L'indurimento del cuore
"Sappi che tu compirai alla
presenza del faraone tutti i prodigi che ti ho messi in mano: ma io indurirò
il suo cuore ed egli non lascerà partire il mio popolo" (Esodo 4, 21).
Esaminando
il testo dell’Esodo si sente che questo
versetto, insieme con i due che lo seguono, emerge come il centro di equilibrio
dell’ampia unità narrativa da 2.23 a 7,7 sulla vocazione di Mosè e preannuncia il contenuto
di tutto il racconto successivo da 7,8 a 12,42 sopra i dieci prodigi e la
notte pasquale (*)
In
esso ci colpisce con notevole sorpresa l’asserzione divina "ma io
indurirò il suo cuore". Il Dio della rivelazione ci appare sempre più misterioso.
Come può provocare al male il suo avversario, e con tale preannuncio
scoraggiare i suoi fedeli già tanto provati, schierandosi di fatto contro se
stesso?
Una
indicazione di risposta si ottiene leggendo le pagine successive nella loro
lingua originale, dove un indurimento crescente del faraone, menzionato ben 20
volte, costituisce l’ossatura di circa sei capitoli (da 7 a 11 e poi 14).
Per
esprimere questa idea si usano tre verbi ebraici di significato molto affini:
a)
HZQ: ricorre 4 volte nella forma grammaticale semplice con senso "il
cuore del faraone si ostinò" o "fu ostinato"; 8 volte nella
forma effettiva "Dio rende ostinato".
b)
KBD: ricorre 1 volta nella forma semplice "rimase inflessibile": 3
volte nella forma causativa in costruzione avente senso riflessivo "il
faraone rese inflessibile il proprio cuore"; ancora 1 volta nella forma
causativa "Dio rese inflessibile il faraone" 1 volta nella forma
aggettivale "il cuore del faraone fu irremovibile".
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c) QSH: ricorre 2 volte nella forma
causativa "indurire", ma con il cambio dei soggetti, rispettivamente:
1 volta "Dio indurisce il faraone"; 1 volta "il faraone indurì
se stesso".
Nel
complesso dunque. sia pure con la diversità delle locuzioni, possiamo contare:
10
espressioni che attribuiscono l’indurimento del faraone a un atto di Dio,cioè:
4,21 -10,1 - 11,10 - 14,4
7,3 -10,20 14,8
9.12
- 10,27 14,17
10
espressioni che lo affermano faraone stesso, e precisamente:
7,13 - 8,11
- 9,7 - 13,15
7,14 - 8,15
- 9,34
7,22 - 8,28
-9,35
Le
tradizioni letterarie Jahvista, Elohista, Sacerdotale, viste separatamente,
pare non manifestino preferenze proprie verso l’una o l’altra dizione, ma
ognuna le usa entrambe.
Perciò
riscontriamo una sorta di alternanza equilibrata nell’uso delle due espressioni
opposte, ciascuna delle quali non può essere vista isolatamente, ma va
inquadrata nel contesto intero del racconto, e ne concludiamo che il redattore
di Esodo, narrando di Dio che indurisce il cuore. gli attribuisce un atto di
tale natura che sia davvero l’uomo a indurire se stesso, conformemente
all’indole propria del comportamenti usuali e liberi dell’uomo.
In
altri termini egli non intende affermare che Dio spingesse il faraone at
rifiuto, ma solo che tollerava, ossia non impediva Ia libera scelta viziosa
che il faraone opponeva alle richieste divine.
A
questo punto i lettori possono proporre due interrogazioni.
La
prima: perché insistere sull’idea che Dio indurisce l’uomo? Il motivo è una
urgenza didattica, cioè per inculcare senza equivoci un principio basilare.
Di fronte alle idee politeistiche degli antichi, largamente propensi anche a
credere nella magia e a divinizzare i grandi re, l’intento della Bibbia fino
dal Genesi è di attestare con forza l’unicità del Signore, a cui fa capo tutto
l’universo: quanto al male presente nel mondo, esso non discende da un altro
principio supremo antagonista di Dio, il quale possa limitare in qua!che modo
il dominio esclusivo a lui proprio.
Il
problema del dolore degli uomini, sia peccatori, sia innocenti, comporterà un
discorso molto articolato che la Bibbia ha già aperto e che svolgerà
progressivamente anche con libri appositi, come Abacuc, Geremia, il secondo Isaia, Tobia, Giobbe, ecc. fino a
culminare nel Vangelo e in san Paolo con il messaggio specifico di Gesù Cristo.
Ma
il primo cardine da mettere in rilievo è che anche le circostanze avverse sono
disposte o permesse dal Signore e sempre governate dalla sua bontà.
Di
qui una tendenza frequente negli scrittori sacri ad attribuire a lui, causa
prima di ogni essere, anche gli effetti propri delle cause seconde o create e
delle scelte fatte da queste nella loro personale libertà: infatti la parola di
Dio deve impedire l'insinuarsi dell’idea che qualche realtà gli possa venire
sottratta da eventuali misteriose forze avverse.
Per
lo scrittore dell’Esodo l’esprimersi
diversamente non avrebbe semplificato il discorso, ma piuttosto avrebbe dato
corso all’ipotesi che il faraone, almeno per qualche tempo, sarebbe stato una
divinità più forte del Signore.
La
seconda interrogazione può essere: perché Dio non impedisce il male?
Rispondiamo: perché rispetta la libertà che ci ha dato. il potere di scegliere
da noi stessi le nostre azioni e dare così un senso alla nostra vita è il dono
più grande fatto all’uomo, strettamente connesso alla nostra Intelligenza e
inseparabile da questa.
Dio
ci ha fatto l’onore di crearci a sua immagine (Genesi 1,
26-28; Sapienza 2, 23), chiamandoci
a collaborare alla sua opera di Creatore mediante gli apporti della nostra
intelligenza e dellIa nostra libera volontà. Se ci togliesse questo doppio
dono, non saremmo più persone umane.
Con
esso ci è dato di costruire il nostro benessere individuate e collettivo.
aiutati dalla grazia soprannaturale, che il Signore ha voluto aggiungere ai
doni di natura per farci superare i nostri limiti e debolezze onde meritare la
felicità nella vita eterna.
Senza
l’uso della libertà saremmo come automi e non otterremmo nessun merito, né per
questa vita né per quella futura.
Ma
se siamo affezionati al male, come il faraone, perché il Signore non ci
concede l’aiuto di grazie più abbondanti che valgano di fatto a smuoverci?
Bisogna
riconoscere che non vi è tenuto. Se la sua misericordia esigesse così, egli in
ciò dovrebbe dipendere dall’uomo, sua creatura, e dalle aberrazioni di lui;
anzi, tanto maggiormente quanto più questi gli resiste: il che è assurdo,
perché si opporrebbe alla sua sovrana indipendenza e giustizia.
Aggiungiamo
poi che una volta permesso il male, Dio non gli concede mai la vittoria
definitiva, ma ne ricava un maggiore progresso del bene che altrimenti non
sarebbe accaduto. La durezza dei persecutori genera la testimonianza eroica
data dai martiri.
Secondo
le ripetute dichiarazioni dell'Esodo,
al faraone, tanto inflessibile, tocca un ruolo positivo nel piano divino: il
Signore stesso afferma che lo lascia vivere perché vuole creare il contesto in
cui rivelare agli Egiziani la sua potenza in modo più splendido, e perché
questa possa essere manifestata al mondo, così che tutti conoscano che egli è
"Jahvè", cioè il Dio vero,
eterno e fedele (vedi particolarmente 9,16; 10,1-2; e anche 7.3-5; 14,4).
Si
vedano inoltre i chiarimenti offerti per due volte da Giuseppe ai suoi fratelli
che l’avevano perseguitato: Genesi
45,4-8; 50,~9-20.
In
un’altra occasione davanti al crollo delle massime divinità babilonesi, un
profeta rassicurerà gli Ebrei che il Signore è molto diverso da quelle, perché
la sua parola si attuerà in ogni caso, malgrado tutte le opposizioni della
storia umana (Isaia 46,10).
(*) La
sacra Bibbia, vol.1, Esodo,
a cura di E. GALBIATI, UTET Torino 3° ed. 1973: note al capitolo 3 (pag. 85) e a 4,21-23 (pag. 88).