Nella mentalità corrente soprattutto tra gli adolescenti e i
giovani la libertà è conosciuta quasi solo come
possibilità di scelta tra opzioni possibili. Ridurre la libertà
alla sola scelta porta a smarrirne il significato. Crescere nella
libertà significa far fiorire quanto è nascosto nell’intimo
della persona, quindi coltivare l’anima come si coltiva un seme posto nel
terreno, perché germogli, si sviluppi, fiorisca e porti a maturazione il
suo frutto. Ciascun essere vivente attende il nutrimento adatto alla sua
particolare natura. La persona non si qualifica per l’appartenenza ad una
specie come gli altri viventi, bensì per la sua unicità. La Bibbia parla di immagine e
somiglianza di Dio per indicare la qualità della creatura umana, sia
uomo sia donna. Il senso di quella affermazione sembra essere chiarito se si
interpreta così: ciascuna persona per il fatto che appartiene a se
stessa è unica, da sola si conosce come soggetto. La sfida che ha da
raccogliere consisterà dunque nel realizzare la sua unicità.
Il nutrimento adatto alla crescita della persona è nella
conoscenza delle cose – cose alla latina, res , come realtà - , la
quale consiste soprattutto nella presenza delle persone. Presenza non solo
fisica, ma intesa come oggetto di attenzione. Presenza quindi come rendersi
presenti e accorgersi della presenza.
Ad approccio superficiale posso vedere gli altri come cosa
utile a me, come oggetto di piacere oppure come ostacolo al mio movimento, come
cosa irritante o motivo di timore per la mia sicurezza. In ogni caso li
considero oggetti e, limitandomi a distinguere soltanto la mia
soggettività, finirò per credermi un piccolo dio esponendomi
all’isteria.
Il passo decisivo si attua quando smetto di vedere gli altri come
concorrenti o avversari e imparo a scorgere in ogni persona quello che potrei
essere io, in questo senso ogni persona realizza quello che manca a me. Appena
mi affaccio a questa finestra scopro spazi illimitati per la mia
libertà. La presenza di ciascuna persona mi arricchisce, mi obbliga ad
uscire dalla conoscenza meramente astratta e saccente e mi mette nella
condizione umile e appassionata di colui che gode l’apertura del cuore
intento ad imparare le persone e ad acquistare quello che gli manca.
In analogia con l’arte del fotografare serviranno due o tre accorgimenti
indispensabili. Anzitutto si dovrà mettere a fuoco accuratamente il
sistema ottico. Si tratta di puntare l’attenzione alla ricerca della
unicità della persona oggetto di conoscenza. A partire dalla pelle e
dalle altre caratteristiche di superficie si dovrà cercare con molta
perseveranza il luogo più intimo, là dove la persona è di
se stessa, dove è sola a conoscersi come soggetto. Proprio perché
la cosa è in sé molto semplice domanderà un esercizio di
lunga durata. In secondo luogo servirà una buona sorgente di luce per
illuminare l’oggetto. Gli occhi di Gesù Cristo, che amano quella
persona quanto amano me, sono eccellente fonte di luce capace di dare risalto a
forme e colori e di evidenziare i particolari più minuti. Infine
sarà necessario che io mi disponga a tritare la grana che compone il mio
cuore così che diventi capace di riprodurre l’immagine di quanto
vado conoscendo senza deformarla. Sembra che la cosa più resistente alla
triturazione sia l’egocentrismo, che si manifesta nell’abitudine a
giudicare le persone e a temerne il giudizio.
La ricerca e la conseguente attenzione rivolta alla unicità della
persona vista nella sua quotidianità la più ordinaria e perfino
banale è ricerca di trascendenza in tutto quello che si incontra di meno
trascendente e costituisce esercizio di contemplazione. E’ necessario
trattenere il cuore sull’esercizio come si trattiene il cioccolatino tra
la lingua e il palato fin che dia fuori tutto il suo sapore. La conoscenza
della unicità della persona – imparare la persona – di
rimando mi fa conoscere me stesso nella mia unicità come non mi ero mai
conosciuto. L’esperienza farà scoprire la forza liberante
dell’esercizio.