Kallen,
Olausson, Nygren, "Neonatal outcome in pregnancies after ovarian stimulation", Obstet Gynecol.
2002, University of Lund, Sweden).
Ma proseguiamo nella lettura del nostro autore:
"Una complicazione molto frequente
è anche la gravidanza tubarica . altre
complicazioni possono conseguire
all'anestesia, alla laparoscopia e al prelievo degli ovociti, che può essere causa di una lesione
vascolare o della rottura di una cisti
endometriosica misconosciuta. Le
gravidanze multiple . sono in effetti una complicazione sgradevole e, talora, pericolosa "(p.
65). C'è poi un aspetto che Flamigni
valuta con una certa asetticità, senza
quella vena poetica usata in altre occasioni contro coloro che, opponendosi alla Fiv, si opporrebbero
alla vita e alla nascita di nuovi
bambini. Sto parlando dell' alto tasso
di aborti spontanei collegati alla
fecondazione artificiale. Studi psicologici, o racconti autobiografici, come quello di Daniela
Pazienza ("Io e la procreazione
assistita", Armando, 2004) mettono in luce il grande trauma vissuto dalle donne in questi
casi. Racconta la Pazienza: "Dopo
diversi cicli la gravidanza è arrivata.
dopo qualche giorno purtroppo ho avuto le prime minacce di aborto. A un tempestivo controllo ecografico
risultò un distacco della placenta e il
battito non si sentiva più. Dopo otto
settimane dal concepimento feci il raschiamento
che mi provocò una sinechia uterina (aderenza tra le pareti dell'utero), accertata con una isteroscopia e
curata con terapia chirurgica.".
Avviene spesso: la gravidanza viene annunciata, seguono la gioia e la paura,
immediatamente successiva, di perdere il
bimbo ottenuto con tanta fatica. Il
tempo del parto diventa allora un tunnel, pieno di ansie e di paranoie: "L'unica volta che sono
rimasta incinta, il momento in cui ho
saputo il risultato è stato per me molto
strano. Ero contenta della notizia, ma al tempo stesso venivo presa da mille paure, tanto da non
riuscire ad assaporare la gioia".
Poi, assai spesso, tutto si interrompe
bruscamente, lasciando nel corpo e nella psiche un vuoto ancora maggiore: gli embrioni in provetta,
infatti, non hanno la vitalità di quelli
prodotti in natura, e spesso, per
questo, non attecchiscono nell'utero o lo fanno solo superficialmente. Succede più spesso di
quanto non si creda: " Gli aborti
dopo fecondazione assistita sono piuttosto
frequenti, variando dal 18 per cento al 30 per cento a seconda dell'età della donna" (p.
71).
Inoltre " quasi il 25 per cento delle gravidanze
ottenute con le tecniche di procreazione
assistita si conclude prematuramente. Ne
deriva che il 25 per cento dei bambini
che nascono hanno bisogno di cure intensive; a questo già elevato numero si deve aggiungere una
discreta quota di bambini piccoli per
data, che nascono a termine ma sono di
peso sensibilmente inferiore a quello considerato normale. E' soprattutto per questi problemi di peso
che la mortalità perinatale di questi
bambini è elevata, raggiungendo il 20
per cento, cifra che raddoppia o quasi quella calcolata per i bambini generati naturalmente. Sono anche
molto frequenti le complicazioni
ostetriche (le gestosi, per esempio, e
persino le placente previe) e quasi il 50 per cento dei parti si espleta mediante taglio cesareo
" (p. 73-74).
Non è bello, senza dubbio, il catalogo di guai enumerati
dal professor Flamigni: bambini che
muoiono in pancia, bambini che muoiono
quando sono ormai prossimi alla nascita, bambini che abbisognano di terapie intensive per mesi
e mesi, conseguenze fisiche e
psicologiche per la donna. Assomiglia
più a un bollettino di guerra che alla piacevole esperienza di nuove vite che nascono e di coppie che
gioiscono. Ma i traumi per la coppia vi
sono anche nel caso in cui il figlio
tanto desiderato non arrivi affatto. Lo psicologo J. Galli spiega che "il protrarsi della
circolarità fallimento-illusione-aspettativa, incentiva il
ripetersi del fare e può determinare una
patologia da trauma ripetuto, con
pesanti ripercussioni sull'intero equilibrio psichico". Per Hammerberg, analogamente, "depressione,
isolamento sociale, ed in generale una
percezione di non positiva qualità della
vita emergono come caratteristiche rilevanti, anche a distanza di anni dall'interruzione dei
trattamenti" (Manuela Ceccotti,
"Procreazione medicalmente assistita", Armando, 2004).
Per questo, da più parti, giunge la raccomandazione, fatta propria anche dall'Organizzazione
mondiale della sanità, nel 1994, di
porre un limite al numero di cicli cui
sottoporre la donna: "La Fiv e le tecnologie relative hanno provocato molti problemi di salute pubblica,
legali ed etici, la maggior parte dei
quali rimangono irrisolti. I governi
dovranno prendere in considerazione la limitazione del numero di trattamenti Fiv per singola
donna" (Raccomandazione dell'Oms,
riportata in appendice al già citato
"Madre provetta").
Occorrerebbe a questo punto aprire una parentesi sulla figura paterna , così
spesso svilita e dimenticata, anche in
occasione dei dibattiti sulla
fecondazione artificiale. Solo una concezione distorta della vita può infatti averla totalmente separata
dal processo della procreazione.
A quella concezione distorta, purtroppo, molti
uomini contribuiscono, con il loro
rifiuto sempre più diffuso di
responsabilità, come pure del ruolo di autorità nei confronti del figlio. Padri così, è chiaro,
divengono, anche per le mogli,
personaggi degni di ben poca considerazione;
più intrusi, di peso, che compagni. Ciò non toglie, come hanno notato più volte Claudio Risè e
Antonello Vanni ("Il padre e la
vita nascente", Francesco Nastro editore), che il ruolo del padre vada riconosciuto e
riaffermato, nell'interesse di tutti.
Ebbene nei processi di Fiv l'uomo è
spesso chiamato, come un animale da riproduzione, a fornire seme all'ora e nel momento stabilito: viene
così privato di ogni vera partecipazione
all'atto procreativo, che è per
definizione un atto d'amore, e quindi non individualistico.
"Quando ho razionalizzato il fatto che da me
volevano solo che riempissi quella
fialetta con il mio sperma - ha
raccontato Roberto (citato solo per nome) a Chiara Valentini, nel suo "La fecondazione
proibita", Feltrinelli, 2004 - mi
sono sentito ridicolo". Delegittimare così, all'interno di un rapporto di coppia, uno dei
due componenti, chiunque sia, significa
semplicemente avere una visione meschina
e riduttiva di chi si è scelto come
compagno di una vita.
Lo stesso dicasi del caso in cui il marito, volendo
un figlio a tutti i costi, scavalca la
moglie , incapace di concepire,
svalutata come una mucca che non produca il
latte, e ricorre all'utero in affitto. O di quello in cui uno dei due non voglia un figlio dall'altro,
ma, genericamente, con la fecondazione
eterologa, da altri. La figura del
medico, che non assiste, ma impartisce comandi,
manipola e ri-manipola l'embrione e dirige i corpi dei suoi clienti, non è dunque positiva per nessun
membro della coppia. Lo notavano già
alla fine degli anni Ottanta le stesse
femministe: "A tutt'oggi si direbbe che la loro comparsa (delle tecniche Fiv, ndr.) si muove
in direzioni non favorevoli
all'autonomia femminile" (Grazia Zuffa al
convegno delle donne Pds di Roma del gennaio 1992). Ma torniamo al libro del professor Flamigni.
Vediamo cosa ci dice riguardo ai bambini nati con le
moderne tecniche. Sono veramente più
belli? Sono più sani, come ci dicono
tanti politici che hanno appena leggiucchiato qualche articolo di giornale? Sono più intelligenti,
specie se nati, magari, da seme
pregiato, conservato in una apposita banca?
Non è propriamente così. Riguardo ai bimbi nati con la tecnica Icsi infatti "resta il dubbio
relativo alla possibile comparsa di
un'anomalia tardiva - e pensiamo
soprattutto a malattie di tipo degenerativo, riguardanti il sistema nervoso e i muscoli - dubbio che
riguarda anche i nati da Fivet, il più
vecchio dei quali non ha ancora compiuto
i 24 anni. solo il tempo potrà chiarire (non a me, che ho già 68 anni)"! (pag. 54).
Quello delle "malattie di tipo degenerativo" è
un grosso problema di cui poco si parla,
ma su cui non è possibile sorvolare con
questa fretta. Il Dna è infatti una sorta di
orologio a tempo: molte anomalie cromosomiche, causate dalle varie micromanipolazioni sull'embrione
durante il processo in vitro, non sono
immediatamente riscontrabili, ma possono
"esplodere" nel corso degli anni, con conseguenze anche molto gravi, quali ad esempio la paresi
cerebrale (Stromberg B. et al.,
"Neurological sequelae in children born after in-vitro fertilisation: a population-based
study", "Lancet" 2002;
359:461-5).
La fecondazione artificiale è insomma qualcosa di estremamente sperimentale, al punto che chi
la pratica non sa bene neppure lui cosa
stia facendo e cosa possa succedere nel
lungo periodo. Il concetto viene ribadito più avanti. Flamigni infatti sostiene, a pag. 85, di aver
fatto nascere 34 bambini con la tecnica
del congelamento degli ovociti, ma
"per uscire dalla fase sperimentale è necessario dare ai 34 bambini già nati, almeno altri duecento
fratelli. Solo così riusciremo a sapere
se il congelamento degli ovociti è realmente
innocuo. ". Ribadisce poi che alcune tecniche "potrebbero essere causa di
malconformazioni nei bambini con vari
meccanismi: cito, ad esempio, la fecondazione da parte di spermatozoi atipici, gli effetti
citotossici e teratogeni di alcuni
reagenti e di varie manipolazioni. Sembra dunque giustificato il timore di un aumento delle
malconformazioni fetali " (p. 74).
Riguardo ai bambini nati da Icsi "una parte della letteratura riporta un lieve
aumento dell'incidenza di anomalie dei
cromosomi sessuali " (p. 74).
Tradotto in soldoni significa che in molti casi è probabile che la sterilità paterna passi all'eventuale
figlio.
Benché scritto nel 2002 il testo di Flamini ci può
essere utile anche per rispondere ai
quattro quesiti referendari che saranno
presentati a breve al popolo italiano. Tutti e
quattro, per esempio, propongono di togliere il divieto di crioconservazione , parzialmente presente
nella legge 40. Ebbene sulla
pericolosità della crioconservazione degli
ovociti si è appena detto. Riguardo a quella degli embrioni, Flamigni spiega che su cento embrioni
crioconservati circa trenta muoiono
nella fase di scongelamento. Come è ovvio tra
quelli sopravvissuti "alcuni mostrano di avere almeno una cellula danneggiata, cosa che non esclude il
loro trasferimento e non incide sulla
qualità dello svilup-po fetale"
(pag. 81).
Cosa nascerà da embrioni già danneggiati impiantati
in utero? Chi, sapendolo, si farebbe
impiantare un simile embrione, fidandosi
delle rassicurazioni, senza vera
certezza, del medico? Il problema, evidente, è che le "nostre conoscenze sul come congelare e
scongelare sono (soltanto, ndr) discrete",
mentre "sappiamo poco sui tempi
reali della loro sopravvivenza" (p.80): ecco perché, ad esempio, i tempi massimi di
crioconservazione, laddove sia permessa,
variano da Stato a Stato, senza che esista alcuna sicurezza scientifica.
Occorre, bisogna ripeterlo, sperimentare su altri bambini, come accade
anche per il congelamento del seme. Si
sa infatti che "il seme che è stato
congelato è meno attivo" , meno vitale (p. 98). Non si conosce però la sua, diciamo così, data di
scadenza. Per questo l'anno scorso, in
Inghilterra, venne testato del seme
crioconservato da ben 21 anni, inoculandolo in una donna, usata, evidentemente, come cavia. Infine, lungi dal porre rimedio al dramma
della sterilità, la crioconservazione,
paradossalmente, finirà per aumentarlo.
Infatti sono sempre più numerose le coppie non
sterili che, per motivi di lavoro o altro, congelano il loro seme, con costi altissimi, procrastinando
sine die il tempo della procreazione.
Così facendo, in realtà, mentre pensano
di assicurarsi, per il futuro, un figlio, rischiano di rimanerne privi per sempre, sia per
l'altissima percentuale di insuccessi
delle tecniche di Fiv, che aumenta in presenza
di crioconservazione, sia per l'età della donna, troppo avanzata.
Vi è poi l'annoso problema dei tre embrioni : il
secondo quesito referendario propone di
eliminare il limite mas-simo di
produzione e di impianto di tre embrioni, stabilito dalla legge 40. Si vuole, evidentemente, che il
medico sia libero di
"produrne" e impiantarne anche di più. Solo due anni fa Flamigni si dichiarava contrario a una simile
ipotesi. Sosteneva infatti che in America,
purtroppo, molti medici impiantano
troppi embrioni, pur di ottenere un qualche
risultato: ma così facendo provocano "più gravidanze multiple, più interventi di riduzione del
numero di embrioni" (e cioè aborti
procurati). E le gravidanze multiple sono
"una complicazione sgradevole e, talora
pericolosa", dal momento che si sono avuti anche casi di madri rimaste incinte di otto feti (p. 65).
E' avvenuto, oltre che a tante donne italiane, a
Mandy Allwood, nel 1996: già madre di un
figlio, ha otto figli in grembo. Per
ognuno che decide di portare alla luce il
quotidiano The Guardian offre 261 milioni di lire. Mandy decide di partorire: lo fa, muoiono tutti e
lei diviene ricca. Poiché dunque le
gravidanze multiple sono molto rischiose
per la salute della madre, e pericolosissime per la salute dei bambini, che spesso muoiono,
oppure rimangono perennemente lesi, nel
fisico e/o nella mente, occorre che i
medici non impiantino troppi embrioni.
Quanti, si chiedeva Flamigni? "Personalmente sono stato sempre molto spaventato dalle gravidanze
multiple che in passato mi hanno dato
molti dispiaceri. Ho perciò suggerito
protocolli che comportano il trasferimento di due embrioni (nelle donne più giovani) e di un massimo di
tre (nelle donne meno giovani)" (p.
70-71). Massimo tre, proprio come
prescrive la legge 40! Anche con tre, comunque, il rischio rimane alto. Infatti anche trasferendo due
soli embrioni possono nascere tre figli,
"per la formazione di due gemelli
identici da uno dei due embrioni trasferiti" (p. 71): tutta la letteratura riporta, nel caso di
trigemini, rischi di "deficit
fisici e/o mentali" (consenso informato del Sismer).
Infine possiamo analizzare la questione della diagnosi pre-impianto , che il terzo quesito
referendario vorrebbe reintrodurre.
Flamigni inizia ricordando che "il primo successo è stato ottenuto in Inghilterra, e
riguarda una selezione del sesso";
"l'applicazione più frequente della
diagnosi genetica preimpiantatoria riguarda la selezione del sesso", spesso per evitare malattie (p.
90). Rispunta così l' eugenetica ,
sovente ai danni delle femmine, in molti
paesi, dalla Cina all'India.
Continua Flamigni: " La diagnosi genetica eseguita su cellule embrionali non è priva di errore e i
risultati dovrebbero essere sempre
confermati da uno studio eseguito in
gravidanza mediante amniocentesi. La biopsia di una cellula dell'embrione è sicuramente una
tecnica invasiva .
".Se ne deduce che la diagnosi, invasiva, con
margini di errore (falsi positivi e
negativi), deve essere confermata da una
successiva indagine prenatale come l'amniocentesi, anch'essa invasiva e con possibili effetti
nefasti sul nascituro (si calcola che
l'amniocentesi precoce possa causare la
morte del feto nel 6,2 per cento dei casi). Ci si chiede: questa mitica diagnosi pre-impianto ,
dimenticando un attimo le sue disastrose
potenzialità eugenetiche, funziona
davvero? E se funziona, perché si prescrive
un'ulteriore diagnosi?
Infine l'ultimo quesito referendario vorrebbe abolire
il divieto di fecondazione eterologa.
Riguardo alla donazione di ovociti,
Flamigni nel suo libro distingue due casi,
quello della donatrice di ovulo nota (sorella o amica) e quello della donatrice sconosciuta. Le donatrici conosciute godono "di
grande antipatia da parte dei medici ,
che hanno visto troppo spesso queste donne,
dopo la nascita del bambino, inserirsi tra lui e la madre, nella ricerca di un rapporto privilegiato,
sollecitate da sentimenti che è facile
comprendere. La donatrice
sconosciuta.crea fantasmi e paure di ogni genere, alcuni dei quali continuano anche dopo la nascita del
bambino" (p. 100-101). Per quanto
riguarda la donazione di seme maschile ,
essa crea problemi ancora più gravi, dalla "maggior frequenza di malat-tie psicosomatiche"
per il figlio, alla crisi di rigetto per
il padre "ufficiale".
Chi volesse saperne di più prenda in mano il libro e
legga le pagine 98 e 99.
Personalmente sono un po' stanco di proseguire in questo elenco di tristezze.
Del resto il libro
di Flamigni lo ho già letto più volte. E se lo rileggesse anche lui?
Francesco Agnoli da Il Foglio 19.01.05