Seguiremo il percorso delle due metafore per tentare un avvicinamento al
centro del cuore umano e, se possibile, conoscere la natura della
libertà che ne costituisce il respiro.
L’amore esce dal cuore in qualità e misura non riducibili
ai parametri della logica. Innamorarsi e donarsi gratuitamente nell’amore
sono esperienze che non si trovano nel catalogo delle operazioni razionali. Per
questo si dice che la loro natura è misteriosa. La qualifica non
è certo negativa semmai evidenzia la ricchezza dell’amore. Anche
la malvagità, che pure emana dal cuore umano come da sorgente, per sua
natura costituisce mistero, il mysterium iniquitatis, come lo definisce S.
Paolo. L’irrazionalità delle azioni malvagie e la loro
stupidità oltrepassano i confini della logica ed è inutile, anzi
dannoso, tentarne la riduzione a spiegazioni razionali.
Se l’acqua che esce dalla sorgente contiene in sé qualche
cosa di misterioso a maggior ragione la sorgente nasconderà il mistero
della sua natura. La libertà dunque, che si manifesta nell’amore,
dono gratuito di sé, e nella malvagità, priva della sua ragion
d’essere, fa vedere la qualità misteriosa del cuore umano. Il
mistero scoraggia i pusillanimi, gli indecisi, le persone di poco valore, ma
stuzzica la persone d’animo appassionato.
Se non mi è dato di conoscere con esattezza la configurazione del
mio cuore e i suoi intimi meccanismi posso imparare come si coltiva e acquisire
la pazienza di attenderne i tempi di crescita. L’avventura è
appassionante e rischiosa, chiede la vigilanza esigita da un fuoco acceso.
Conviene consegnarsi allo Spirito Santo, Signore del fuoco divino, e domandare
la grazia di incontrare un amico vero capace di aiutarti a riordinare
l’anima ogni volta che entri in confusione e a tenerti per una mano
quando vacilli.
Il compito che tocca a ciascuna persona è pertanto di coltivare
il cuore assicurandogli il nutrimento adatto e prestandogli le cure necessarie
in analogia a quanto si legge nel Vangelo: ”il regno di Dio è come
un uomo che getta il seme nella terra: dorma o vegli, di notte o di giorno, il
seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa.” (Marco 4, 26 s). A
questo modo si libera la ghianda, la quale emette fragilissime radici e
germogli, esce dalla terra e, raggiunta dal sole e dalla pioggia, si libera
dando fuori tutto quello che teneva celato in sé.
L’esperienza della libertà all’alba
dell’adolescenza può dividere il cuore del ragazzo tra il timore
suscitato dai primi assaggi della consapevolezza di sé e della
conseguente responsabilità, l’incombere dei modelli proposti dalla
cultura dominante, l’insicurezza indotta da adulti ansiosi e preoccupati
– i genitori? – la presunzione tipicamente giovanile di sapere
già tutto e di volersi misurare in imprese al limite della
temerità con buona dose di incoscienza. A poco valgono le parole, alla
fine l’unica maestra capace di convincere sembra essere
l’esperienza, dalla quale il soggetto può uscire temprato e capace
di percorrere la sua strada, talora vinto e avvilito, le più volte
spoetizzato e cinico, oppure omologato al gregge dominante.