Come si spiega la poligamia dei patriarchi?
Leggendo attentamente la storia
di Abramo, ci accorgiamo che egli è sposo unicamente di Sara. Da essa non ha
potuto avere nessun figlio.
Quando poi, nella loro
vecchiaia, il Signore gli promette una discendenza numerosa, non semplicemente
adottiva ma attraverso un figlio vero e proprio, Abramo continua la sua vita
monogamica senza cercare un’altra moglie.
Da parte sua è disposto a morire
senza figli piuttosto che mancare di riguardo a Sara; quanto ai suoi molti beni,
è già rassegnato al pensiero che saranno ereditati dal proprio amministratore.
Saranno soltanto le suppliche di
Sara stessa che spingeranno Abramo a unirsi alla schiava di lei, Agar (Genesi 12, 2.3.7; 13, 15-16; 15, 2-5; 15, 18; 16, 1-3).
Noi
possiamo verificare che questo comportamento è conforme ai principi che
soggiacciono alla legge babilonese del re Hammurapi (art. 144-145).
Si
tratta di un codice fatto per una popolazione agricola sedentaria che segue
come principio la monogamia; ma quando le nozze sono sterili, ammette
espressamente la soluzione predetta.
In
tal caso la schiava della signora non diventa in termini propri una seconda
moglie del padrone, ma nella mentalità della legge adempie semplicemente il
suo ruolo di serva e ne conserva il rango, poiché rende alla padrona un
servizio di supplenza; pertanto il bambino che nasce viene considerato a tutti
gli effetti figlio della padrona.
In
questa configurazione giuridica il matrimonio esistente conserva integra la sua
unità (Genesi 21, 6-7).
Si
può anche osservare che il narratore sacro, scrivendo parecchio tempo dopo i
fatti e senza giudicare le persone, si cura di mettere in vista le divisioni
che sorgono facilmente nelle famiglie dalla pratica di tali usanze, sia prima
che dopo la nascita del figlio (Genesi,
capitoli 16 e 21).
Con
questo dimostra l’intento di sconsigliarle.
Anche
le soluzioni adottate da Abramo nei confronti di Agar sono conformi al codice
di Hammurapi (art. 146; 170-171).
Diverso
e il caso di Giacobbe, che due generazioni più tardi vive al servizio di
Làbano.
Egli
appartiene all’ambiente dei nomadi pastori, dove si riconosce come normale la
pratica della poligamia, ed è ovvio che la faccia propria (Genesi 29, 2 1-30).
In
conclusione Abramo e Giacobbe sono pienamente inseriti nella legislazione e
nelle usanze del loro tempo.
Ma
il racconto della vita di Abramo termina con una notizia inattesa: egli ebbe
un’altra moglie, Chetura, che gli diede altri sei figli con le loro discendenze.
La
notizia ci sorprende, perché contraddice tutto quello che abbiamo accertato sull’atteggiamento
monogamico del patriarca.
Si
noti però che i nomi di questi “discendenti” sono piuttosto nomi di tribù e di
popolazioni del deserto arabico: è facile che il compilatore del Genesi abbia raccolto qui, a modo di
appendice, qualche tradizione popolare, con la quale certi gruppi non ebrei
venivano collegati anch’essi con il grande patriarca, pur non essendone gli
eredi (Genesi 25, 1-6).
I
quadri genealogici di questo tipo, costruiti con nomi di popoli o di città,
sono un genere letterario a sé, che afferma discendenze leggendarie o presuntive.
Tra
due gruppi etnici il dichiararsi fratelli di sangue significava un’affinità
culturale o un legame di amicizia o un impegno di collaborazione.
I
capitoli del Genesi
sulla creazione
mostravano chiaramente che il matrimonio, nell’intenzione del Creatore,
consiste nell’unione di un solo uomo con una sola donna e che la poligamia si è
introdotta solamente più tardi nella discendenza dei peccatori a partire da
Lamek, ricordato anche per le sue vendette selvagge (Genesi 2, 24; 4, 1.17.19; 4, 23-24).
Noè, che
“camminava con Dio”, figura come monogamo (Genesi 6,
9.18; 7, 13; 8, 18).
In
progresso di tempo la poligamia si è diffusa nei costumi dell’antichità e non è
più stata sentita come un problema morale.
La
legge di Mosè non l’approva né la condanna, ma si limita a frenare certi abusi
(Esodo 21, 9-10; Deuteronomio 17, 17; 21, 15-17).
Il
Signore, nella sua misericordia e sapienza, ha voluto educare gli uomini per
gradi, con una legge proporzionata alla loro debolezza e alla loro capacità
limitata di comprensione.
In
seguito i profeti descrivono i rapporti di Dio con il suo popolo sotto
l’immagine di una unione sponsale: ma la forza di questo simbolismo Sta net
riferirsi a una unione strettamente esclusiva, monogamica (Osea 2; Geremia 2; Isaia 54, 5-10; 62, 4-5; ecc.).
Dopo
il ritorno degli Ebrei dall’esilio di Babilonia, negli ultimi secoli prima di Cristo,
cioè in un’epoca culturale più evoluta, la poligamia va in desuetudine o
rimane soltanto un lusso di persone facoltose.
Il
discorso dei Libri Sapienziali presuppone sempre famiglie con una moglie unica
(per es. Proverbi 31,10-31; Salmo 128 [127] ,3; Qoelet 9, 9; Siracide 26,
1-4), finché lo spirito del Nuovo Testamento riporta il matrimonio alla sua
purezza originaria.