PERSONA ED
AMORE
4 giugno 2005
Inizio
leggendovi un testo di K. Woityla tratto da
"Non esiste nulla che più dell’amore
occupi sulla superficie della vita umana più spazio, e non esiste nulla che più
dell’amore sia sconosciuto e misterioso. Divergenza tra quello che si trova sulla superficie e quello che è
il mistero dell’amore ecco la fonte del dramma. Questo è uno dei più
grandi drammi dell’esistenza umana. La superficie dell’amore ha una sua
corrente, corrente rapida, sfavillante, facile al
mutamento. Caleidoscopio di onde e di situazioni così
piene di fascino. Questa corrente diventa spesso tanto vorticosa da travolgere
la gente, donne e uomini. Convinti che hanno toccato il settimo cielo
dell’amore – non lo hanno sfiorato nemmeno. Sono
felici un istante, quando credono di aver raggiunto i confini dell’esistenza, e
di aver strappato tutti i veli, senza residui. Sì, infatti: sull’altra sponda
non è rimasto niente, dopo il rapimento non rimane nulla, non c’è più
nulla"[In Tutte le opere
letterarie, Bompiani ed.,
Milano 2001, pag. 821]
Noi siamo qui questa mattina, alla fine di un percorso, per
prendere coscienza di questo che è "uno dei più grandi drammi
dell’esistenza umana", la divergenza fra "quello che si trova sulla
superficie e quello che è il mistero dell’amore". Siamo qui per evitare
che "dopo il rapimento non rimanga nulla". In
sostanza: per riscoprire la verità e il bene dell’amore coniugale
e della sua preparazione nel fidanzamento. Sarà un cammino di scoperta,
un itinerarium mentis in amorem.
1. L’inizio, la
partenza di questo itinerario è costituito da una
scoperta, da una luce che si accende dentro di noi: la percezione dell’unicità
di una persona umana che è diventata la/il vostra/o fidanzata/o. Unicità
denota il nucleo essenziale di questa percezione.
È la percezione che
nell’universo dell’essere quando appare la persona, si
ha un salto di qualità sul piano della realtà. Fra l’universo impersonale,
compreso anche quello dei viventi, e l’universo della persona c’è un abisso:
tutto l’universo impersonale non vale una sola persona; tutto l’universo
impersonale è corruttibile e quindi destinato a perire, la persona – ogni persona – è incorruttibile e quindi eterna.
Ma l’unicità
significa anche qualcosa di ancor più profondo sul quale vi chiedo
di riflettere attentamente. Unicità significa irripetibilità. Mi spiego
con un esempio, per contrario. Quando voi andate a comperare
il giornale, voi dice solo il titolo della testata. Non volete una copia, un
numero di quella testata piuttosto che un’altra: sareste presi … per matti.
Sono tutte uguali e ciascuna sostituibile con l’altra.
La persona umana non si trova in questa condizione. Certamente le persone umane
condividono la stessa umanità, sono partecipi della stessa
natura umana. Ma questa condivisione e partecipazione non deve
essere pensata come se esistesse uno stampo comune di cui ogni persona è la
riproduzione. Non comprendete tutto questo nel suo significato più ovvio e banale:
ogni persona ha il suo carattere, un volto diverso dagli altri. La cosa è molto
più profonda, e quasi indicibile. È l’io di ogni
persona, l’io che è ogni persona ad essere assolutamente unico; non è
numerabile. Dieci persone non valgono più di una sola: la quantità è una
categoria estranea all’universo delle persone.
È tuttavia vero che
si danno situazioni nelle quali la persona è "sostituibile":
quando la si considera dal punto di vista della funzione oppure del suo
avere. Ciò conferma quanto ho detto sopra: la persona nel suo
"potere" e nel suo "avere" è
ripetibile. Non lo è nel suo essere.
[Non mi fermo – non c’è tempo di farlo – a riflettere sul
fatto che storicamente l’uomo è giunto a questa percezione solamente
all’interno dell’esperienza cristiana].
2. Perché
questa percezione è l’inizio dell’itinerarium mentis in amorem?
Perché se manca questa percezione l’itinerario non
inizia neppure e si resta a quello che si trova alla superficie?
Perché
senza questa percezione il rapporto con l’altra persona si configura inevitabilmente
come possesso ed uso.
Senza questa percezione si inizia l’itinerario non
verso l’amore ma verso il possesso – uso dell’altro. Tocchiamo qui quella che
il S. Padre Giovanni Paolo II ha chiamato la "fonte del dramma", che
intendo come l’incrocio di due logiche opposte. Ma
riflettiamo con più calma.
Che nel cuore risieda il "bisogno" dell’altro è una
constatazione di cui facciamo esperienza ogni giorno. Ora ogni bisogno urge la
persona alla soddisfazione dello stesso. Ma questo rapporto
bisogno-soddisfazione può realizzarsi in due modi profondamente diversi, che
cercherò ora di descrivere usando nei due casi la stessa terminologia
"bisogno-soddisfazione".
Primo modo. L’altro è voluto in quanto è/ha ciò di cui mi servo per soddisfare
il mio bisogno. Orbene ordinare, intenzionare l’altro
a me stesso comporta necessariamente usarlo e consumarlo.
Secondo modo. L’altro
è voluto perché è/ha in sé la presenza di una bontà,
di una bellezza che "rapisce fuori di se stessi", e che ti attrae.
L’orientamento, l’intenzionalità è verso l’altro in se stesso e per se stesso.
Il rapporto non finisce nel consumo, anzi lascia essere l’altro nella sua alterità a causa del valore, della preziosità che essa ha
in se stessa. Tutti i grandi maestri cristiani della verità dell’amore parlano di un movimento e-statico.
Agostino ha inventato
il vocabolario per denotare queste due modalità, che resterà poi
nell’esperienza spirituale dell’uomo occidentale. Chiama il primo modo di
realizzare il desiderio usare ed uso; il secondo, fruire e
fruizione. Ed un filosofo contemporaneo scrive:
"Questo (cioè
il fruire) è l’unico rapporto desiderante che riesce a realizzare il convenire
non solo come processo, ma anche come condizione stabile. E tale condizione è
ciò che in effetti chiede il desiderio; e la chiede
persino quando consuma. Per questo, quando consuma, il desiderio è consegnato
alla ripetizione" [C. Vigna, in Metafisica del desiderio
(a cura di C. Ciancio), Vita e Pensiero ed., Milano
2003, pag. 30-31].
È a questo punto che
vi dovete chiedere: l’amore fra le persone in quale modalità è giusto
che si ponga? È possibile collocarlo nella seconda modalità, è cioè possibile configurarlo come fruizione e non come uso,
se non si ha la percezione dell’unicità della persona e del suo
valore?
3. Vorrei ora fare un
passo ulteriore in questo itinerarium mentis in amorem. Parto ancora da un testo di K. Woitila sempre tratto da
La percezione della
preziosità incomparabile della persona umana, della sua irripetibile
unità quale si ha nel rapporto amoroso fra l’uomo e la donna, è la percezione
nella persona dell’altro/a di una presenza,
Nell’economia
sacramentale cristiana, il matrimonio è uno dei sette sacramenti. La sacramentalità in senso cristiano non è qualcosa che si
aggiunge. Nell’amore dei sue coniugi cristiani è
presente lo stesso amore di Cristo che dona se stesso. E
questo fatto "è forse la cosa più straordinaria che esista".
È anche per questo
che se e quando questa presenza non accade fra un uomo e una donna, essi non
sono rimasti che alla superficie.
4. Una delle
dimensioni che caratterizzano la specifica natura dell’amore coniugale
è la sua fisicità, la sua espressività sessuale. Il linguaggio
sessuale è un linguaggio che realizza ciò che dice.
Mi limito al riguardo
a due ordini di riflessione, non avendo ora il tempo di addentrarci in tutti
gli aspetti di questa dimensione dell’amore coniugale.
L’itinerarium
mentis in amorem coniugalem
inizia dalla percezione dell’unicità della persona dell’altro/a mediante
il corpo: la persona è vista nella sua femminilità/mascolinità. L’amore si
costituisce dentro al linguaggio, al dia-logo fra
femminilità e mascolinità.
Il rischio che dentro
a questo contesto dialogico si insedi la logica
dell’uso-consumo al posto della logica della fruizione-dono, è permanente. In
questo contesto agiscono infatti due forze che hanno
un movimento, una intenzionalità differente: il movimento captativo
che è proprio dell’intenzionalità erotica ed il movimento oblativo
che è proprio dell’intenzionalità dell’amore.
Eros ed amore devono incontrarsi nel cuore dell’uomo e della donna. È
questo il vostro campito stupendo: far accadere questo
incontro nel vostro cuore. L’incontro è reso possibile dalla virtù della
castità che comprende anche l’astinenza, ma che non si riduce ad essa: la supera e la integra.
Un secondo ordine di
considerazione nasce dal fatto che l’amore coniugale è orientato al dono della
vita. Che dal rapporto sessuale possa essere generata una nuova persona umana non è un "effetto collaterale" desiderato o odiato
a seconda dei casi. La generazione di una persona umana, o meglio la possibilità
che sia generata una nuova persona umana definisce
l’amore coniugale. Non esiste vero amore coniugale se da esso positivamente si esclude distruggendo in esso questa
possibilità. La contraccezione e l’amore coniugale si oppongono: l’uno non può coabitare
con l’altra.
Questo nesso fra
amore coniugale e dono della vita eleva alla seconda
potenza la presenza dell’Amore assoluto nell’amore coniugale medesimo. Nel senso che gli sposi diventano ministri dell’amore creativo di
Dio. Quando viene meno la consapevolezza di questa ministerialità l’amore fra i
due sposi, anzi l’esercizio della sessualità cessa di essere un "caso
serio".
5. Quanto siamo venuti dicendo finora va completamente controcorrente.
L’avvertimento di Paolo di non conformarsi alla mentalità di
questo mondo [cfr. Rom 12,2] è particolarmente valido in questo ambito.
La cultura in cui viviamo è una cultura che in larga misura ignora la verità
dell’amore perché ignora la verità circa l’uomo. È una cultura che sta perdendo
il senso della (dignità della) persona. Che senso
quindi ha un’esperienza come la vostra?
È di
essere sale, di impedire cioè che si corrompa l’humanitas del nostro vivere comune. È di essere luce, per indicare e testimoniare una
verità che impedisca all’uomo di smarrirsi. Sale e luce lo si
è semplicemente vivendo la verità dell’amore, camminando lungo l’itinerarium
amoris.
4 giugno 2005 Carlo Caffarra