La signora mi parlava addolorata, il figlio
adolescente le aveva detto litigando: “Io non ti ho chiesto di mettermi al
mondo!”. E’ rimasta un po’ sorpresa quando
le ho fatto notare che suo figlio le aveva detto una cosa vera, non aveva chiesto
di essere messo al mondo. Questa osservazione, apparentemente banale, mette in evidenza un aspetto fondante dell’essere
umano. Destinato alla libertà da acquisire pazientemente
nell’apprendimento della responsabilità, lasciandosi accendere
dalla verità delle cose e dalla loro bellezza, l’adolescente si
rende conto che il primo atto della sua esistenza, l’accensione, non
è in suo potere. I genitori nel dono reciproco dell’amore
coniugale, in qualità di pro creatori, quindi
nell’esercizio più alto della loro libertà, in nome del
Creatore, hanno acceso la vita del figlio inconsapevole e non consultato.
La condizione esistenziale del nascituro è
segnata dalla dinamica del suo cominciamento: egli
è donato a se stesso. Il principio è il dono e prima del dono non esiste niente. E’ evidente il senso della indicazione biblica: vivere in rendimento di grazie.
Risposta intonata alla proposta e capace di mantenere il cuore nella
capacità del perenne stupore di fronte al dono della vita e di tutte le
altre cose belle donate con essa.
Qui si radica la necessità urgente di trovare
delle risposte a domande fondamentali: mi accetto come dono, dato che non ho avuto alcuna possibilità di esprimere il mio
parere in quella decisione così importante per tutta la mia vita?
E’ giusto quanto si è compiuto al mio principio? Ho dei doveri
verso il donatore? Che tipo di doveri? In definitiva
mi accetto come dono o mio ribello? Sembra facile intuire che la risposta a
questi interrogativi darà un orientamento diverso alla
impostazione della mia vita e seconda di come avrò deciso.
L’apprendimento della libertà, analogo al
camminare, mi dà l’ebbrezza di essere un piccolo dio, ma ahimè!, come mi muovo vedo tanti altri miei
simili che mi fanno ombra, mi intralciano la strada e sono refrattari a porsi
al mio servizio e ad applaudirmi per quello che dico e che faccio.
Accettarmi come dono comporta specularmente che io
riconosca il donatore e quindi che impari a vivere in perenne rendimento di
grazie. Le risposte possibili si possono indicare in tre direzioni: mi accetto
come dono e pertanto interpreto la mia vita come figlio di Dio, mi ribello, non
riconosco Dio come mio padre, mi dichiaro orfano e
faccio di me stesso una divinità, infine posso lasciarmi vivere senza
mettere a fuoco il problema come se non esistesse.