Si pone la domanda se la verità sia oggettiva o soggettiva. La risposta classica recita che
la verità è adaequatio intellectus et rei. Vuol dire che si tratta di una congiunzione di tipo coniugale tra
il soggetto e l’oggetto. La singola persona, angolino esiguo e
pressoché insignificante esposto ad essere facilmente calpestato,
affacciato senza parapetto sopra il baratro della stupidità, capace di
aprirsi spazi vitali nelle fenditure della roccia, di inebriarsi
dell’azzurro del cielo e di tremare intirizzito per qualche goccia di acqua fredda è il luogo della verità, trova
in essa nutrimento e respiro. Colui che si esime dalla
fatica della ricerca si avvia ad estenuazione e si espone ad essere omologato
al branco. Modeste competizioni con gli altri daranno luogo ad illusioni di
breve durata, preludio di psicodrammi, convulsioni tempestose nel bicchiere di acqua che tornerà a stagnare intorbidata.
FORMA
La prima cosa che attira lo sguardo e lo cattura
è la forma: una rosa, una quercia, un gatto, un bambino, una ragazza, un
uomo. Forma è linea di definizione, dice precarietà e limite di
durata ed è bellezza, eleganza, sorgente di fascino non ulteriormente
scomponibile. Fiore di una stagione e porta di accesso
alla bellezza eterna. La forma dà la
possibilità di distinguere gli oggetti, li fa essere conoscibili
e riconoscibili.
I filosofi dicono che
è oggetto di astrazione nel senso che, conosciuta una forma, diventa
possibile riconoscere l’oggetto moltiplicato indefinitamente tra tutti
gli altri. Nel procedimento del conoscere l’acquisizione della forma
è fase intermedia. Fermarsi ad essa espone al
formalismo e arresta la conoscenza in condizione di staticità inerte.
La prima qualità della forma è di essere casta, nitida, ben disegnata, conoscibile e
riconoscibile. La forma si conosce per ripetizione. Come nella camera oscura
l’oggetto si ripete sulla pellicola fotografica
così è nel procedimento del conoscere. E’ necessario
che il fondo dell’anima sia, come la pellicola del fotografo, fatto di
grana fine, omogenea e sensibile, altrimenti ripeterà l’immagine
deformata e scarsamente riconoscibile. E’ evidente la necessità di
purificare il cuore perché sia capace di ricevere la forma e di tenerla.
Non puoi dire di conoscere una forma fin che non la sai ripetere in maniera casta, cioè nitida e
riconoscibile, argento purificato col fuoco, ripulito sette volte e la puoi
ripetere in ogni tipo di linguaggio parlato, scritto, figurato… Il punto
focale sarà dunque avere cuore abbastanza pulito e malleabile,
capace di ricevere la forma senza guastarla e così forte da poterla
conservare una volta acquisita.
Si dice comunemente nel linguaggio dei filosofi che il
conoscere è attività immanente. Vuol dire
che tu diventi la cosa conosciuta e questo fatto ti dona una emozione che non
conoscevi. L’emozione è la vibrazione della tua persona, la quale al pari di uno
strumento musicale toccato emette la sua voce. Ogni cosa dispone
di un timbro di voce unico e
diverso tra tutti e quindi la voce fa conoscere il soggetto da cui proviene.
L’emozione può essere di superficie o dei livelli più
profondi. Nella persona si distingue un livello sensoriale, uno sentimentale e uno più profondo che possiamo definire esistenziale.
La fatica di comunicare la tua emozione a chi è
disposto ad ascoltarti ti porta a conoscere te stesso, ti percepisci in
qualche modo là dove la cosa
ti ha toccato. Imparerai con lungo esercizio ad esprimerti in qualsiasi
forma di linguaggio in modo asciutto e preciso così che colui che ti ascolta, legge il tuo scritto o vede il tuo
manufatto possa essere attratto dalla tua parola e la possa capire
riconoscendola come sua.