A Gesù
SCRIVO TREPIDANDO
Caro Gesù,
mi sono preso delle
critiche. "E’ vescovo, è cardinale; è stato detto, si
è sbracciato a scrivere lettere in tutte le direzioni: a M. Twain,
a Péguy, a Casella, a Penelope, a Dickens,
a Marlowe, a Goldoni e non
si sa a quanti altri. E neppure una riga a Gesù
Cristo!".
Tu lo sai. Con Te io mi sforzo di
tenere un colloquio continuo. Tradurlo in epistolario, però, è difficile: sono
cose personali. E poi, cosi piccole! E poi, cosa scrivere a Te, di Te, dopo
tutti i libri che su Te sono stati scritti?
E poi, c’è già il Vangelo. Come
la folgore supera tutti i fuochi e il radio tutti i metalli; come il missile
batte in velocità la freccia del povero selvaggio, così il Vangelo supera
tutti i libri.
Tuttavia, ecco qui la lettera. La
scrivo trepidando, nella condizione di un povero sordomuto, che si sforza di
farsi capire, nello stato d’animo di Geremia che, inviato a predicare, Ti
diceva, pie-no di riluttanza: "Non sono che un bambino, Signore, non so
parlare!".
***
Pilato,
presentandoti al popolo. ha detto: Ecco l’uomo! Credeva di conoscerti, ma non
conosceva neppure un briciolo del tuo cuore, che hai mostrato tenero e
misericordioso cento volte in cento modi.
Tua madre. In croce, non hai
voluto partire da questo mondo senza trovarle un secondo figlio che avesse cura
di lei e hai detto a Giovanni: ecco tua madre.
Gli Apostoli. Hai vissuto notte e
giorno con essi, trattandoli da yen amici, sopportandoli nei loro difetti. Li
hai istruiti con pazienza inesauribile. La madre di due di loro chiede un posto
privilegiato per i figli e Tu: "Con me non si tratta di onori, ma di
patimenti". Anelano ai primi posti anche gli altri e Tu: "Bisogna
invece farsi piccoli, mettersi all’ultimo posto, servire!".
Nel Cenacolo il hai messi in
guardia: "Avrete paura, scapperete!". Protestano, prima e
più di tutti Pietro, che poi, viceversa, Ti rinnega tre volte. Tu perdoni a
Pietro e tre volte gli dici: Pasci le mie pecore.
Quanto agli altri Apostoli il tuo
perdono rifulge soprattutto al capo 21 di Giovanni. Essi sono in barca, da
tutta la notte Tu, il Risorto, sei là sulla riva del lago prima
dell’albeggiare, fai loro da cuoco, da servitore, accendendo il fuoco, cucinando
e preparando loro, col pane, del pesce arrostito.
I peccatori. Il pastore che corre
in cerca della pecora smarrita, e gode nel ritrovarla, e fa festa quando la
riporta all’ovile, sei Tu. Sei Tu quel padre buono, che, al ritorno del figlio
prodigo, si getta al suo collo, abbracciandolo a lungo. Scena di ogni pagina
nel Vangelo: Tu infatti avvicini peccatori e peccatrici, mangi alla loro
tavola, ti inviti Tu stesso, se essi non osano invitarti. Hai tutta l’aria, questa
è impressione mia, di preoccuparti più delle sofferenze che
il peccato produce ai peccatori, che non dell’offesa che reca a Dio. Infondendo
la speranza del perdono, sembra che Tu dica: Voi non immaginate neppure il
piacere che mi procurate con la conversione!
Insieme al cuore, brilla in Te
l’intelligenza pratica.
Hai puntato all’interno, intanto.
C’erano le facce dei Farisei smunte per i prolungati digiuni religiosi e Tu:
"Non mi piacciono quelle facce; il cuore di quegli uomini è lontano da
Dio; è l’interno che preme, il cuore è metro per giudicare; dal di dentro, dal
cuore degli uomini escono i cattivi pensieri: dissolutezze, latrocini, assassinii, adulteri, cupidigie, orgoglio,
stoltezza".
Avevi orrore delle parole
inutili: Sia il vostro parlare: sì, sì; no, no; quello che c’è di più deriva
dal male. Quando pregate, non moltiplicate le parole".
Volevi la concretezza e il
riserbo: "Se digiuni, profumati la testa e lavati il volto. Se fai l’elemosina,
non sappia la tua sinistra quello che fa la destra". Al lebbroso guarito
hai raccomandato: "Non dirlo a nessuno". Ai genitori della ragazza
risuscitata hai comandato con forza che non andassero a suonare la tromba sul
miracolo avvenuto. Solevi dire: "Non cerco la mia gloria. Cibo, per me, è
fare la volontà del Padre mio".
Dalla Croce,
concludendo la tua vita, hai detto: "Tutto è compiuto", ma sempre
avevi tenuto a che le cose non fossero fatte a mezzo. Gli apostoli Ti avevano
suggerito: "La gente ci segue da tempo, rimandiamola a mangiare a casa
sua", ma Tu: "No, diamole noi da mangiare". Finito il pasto dei
pani e dei pesci moltiplicati, hai aggiunto: "Raccogliete gli avanzi, non
è giusto che vadano a male".
Il bene lo volevi fatto fino al
dettaglio. Risuscitata la figlia di Giairo, hai
raccomandato: "Adesso date da mangiare a questa figliuola". La gente
proclamava di te: "Ha fatto bene tutte le cose!".
***
Quanta luce di intelligenza spirava
dal Tuo predicare! Gli avversari mandano dal Tempio le guardie per arrestarti e
se le vedono ritornare a mani vuote. "Perché non l’avete condotto?".
Risposta delle guardie: "Nessun uomo ha mai parlato come lui!". Incantavi dunque la gente, la quale
sin dai primi giorni osservò di Te: "Questi si che parla con autorità!
Altro che gli scribi! ".
Poveri scribi! Incatenati ai 634 precetti della Legge, andavano dicendo che Dio stesso ogni giorno dedicava
un po’ di tempo allo studio della Legge e, in cielo, passava in rassegna le
opinioni degli scribi per istruirsi sulle loro scartoffie!
Tu invece: "Avete udito che fu
detto... al contrario Io vi dico...!".
Rivendicavi il diritto e il potere di perfezionare
E non Ti stancavi mai di istruire nelle
sinagoghe, nel tempio, seduto nelle piazze o sui prati, camminando per strada,
in casa, perfino a tavola.
Oggi chiedono tutti dialogo, dialogo. Ho
contato i dialoghi tuoi nel Vangelo. Sono 86: 37 coi discepoli, 22
con gente del popolo, 27 con gli avversari. Oggi, in pedagogia, si reclama
l’attività comune attorno ai centri di interesse. Quando il Battista, dal
carcere, ha mandato a chiedere chi Tu fossi, non hai perso il tempo in,
chiacchiere. Hai miracolosamente guarito tutti i malati presenti e hai detto:
"Andate a dire a Giovanni quel che avete visto e udito".
Per i Giudei del tuo tempo,
Salomone, Davide e Giona rappresentavano quel che
per noi sono Dante, Garibaldi, Mazzini e Tu hai parlato continuamente di
Davide, Salomone, Giona e di altri personaggi popolari. E sempre con coraggio.
Il giorno in cui hai insegnato: Beati i poveri, beati i perseguitati, io
non c’ero. Fossi stato vicino a Te, Ti avrei sussurrato all’orecchio: "Per
carità, cambia discorso, Signore, se vuoi avere qualche seguace. Non vedi che
tutti aspirano alle ricchezze e alla comodità? Ai loro soldati Catone ha promesso
i fichi d’Africa, Cesare le ricchezze della Gallia e,
bene o male, si sono fatti seguire. Tu prometti povertà, persecuzioni. Chi
vuoi che Ti segua?". Imperterrito, Tu vai avanti e Ti sento dire: "Io
sono il grano di frumento che deve morire prima di portare frutto; bisogna che
io sia rizzato su una croce; di là trarrò a me il mondo intero!".
Oggi, è fatto: in Croce Ti
hanno innalzato. Tu ne hai approfittato per allargare le braccia e attirarti la
gente; chi può contare gli uomini, che sono venuti ai piedi della croce, a
gettarsi tra le tue braccia?
***
Di fronte a questo spettacolo di
gente che affluisce a un crocifisso da tanti secoli e da ogni parte del mondo,
sorge la domanda: si tratta solo di un uomo grande e benèfico o di un Dio? Tu
stesso hai dato la risposta e chi ha gli occhi non velati da pregiudizi e avidi
di luce l’accetta. Quando Pietro ha proclamato: "Tu sei Cristo il Figlio
di Dio vivo", Tu non solo hai accettato questa confessione, ma l’hai
premiata. Hai sempre rivendicato per Te ciò che i Giudei ritenevano riservato
a Dio. Con loro scandalo hai rimesso i peccati, Ti sei detto padrone del
Sabato, hai insegnato con suprema autorità, Ti sei dichiarato eguale al Padre.
Più volte hanno tentato di lapidarTi come bestemmiatore, perché Ti dicevi Dio. Quando
finalmente Ti ebbero preso e portato davanti al Sinedrio, il sommo sacerdote
Ti chiese solennemente: "Sei o non
sei il Figlio di Dio?". Tu hai risposto: "Lo sono, e mi vedrete alla
destra del Padre". Hai accettato la morte piuttosto che ritrattare e rinnegare
questa Tua essenza divina.
Ho scritto, ma mai sono stato così
malcontento di scrivere come questa volta. Mi pare di avere omesso il più, che
si poteva dire di Te, di avere detto male ciò che si doveva dire molto meglio.
C’è un conforto, questo: l’importante non è che uno scriva di Cristo. ma che
molti amino e imitino Cristo.
E, per fortuna, nonostante tutto, questo avviene ancora.
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Albino Luciani
Illustrissimi
Edizioni Messaggero - Padova