La forma delle cose, astratta da esse
e recepita nell’anima, si chiama comunemente idea o essenza.
L’essenza ripete nel cuore la forma delle cose, l’una e
l’altra dovrebbero coincidere. Un albero di
ciliegio fiorito è la stessa cosa nel campo e nella mente, però
se ce n’è uno davanti alla mia finestra è ben altro. Il
principe azzurro sognato da una adolescente ha tutto
quanto gli serve per essere un principe azzurro di tutto rispetto, ma quando
esce dal sogno e bussa alla porta con una rosa in mano fa la differenza quanta
ne corre tra la notte e il giorno. Il giovane innamorato si domanda: la ragazza
che mi ha rubato gli occhi e mi aspetta con il batticuore c’è
oppure è un sogno?
Soffio minimo la parola c’è non è
una forma, non può essere oggetto di astrazione.
Qualcuno ha detto che l’atto di essere –
come lo chiamano i filosofi – ha per essenza di non essere
un’essenza. E’ l’esserci di una cosa, la presenza dal latino prae - sum, come dire esserci sottolineato. Mentre la forma assimilata dall’anima,
è fatta propria dal soggetto che la conosce, perché la ripete in
sé e la tiene, la presenza rimane fuori dall’anima
e non può essere in alcun modo oggetto di appropriazione. Se mi accorgo che non
c’è corrispondenza tra la mia idea e la forma di colui che mi sta di fronte non sarà la mia idea a
giudicare l’oggetto ma viceversa. Dovrò pertanto trattenermi dal
vizio di voler giudicare. L’attenzione rispettosa e quasi la venerazione di ogni cosa nasce dalla consapevolezza che non io ho posto
in essere la cosa, ma con ogni probabilità colui che ha posto in essere
anche me.
Se l’apprendimento della forma
domanda castità, la presenza domanda distacco. Non puoi possedere la presenza di alcuna
cosa. Essa è fuori di te e non hai modo di farla tua. Puoi solo
accorgerti che c’è, quindi accettarla e desiderare di impararla.
Questa disposizione d’animo ti porterà a non
cadere nell’abitudine e a provare ogni volta stupore e gioia.
Dilaterai il tuo cuore e troverai la strada della felicità autentica.
Vale la pena che soprattutto le persone che si amano imparino
a vedersi in questo modo. La parola chiave sembra essere gratuità, a cui
corrisponde vivere in perenne attitudine di riconoscenza.
Si capisce che non può trattarsi di conoscenza
razionale, ma di accettazione che ti porta a metterti
un gradino sotto, nella posizione adatta a vedere. E’ una disposizione
d’animo di umiltà, che va rinnovata
tenacemente più volte ogni giorno e senza la quale puoi scordarti di
raggiungere una vera conoscenza.
La presenza – atto di essere – non
è di sé stessa come svincolata dalla
forma nella quale sussiste, è di una forma e pertanto c’è
fin tanto che non si esaurisce la forma. E’ una esistenza precaria che domanda la sua ragion
d’essere a qualche cosa d’altro che la precede: la presenza che
è di sé stessa. Potrà bastare questa riflessione per
intuire l’esistenza di Colui che è?
Quando mi accorgo di una presenza - un fiore, un
albero, un cavallo, un bambino, un uomo, una donna -, la accolgo per quanto mi
riesce di vedere e, senza prendere partito, non la
rifiuto, non presumo di appropriarmene e non mi arrogo il diritto di
giudicarla, in modo speculare percepisco la mia esistenza. Il contatto mi procura
un’emozione per la quale non sono ancora state inventate le parole.
E’ il momento della creatività, della poesia, dell’opera
d’arte in genere. La presenza di quello che ammiro
chiama la mia presenza e la dà a conoscere a me stesso come cosa
perennemente capace di farmi provare stupore. Al pari
dell’essere che vedo anche il mio essere mi apparirà precario.
Se non lo rifiuto, non lo tengo contro voglia,
né pretendo di dovergli trovare una giustificazione facendone una sorta
di premio meritato o da meritare, allora mi accorgerò che la cosa in
assoluto più importante è di godere adesso la conoscenza di tutto
quello che incontro.