Il nome di JHVH
In un mondo generalmente
politeista come quello antico, 11 messaggero della parola divina doveva presentare
il Signore con lineamenti precisi, perché venisse compreso e accolto in senso
univoco e rispondente a verità, evitando le confusioni tra tante immagini di
esseri cosiddetti divini pensati dalle varie popolazioni.
Per
quegli stessi uomini antichi, la nota individuale più caratteristica e
distintiva di un soggetto consisteva nel suo nome, che quasi si identificava
con la stessa persona.
Alla
giusta domanda che Osé rivolge su questo punto al Signore che l’ ha
interpellato, questi risponde qualificandosi mediante l’idea dell'essere: "Io
sono colui che sono"; poi indicando a Mosè come dovrà esprimersi
concretamente, prosegue: ""Dirai ai figli d’Israele: I0 SONO mi ha mandato
a voi"; infine, poiché Mosè, parlando del Signore, dovrà usare la terza
persona del verbo in luogo della prima, soggiunge: ""Tu dirai: EGLI E',
il Dio dei vostri padri.... mi ha mandato a voi. Questo è il mio nome per
sempre...’". (Esodo 3, 13-15).
Nella
lingua ebraica della Bibbia, che di regoLa scrive le sole consonanti, questo
nome consta di quattro lettere, le quali, trascritte nella grafia
latino-italiana, sono: JHVH (mentre nella grafia inglese, usata spesso anche da
noi, sarebbero: YHWH).
Le
vocali del nome divino propriamente non ci furono tramandate per via diretta:
gli Ebrei per un motivo di rispetto si astenevano costantemente dal
pronunciarlo e lo sostituivano per lo più con l’appellativo "Adonàj",
cioè "Signore"’.
Pertanto
nei manoscritti ebraici della Bibbia, quando, nel medioevo, furono vocalizzati,
le quattro consonanti vennero accompagnate dalle vocali di Adonàj, per
ricordare ai lettori che bisognava eseguire tale sostituzione.
Invece
i cristiani del passato, non informati di questo ripiego degli scrivani ebrei,
si riducevano a prendere ingenuamente le consonanti di un nome con le vocali
dell’altro, uscendo nella lettura ""Jehovah"" che è del
tutto errata.
Gli
studiosi, con una serie di raffronti sulle forme linguistiche e sulle testimonianze
antiche, hanno potuto confermare che il nome divino corrisponde alla terza
persona della forma ebraica presente-passata-futura del verbo "essere"
e che la sua lettura originaria è "Jahvè".
Ma
quale messaggio è contenuto in questo nome? Riflettendo in astratto, "Egli
è" potrebbe significare Colui che è davvero, in contrapposizione alle
altre divinità che di fatto "non sono"; oppure Colui che è sempre,
cioè 1’Eterno (e parecchie Bibbie dei protestanti amano tradurre il nome divino
con la dizione ""l’Eterno", mentre noi cattolici preferiamo
l’antica tradizione cristiana che lo traduce, o meglio, lo esprime convenzionalmente
dicendo "il Signore"); un altro significato possibile sarebbe "
l' Immutabile", cioè Colui che, in quanto pienezza dell’essere, non può
mai cambiare atteggiamento, ma è sempre coerente con se stesso; e non si esclude
una lettura eventuale del verbo ebraico nella forma causativa, con il senso Colui
che dà l’essere, cioè "il Creatore".
Ma
per cogliere il significato vero, inteso dai testi biblici, bisogna interrogare
la stessa Bibbia senza procedere in astratto.
Questo
brano sul nome divino trova un chiaro parallelo in Esodo 6, 2-8 dove l’affermazione del nuovo nome viene collegata con
il prossimo adempimento dell’alleanza pattuita dal Signore con Abramo e discendenti:
I vostri padri così spiega Dio a Mosè , mi hanno conosciuto solo come il
Dio Altissimo, mentre nell’esperienza che ora state per fare "voi
conoscerete che io sono Jahvè" (Esodo
6,7); perciò questo nome proclama appunto la nuova immagine di Dio che risulterà
dalle esperienze imminenti dell’uscita dall’Egitto e del cammino verso la
Terra promessa. in cui i beni già annunziati passeranno gradualmente
all’attuazione.
Pertanto il nome Jahvè connota la
fedeltà immutabile di Dio alla sua parola, fedeltà che se i patriarchi hanno potuto
soltanto credere, senza vederla in atto (vedi Lettera agli Ebrei 11, 13). adesso a partire dall' Esodo splenderà in misura sempre più
crescente come l’attributo forse più caratteristico del Dio Salvatore.
Un verbo semplice, descrittivo, che
ricorre nella Bibbia per esprimere tali contenuti è quello che richiama la "memoria"
di Dio: ""Mi sono ricordato...".
Non dobbiamo poi tralasciare che nel
discorso del roveto la rivelazione del nome divino fa parte del grande
messaggio di apertura, dove il Signore si manifesta con i verbi della presenza
e dell’intima partecipazione ai mali del suo popolo: "Ho osservato.... ho
udito... conosco le sue sofferenze. E sono sceso per liberarlo..." e per
introdurlo in un lungo cammino promozionale...
E
per questo sta sollecitando la partecipazione attiva di Mosè mediante l’assicurazione
"Io sarò con te"
(Esodo 3, 7-12).
Tutta la Bibbia sarà diretta allo
scopo di registrare l’una dopo l’altra le tappe di questo programma. nel quale
il mistero di Dio non viene contemplato in se stesso, ma sempre in rapporto
agli uomini bisognosi di salvezza.
Un filosofo puro sarebbe forse capace di definire il
Signore al di fuori della storia, come Colui che era, che è e che sarà. Invece
l’Autore sacro che ci dà la sintesi finale della rivelazione biblica trova
che l’idea dell’essere, da sola, non è sufficiente, ma bisogna integrarla con
quella di venire: Dio è "Colui che è, che era e che viene" (Apocalisse 1. 4-8 nonché 4, 8). Questo è
il senso completo del nome di Jahvè, come ci viene illustrato dalla parola di
Dio.