Come
concetto morale‑religioso è la traduzione di humilitas,
che secondo il suo significato fondamentale significa abbassamento. Humilis (traduzione del greco tapeinos)
deriva da humus e significa «appartenente alla terra», «vicino alla terra», «basso». «spregevole». Humilitas contiene il concetto di ignobilitas e infirmitas,
intesi come miseria, debolezza, assenza di gloria e anche modestia.
Soltanto
nel cristianesimo l'umiltà si guadagna l'aureola di regina di tulle le virtù morali: è più importante e più luminosa
della prudenza, della giustizia, della fortezza e della temperanza. Certo
l'umiltà non era interamente sconosciuta nel mondo pagano. L'antichità classica
conosceva una certa umiltà creaturale, temeva i
malvagi eccessi dell'arroganza ed esigeva la virtù della sofrosyne
(temperanza); Socrate insegnava la «lealtà con se stessi» e si atteneva al
motto dell'oracolo di Delfi:
«Riconosci che sei un uomo e non un Dio». In generale però l'antichità esalta
la superba autonomia dell'uomo, che conquista da se stesso la virtù e la
perfezione.
Nell'A.
T. si parla con insistenza dell'umiltà della
creatura. Dio eleva gli umili e abbassa gli orgogliosi (1 Sam 2, 7; Pr 3, 34; Is 2, 11); aiuta chi si umilia, chi si converte e
compie opere di penitenza (Lv 16,
29; Is 58, 3‑7; Sir 19, 25 ss.). Nei Salmi è frequente
il concetto della umiltà come abbandono totale in Dio
(Sal 10, 17; 22, 27; 25, 9
ecc.). Il concetto di umiltà subisce una svolta
decisiva nel N. T., quando viene presentata non più solamente come
disposizione spirituale della creatura, ma come atteggiamento che Dio vuole
assumere per amore degli uomini. È lo stesso Verbo di Dio che esercita l'umiltà
in modo superlativo, assolutamente imprevedibile e incomprensibile dalla intelligenza umana, quando decide di svuotare se
stesso della sua gloria, del suo divino splendore e
rivestirsi delle miserie e delle debolezze della carne umana: «Cristo Gesù, pur essendo di natura divina,
non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se
stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini;
apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte
e alla morte di croce» (Fil 2, 6‑9). Gesù quando
si propone come maestro lo fa come colui che serve» (Mt 23, 8). Così il più grande deve essere servitore di tutti,
secondo l’esempio del maestro: «Il Figlio dell'uomo, infatti, non è venuto
per farsi servire, ma per dare la sua vita in riscatto
per molti.» (Mc 10, 45). Nel suo
ministero preferisce i poveri, gli oppressi, i piccoli di questo mondo, gli
umili, i semplici. Gesù pone l'umiltà come condizione fondamentale per entrare nel regno dei Cieli (Mt 18. 3). Il cristiano deve imitare 1'umiltà di Gesù (Rm 12, 3): essa non
si attua soltanto nei confronti di Dio ma anche del prossimo.
Anche i suoi discepoli devono rendersi scambievolmente il servizio dell'«umile
lavanda dei piedi» (Gv 13‑ 14‑17);
per seguirlo essi devono liberarsi da tutti i desideri egoistici, rinnegare se
stessi e adempiere in tutto la volontà di Dio.
Alla
virtù dell'umiltà, S. Tommaso dedica la questione 161
della Secunda Secundae, in cui si pone sei quesiti: 1. Se
1'umiltà sia una virtù; 2. Se consista nella volizione
o nel giudizio della ragione; 3. Se per l'umiltà ci si debba mettere al di sotto di tutti; 4. Se l'umiltà sia
tra le parti della modestia e quindi della temperanza; 5. Suo confronto
con le altre virtù; 6. I gradi dell'umiltà
L'Angelico
colloca la trattazione dell'umiltà tra le virtù che moderano la passione
dell'ira e che servono quindi a controllare l'appetito irascibile, che ha per
oggetto il bene arduo. Ora, nota S. Tommaso, «per il bene arduo si richiedono due virtù. Una per moderare
e frenare l'animo perché non esageri nel tendere verso le cose alte: e questo
appartiene alla virtù dell'umiltà. L'altra per fortificare l'animo contro la disperazione, e spingerlo, seguendo la
retta ragione alla conquista di cose grandi: e questo è proprio della magnanimità»
(II‑II, q.
Altrove
S. Tommaso definisce più precisamente l’umiltà nel modo seguente: «La virtù
dell'umiltà consiste in questo, che uno si tenga entro i propri limiti, non
sollevandosi alle cose che gli sono sopra, ma sottomettendosi al superiore.» (virtus
humilitatis in hoc consistit ut aliquis infra suos
terminos se contineat, ad ea quae supra
se sunt, non se extendens, sed superiori se subiciat) (C.
G., IV, c. 55).
S.
Tommaso osserva che non qualsiasi abbassamento di se stessi costituisce
un atto di umiltà. Infatti «talora questo si fa solo con segni esterni, per
finzione. E questa è una "falsa umiltà', che a detta di S. Agostino "è grande superbia",
perché aspira alla gloria.Talora invece questo si fa per convinzione profonda dell'anima. Ed
è proprio per questo che l'umiltà è una virtù: poiché la virtù non consiste
negli atti esterni, ma principalmente consiste nelle deliberazioni dell'anima»
(II‑II q.
Secondo
S. Tommaso l'umiltà detiene il primato tra le virtù morali, ma viene dopo le
virtù teologali e anche dopo le virtù intellettuali che informano la stessa
ragione ordinatrice degli atti umani in generale e dopo la
stessa giustizia. Infatti «quest'ordine
(degli atti umani) in tutta la sua universalità viene
attuato dalla giustizia. Ma chi rende l'uomo sottomesso a quest'ordine
nella sua universalità in tutte le cose è l'umiltà:
mentre le altre virtù predispongono così in materie particolari. Perciò dopo le virtù teologali e le virtù intellettuali che
riguardano la ragione stessa; e dopo la giustizia, specialmente legale, la
virtù più importante è l'umiltà» (II‑II, q.
Gesù Cristo, che
è modello d'ogni virtù, lo è in modo singolare dell'umiltà. In una bella pagina
della Summa contra Gentiles,
S. Tommaso dà la seguente illustrazione dell'umiltà di Cristo: «Sebbene Cristo non possa avere la virtù dell'umiltà in
quanto Dio (perché Dio non ha
nessuno sopra dì sé, mentre egli è sopra tutti), tuttavia può averla come uomo.
E questa umiltà viene resa più lodevole dalla sua
divinità, poiché la dignità della persona aumenta il merito dell'umiltà, come
quando si richiede che un grande personaggio patisca cose umilianti, per una
qualsiasi nccessità. Ma
nessuna dignità può paragonarsi a quella dell'uomo che è Dio; onde resta sommamente
lodevole l'umiltà dell'Uomo‑Dio, mentre sopportò le miserie che bisognava
patire per la salvezza dell'uomo. Gli uomini infatti,
a causa della superbia, erano amanti della gloria mondana: quindi per
staccarveli e rivolgerli all'amore della gloria divina, Cristo volle soffrire
non una morte qualunque, ma la più tremenda: vi sono alcuni che, sebbene non
temano la morte, hanno tuttavia orrore di una morte abbietta, mentre anche
questa ci ha insegnato il Signore a disprezzarla con l'esempio della sua
morte. È vero che gli uomini potevano essere ammaestrati nell'umiltà dalle
parole divine; però i fatti muovono ad agire più delle parole, e tanto più
efficacemente quanto più sicuramente conosciamo la bontà di colui
che si umilia. Dunque, sebbene non mancassero gli esempi di umiltà di altri uomini, pure fu di somma utilità che
fossimo stimolati anche dall'esempio dell'Uomo‑Dio, che sappiamo non
aver mai potuto sbagliare e la cui umiltà è tanto più mirabile quanto più
sublime è la sua maestà» (C. G., IV, e. 55).
Nella Summa
Theologiae S. Tommaso precisa che «il Cristo ci
ha raccomandato più d'ogni altra cosa l'umiltà, perché soprattutto con essa si tolgono gli ostacoli dell'umana salvezza, che
consiste nel tendere alle cose celesti e spirituali, da cui l'uomo viene
distolto con l'attendere alle grandezze terrene. Perciò il Signore. per togliere gli ostacoli della salvezza, con i suoi esempi
dì umiltà ci ha insegnato a disprezzare la grandezza mondana. E quindi l'umiltà è una predisposizione dell'uomo per
ottenere libero accesso ai beni spirituali e divini» (II‑II, q.
(Vedi: SUPERBIA)
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Battista Mondin.
Dizionario
enciclopedico del pensiero di S.Tommaso D'Aquino,
Edizioni
Studio Domenicano, Bologna.
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